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A & G contro: Aristotele e Gaber contro Alesina e Giavazzi

 

Aristotele inseriva saggezza e prudenza nelle virtù intellettuali. Il che non significa che le due non si possano “scindere”. Purché lo si faccia senza rinunciare alla terza virtù, l’intelligenza (1/3 ok, ma 2/3 non me la sentirei di mettermi contro il filosofo greco).

“Essere prudenti è poco saggio” dicono A&G oggi sul Corriere. Bene, che si sia allora almeno intelligentemente “non prudenti”.

 

  1. Mi pare difficile usare l’esempio spagnolo come modello di successo per combattere la disoccupazione giovanile solo perché “… in Spagna il tasso di disoccupazione dei giovani è il doppio di quello dei lavoratori più anziani ed in Italia il triplo”. In Spagna, come dicono A&G, la disoccupazione dei giovani  è del 48% contro il 28% in Italia. Sarebbe come dire che quel ragazzo va peggio in greco di quella ragazza perché lui prende 10 in greco e 9 in latino mentre lei prende 5 in greco e 3 in latino. E’ vero, in greco prende solo il doppio di lei mentre in latino prende il triplo, ma mica pare tanto incapace in greco!
  2. Mi pare difficile mostrare che la maggiore flessibilità spagnola ha avuto successo perché “vincoli simili a quelli imposti dall’articolo 18 del nostro Statuto dei lavoratori erano stati eliminati in Spagna già nel 1997. Nei dieci anni successivi la disoccupazione scese di circa dieci punti: dal 17,8% all’8,3.” OK. Ma se è poi risalita come dite al 23%, come la mettiamo?
  3. I dati dell’Ocse mostrano che l’Italia detiene (insieme a Messico e Turchia) il record nella percentuale di giovani che né lavorano né partecipano ad attività formative, in una scuola, un’università, o all’interno di un’azienda. Una situazione molto diversa da quella tedesca, dove non c’è praticamente alcuna differenza fra il tasso di disoccupazione dei giovani e quello dei lavoratori più anziani (7% contro l’8% dei giovani).” Bene! Concordo! Allora la soluzione non è maggiore flessibilità ma maggiore qualità nella formazione tecnica e l’apprendistato, lavoriamoci! Ma guardiamo per favore un attimo alla famosa Germania che sta così meglio quanto a occupazione giovanile. Grazie alla sua minore protezione del lavoro? Per carità. Guardate queste statistiche OCSE: nel 1990 l’Italia aveva una legislazione a protezione del lavoro alta, più alta anche che in Germania. Nel 2008, più bassa, in assoluto e della Germania (non parliamo della Francia, che l’ha aumentata!). Non solo, ma queste statistiche dimostrano come di riforme verso minore protezione in Italia se ne sono fatte in abbondanza, con una diminuzione dell’indice che ha pochi rivali: nel 1990 solo Portogallo, Spagna e Turchia avevano legislazione più rigida della nostra; nel 2008 siamo 16° su 33 paesi.
  4. Il presidente del Consiglio Monti e il ministro del Lavoro Fornero sembrano pronti ad affrontare sia il tema dei contratti che quello dei sussidi, due riforme che vanno fatte insieme perché … non si può riformare il mercato del lavoro senza rivedere il sistema di sussidi alla disoccupazione.” Come diceva Giorgio Gaber in “Qualcuno era comunista”: due miserie in un corpo solo.  Da quanto sopra emerge solo una cosa: che non bisogna riformare il mercato del lavoro con meno protezione e dunque, ne segue, che passare ai sussidi di disoccupazione è sbagliato.

Non conta se la minore protezione via legge partirà tra 3 anni, per evitare la recessione: i danni sarebbero immediati. Perché avrebbe un impatto terribile sulle aspettative di tanti che in questo momento vivono momenti di paura per il loro lavoro e non da speranza ai giovani che hanno bisogno di lavoro oggi, non tra tre anni (se mai generasse lavoro, questa riforma!).

La soluzione è ovvia: apprendistato? Ottimo! Nel frattempo, firmate l’appello che firmano tanti giovani perché il sussidio all’occupazione temporanea a protezione del nostro Patrimonio pubblico è l’unica medicina per fermare l’emorragia prima che muoia il paziente. E non è tollerabile uccidere le speranze di nessuno, ma farlo con quelle dei giovani è criminale.

One comment

  1. Francesco Palumbo

    21/02/2012 @ 10:50

    Il caso della sigma-tau dovrebbe indurre a più approfondite ed accurate riflessioni per quanto riguarda il nostro problema disoccupazione. Partendo proprio da questo caso, che oggi è alla ribalta di tutte le cronache, e ripercorrendo all’indietro la storia di questa crisi, da quando da finanziaria ha cominciato a contagiare l’economia reale, è legittimo chiedersi quante sigma-tau abbiamo avuto in questi tre anni. I lavoratori sigma-tau erano pronti ad un contratto di solidarietà per superare la crisi: lavorare meno e lavorare tutti (con un salario più basso). E non è flessibilità questa? Vogliamo, per una volta, per una volta guardare gli uomini, le donne, le persone e non portare tutto in assurdi modelli matematici che teorizzano che il lavoratore a tempo indeterminato dovrebbe avere una retribuzione inferiore perché si avvale di una polizza e bla, bla, bla.

    Quanti imprenditori, per malafede o per incapacità, pur avendo i mezzi, stringendo i denti in tempi duri di crisi, invece di andare avanti sono ricorsi alla CIG senza tanti scrupoli? Molti forse hanno avuto paura di uno Stato troppo assente, altri hanno colto l’opportunità di sbarazzare e delocalizzare senza troppi problemi. Non tocca a me dirlo, ma è chiaro che chi doveva farlo non l’ha fatto e chi doveva denunziare questa deriva perversa ha taciuto.

    Molti dei nostri economisti erano troppo concentrati sui problemi che affliggevano le banche e sulle loro difficoltà a prestarsi il denaro. Poi arrivò il momento in cui tutto il problema si riconduceva ad “patto fra generazioni”: togliamo ai padri per dare ai figli. Ma l’economia reale?

    Dico in tutta franchezza che da certi economisti mi sarei aspettato una analisi più accurata e meno superficiale. L’economia non è fatta solo di modelli teorici ma di esseri umani prima di tutto. E quando si parla di uomo si parla di vizi e virtù. Non si conoscono modelli matematici in grado di contemplare la variabile virtuosità o viziosità (passatemi i termini, per favore). Chi ha la presunzione si poterlo fare o saperlo fare è in errore. Conosco modelli in cui si parte con “assumiamo che gli attori abbiano un comportamento razionale….”, ma la realtà è ben altra cosa. Cosa è mancato?

    Gli imprenditori (i medio piccoli) lasciati soli hanno reagito in modo scomposto (spesso irrazionale) e ciascuno in base alla propria etica. E mi sembra doveroso ricordare anche coloro che si sono tolti la vita nel silenzio assordante in cui sono stati abbandonati. In quel momento andavano seguiti, indirizzati e soprattutto ci voleva una azione forte e determinata per riconoscere il vizio e la virtù. Ne avrebbero tratto beneficio anche le banche e magari oggi, in un clima di maggiore fiducia, si continuerebbero a prestare i soldi.

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