Da tempo ripetiamo che il problema dei nostri atenei non è la mancanza di fondi pubblici, ma la loro cattiva distribuzione, che differenzia troppo poco fra i dipartimenti eccellenti e quelli mediocri e non meritocratici. Lo strumento per differenziare esiste: è la valutazione effettuata dal ministero lo scorso anno. Ma invece di utilizzarla, il governo si appresta a distribuire il taglio di 300 milioni su tutti, indipendentemente dai risultati. Questo perché si ritiene che anche le università peggiori debbano essere salvate. Pensa il presidente del Consiglio che ce lo possiamo permettere? Che possiamo sacrificare l’università di Padova (la migliore, secondo queste valutazioni) per salvare la peggiore, Messina? Non è forse giunto il momento di dare più autonomia alle università premiando le migliori e costringendo le peggiori a impegnarsi di più, oppure chiudere? Altrimenti, dove sta la meritocrazia tanto sbandierata da Enrico Letta?
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, oggi, sul Corriere della Sera.
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Nel condividere le perplessità di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi per un governo che galleggia e basta (specie quelle sulla spending review), mi interessa qui dissentire, come spesso mi capita, stavolta sulla loro visione di cosa sia università. Ovvero un campionato di serie A e B, con tanto di retrocessioni e dove le squadre più forti se la cantano e se la suonano da sempre al comando.
Dissentiamo.
Primo, perché le attuali classifiche a cui fanno riferimento, tutte tarate sul merito della ricerca e con zero enfasi sulla qualità della didattica, sono largamente imperfette. Eppure imperterrite imperano. Con l’ovvia conseguenza di far sì che è sempre più costoso per i nostri giovani ricercatori investire nell’insegnamento, ritirandosi da una missione fondamentale, la trasmissione del loro sapere agli studenti, lasciandola ai più anziani, meno appassionati e meno vicini alle novità della frontiera della ricerca scientifica. In tutte le Università americane più prestigiose i giovani ricercatori, obbligati a produrre in poco meno di 10 anni ottimi lavori se vogliono rimanervi, sono altresì obbligati ad insegnare intensamente nelle classi affollate dei giovani immatricolati del primo anno. Sì, dormono poco, molto poco, in quei primi anni.
Secondo perché ogni università che migliora in maniera oggettiva ed inequivocabile va premiata. Non abbiamo bisogno di meno università, ma di università migliori, su tutto il territorio: ecco perché non ha senso di parlare di chiusura. E per migliorare, c’è bisogno di incentivi per ognuna di esse (altro che “costringere”), non solo per la più brava: per chi parte da livelli bassi e per chi parte da livelli più alti.
Certo è vero che maggiori finanziamenti vanno dedicati a quelle istituzioni che eccellono nella ricerca. Ma anche qui, con attenzione massima ai dettagli. Evitando per esempio di generare dei “monopoli dell’eccellenza” che finiscono per rafforzare rendite di posizione e per escludere o scoraggiare nuovi filoni di esplorazione scientifica “diversi” e “non di moda”. E facendo sì che ogni area territoriale del Paese possa avere il suo centro di eccellenza, perché sappiamo bene che i frutti della buona ricerca al Nord affluirebbero con enorme difficoltà in Meridione, esigenza fondamentale per lo sviluppo del Paese.
Sotto leggete, se volete, la proposta dei Viaggiatori in Movimento per questi super atenei. E’ basata su 5 macroaree regionali dove localizzare i 5 grandi atenei di ricerca del Paese per ogni disciplina.
La questione di fondo è una sola: non basta fare riforme, come chiedono giustamente A&G, bisogna saper proporre quelle giuste, come ricordarono loro stessi tante volte a Monti. Meglio a volte l’inazione che perder tempo (infinito) a far chiudere l’ateneo di Messina. Il Paese ha ben altre priorità.
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LE AREE DI ALTA RICERCA, AL NORD E AL SUD. I Viaggiatori in Movimento propongono di identificare i 5 migliori atenei (uno per ogni macro area regionale di università) per ognuna delle 14 aree disciplinari (CUN) tra le università statali (c.d. “università di alta ricerca”) sulla base della qualità della ricerca, valutata su indicatori quantitativi tesi a validare giudizi qualitativi, basati su “valutazione tra pari”. A questi Atenei sull’area di eccellenza, per un quinquennio, sono riservate risorse ingenti, pari al 10% del Fondo Nazionale. Tali risorse sono destinate per l’80% ai dipartimenti che afferiscono all’area premiata all’interno dell’Ateneo.
La valutazione di aree disciplinari più estese, e non dei singoli dipartimenti, permetterà di premiare la ricerca interdisciplinare e stimolare una didattica che eviti la costosa duplicazione dei corsi di base.
Oltre ad effettuare didattica a livello triennale e magistrale, nelle aree di alta ricerca gli atenei sono i soli in cui rendere obbligatori i programmi di dottorato nella disciplina.
I dipartimenti rilevanti (di area) di questi Atenei, con i maggiori fondi a disposizione, possono selezionare liberamente i loro docenti senza concorsi pubblici e far variare il loro compenso all’interno di una forchetta. Possono, inoltre, riequilibrare il salario d’ingresso minimo per i giovani ricercatori con contratti a tempo determinato con un raddoppio della cifra attuale, per facilitare ingresso e rientro dei più giovani negli atenei italiani.
Ogni 5 anni la migliore area CUN di ciascuna macro area regionale può essere sostituita dalla medesima area di altro Ateneo, sulla base di valutazione quinquennale.
Alla didattica triennale e biennale, nonché ai dottorati, in quegli atenei in cui si ha un’area di alta ricerca, si deve riservare almeno il 20% dei posti a studenti meritevoli in condizioni disagiate ai quali assegnare anche borse di studio e residenze.
AL SERVIZIO DELLO STUDENTE. La qualità della didattica viene rafforzata dall’introduzione di tre meccanismi:
a) possibilità per studenti di segnalare via sms ad un numero dedicato l’assenza ingiustificata del docente e, dopo verifica di organi ministeriali, emissione di un “cartellino rosso” con sospensione del contratto in caso di ripetuta assenza non giustificata.
b) la creazione obbligatoria della figura di uno o più “consulenti”, all’interno di ogni Dipartimento, per supportare gli studenti nell’accesso al mondo del lavoro (preparazione del CV, colloqui di selezione del personale, ecc.).
c)obbligo numero minimo di 90 ore di didattica nelle lauree triennali e magistrali da parte di tutti i docenti.
09/12/2013 @ 11:38
Come non darle ragione Prof. Piga … http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-12-08/se-studente-sale-cattedra-e-insegna-ebook-docenti-163348.shtml