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L’ipocrisia di chi non ricorda Roosevelt

E’ un’emorragia che continua … i senza lavoro giovani … si è parlato tanto in questi giorni… del nuovo governo, della velocità … in realtà le misure che si intravedono e quelle che da anni sono state messe in opera non sono state capaci minimamente di invertire la tendenza

Crescerà ancora la disoccupazione… Renzi twitta che è allucinante che ci vuole subito il Job’s Act…

Ma che cosa si può fare? … Non è alla portata di un governo decidere di creare 3.300.000 posti di lavoro, neanche 300.000 posti di lavoro neanche 3000 posti di lavoro.

Enrico Mentana, oggi all’apertura del TG la 7.

*

Davvero caro Mentana?

Quei 45.000 di disoccupati giovani in più in 1 anno, davvero non era alla portata del governo passato evitarli?

Li ha forse creati il cuneo, che è rimasto fermo? O piuttosto l’austerità che non si è arrestata e che non era necessaria nemmeno per l’Europa?

E lei non crede che sarebbe stato possibile spendere 1000 euro al mese netti per ognuno di loro per 12 mesi, 45 milioni al mese, 540 milioni in un anno, per assumerli per 1 anno solo nel “nostro” servizio civile all’interno della Pubblica Amministrazione? All’università? Nei pronto soccorsi? Nelle Pompei? Nei tribunali? Nei parchi? Nelle città d’arte?

540 milioni sono 0,033% di PIL: avrebbe tremato l’Europa? Avrebbe detto no? Suvvia, basta con questa ipocrisia.

Evitando che quei 45.000 si seccassero come i rami d’inverno, facendo morire il loro spirito per inattività, per depressione, per rassegnazione. Scaldandogli la speranza in attesa del ritorno del sole caldo della ripresa.

Non era possibile farlo? Non è possibile farlo?

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E’ già successo, nel 1933, con Roosevelt che firmò il 6 maggio il Works Progress Administration, il WPA: dei 10 milioni di disoccupati statunitensi nel 1935, 3 furono aiutati ottenendo lavori finanziati dal WPA. Altro che sussidio di disoccupazione, umiliante secondo Roosevelt: in cambio di un salario questi lavoratori costruirono autostrade, scuole, ospedali, aeroporti e parchi gioco per i bambini. Restaurarono teatri, come il Dock Street Theater a Charleston, South Carolina (vedi immagine).

Nel 1940 l’economia Americana ritrovava forza grazie alla Guerra e nel 1943 il Congresso sospese il WPA.

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No caro Mentana, si poteva e si può fare tanto, basta ipocrisie. Non il Job Act, ovviamente, che a nulla serve in una recessione da domanda. Ma il servizio civile, senza fronzoli né anglicismi, è l’unica soluzione in questa drammatica congiuntura e negarlo è l’ipocrita risposta di chi non vuole venire incontro al più grande spreco di tutti, quello di una generazione di giovani.

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Renzi non abbia paura dell’Europa e dei segreti di Pulcinella

Rimango colpito, in attesa dei dettagli, dal fatto che Renzi abbia deciso di “pagare in 15 giorni” i debiti commerciali della Pubblica Amministrazione facendo ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti.

Colpito positivamente perché indubbiamente l’idea è giusta per risolvere alla radice la questione della liquidità delle imprese a cui spettano questi soldi così in ritardo sborsati.

Mille volte su questo sito avevamo detto: emettete titoli di Stato, BTP, e con i soldi pagateci le imprese. Subito. Nessuno lo aveva fatto, imbarcandosi invece in astruse soluzioni tutte volte ad evitare di rivelare il segreto di Pulcinella, ovvero che il debito italiano vero, reale, è più alto di quel 134% di PIL rilevato dalle istituzioni europee, perché ad esso vanno aggiunti i debiti commerciali che tipicamente sono contabilizzati “sotto la linea”. Così facendo abbiamo ucciso tante imprese che non hanno ricevuto quanto dovuto in tempo per sopravvivere.

Colpito però anche negativamente perché Renzi non abbandona l’auspicio, come i suoi esimi predecessori, di fare i conti senza l’oste e di lanciarsi in un’operazione artificiale, coinvolgendo la Cassa, proprio per evitare l’inevitabile, ovvero per evitare che il debito pubblico rilevato dall’Europa non aumenti con l’operazione rimborsi alle imprese. Ovvero per evitare di rivelare il segreto di Pulcinella.

Si rassegni Renzi: la Cassa Depositi e Prestiti avrà un credito con la Pubblica Amministrazione che andrà alla fine pagato e apparirà nei conti pubblici. E forse Renzi si dovrà rassegnare prima: la Cassa per pagare dovrà trovare i soldi in Tesoreria, riducendo le disponibilità del Tesoro che dovrà emettere più debito per ricostituirle. E forse Renzi si dovrà rassegnare ancora ancora prima: è infatti possibile e probabile che le istituzioni europee dicano no al suo schema via Cassa.

Ma perché mi preoccupo di questo se la sostanza è comunque quella giusta? Per due ordini di motivi.

Il primo ha a che vedere col fatto che, pur di nascondere il suo segreto di Pulcinella come Monti e Letta, perderà tempo per ideare soluzioni tanto fantasiose quanto complicate, ritardando il sollievo per l’economia.

Il secondo è più profondo. Renzi non deve avere paura di cosa dirà l’Europa. Renzi deve anzi dimostrare a questa Europa che quando questa sbaglia non siamo disposti ad assecondare le sue stupidaggini. Renzi può tranquillamente permettersi di emettere BTP e con la liquidità ottenuta ripagare subito le imprese come lui giustamente desidera. Salirà il debito per le statistiche ufficiali? E chi se ne frega, tanto il mercato sa bene che questo in realtà è rimasto uguale a prima, con più BTP e meno debiti commerciali. Anzi il mercato apprezzerà questa voglia renziana di mettere fine alla recessione e gli spread scenderanno.

