“Se vi fosse una Maastricht delle Università, noi saremmo ormai fuori dall’Europa. C’è bisogno di una scossa che metta istruzione e ricerca tra le prime priorità dell’agenda-Paese del futuro Governo. La CRUI, Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, propone sei misure urgenti per affrontare le emergenze più gravi, con l’impegno poi a verificarne puntualmente l’attuazione:
…. 4) finanziare posti di ricercatore da destinare ad almeno il 10% dei dottori di ricerca e togliere i vincoli al turnover per impedire l’espulsione dei giovani migliori dal Paese e il progressivo invecchiamento della docenza; “.
Potrebbe non bastare.
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“Negli ultimi decenni, la quota di Dottorati in Ingegneria e Scienze conferiti da università statunitensi a cittadini stranieri è cresciuta dal 23% nel 1970 al 56% nel 2007″, così avviano il loro ultimo lavoro scientifico sulla fuga dei cervelli due economisti di Chicago e San Diego.
Ma lo studiare all’estero dei propri cittadini non dovrebbe essere un problema per un Paese. Certo diventa un problema se poi questi non tornano a casa.
E fondamentale diventa capire da cosa dipende la loro scelta di restare e non tornare.
Tante variabili ovviamente contano in maniera statisticamente significativa. Per noi italiani una su tutte dovrebbe preoccuparci più di altre in questo momento: le condizioni del ciclo macroeconomico nel Paese di nascita del dottorando.
E in effetti i due economisti scoprono, grazie ai tantissimi dati a disposizione, che tanto più l’economia Usa tira, e tanto meno tira quella del Paese di provenienza, tanto più probabile che lo studente straniero decida di restare, dopo il dottorato, negli Usa. Creando un circolo vizioso, visto che l’economia in difficoltà ciclica finisce per soffrire effetti negativi di lungo periodo, a causa della minore disponibilità di ricercatori o lavoratori brillanti a contribuire alla crescita del proprio Paese, a volte per tutta la loro vita.
Risultati simili valgono per studenti di economia e business. Meno per altri settori più umanistici. Sono dunque risultati che valgono specialmente per quei settori scientifici che hanno grande valenza per il mercato privato, dove molti di questi dottorati una volta terminati gli studi si vanno a collocare.
Ecco, la stupida austerità italiana ed europea, che semina morte ovunque, silenziosamente.
Potrebbe dunque non bastare, finanziare posti per ricercatori: primo perché nuovi posti a salari che sono la metà (o ancora meno) di quelli Usa non attraggono nessuno; e secondo perché molti dei cervelli vogliono lavorare nel settore privato. Ma se il settore privato è ucciso dalle politiche economiche austere e stupide di tutti questi ultimi governi che si sono succeduti e non riceve speranza dai programmi dei futuri governi, a che volete che serva qualche posto di ricercatore in più?
La vera battaglia per il rientro dei cervelli è molto di più che qualche decreto per fare rientrare qualche decina di loro. E’ una battaglia per ridare sangue ed ossigeno alla nostra economia sfinita, così da far partire il circolo virtuoso: più spesa pubblica per l’economia oggi, più PIL oggi, più mercato oggi, più rientro dei cervelli domani, più idee dopodomani, più progresso, crescita e sviluppo tra 3 giorni.
18/02/2013 @ 21:55
ma un po’ di autocritica per come è stata gestita l’università dall’interno?
La fuga dei cervelli c’è da anni e lo sappiamo tutti che l’austerità c’entra solo marginalmente
18/02/2013 @ 22:30
Marginalmente? Non credo, credo (ma non ho dati) che siamo sulla parte convessa della curva per così dire. Cioè che 10 anni di crescita zero rendano il paese sempre meno attraente: non è che i cervelli rientrano all’università, rientrano in un Paese, spesso tornando a lavorare fuori dall’università. ed è il Paese che non attrae rispetto ad altri. Certo poi c’è l’elemento università. Nessun problema a fare autocritica o meglio a proporre riforme ovvie mai fatte. E nessun problema a dire che è un problema serio. Ma più serio ancora è il problema, di breve e lungo periodo, di un Paese che non sa crescere e di cui l’università è solo una delle cause ed uno degli effetti.
20/02/2013 @ 12:43
Caro prof, voglio chiederle una cosa ma devo premettere un ragionamento.
Anche io credo che l’università è solo una delle cause ed uno degli effetti, però l’università è un attore estremamente importante.
I docenti nel loro complesso hanno colpe per come hanno fatto evolvere l’università nei decenni. Però le leggi che hanno consentito ciò le ha fatte il parlamento.
Continuo a pensare che il guaio principale è che nel nostro parlamento ci sono sempre le stesse famiglie, forse da più di 50 anni? O forse sin da prima dell’inizio della Repubblica? Ha visto quel film che mi pare si intitolasse tangentopoli 100 anni prima?
Quelle stesse famiglie che da sempre sono in parlamento hanno nominato dirigenti dappertutto, molti senza meriti. Il risultato è la nostra nazione che non funziona.
Immagino che le cose sarebbero andate molto diversamente se fosse esistito un vincolo costituzionale in base al quale si può fare il parlamentare per tipo massimo 8 anni (come il presidente americano, che dopo 2 mandati deve lasciare, e con lui tutti o tanti dei suoi nominati, emendamento 22).
La mia domanda è la seguente: esistono studi che dimostrano che nelle nazioni dove esistono limiti temporali alle carriere politiche le cose vanno meglio?
Grazie e Saluti
20/02/2013 @ 17:04
ci sono tanti studi sui c.d. “term limit” di cui non sono esperto. Mi informo.
21/02/2013 @ 09:47
Vivendo da ormai tanti anni all’estero mi accorgo che la fuga dall’ Italia non e’ solo una fuga di cervelli eccelsi (fisici, scienziati, medici), ma anche di semplici laureati in Economia, che aspirano a posizioni manageriali aziendali. Non parliamo di futuri premi nobels, ma di persone che aspirano a normali cariere aziendali, quello che poi era lo zoccolo duro della borghesia Italiana anni 70 e 80.
Mi domando quando questa fuga di cervelli si tramutera’ anche in una fuga di braccia. L’Italiano non e’ una persona che si rassegna e pur di offrire ai propri figli un futuro dignitoso e’ in grado di fare grandi sacrifici (lasciare la propria terra ed i propri cari). Questo e’ avvenuto nel secolo passato in 3 grandi flussi migratori e credo che siamo nel mezzo del primo grande flusso del nuovo secolo.
Non diamo stupidamente colpa all’universita’ Italiana, che c’entra poco in questo contesto.
21/02/2013 @ 14:52
Non c’è dubbio che sia così.
Eppure l’università ha 3 colpe in tutto ciò:
1) molti studenti di economia vanno via a fare la laurea magistrale a causa della minore qualità dei nostri programmi, minore capacità di placement internazionale, peggiori infrastrutture di accoglienza;
2) non riusciamo ad attrarre studenti stranieri come potremmo fare per compensare il flusso di cui sopra con lauree in inglese competitive;
3) non riusciamo a convincere l’80% dei ragazzi, quelli meno abbienti, a iscriversi all’università.