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Per una politica economica per i giovani della scuola media

Su questo blog vi sarete abituati ormai a sentirvi dire che dobbiamo combattere la disoccupazione giovanile perché il non farlo significa perdere spesso per sempre le risorse che hanno questi ragazzi dentro di loro. Si scoraggiano, si deprimono, escono dalla forza lavoro.

Sono felice che il Financial Times ed il Corriere della Sera abbiano ripreso il nostro appello e gli abbiano dato rilevanza, e ancora una volta il mio grazie va a tutti i firmatari dello stesso. Aspettiamo fiduciosi la risposta del nostro Presidente del Consiglio.

Sono certo che non si possa combattere la disoccupazione giovanile con contratti di apprendistato come quelli approvati dalla riforma Fornero che prevedono aumenti degli oneri di assunzione e di licenziamento per le imprese. Specie in questo momento. Sono certo che combattere la recessione con maggiori appalti di beni, servizi e lavori abbatta la disoccupazione e rilanci il PIL, ma non sono convinto che necessariamente i giovani siano i primi a beneficiarne (così ad esempio segnalava Christina Romer quando propose il piano di appalti per l’Amministrazione Obama nel 2010, nota 4).

Sono dunque certo che solo un piano come quello da noi proposto, giovani al servizio civile remunerato dentro la Pubblica Amministrazione per un periodo di 2 anni potrebbe frenare l’emorragia crescente di scoraggiati e depressi, invisibili alle statistiche, ma visibili dentro le mura di tante famiglie sempre più preoccupate per questa crisi. E generare PIL via servizi migliori e più celeri della PA alle imprese e cittadini. Una PA che ha pochissimi lavoratori rispetto al resto del mondo sviluppato e per di più tra i più anziani, come ci mostrava il Centro Studi di Confindustria.

Non mollate, parlatene del nostro appello: e a chi vi dice che “poi tanto questi giovani non vanno più via e divengono un costo permanente” ricordategli 2 cose. Che il costo permanente ci sarà se questi giovani saranno presi a carico della comunità per sempre a causa delle loro malattie e fragilità. E che abbiamo per decenni avuto un servizio militare dove l’obbligo di “1 anno e poi esci” è stato rispettato. Ci mancherebbe pure che lo Stato non sappia mettere in piedi uno schema obbligatoriamente transitorio e così avremmo dimostrato la follia di un governo di esperti che non sa fare nemmeno le cose più facili.

Però oggi volevo parlarvi di un altro tema, che è stato stimolato in me dalla lettura di un lavoro di analisi scientifica dell’impatto della depressione giovanile sulle possibilità di raggiungere un buon collocamento sul mercato del lavoro. Il rovescio cioè di quello di cui vi ho parlato sinora: non della disoccupazione che genera depressione ma della depressione negli anni dell’adolescenza che lascia tracce permanenti tali da rendere più difficile trovare sbocchi di carriera lavorativa.

Jason Fletcher della Yale University riesce ad isolare questo effetto (dati Usa) e a mostrare come gli effetti di una depressione nei primi anni della gioventù rende del 5% più basso il tasso di occupazione (con effetti ancora più pronunciati per le donne), mentre riduce del 20% il salario in caso di lavoro (con forza maggiore tra gli uomini).

Le cause del perché ciò avviene sono tipicamente 3: minore motivazione e peggiore carattere, discriminazione da parte degli imprenditori, maggiori costi sanitari per l’impresa.

I canali sono svariati, ma la (peggiore) istruzione negli anni dell’adolescenza appare come uno dei più significativi.

L’unico aspetto su cui Fletcher non ha dati è, una volta appurato che questi ragazzi depressi vengono da famiglie più povere, se i ragazzi di famiglie più agiate hanno accesso a cure (psicologiche e farmacologiche) migliori. Dettaglio non da poco: con le cure questi effetti negativi si riducono. Sono costi per la società, quelli di individuare e curare questi ragazzi, con grandi ritorni economici e sociali.