Se lo farà, con buona pace di Ollie Rehn o chissà chi altro dei geni europei che ci hanno governato sinora, avrà dato il segnale più importante di tutti: che la musica è cambiata e che la cacofonia sinora ascoltata in Europa avrà vita breve. Un risultato incredibilmente importante.

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Padoan ed il test d’ingresso nel club dei potenti

Tutti a concentrarsi sui non sorprendenti errori di stima di Saccomanni sul 2013 (-1,9% invece di -1,7% di crescita del PIL italiano) o sul 2014 (ora a 0,6% da 1%) dopo la pubblicazione delle previsioni della Commissione europea.

Senza rendersi conto che esse contengono il più chiaro test d’ingresso nel club dei potenti per Padoan, servito su un piatto di argento. Avrà il nuovo Ministro il coraggio di rifiutarsi di entrarvi, dedicandosi agli interessi della Nazione e dunque dell’Europa?

*

Ricorderete come nella nota d’aggiornamento al DEF del settembre 2013 l’obiettivo di saldo di bilancio pubblico fissato dal Ministro Saccomanni, riassunto dal deficit pubblico corretto per il ciclo prevedeva:

-0,4% per il 2013

-0,3% per il 2014

0% per il 2015

Ovverosia una manovra restrittiva (anche correggendo per il ciclo) di 0,4% nel bel mezzo di una recessione drammatica. Una correzione eccessiva, non necessaria. E che spiega il fallimento delle politiche economiche del Governo Letta e la sua incapacità di incidere sul pessimismo generalizzato nel Paese.

*

Ora a leggerle, le previsioni della Commissione, notiamo come queste sono chiarissime al riguardo di dove finirà questo aggregato di saldo di bilancio, al di là delle pessime aspirazioni di Saccomanni:

-0,6%  per il 2013

-0,6% per il 2014

-0,9% per il 2015

Ovvero:

a) le manovre recessive di Saccomanni fino a ieri deliberate non avrebbero mai raggiunto lo 0% nel 2015: Padoan farà bene a fare una bella due diligence davvero sui conti pubblici per capire dove sono stati nascosti i numeri veri;

b) se mai fossero rimasti Saccomanni e Letta al governo, con la loro maniacale fissazione per raggiungere l’equilibrio di bilancio nel 2015 uccidendo l’economia, avrebbero, durante l’autunno del 2014, chiesto addizionali manovre di 15 miliardi di maggiori tasse e minori spese per farsi vedere belli in Europa (probabilmente fallendo di nuovo);

c) ora Padoan, fatta la due diligence che confermerà i dati della Commissione europea, dovrà decidere se fare quanto ha promesso Saccomanni alla Commissione stessa o se vorrà fare altro. Anzi se saprà fare altro, visto che in tutta Europa si vocifera appunto che “Padoan sa cosa fare”.

Insomma: che “saldo di bilancio corretto per il ciclo per il 2015″ metterà nel DEFPP di aprile prossimo Piercarlo Padoan, detto PP? Confermerà lo 0% di Saccomanni con tanto di manovre da 15 miliardi per portarlo da -0,9% di PIL a 0% in un anno e mezzo e generando una recessione epocale?

Certo in questo modo Padoan supererebbe il “test d’ingresso” nel club dei potenti. Ma ucciderebbe l’Italia e l’Europa.

O vorrà invece innovare, rimanendo perlomeno al saldo strutturale del -0,9% previsto dalla Commissione, se non ampliandolo, per permettere alla domanda interna italiana di ripartire e dunque finanziando anche l’edilizia scolastica così coraggiosamente annunciata dal suo leader Matteo Renzi e così essenziale per la Rinascita del Paese?

Certo in questo modo Padoan verrebbe additato come pericolo pubblico numero 1 dal club dei potenti. Ma salverebbe Italia ed Europa, dando il più forte segnale possibile di non subalternità e di piena e pari dignità del nostro Paese nel Vecchio Continente.

Attendiamo ansiosi la risposta. Tutto il resto, riforme comprese, sono chiacchiere e null’altro.

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Il deserto dei tartari chiamato Europa

Romanzo nato “dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini…”

Dino Buzzati parlando del suo Deserto dei Tartari

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Paul Krugman (K) ricorda in un recente post come la Germania abbia fatto meno austerità di tutti (asse delle ascisse) dal 2009 al 2013, in parte attribuendo a ciò la migliore performance economica tedesca (asse delle ordinate). Interessante.

Ma il suo grafico lo uso non per capire il passato ma per spiegare il futuro. Dell’Europa che verrà. Se vorrà rimanere il deserto dei tartari della routine dell’austerità o meno.

La linea rossa è identica alla linea di Krugman (K), che parte dal Portogallo che ha fatto manovre austere molto forti (in ascissa) e ha ottenuto (in ordinata) crescita negativa ed arriva alla Germania non austera e in espansione tra il 2009 e 2013.

Dove andremo a finire?

Beh è semplice. Sarebbe ideale e possibile finire sulla linea verde. Chiamiamola la retta Piga, quella che auspico da anni. Notate “Portogallo 2”: rispetto allo scenario passato il Portogallo fa un po’ meno austerità e cresce di più, molto di più. E la Germania? Fa molta meno austerità, anzi fa politiche fiscali espansive, e cresce un pochino di più. Insomma la Germania guida il fronte dell’aiuto all’Europa, lei che può più di altri, e salva se stessa e gli altri Paesi, consentendo a ognuno di questi di fare all’interno meno austerità e di crescere di più grazie all’export che si scatena verso gli altri paesi euro, compresa la Germania, visto che ognuno di essi è in crescita e domanda finalmente di più.

