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Quando in (e)uropa si chiudono pian piano le frontiere

Diceva Paul Valery: ”Qui veut faire de grandes choses doit penser profondément aux détails“, chi vuole fare cose grandi deve pensare profondamente ai dettagli.

Da tempo nessuno ascolta più Valery in Europa. Di profondo, a forza di dettagli non curati, c’è solo la sempre più aperta ferita inferta alla fratellanza europea dalla maledetta recessione curata dalla stupida austerità.

Eccolo l’ultimo dettaglio, annunciato oggi dal portavoce del Ministro del lavoro tedesco. Fino a ieri gli stranieri provenienti da 14 paesi dell’unione originaria (più Norvegia, Islanda e Turchia) avevano diritto – a seguito di una sentenza del Tribunale sociale federale nell’ottobre del 2010 - di usufruire del meccanismo di protezione sociale tedesco, compresi i sussidi di disoccupazione, già nei primi 3 mesi dal loro ingresso in Germania come disoccupati in cerca di lavoro. Ora non più.

Fino a ieri un disoccupato italiano arrivato in Germania poteva chiedere, cercandovi e non trovandovi lavoro, il sussidio di disoccupazione previsto dalla legislazione tedesca. Non più ora. Solo, lo potrò avere, nel momento in cui dovesse trovare e poi perdere il lavoro, come d’altro canto era già previsto per i lavoratori di tutti gli altri paesi non inclusi nella lista europea dei 17 che era stata adottata nel 2010.

La portavoce insiste che la Germania ha comunque bisogno di immigrati qualificati, e che gli immigranti possono trovare nei loro paesi informazioni sui posti di lavoro disponibili. Ovvero: venite, ma venite solo con un lavoro. Quest’ultimo accenno ovviamente fa pensare a un tentativo di evitare l’immigrazione di massa in Germania dei senza lavoro, anche se poi questi fossero persone che si metterebbero subito a cercarne attivamente uno.

*

E dunque? I lavoratori si spostano poco in Europa? Non i disoccupati a quanto pare, attirati da compensi più alti in Germania, sia per la disoccupazione (sussidi, pari a zero in Italia) che per l’occupazione (salari reali più alti che in Italia) dovessero trovarla; ma pare sia più facile oggidì trovarla, l’occupazione, in Germania che non in Italia e Co. Eh già, se ne sono accorti anche i tedeschi che cresce la disoccupazione fuori dai loro confini. Dai loro confini.

Un fenomeno che ha preoccupato le autorità tedesche: “Alarmed by the rising unemployment rates in south-European countries, the German labour ministry instructed to stop Hartz-IV social  transfers for EU immigrants” si legge sui giornali tedeschi. Allarmati dai crescenti tassi di disoccupazione nei paesi dell’Europa del Sud (saremmo noi, NdR).

E’ ovvio cosa si sia voluto evitare: la maggiore spesa pubblica tedesca per i sussidi e la maggiore tassazione per finanziarla, nonché la maggiore pressione sui salari tedeschi verso il basso derivanti da un maggiore afflusso di lavoratori. Devono essere stati un problema per una buona fetta dell’elettorato tedesco, non c’è dubbio.

Facciamo un passo indietro e vediamo cosa succede nell’altra unione monetaria, quella statunitense.

Negli Stati Uniti d’America intanto i sussidi alla disoccupazione sono maggiormente centralizzati (simili tra Stati) e dunque l’incentivo a fare “shopping” di sussidi alla disoccupazione spostandosi tra stati è minore. Sono anche in buona parte finanziati a livello centrale. Ma ciò non è un caso: riflette anche una visione più partecipata alle difficoltà dei singoli stati da parte degli altri stati più fortunati: il contribuente dello stato dell’Oregon in cui l’economia tira paga le tasse federali anche per i sussidi per i lavoratori disoccupati del Maine.

