Brano tratto da un Intervento di Luigi Zingales presso la commissione Finanze della Camera dei Deputati, in occasione di un’audizione “sulle prospettive della politica tributaria e del settore bancario, nel quadro dell’euro ed in vista del prossimo semestre di Presidenza italiano dell’Unione europea”.
“Durante la crisi, in Italia c’è stata una forte pressione verso gli Eurobond. Questa mi pare una strategia sbagliata. Noi non possiamo, a livello europeo, andare a dire “voi dovete pagare i nostri crediti”, perché è una strategia che non funziona. Siccome nessun paese ha un grosso interesse a pagare i crediti altrui, noi possiamo chiedere quello che vogliamo ma non andremo da nessuna parte. Invece possiamo fare una differenza – e il semestre europeo a presidenza italiana per questo è un’enorme opportunità – dicendo: quello che noi vogliamo non è un meccanismo permanente di redistribuzione dal nord al sud, considerato che nessuno al nord vorrà questo meccanismo… Tuttavia un’area comune con una moneta comune deve avere dei meccanismi di stabilizzazione automatica con fondi comuni, quindi meccanismi che assicurino un certo “smoothing” del ciclo economico tra le varie aree europee.
Qual è il meccanismo automatico di stabilizzazione migliore che noi conosciamo? Sono i sussidi di disoccupazione; quindi la vera battaglia che noi come italiani dobbiamo fare durante il semestre europeo, è di dire: “Noi vogliamo un meccanismo di assicurazione della disoccupazione a livello europeo pagato con dei fondi europei”. Il bello di questo meccanismo è che non è un meccanismo permanente di trasferimento dal nord al sud. Ricordiamoci per esempio che nel 2004-2005 la Germania aveva molta più disoccupazione della Spagna, e quindi il trasferimento sarebbe andato dalla Spagna alla Germania e non viceversa. Tra l’altro i meccanismi di stabilizzazione funzionano in entrambe le direzioni; noi pensiamo sempre che i meccanismi funzionino solo per aiutare i paesi in difficoltà, ma i meccanismi funzionano anche per ridurre l’eccessivo riscaldamento delle economie in fase di espansione … Quindi la vera battaglia che noi dobbiamo fare a livello fiscale è per un meccanismo di assicurazione sulla disoccupazione a livello più europeo. Tra l’altro il grosso vantaggio di una iniziativa di questo tipo è anche di tipo politico, se posso permettermi di dirlo visto che io non sono un esperto in materia: nel senso che oggi l’Europa soffre una crisi di consenso generalizzato; nella misura in cui i disoccupati vedessero arrivare un assegno con il simbolo dell’Europa sopra, essi avrebbero una passione per l’Europa sicuramente molto maggiore di quella che è presente oggi. E di fronte agli estremismi che vedono l’Europa come una creazione di un’élite molto limitata, avere invece un meccanismo come quello di assicurazione contro la disoccupazione, riduce questo rischio.”
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Ho amato questo pezzo dell’intervento di Zingales nella sua audizione alla Camera. Condiviso no, perché non è logico e coerente fino in fondo con le sue giuste premesse, compresa la necessità di salvare l’euro. Utile per ragionare sì, eccome.
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Europa, Germania, Grecia. Andare a dire “voi dovete pagare i nostri crediti” è molto differente dal dire “voi dovete pagare per la nostra disoccupazione”? Domanda interessante, a cui non avevo pensato talmente ovvia mi pareva la risposta, negativa. Ma Zingales afferma il contrario, sarà bene discuterne.
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No, non è molto differente perché se è vero che in Europa “nessuno ha un grosso interesse a pagare i crediti altrui” – ed è vero – è altrettanto vero che nessuno ha interesse a pagare “la disoccupazione altrui”.
Zingales sembra dire che le due cose sono diverse, non mi è chiaro perché. Forse perché le due cose paiono, la prima (la differenza di costo del credito), permanente a favore della Germania, mentre la seconda (la differenza di disoccupazione) transitoria (come tradisce l’esempio della differenza tra Spagna e Germania).