Certo c’è un’altra opzione: quella che la Merkel sta cercando di vendere questi giorni a Renzi. “I contractual arrangements” che in cambio di riforme danno qualche risorsina in più ai paesi in difficoltà, magari ammorbidendo (di poco) la loro austerità. Il risultato? E’ la riga in viola e parla chiaro: il “Portogallo 3” decresce sempre uguale anche se fa (poca) meno austerità di quanta non ne abbia fatta nel passato. In una recessione da domanda come questa, infatti, le riforme servono a poco e le piccole manovrine in aiuto non rianimano imprenditori e famiglie, lasciandole nella paura e angoscia, non stimolando investimenti e consumi che hanno bisogno di un progetto che mobiliti ampie risorse a livello europeo. Ma guardate la Germania sulla riga viola: resta lì sulla linea rossa dove è oggi; ovviamente, visto che non fa nulla ma guarda solo gli altri fare poco più di quano non fanno già oggi.

E non è vero che con questa posizione non otterrà nulla: certamente ci perderà, perché se continua così i Paesi più in difficoltà penseranno che sia meglio morire fuori dall’euro che dentro di esso, cosa che Stiglitz sostiene ormai debba già accadere oggi ed anzi che sia meno dolorosa ormai la prima opzione.

E sarà impossibile convincerli del contrario, per quanto buoni argomenti hanno quelli come me che è l’austerità ad ucciderci ed è essa che va combattuta. La Merkel resterà allora con in mano degli accordi contrattuali ma senza controparti con cui firmarli.

Il deserto dei tartari dell’Europa a quel punto sarà pronto per la sua ultima fase: la sua morte.

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Almeno questo Renzi lo deve fare

Si mormora. Cuneo fiscale finanziato da tagli lineari della spesa… Ci risiamo? Renzi come Alesina e Giavazzi?

Aspettiamo di vedere con ansia il DEFPP, il documento di economia e finanza di Piercarlo Padoan di primavera. Ma se questa sarà la mossa … povero nostro PIL, destinato a scendere al di sotto dello zero per la terza volta consecutiva, record assoluto.

Intrappolato in una mancanza di domanda, il nostro Paese ha bisogno di più spesa pubblica, per appalti di alta qualità, altro che meno spese. E siccome le minori tasse vengono risparmiate quando non si ha fiducia nel futuro, come avviene oggi, l’effetto netto di una manovra à la Alesina-Giavazzi, è noto, è recessivo, perché toglie più domanda di quanta non ne aggiunga.

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Ma come si fa a spendere di più? Non è forse impossibile, visto che non ci è consentito dall’Europa?

Già. Peccato che i passati Governi, Monti e Letta, abbiano voluto evitare di spendere di più malgrado gli fosse consentito, dall’Europa.

In un impeto che non fa onore alla storia del nostro Paese, pur di mostrarsi belli di fronte ai tedeschi ed al resto dell’Europa del Nord, hanno fatto molta più austerità di quanta non ne chiedeva l’Europa. Sprecando così risorse utili a rilanciare la domanda interna, l’occupazione e la produzione, ed il futuro dell’Europa.

Questa ansia di prestazione verso i tedeschi ha partorito il più assurdo lapsus freudiano che si potesse immaginare. Nell’importare il fiscal compact europeo nella legislazione italiana non solo lo abbiamo sancito in Costituzione (cosa non dovuta) ma, nella legge ordinaria che lo recepisce nel dettaglio, la legge 243 del 2012, possiamo leggere, come al contempo (art. 3 comma 2) “l’equilibrio dei  bilanci  corrisponde  all’obiettivo  di  medio termine” europeo eppure anche che (art. 3 comma 5): “l’equilibrio dei bilanci si considera conseguito quando il saldo strutturale … risulta almeno pari  all’obiettivo  di  medio  termine …”. Due definizioni incoerenti l’una con l’altra, in cui la contraddizione gioca attorno a questa parolina, “almeno”.

Fare più di almeno: traccia di ansia di “piacere al Nord”, sfuggita al legislatore, debordando in un errore che parrebbe comico, se non fosse che ha avuto una realistica attuazione nei comportamenti dei Governi appena e già dimenticati. Ecco alcune citazioni dei documenti ufficiali che comprovano tanta meschina sudditanza:

1)   Monti, il DEF, e la regola della spesa: “il limite massimo per la crescita dell’aggregato della spesa che si applica all’Italia per il prossimo triennio (riduzione dell’aggregato di 0,8%) risulta che il quadro di finanza pubblica è in linea con le disposizioni della regola della spesa”. In linea? Oh no, molto di più: è stata “almeno in linea”: -1,4% nel 2011, -1,1% nel 2012, -1,7% nel 2013. E -0,8% nel 2014 quando questa avrebbe addirittura potuto crescere del +0,3%, secondo i dettami europei.

2)   Letta, Nota di aggiornamento del DEF, e la regola del debito: “tuttavia, lo sforzo fiscale attuato dal Governo nell’anno in corso, pari a 0,9% di PIL, risulta essere nettamente superiore alla correzione fiscale richiesta per il rispetto della regola del debito”.