Se unisco questo risultato a quanto trova Paola Giuliano che un grande spreco di risorse avviene quando i nostri ragazzi bravi alle medie scelgono di non andare al liceo di qualità perché i loro genitori non hanno fatto il liceo trent’anni prima, mi dico che quegli anni, quegli anni delle medie sono anni decisivi per la politica economica di crescita di lungo periodo del Paese, dove sbocciano o si calpestano per sempre i fiori che abbiamo messo al mondo.

Se soltanto ci dedicassimo ancora di più con strutture di supporto altamente specializzate a questi adolescenti è probabile che ci faremmo un regalo invisibile meraviglioso, verso l’Italia che vogliamo.

4 comments

  1. Ecco uno splendido argomento, bellissimo blog.
    Il dato drammatico poi, non è quello mancante sulle maggiori o minori cure dei ragazzi ricchi rispetto a quelli poveri, ma l’ evidenza che questa patologia è più diffusa nelle classi meno agiate. E’ ovvio che succeda e sono sicuro che sia in stretta relazione con una sempre minore mobilità sociale (e certamente più nelle grandi città che nei paesini di campagna, così a naso).
    Lei ha parlato della necessità di aiutare i ragazzi meritevoli figli di famiglie meno facoltose; occorrerebbero urgentemente delle vere e proprie “quote rosa” di meno fortunati sia nelle università che nel lavoro.
    Un patto sociale equo e funzionale si basa esclusivamente su un’ effettiva e sostanziosa mobilità sociale. Per risolvere i turbamenti del giovane Torless non serve il Musil che li racconta ma un robusto Balzac bevitore di caffé abituato a inquadrare le vicende psicologiche (e le proposte economiche e politiche) in un quadro sociologico che è l’ unica cosa che gli dia senso.
    Il blog è suo ma ci tengo a ribadire che se lei avesse detto la stessa cosa mettendo in evidenza che siamo di fronte a un inaccettabile approfondirsi delle disuguaglianze economiche e culturali fra le classi e che questo non solo non è funzionale ma anche inaccettabile avrebbe ricevuto molti altri commenti oltre al mio e tutti a favore.

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  2. antonella carusi

    24/07/2012 @ 17:34

    Caspita mai post piu’ azzeccato di questo poteva scrivere, per quanto mi riguarda!
    Mia figlia dopo aver fatto le elementari in una scuola privata, ( trovandosi meravigliosamente bene con la classe e con la maestra) con ottimi voti e voglia di studiare ed emergere nella classe, in prima media pur restando nella stessa scuola, ma cambiando compagni di classe, perche’ andati via tutti dalla scuola, ha cominciato ad entrare in una grossa crisi depressiva e ha smesso di studiare: Le premetto che per 5 anni di elementari, ho studiato con lei, ma nulla da fare, ho tentato con le ripetizioni, Le ho messo una ragazza vicino tutti i giorni, ma niente non c’e’ stato nulla da fare, abbiamo dovuto camabiare 3 scuole medie in tre anni…. una vera follia!!! oltre ad uno spreco di denaro…i primi due anni alla privata, l’ultimo alla statale…( se tornassi indietro la manderei sin dalle elementari alla statale!) Avevo pensato di mandarla da uno psicologo ma ho avuto sempre paura di farle peggio!

    Praticamente abbiamo vissuto in un incubo! Pero’ io non ho mollato…le ho cercato un buon liceo scientifico perche’ volevo che non perdesse le possibilita’ di crearsi delle buone basi e non avesse chance per prendere l’universita’ ( io sono convinta che ha delle potenzialita’) non volevo che facesse la mia stessa fine ( ist. magistrale ), certo le difficolta’ le ha incontrate ne ero certa, senza basi alle scuole medie e’ dura! il primo l’ha superato con molta fatica, il secondo quest’anno, ovviamente l’hanno bocciata! Ce lo aspettavamo era nell’aria e piu’ che altro ci voleva! Lei mi dice che oggi e’ uscita dalla depressione, e che si mettera’ a studiare, la sua “fortuna” e’ che ha avuto delle buone basi alle elementari, assurdo lo so, ma e’ cosi’….sara’ dura gia’ me lo aspetto, pero’ quest’anno dovra’ fare tutto da sola senza ripetizioni…staremo a vedere…grazie!

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