L’incentivo a cercare lavoro altrove è stato poi in parte ridotto dall’Amministrazione Obama anche con la mossa di differenziare i sussidi a seconda della gravità con cui la crisi abbia colpito un determinato stato: 13 settimane in più per quegli individui disoccupati negli stati ad alta disoccupazione rispetto a quelli con bassa disoccupazione. Anche sotto questo aspetto va notata una maggiore solidarietà tra stati negli Usa che nella Unione europea: e questo anche se in parte questi sussidi allungati nella durata – secondo alcuni critici – hanno ridotto la mobilità del lavoro e dunque anche la capacità del tasso di disoccupazione di rientrare più rapidamente, visto che la gente ha avuto meno ansia di cercare rapidamente lavoro.

E ora, armati della lezione americana, torniamo in Europa. Dove i singoli stati che sono stati più colpiti dalla disoccupazione (come quelli a cui la legislazione tedesca impedisce di utilizzare il sistema sociale germanico, chiamati dalla stampa tedesca dell’”Europa del Sud”, già … l’Europa del Sud) non hanno modo di aumentare la copertura di bilancio per i disoccupati (quand’anche fosse auspicabile) perché … la Germania si oppone ad aumenti di spesa pubblica da parte loro.

Tuttavia c’è un problema in più. La Germania attrezzatasi nell’ultimo decennio con le giuste riforme e divenuta più competitiva chiede a tutti politiche fiscali restrittive che peggiorano il ciclo economico dei paesi euro-Med come il nostro. La cui disoccupazione è dunque solo in parte dovuta a mancate riforme: essa è in parte causata da politiche della domanda stupide come quelle previste dal Patto Fiscale sospinto dalla Germania.

Chiaro? La recessione causata da quella scarsa domanda aggregata voluta dalla Germania in primis (ma a cui non ci opponiamo) nuoce solo in parte alla Germania ed al suo export verso i paesi dell’Europa del Sud come l’Italia. Infatti, non dobbiamo dimenticare che questa recessione rende meno probabile l’adozione da parte di noi europei del Sud di riforme interne per recuperare competitività (difficile fare riforme in recessione!): ciò rafforza il differenziale tedesco di competitività, a nostro sfavore, e rafforza l’export extra-UE tedesco (Cina, India, Usa ecc.), cosa di cui ovviamente una Germania (miope) non può non dirsi felice.

Insomma negli Stati Uniti il ricco Oregon aiuta il povero Maine nel sollevare i cittadini di quest’ultimo dall’ansia della disoccupazione, anche se non ha colpe per quanto lì vi succede, mentre da noi la Germania blocca l’aiuto all’Italia (ai disoccupati italiani che vanno in Germania) anche se è responsabile, in parte, per quanto vi avviene.

Certo, mi direte, come non comprendere il cittadino tedesco che non aiuta il disoccupato italiano? Il pigro italiano che … Alt: si potrebbe far notare che chi attraversa un confine raramente è un pigro ma che ha valige, legate da spaghi, piene di sogni, speranze e forza. Ma il punto è ancora altrove.

Il punto è quello del dettaglio. Il dettaglio che in questo momento un gesto simile da parte delle autorità tedesche è di portata profonda, che ha il senso di una chiusura di frontiere, e di un sipario che cala pian piano sul termine Unione con la U maiuscola di quella costruzione chiamata unione Europea.

Grazie a Lorenzo ed Ale.

2 comments

  1. Giorgio Zintu

    10/03/2012 @ 10:01

    Ottima analisi, professore! Di questo non parla nessuno sui giornali, grazie per averlo fatto lei.

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  2. Dostoevskij

    11/03/2012 @ 17:07

    Guardando servizio pubblico qualche mese fa ascoltavo un giornalista che asseriva: ” La Germania sarebbe quella che ne uscirebbe peggio dalla fine dell’euro ed anzi in poco tempo potrebbe ritornare meglio di prima vista la sua forza economica, il suo export ecc. ecc. Per questo potrebbe forzare la mano chiedendo politiche sfavorevoli per gli stati del Sud Europa…..”

    Secondo Lei questa visione ( forse un pò troppo semplicistica ) potrebbe avere un qualcosa di ragionevole?
    Ovvero esiste una possibilità concreta che la fine dell’euro non mini alla base anche l’economia tedesca?

    Reply

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