3)    Corte dei Conti, pochi giorni fa: “per i Paesi che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo di medio termine (di deficit strutturale dello 0%) è richiesto un aggiustamento pari ad “almeno” allo 0,5% di PIL …”. Aggiustamento 2012 del Governo Monti? Altro che 0,5% di PIL. 2,4% di PIL (da -3,6 a -1,2% di PIL). Aggiustamento 2013? 0,8% di PIL (da -1,2 a -0,4%). E come ovvio risultato? PIL 2012 -2,4%, PIL 2013 -1,7%.

Follia. Per non avere usato la domanda pubblica di appalti per rallentare questa terribile emorragia di lavoro ed opportunità c’erano risorse eccome. Altro che “obblighi europei” come scusa.

Speriamo che il DEFPP del prossimo aprile del governo Renzi sia “almeno” meno austero di quanto ci chiede l’Europa. Sarebbe il primo segnale di discontinuità, anche rispetto agli obblighi europei. Vorrebbe dire andare contro il Fiscal Compact? Certo. E se ci dicono di no? Lo facciano. Noi tireremo avanti lo stesso, come fecero Chirac e Schroeder qualche annetto fa. Almeno questo val la pena di aver fatto.

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7 consigli di Abe e Keynes a Matteo Renzi

“When you face very challenging, very difficult unprecedented situations, you have to do something unprecedented that nobody has ever done otherwise continuing what has been done in the past in a small piece by piece way never ever break through”

“Quando devi fronteggiare situazioni molto difficili, senza precedenti, devi fare qualcosa senza precedenti, che nessuno ha mai fatto, altrimenti continuare quanto è stato fatto nel passato, un pezzettino alla volta non funzionerà mai e proprio mai.”

 

Yasuchika Hasegawa, Presidente ed Amministratore Delegato, Takeda Pharmaceutical, parlando delle politiche economiche del nuovo premier giapponese Abe. Discorso a Davos.

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Caro Signor Presidente Franklin Delano Roosevelt,

… Lei si è lanciato in un duplice compito, ripresa e riforma: ripresa dalla recessione ed il passaggio di quelle riforme sociali e di mercato che sono ormai da tempo necessarie. Per quanto riguarda il primo compito, velocità e risultati rapidi sono essenziali. Il secondo può essere anch’esso urgente: ma troppa fretta potrebbe essere nefasta e ci vuole in questo caso la saggezza del lungo periodo, qui più necessaria del risultato immediato. Sarà grazie al prestigio derivante per il suo Governo dal conseguire la ripresa nel breve periodo che avrà la forza per compiere le riforme di lungo periodo. Affrontare ora una riforma, anche se questa è saggia e necessaria, può per certi versi stravolgere la fiducia del mondo imprenditoriale …

….

Nel campo della politica economica, prima di tutto è necessario un ampio programma di spesa. … Non rientra nelle mie funzioni indicare in quali campi della spesa pubblica. Ma darei preferenza a quei progetti che possono maturare rapidamente così da raggiungere una dimensione notevole …Secondo poi, si dovrà mantenere ampio ed abbondante credito, curando in particolare la riduzione dei tassi a lungo termine.

Con questi adattamenti o ampliamenti delle vostre attuali politiche, mi attenderei un esito di successo con grande sicurezza. Quanto ciò sarebbe significativo non solo per la nostra prosperità materiale e del mondo intero, ma anche conforto ai crucci delle persone tramite un ritorno della loro fiducia nella saggezza e nel potere del Governo!

Con grande rispetto. Suo,

John Maynard Keynes

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La crisi in cui si dibatte l’economia italiana e la politica europea sono una crisi di fiducia, speranza, ottimismo.

Per invertirla ci vogliono mosse drammaticamente “importanti” dimensionalmente, per rovesciare il declino dell’ottimismo.

Se Renzi ha fatto queste mosse, drammaticamente importanti, in politica, non è detto che sia capace di farle nelle politiche. Glielo e ce lo auguriamo.

Qualche consiglio?

1. Non faccia vuoti “Ministeri per le riforme”. Che poi non servono, come ricordava Keynes, fino a quando non si sarà ripresa l’economia.

2. Non metta al Ministero dell’Economia chi risponde all’Europa dell’austerità con un sussiegoso Sì.

3. Non crei un Ministero dell’Industria o dello Sviluppo Economico ma solo delle PMI, le uniche a meritare protezione, a cui riservare, in nome della concorrenza e del dinamismo di mercato, il 25% degli appalti pubblici come negli Usa.

4.  Dei due Ministeri di cui sopra, richieda che tutti i Capi Dipartimento e dirigenti di prima fascia rimettano immediatamente il loro mandato, accettandone le dimissioni, rimpiazzandoli con nuovi dirigenti.

5. Niente Commissario alla Spending Review, ma un Ministero della Qualità della Spesa che abbia a disposizione 1/3 dei dipendenti del Ministero delle Infrastrutture, 1/3 dei dipendenti del Ministero dell’Economia, ed 1/3 di un team ispettori degli appalti prelevati dalle Forze Armate, Guardia di Finanza e Consip.

6. Nominare il Presidente dell’Autorità della Corruzione, nata senza vita, dotandola 1) di 200 dipendenti giovani e competenti, provenienti da Antitrust, Direzione Investigativa Antimafia, Guardia di Finanza, e 2) di poteri speciali.

7. Utilizzare il 2% di PIL (30 miliardi di euro) derivante dai risparmi di spesa sugli appalti pubblici ottenuti dalle azioni susseguenti alla nuova governance di cui ai punti 5 e 6, per l’1% avviando un Piano per il Rifacimento di tutte le Infrastrutture Materiali ed Immateriali del Paese, per l’altro 1% aumentando gli stipendi nella scuola e per le forze dell’ordine e per un servizio civile per i giovani nella Pubblica Amminsitrazione.

