Da Gerontius riceviamo e volentieri pubblichiamo.
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La difesa d’ufficio della BCE contro la proposta del governo italiano di imporre il tetto di 240.000 euro agli stipendi dei manager pubblici e quindi anche dei dipendenti della Banca d’Italia, in primis il governatore Visco che percepisce una remunerazione pari a tre volte quella del presidente della Federal Reserve (ma sembra che la norma potrebbe interessare altri 600 dirigenti dell’Istituto di via Nazionale), apre una serie di interessanti questioni che meritano di essere approfondite.
Il primo punto messo in evidenza dalla BCE nella sua difesa è che l’imposizione del tetto sarebbe un intrusione nell’indipendenza finanziaria della Banca d’Italia in materia di personale. In altri termini, il venir meno dell’autonomia della politica del personale potrebbe “essere incompatibile con la sua capacità di espletare la propria funzione in modo indipendente”. Come questo avverrebbe non viene esplicitato. Si fa altresì presente che l’assemblea dei partecipanti al capitale ha ampie competenze in materia di remunerazioni e quindi sembra che si suggerisca che ad essa dobbiamo far riferimento per questioni che riguardano i compensi dei manager.
Il secondo punto messo in evidenza è che la riduzione dei costi del personale porterebbe ad un aumento dell’utile. Con il trasferimento di questa porzione dell’utile allo Stato, come prevede la norma del Governo, si distoglierebbero risorse importanti che potrebbero essere utilizzate in “modo indipendente” per perseguire gli obiettivi della BCE e, in più, ciò potrebbe essere equiparato ad un finanziamento monetario allo Stato che è vietato dal Trattato europeo. Di nuovo si invoca la “lesa indipendenza” e si allude al sospetto che potremmo ricadere in una fattispecie di finanziamento diretto allo Stato che è espressamente vietato per garantire la stabilità dei prezzi.
Infine, nel terzo punto messo in evidenza, la BCE si appella al principio di indipendenza degli organi decisionali della Banca d’Italia come sancito dall’art. 130 del Trattato che vieta ai governi nazionali di influenzare, nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, i membri degli organi decisionali delle banche nazionali centrali. Modificando la remunerazione di questi ultimi si andrebbe secondo la BCE ad impattare sulla “indipendenza personale dei membri dei suoi organi decisionali.”
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Partiamo dal primo punto. Fissare un tetto alla remunerazione dei top manager significa imporre un vincolo alla politica del personale. Non significa però avere un controllo nullo o limitato sul proprio personale come indica la nota della BCE. E’ evidente che con tale vincolo rimangono ampi spazi di autonomia per le politiche del personale.
Invocare poi la natura privatistica della Banca d’Italia a supporto dell’autonomia della politica del personale ci lascia abbastanza freddi. Era in vigore una legge che prevedeva la nazionalizzazione della Banca d’Italia per sistemare una volta per tutte l’anomalia che vede le banche private azioniste della banca centrale. Il governo invece di attuare questa legge ha optato principalmente per far cassa per un provvedimento che prevede la rivalutazione e la relativa tassazione delle quote azionarie detenute dalle banche. L’attuale assetto di “governance” non è perciò il risultato di un disegno razionale, ma di puro opportunismo politico insieme ad un retaggio storico riconducibile a vicende accadute cento anni fa. Purtroppo facendo così si è cristallizzata una situazione difficilmente modificabile in futuro.
Veniamo al secondo punto. Ricordiamo che una banca centrale ottiene i propri ricavi principalmente grazie alla possibilità di creare base monetaria in condizioni di monopolio. La base monetaria è costituita dalle banconote in circolazione e dalle riserve che le banche devono detenere “obbligatoriamente” presso la banca centrale a tassi “fuori” mercato e in alcuni casi anche a tassi negativi. Il flusso di interessi generato dalle attività in contropartita della base monetaria, chiamato “signoraggio”, viene riversato allo Stato al netto dei costi di gestione ed eventuali accantonamenti. Questo avviene naturalmente anche nell’area dell’euro dove l’emissione delle banconote è assegnata alla BCE. La Banca d’Italia trasferisce ogni anno alla Stato i redditi generati dal signoraggio ripartiti dalla BCE alle banche nazionali. Aggiungere ad essi una piccola quota degli utili derivati dai risparmi generati dal taglio degli stipendi non modifica la natura del trasferimento e quindi non si capisce perché dovrebbe configurarsi come un finanziamento allo Stato e, ovviamente, né tantomeno in che modo ciò possa mettere in pericolo la stabilità dei prezzi.