E’ effettivamente difficile immaginare che un giorno i tassi d’interesse tedeschi saranno più alti di quelli greci. E dunque l’eurobond, con i suoi tassi d’interesse a metà tra quelli tedeschi e quelli greci, appare come un trasferimento fiscale perenne dalla Germania ai paesi del sud dell’euro, utopistico da immaginare per la resistenza che genererebbe presso i tedeschi. Mentre è possibile che un giorno la disoccupazione tedesca, come argomenta Zingales, divenga più alta di quella greca, e dunque che uno schema europeo di trasferimenti di fondi basati sull’andamento della disoccupazione (da quelli con meno a quelli con più) siano valutati come meno permanenti di quelli impliciti in un eurobond comune.
Ma chi sarebbe disposto a credere in Germania oggi a un futuro dove la disoccupazione tedesca è più alta di quella greca ed acconsentirvi solo per questa implausibile e remota evenienza? Certo quando la disoccupazione greca sarà più bassa di quella tedesca allora, toccando con mano il miracolo, i tedeschi saranno disposti a credervi ma a quel punto … saranno proprio loro a qualificarsi per i fondi proposti da Zingales, e non credo che comunque i greci saranno disposti a svenarsi per i lavoratori tedeschi dopo che questi non si sono svenati per quelli greci!
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C’è di più. Dice Zingales: “Quello che noi vogliamo non è un meccanismo permanente di redistribuzione dal nord al sud, considerato che nessuno al nord vorrà questo meccanismo… Tuttavia un’area comune con una moneta comune deve avere dei meccanismi di stabilizzazione automatica con fondi comuni …”.
In realtà non è così. Noi vorremmo avere un meccanismo permanente di redistribuzione, come quello che gli Stati Uniti hanno da quasi 100 anni che è senza il minimo dubbio un “meccanismo permanente di redistribuzione”, dalla California al Mississippi, dal Massachusetts al Maine, come lo abbiamo noi in Italia dal Nord al Sud e come lo ha la Germania dell’Ovest verso quella dell’Est. I meccanismi di cui progetti politici, non economici, di unione monetaria si dotano sono non “ciclici e transitori” ma permanenti. Sono il frutto di uno scambio tra aree strutturalmente povere e ricche di un Paese, volti a far crescere la dimensione e la potenza di una nazione e dunque la sua forza negoziale sui tavoli mondiali (“chi si fila il ricco Lussemburgo”?), in cambio di una coesione sociale che si può acquistare solo con la redistribuzione permanente in favore delle aree più povere del Paese.
Per arrivarci, tuttavia, queste aree diverse hanno bisogno di una vicinanza culturale che, come Zingales in parte intuisce, non è maturata oggi in Europa, come non lo era negli Stati Uniti nel suo primo secolo di esistenza.
E quindi, la soluzione non sta certamente nell’eurobond ma nemmeno nell’eurosussidio alla disoccupazione, che farebbe urlare i tedeschi al furto da parte dei “parassiti oziosi del Sud”.
Serve l’unica medicina credibile per avviare un processo di coesione sociale europea (che aiuti subito il Sud) in cambio di una adesione al progetto comune di Unione (che fa comodo a tutti ma che in questo momento è il Nord a vedere più a rischio): una politica fiscale espansiva à la giapponese, più sbilanciata a Nord che a Sud. L’unica che i tedeschi possono accettare perché soddisfa, oltre all’interesse europeo, anche lo stretto interesse nazionale.
In questo senso, la creazione avvenuta di un “High Level Group on Own Resources” (Gruppo di alto livello sulle risorse proprie) dell’Unione europea, che esaminerà come l’UE dovrà mutare il suo modo di finanziarsi nel futuro, è non solo una perdita di tempo che distrae dalle esigenze immediate di sostegno economico alle aree più in difficoltà, ma un rischio enorme, visto che la Presidenza potrebbe essere affidata a Mario Monti, che ha sempre perorato l’idea che le crisi economiche sono un momento per avanzare con il cambiamento istituzionale-politico. Se Monti dovesse spingere, come io sospetto, per una accelerazione verso l’Unione fiscale, in questo periodo di profonda crisi della identità europea, diverrebbe per tantissimi cittadini il rappresentante dell’ultimo scippo imposto da una élite europea alla odierna naturale sovranità nazionale sulle politiche fiscali e finirebbe per slabbrare una volta per tutte l’esile filo che ancora unisce le nostre così diverse culture.