Con questi adattamenti o ampliamenti delle vostre attuali politiche, mi attenderei un esito di successo con grande sicurezza. Quanto ciò sarebbe significativo non solo per la nostra prosperità materiale e del mondo intero, ma anche conforto ai crucci delle persone tramite un ritorno della loro fiducia nella saggezza e nel potere del Governo!

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Parole e fatti.

Nell’insieme la ripresa appare ancora debole e incerta. Ogni sforzo, sul piano nazionale e su quello europeo, va indirizzato a sollevare la domanda favorendo, in una visione condivisa di più chiare prospettive future, la creazione di nuove opportunità di lavoro, l’accumulazione di capitale, un0innovazione volta a ottenere guadagni di produttività da trasferire sui redditi.

Governatore Banca d’Italia Ignazio Visco, Congresso Assiom  FOREX, 8 febbraio 2014

E’ tornata in Banca d’Italia, dopo molti anni di esilio, la parola “domanda” di beni, a accompagnare le sole che abbiamo sentito sinora durante questa crisi da Via Nazionale: riforme ed austerità. Dopo Napolitano, una seconda rondine: forse non fa primavera, ma chissà che le nostre istituzioni non si stiano svegliando dal torpore invernale?

Il che non le esonererà mai la Banca d’Italia, assieme a BCE e Commissione europea ed ai Governi di questi ultimi anni, dai loro terribili errori di politica economica che hanno mandato al vento di due anni di ripresa a portata di mano. I loro silenzi, i loro appoggi all’austerità, esplicito il più delle volte, sono un conto salato che in una democrazia gli deve essere addebitato chiedendogli di cedere il posto a chi ha più competenza di loro a guidare il Paese e le istituzioni.

Che errore sia stato l’austerità di questi ultimi anni, basta calcolarlo guardando ad una crisi analoga in cui si decise di abbandonare progetti di austerità per venire incontro alle difficoltà cicliche dell’area. Parliamo della crisi dell’Est asiatico degli anni Novanta, quella del 1997-98, analizzata in controluce da due ricercatori americani che la paragonano a quella europea con la seguente domanda investigativa in mente: “paesi che perseguono politiche fiscali controcicliche in risposta a shock macroeconomici negativi sperimentano una ripresa più rapida di occupazione e produzione di quelli che attuano austerità fiscale?” Perché questo fecero quei Paesi asiatici: appena capito che le politiche austere stavano causando danni le sospesero (allora con la benedizione tardiva del Fondo Monetario Internazionale) bruscamente. Così facendo salvarono le loro economie e tanti posti di lavoro, cosa che non hanno fatto i nostri pessimi leader europei ed italiani.

I numeri sono impressionanti. Indonesia, Malesia, Corea del Sud e Tailandia, furono colpite dalla crisi in maniera drammatica: dal +7% medio di crescita nei 4 anni prima della crisi al -9% nell’anno dell’impatto di questa. Ma nel giro di un anno la crescita economica ripartì.

E in Europa? Italia, Spagna, Portogallo, Grecia ed Irlanda: tassi di crescita del 3% medi prima della crisi,  -5% l’anno della crisi. Ma … questi rimangono negativi, a -2,5% 4 anni dopo.

A cosa è dovuto? Gli autori mostrano come ciò sia dovuto alla politica fiscale diversa che viene adottata nelle due aree: nell’anno 3 e 4 dopo lo shock negativo la posizione del bilancio pubblico asiatico è 1,82% di PIL più espansiva, mentre quella europea è del 6,15% di PIL più restrittiva. Una restrizione basata 2/3 su minori spese pubbliche e 1/3 su maggiori tasse. Da notare come la domanda privata di investimenti riprese in Asia dopo l’intervento pubblico, mentre continua a crollare nei paesi dell’euro in difficoltà. E l’enfasi sulle riforme? Molto minore in Asia, dove si decise di giocarsi tutto sulla domanda interna, che sale se sale la presenza della spesa pubblica (con l’aiuto della svalutazione del cambio, altra incredibile gaffe di politica economica del duo Europa-BCE che gli asiatici non hanno commesso): per poi diminuire quando, come è stato, riprende fiducia la domanda privata.

Ma tutto ciò Visco non lo dice. Riesce a fatica a menzionare la parola “domanda”, non possiamo chiedere addirittura di aggiungere ad essa la parola “pubblica”. Da una istituzione che difende gli interessi delle banche in maniera eccellente ma che non ha nessuna capacità di difendere gli interessi di chi soffre oggi, possiamo chiedere solo questo: qualche parolina, senza nessun fatto.

Solo per la cronaca, trovate sotto, appunto, quell’andamento della disoccupazione tra le due aree che non interessa all’Europa (GIIPS) dell’austerità.

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Atterraggio sul Pianeta Europa della prudenza, vizio cardinale

E’ un passo gigantesco per la Germania, ma solo un piccolo passo per l’Europa.

Così ho commentato la recente decisione della Corte tedesca di Karlsruhe di deferire alla Corte di Giustizia europea il giudizio sulla politica monetaria della BCE.

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Era già successo, ne abbiamo scritto su questo blog, che la Germania desse segni politici volti alla crescita tramite il sostegno all’economia europea. Fu quando, nell’agosto 2012, la Merkel ordinò a Draghi di espandere la moneta per salvare la Grecia. Ordine a cui non fu data continuità, essendosi poi la Cancelliera ritratta nella sua timida prudenza pre-elettorale.