Per il terzo punto relativo all’indipendenza dei membri degli organi decisionali può essere utile fare un analogia con la magistratura che è anch’essa soggetta al tetto di 240.000 euro. Come è noto la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente come è sancito dall’art. 104 della Costituzione. “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Il giudice è chiamato ad interpretare ed applicare la legge in piena autonomia ed indipendenza. L’imposizione del tetto allo stipendio non è stato ritenuto che possa ledere in qualche misura il principio di indipendenza, imparzialità e terzietà del giudice o del pubblico ministero. Per quale motivo dovrebbe allora impattare sulla indipendenza personale dei membri degli organi decisionali della Banca Centrale?
Ci pare in conclusione che la difesa messa in atto dalla BCE contro il provvedimento del governo non si fondi su argomenti forti, piuttosto tradisce un certo nervosismo che deriva dal fatto che il provvedimento del governo italiano viene visto come un’intrusione negli affari interni della banca centrale e quindi un attacco alla propria indipendenza. E qui si tocca un tasto molto delicato. L’indipendenza della banca centrale è senz’altro una questione importante, ma non può essere interpretata come un “indipendenza da tutto e da tutti”. Se la magistratura risponde solo alla legge, non dobbiamo scordarci che le leggi in un sistema democratico le fa il Parlamento. Così se la BCE deve essere indipendente e autonoma nello svolgimento del suo mandato, non può essa definire il mandato e deve rispondere a qualcuno dell’efficacia del proprio operato (accountability).
Il Trattato in realtà prevede che la BCE sia responsabile per la propria azione davanti al Parlamento Europeo, ma purtroppo il Parlamento Europeo non è dotato degli strumenti per poter esercitare una vera funzione di controllo, per cui di fatto oggi la BCE non risponde a nessuno.
Il Trattato assegna alla Banca Centrale la priorità di assicurare la stabilità dei prezzi senza però definire esattamente in che cosa consista. Nella pratica la BCE si è data come obiettivo quello di non superare la soglia del 2% di inflazione. Questo obiettivo però non è stata il frutto né di un dibattito pubblico, né di un dibattito parlamentare. Il target scelto riflette in realtà quelli che sono i rapporti di forza all’interno dell’eurozona e di conseguenza si è attestato sui “desiderata” dei cosiddetti paesi “forti” dell’eurozona, un livello decisamente basso anche se confrontato con quello di altri paesi sviluppati.
Il recente il dibattito politico che si è concentrato molto sui temi dell’austerity ha solo sfiorato il tema della politica monetaria e del mandato alla BCE. In una situazione eccezionale di prolungata crisi sono necessarie misure eccezionali e non convenzionale nella conduzione della politica monetaria.
Negli Stati Uniti fin dall’inizio della crisi la Fed ha portato i tassi di policy a zero ed ha acquistato titoli governati ed ABS a lungo termine con lo scopo di abbassare i tassi a lungo e far salire i prezzi degli assets. In Inghilterra sin dall’inizio della crisi sono stati fatti da parte della Bank of England acquisti massivi di asset del settore pubblico (Asset Purchase Program) per far salire i prezzi degli asset.
Le misure della BCE sono state invece guidate dai limiti posti dal Trattato di Lisbona che proibisce gli acquisti di titoli di stato che vengono interpretati come un salvataggio pubblico o un finanziamento monetario. Nel 2010 fu introdotto il Securities Market Program poi sostituito dal Outright Monetary Transaction Program per l’acquisto dei titoli pubblici. E’ significativo che il secondo programma non è mai stato attivato e che questi programmi devono essere sterilizzati perché non possono essere fonte di creazione di base monetaria. Studi recenti hanno mostrato che gli effetti dei programmi non convenzionali messi in atto dalla BCE non hanno avuto effetti permanenti sui tassi, ma soprattutto che il bilancio messo a disposizione dalla BCE su queste operazioni è stata ben poca cosa se confrontato con quello messo a disposizione dalla Banca d’Inghilterra e dalla FED per i programmi non convenzionali.
Il provvedimento del governo italiano ha urtato la suscettibilità della Banca Centrale in materia di indipendenza, ma ad un esame più attento emerge che la questione dell’indipendenza e della conduzione della politica monetaria è del tutto irrisolta nell’Eurozona. Le vere domande che dobbiamo porci sono: chi definisce gli obiettivi della politica monetaria quando siamo in una situazione di crisi prolungata? A chi risponde per il suo operato la Banca Centrale?