Oggi la Merkel (assieme a chi tra i governanti degli altri paesi europei ha esercitato pressioni politiche su di lei) ha ordinato ai giudici tedeschi di soprassedere dal bloccare Draghi nella sua politica monetaria tuttora apparentemente espansiva (quanto veramente espansiva diremo a breve).

In ambedue gli episodi i mercati hanno festeggiato, facendo calare gli spread.

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Ci sono delle regolarità insite in questi due episodi a distanza tra loro di quasi due anni.

Primo, è evidente oggi più che mai che la politica economica non la fa la BCE, ma la decidono i governi: la BCE è ovviamente dipendente dalla politica. “Per fortuna !”, come abbiamo spesso detto su questo blog.

Secondo, i mercati esultano con politiche espansive volte alla crescita, non con l’austerità. Solo dalla crescita, è la logica del ragionamento, può venire la capacità di ripagare dei debitori e dunque il crollo degli spread. La smettessero i tifosi dell’austerità di invocarla perché gli spread sono alti; è proprio l’austerità, tarpando le ali al rilancio della domanda interna e della produzione, a fare schizzare verso l’alto gli spread.

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Dopo questi due episodi come cambia l’Europa? La Germania è più europea nei fatti, un qualcosa da celebrare certamente. Ma senza troppe fanfare: siamo ancora a distanze siderali dal giusto approccio di politica economica europea.

Detto in altro modo, gli ordini che dà la Merkel a Draghi ed a Barroso sono ancora troppo troppo timidi per avere una possibilità di contribuire alla rinascita europea. Draghi riceve troppe poche telefonate dalla Merkel o il Presidente della Bundesbank tedesca non è sgridato abbastanza dalla Cancelliera? Esatto. La politica monetaria europea della BCE resta incredibilmente prudente - flirtando con la deflazione che uccide le economie e andando contro il proprio mandato di assicurare un tasso di inflazione pari al 2% – perché la politica europea è prudente.

Ma è soprattutto dal lato della politica fiscale che potremmo ottenere ben di più: e su quel fronte lasciamo semplicemente sedimentare le parole di Napolitano al Parlamento europeo, sulla necessità di arrestare l’austerità con investimenti pubblici. “Napolitano, Viaggiatore in Movimento onorario“, ci ha detto qualcuno che ci stima. Chissà se qualcun altro oltre a Napolitano avrà chiamato Barroso per desistere dalla battaglia dell’austerità. A me non pare.

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Leggo che Tsipras, leader del partito greco anti austerità Syriza oggi al comando nei sondaggi, giunto al Teatro Valle a Roma, è stato accolto da uno striscione che recita: “com’è triste la prudenza”. Ben detto. Le virtù cardinali di cui ha bisogno oggi l’Europa non sono prudenza e temperanza ma giustizia e fortezza.

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La pistola a salve dell’Europa: l’euro.

L’euro è troppo forte per noi?

«Oggi siamo quasi a 1,40 sul dollaro. Fossimo a 1,10, anche 1,20, saremmo in una situazione ben diversa».

L’euro era stato pensato per valere un dollaro?

«Più o meno. Ricordo, quand’ero presidente della Commissione europea, gli incontri annuali con il presidente cinese Jiang Zemin. Avevamo dossier alti una spanna, ma a lui interessava solo l’euro. Gli consigliai di comprarne come riserva. All’inizio il valore dell’euro crollò a 0,89 rispetto al dollaro e, quando tornai da Jiang, avevo la coda fra le gambe. Ma lui mi rasserenò subito: “Lei pensa di avermi dato un cattivo consiglio, ma io continuerò a investire in euro. Perché l’euro salirà. E perché non mi piace un mondo con un solo padrone: sono felice che accanto al dollaro ci sia un’altra moneta”. A causa degli errori europei, l’altra moneta accanto al dollaro sta diventando lo yuan. Le divisioni europee ci hanno fatto perdere occasioni enormi. Vai in Medio Oriente e ti senti dire: “Siete il primo esportatore e il primo investitore, ma non contate nulla”. Non c’è un grande problema internazionale in cui l’Europa abbia contato qualcosa».

Oggi Romano Prodi, sul Corriere intervistato da Aldo Cazzullo.

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E così, mi colpisce Prodi. Conferma con questa affermazione quello che ho sempre creduto, che l’euro è la condizione necessaria per sedersi al tavolo dei potenti e influenzarne le decisioni. Un “sigillo”, come la moneta è sempre stata, del potere politico.

Se l’area euro oggi crollasse, per i cinesi sarebbe probabilmente una benedizione più che un incubo come pareva solo 10 anni fa. Perché rispetto ad allora il mondo appare sempre più avere due soli padroni: Cina e Stati Uniti. E sono certo che il leader cinese di turno oggi esclamerebbe, nel silenzio della sua stanza prima di andare a dormire ogni sera, “non mi piace un mondo con tre padroni: sono felice che accanto al dollaro ci sia la nostra moneta e basta”. Perché in due si comanda meglio che in tre. Certo, per i comandati sarebbe meglio averne tre che due di padroni, più opportunità e tutele. Ma non si può avere tutto dalla vita, specie una Europa forte.

L’euro è condizione necessaria ma tuttavia non sufficiente per sedersi al tavolo dei potenti, lo nota anche Prodi, “non contiamo nulla”. Come mai?

Immaginate di avere una pistola e di non armarla con i suoi proiettili: a chi farete mai paura? La moneta, forte e credibile, è sempre stata l’arma dei sovrani per affrontare le emergenze, spesso sotto forma di guerre. Solo un Paese con una moneta credibile poteva e può permettersi di finanziarsi spade, fucili, cannoni, missili meramente stampando carta moneta e emettendo titoli che potrà collocare e rimborsare più avanti. Oggi l’emergenza europea non si chiama conflitto bellico, ma sociale: per affrontarlo e vincerlo dovremmo mettere mano al portafoglio monetario e regalare al Continente infrastrutture e solidarietà là dove ce n’è più bisogno.  Aiutati, perché no, da una conseguente svalutazione del cambio, come in Giappone.

Abbiamo in pochi anni generato una credibilità anti-inflazionistica tale che ci viene riconosciuta in tutto il mondo, visibile nel livello di cambio apprezzatissimo della nostra valuta. E che ci facciamo di questa arma potente che è la nostra credibilità acquisita? Nulla. La miriamo e rimiriamo come degli idioti mentre la bestia della recessione ci sta mangiando vivi, senza puntargliela addosso.

Mi fanno sorridere coloro che dicono che la soluzione che propone Prodi è che l’EURO svaluti del 15-20% e che sia forte come la LIRA. Opssss…. in sintesi per Prodi l’Euro funzionerebbe se fosse la LIRA.” Oh no, prodi economisti, pensate un po’ più in grande per favore. Prodi dice il contrario. Che l’unica soluzione per contare è quella di tenersi stretta, per motivi politici, la valuta unica ma di fare quello che testardamente e stupidamente non stiamo facendo: usarla per generare sviluppo e uccidere le tensioni sociali che rischiano di uccidere l’Europa. Altro che liretta, che a quel tavolo con Cina e Stati Uniti non ci avrebbe mai portato, facendoci una colonia del resto del mondo, altro che della Germania.

Una valuta è forte quando può svalutarsi senza perdere credibilità a fronte di politiche espansive fatte per venire incontro ad una esigenza subitanea ed urgente, come una guerra o una recessione. Stati Uniti e Giappone insegnano, chi ieri, chi oggi: quasi mai l’amministrazione statunitense si è preoccupata del valore della sua moneta, eppure questa è sempre detenuta come riserva di valore in tutto il mondo, anche quando si svalutava per venire incontro alle politiche anti-recessione di Washington.

La forza di una moneta non sta tanto nel suo valore corrente, quanto nella sua capacità di essere assorbita senza grandi scossoni dai mercati internazionali quando ne viene emessa una grande quantità in momenti di difficoltà per il sovrano. Un sovrano debole è colui che non trova finanziamenti quando li cerca. Ve ne sono di due tipi, di sovrani deboli. Il primo viene cancellato dalla storia con tipici fenomeni di iperinflazione da incredibili emissioni di moneta, un burlesco dittatore sudamericano per esempio. Ma un sovrano può anche essere debole se non usa le sue armate potenti per affrontare un nemico che alla fine prevarrà di fronte a tanta negligenza. Anche questo sovrano verrà cancellato dalla storia. Roma docet.

Post Format

Zingales NI, Monti NO.

Brano tratto da un Intervento di Luigi Zingales presso la commissione Finanze della Camera dei Deputati, in occasione di un’audizione “sulle prospettive della politica tributaria e del settore bancario, nel quadro dell’euro ed in vista del prossimo semestre di Presidenza italiano dell’Unione europea”.

“Durante la crisi, in Italia c’è stata una forte pressione verso gli Eurobond. Questa mi pare una strategia sbagliata. Noi non possiamo, a livello europeo, andare a dire “voi dovete pagare i nostri crediti”, perché è una strategia che non funziona. Siccome nessun paese ha un grosso interesse a pagare i crediti altrui, noi possiamo chiedere quello che vogliamo ma non andremo da nessuna parte. Invece possiamo fare una differenza – e il semestre europeo a presidenza italiana per questo è un’enorme opportunità – dicendo: quello che noi vogliamo non è un meccanismo permanente di redistribuzione dal nord al sud, considerato che nessuno al nord vorrà questo meccanismo…  Tuttavia un’area comune con una moneta comune deve avere dei meccanismi di stabilizzazione automatica con fondi comuni, quindi meccanismi che assicurino un certo “smoothing” del ciclo economico tra le varie aree europee.

Qual è il meccanismo automatico di stabilizzazione migliore che noi conosciamo? Sono i sussidi di disoccupazione; quindi la vera battaglia che noi come italiani dobbiamo fare durante il semestre europeo, è di dire: “Noi vogliamo un meccanismo di assicurazione della disoccupazione a livello europeo pagato con dei fondi europei”. Il bello di questo meccanismo è che non è un meccanismo permanente di trasferimento dal nord al sud. Ricordiamoci per esempio che nel 2004-2005 la Germania aveva molta più disoccupazione della Spagna, e quindi il trasferimento sarebbe andato dalla Spagna alla Germania e non viceversa. Tra l’altro i meccanismi di stabilizzazione funzionano in entrambe le direzioni; noi pensiamo sempre che i meccanismi funzionino solo per aiutare i paesi in difficoltà, ma i meccanismi funzionano anche per ridurre l’eccessivo riscaldamento delle economie in fase di espansione … Quindi la vera battaglia che noi dobbiamo fare a livello fiscale è per un meccanismo di assicurazione sulla disoccupazione a livello più europeo. Tra l’altro il grosso vantaggio di una iniziativa di questo tipo è anche di tipo politico, se posso permettermi di dirlo visto che io non sono un esperto in materia: nel senso che oggi l’Europa soffre una crisi di consenso generalizzato; nella misura in cui i disoccupati vedessero arrivare un assegno con il simbolo dell’Europa sopra, essi avrebbero una passione per l’Europa sicuramente molto maggiore di quella che è presente oggi. E di fronte agli estremismi che vedono l’Europa come una creazione di un’élite molto limitata, avere invece un meccanismo come quello di assicurazione contro la disoccupazione, riduce questo rischio.”

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Ho amato questo pezzo dell’intervento di Zingales nella sua audizione alla Camera. Condiviso no, perché non è logico e coerente fino in fondo con le sue giuste premesse, compresa la necessità di salvare l’euro. Utile per ragionare sì, eccome.

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Europa, Germania, Grecia. Andare a dire “voi dovete pagare i nostri crediti” è molto differente dal dire “voi dovete pagare per la nostra disoccupazione”? Domanda interessante, a cui non avevo pensato talmente ovvia mi pareva la risposta, negativa. Ma Zingales afferma il contrario, sarà bene discuterne.

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No, non è molto differente perché se è vero che in Europa  “nessuno ha un grosso interesse a pagare i crediti altrui” – ed è vero – è altrettanto vero che nessuno ha interesse a pagare “la disoccupazione altrui”.

Zingales sembra dire che le due cose sono diverse, non mi è chiaro perché. Forse perché le due cose paiono, la prima (la differenza di costo del credito), permanente a favore della Germania, mentre la seconda (la differenza di disoccupazione) transitoria (come tradisce l’esempio della differenza tra Spagna e Germania).

E’ effettivamente difficile immaginare che un giorno i tassi d’interesse tedeschi saranno più alti di quelli greci. E dunque l’eurobond, con i suoi tassi d’interesse a metà tra quelli tedeschi e quelli greci,  appare come un trasferimento fiscale perenne dalla Germania ai paesi del sud dell’euro, utopistico da immaginare per la resistenza che genererebbe presso i tedeschi. Mentre è possibile che un giorno la disoccupazione tedesca, come argomenta Zingales, divenga più alta di quella greca, e dunque che uno schema europeo di trasferimenti di fondi  basati sull’andamento della disoccupazione (da quelli con meno a quelli con più) siano valutati come meno permanenti di quelli impliciti in un eurobond comune.

Ma chi sarebbe disposto a credere in Germania oggi a un futuro dove la disoccupazione tedesca è più alta di quella greca ed acconsentirvi solo per questa implausibile e remota evenienza? Certo quando la disoccupazione greca sarà più bassa di quella tedesca allora, toccando con mano il miracolo, i tedeschi saranno disposti a credervi ma a quel punto … saranno proprio loro a qualificarsi per i fondi proposti da Zingales, e non credo che comunque i greci saranno disposti a svenarsi per i lavoratori tedeschi dopo che questi non si sono svenati per quelli greci!

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C’è di più. Dice Zingales: “Quello che noi vogliamo non è un meccanismo permanente di redistribuzione dal nord al sud, considerato che nessuno al nord vorrà questo meccanismo…  Tuttavia un’area comune con una moneta comune deve avere dei meccanismi di stabilizzazione automatica con fondi comuni …”.

In realtà non è così. Noi vorremmo avere un meccanismo permanente di redistribuzione, come quello che gli Stati Uniti hanno da quasi 100 anni che è senza il minimo dubbio un “meccanismo permanente di redistribuzione”, dalla California al Mississippi, dal Massachusetts al Maine, come lo abbiamo noi in Italia dal Nord al Sud e come lo ha la Germania dell’Ovest verso quella dell’Est. I meccanismi di cui progetti politici, non economici, di unione monetaria si dotano sono non “ciclici e transitori” ma permanenti. Sono il frutto di uno scambio tra aree strutturalmente povere e ricche di un Paese, volti a far crescere la dimensione e la potenza di una nazione e dunque la sua forza negoziale sui tavoli mondiali (“chi si fila il ricco Lussemburgo”?), in cambio di una coesione sociale che si può acquistare solo con la redistribuzione permanente in favore delle aree più povere del Paese.

Per arrivarci, tuttavia, queste aree diverse hanno bisogno di una vicinanza culturale che, come Zingales in parte intuisce, non è maturata oggi in Europa, come non lo era negli Stati Uniti nel suo primo secolo di esistenza.

E quindi, la soluzione non sta certamente nell’eurobond ma nemmeno nell’eurosussidio alla disoccupazione, che farebbe urlare i tedeschi al furto da parte dei “parassiti oziosi del Sud”.

Serve l’unica medicina credibile per avviare un processo di coesione sociale europea (che aiuti subito il Sud) in cambio di una adesione al progetto comune di Unione (che fa comodo a tutti ma che in questo momento è il Nord a vedere più a rischio): una politica fiscale espansiva à la giapponese, più sbilanciata a Nord che a Sud. L’unica che i tedeschi possono accettare perché soddisfa, oltre all’interesse europeo, anche lo stretto interesse nazionale.

In questo senso, la creazione avvenuta di un “High Level Group on Own Resources” (Gruppo di alto livello sulle risorse proprie) dell’Unione europea, che esaminerà come l’UE dovrà mutare il suo modo di finanziarsi nel futuro, è non solo una perdita di tempo che distrae dalle esigenze immediate di sostegno economico alle aree più in difficoltà, ma un rischio enorme, visto che la Presidenza potrebbe essere affidata a Mario Monti, che ha sempre perorato l’idea che le crisi economiche sono un momento per avanzare con il cambiamento istituzionale-politico. Se Monti dovesse spingere, come io sospetto,  per una accelerazione verso l’Unione fiscale, in questo periodo di profonda crisi della identità europea, diverrebbe per tantissimi cittadini il rappresentante dell’ultimo scippo imposto da una élite europea alla odierna naturale sovranità nazionale sulle politiche fiscali e finirebbe per slabbrare una volta per tutte l’esile filo che ancora unisce le nostre così diverse culture.