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Democrazia, mercato oppure … Cosa consigliare alla Russia per crescere?

Mi lascio dietro la Siberia. Arrivo a casa e scarico di getto fotografie e impressioni su PC.

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Difficile capire la Russia se non ci vive stabilmente. Come per tutti i paesi.

Ancora più difficile capire l’atteggiamento, a queste conferenze geopolitiche con tanti personaggi importanti (a quella a cui sono stato invitato personaggio di punta era Medvedev, primo ministro russo), dell’intellighenzia … americana. Economisti, sociologi, politologi a stelle e strisce che vengono regolarmente invitati a partecipare, e che vengono altrettanto regolarmente invitati a pronunciarsi dai russi stessi sulle strade da seguire per crescere economicamente. Strana forma di masochismo, quella russa, di sentirsi dire dagli storici nemici (e ora dirimpettai sgomitanti in un mondo sempre più stretto) cosa fare e dove si sbaglia. Anche considerato l’incredibile e spesso affascinante orgoglio russo.

E che fa, di fronte a cotanto invito, l’intellighenzia americana? Un po’ di ritrosia iniziale, qualche passo di danza, quello schermirsi e fare attenzione a non apparire troppo ingerenti e poi giù con i consigli.

Che di fatto si limitano a due: più democrazia e più mercato.

Ambedue i consigli hanno una valenza strategica pro domo … loro, ovviamente. Ma serve a poco. Nel senso che i russi finiscono per non ascoltare, alzando le larghe spalle e vanificando l’assalto culturale statunitense, che credo faccia più danni che altro. E non ascoltano perché sono consigli deboli nelle loro fondamenta.

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Più democrazia uguale più crescita? Facile rinfacciare come esista poca evidenza empirica al riguardo (vedi il denso confronto di qualche anno fa di due esperti, Acemoglu e Glaeser). Esempi di non democrazie o semi-democrazie che crescono vigorosamente, come Cina e Singapore, sono vicini abbastanza al confine siberiano da lasciare freddi i partecipanti al dibattito, che vedono in frasi di questo tipo più un invito Usa a opporsi a Putin che un genuino interesse ad avere accanto una Russia vibrante con cui commerciare e attivare legami culturali.

Più mercato uguale più crescita? Anche qui l’argomento fa immediatamente sospettare, nell’interlocutore russo, un secondo fine. Più mercato può volere dire tante cose. Potrebbe per esempio voler dire il desiderio di aprire a un nuovo concorrente, magari straniero, un monopolio lucrativo. Per esempio dell’energia. Magari tramite un cartello che divida i profitti tra grandi imprese russe ed americane, senza procurare vantaggi in termini di minor prezzo dell’energia per i cittadini russi. Questo “liberismo”, questa maggiore apertura, spesso non genera crescita, ed è certamente guardato con (giusto) sospetto da Mosca.

Più mercato potrebbe invece voler dire più partecipazione, ovvero più attenzione alle esigenze delle piccole imprese russe, abbattendo i costi del fare impresa, e riservando, come fanno non a caso dal 1953 gli Stati Uniti, una quota sostanziale di appalti alle imprese piccole locali per permetterle di crescere e diventare più competitive. Non c’è dubbio che è questo tipo di politica di “maggiore mercato”, che incoraggia dinamismo, quella giusta per la Russia. Ma è anche quella politica russa che agli Stati Uniti interessa meno per le proprie aziende: incoraggiare la Russia ad elaborare una politica industriale che aiuti le piccole imprese russe a svilupparsi, che senso avrebbe? Molto meglio dividersi la torta nei settori russi dove grandi multinazionali americane trovano ancora oggi vincoli.

Eppure.

Eppure forse ben farebbe l’intellighenzia Usa ad approfittare di queste occasioni di dialogo per incoraggiare la Russia a, appunto, una politica veramente liberale. Perché nel lungo periodo tutti hanno da guadagnare da una Russia più vitale nei suoi livelli di imprenditorialità. Non solo perché maggiore crescita russa vuole dire maggiore export per i suoi partner commerciali ma anche perché, con tutta probabilità, una Russia meno oligarchica e a più diffusa imprenditorialità è un pre-requisito per una vera democrazia come, forse, ci insegnano proprio gli Stati Uniti.

PS: Acemoglu nel testo linkato argomenta come sia vero il viceversa, e cioè che è la democrazia a generare maggiore imprenditorialità grazie alla rappresentanza di interessi diffusi che essa garantisce. Può anche darsi che sia così, nel lungo periodo, ma in una fase iniziale in cui rimane accentrato il potere e scarsa l’imprenditorialità, solo decisioni amministrative dal centro, da Mosca per intenderci, che aiutino le PMI a nascere e rafforzarsi, possono costituire la scintilla iniziale. Decisioni certamente difficili da immaginare, vista la storia russa di questi ultimi 20 anni, ma certamente più immaginabili di cessioni di potere esplicite da parte degli attuali capi dell’esecutivo.

2 comments

  1. … e forse non solo più diffusa imprenditorialità, ma anche un po’ più di domana interna.
    La Russia è al settimo posto nella graduatoria mondiale del PIL, ma al settantunesimo in quella del PIL pro capite, peggio perfino della Grecia e del Portogallo; soprattutto, la concentrazione del reddito è elevata, anche qui più che in Grecia e Portogallo.
    Il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti è in attivo, ancor più lo è il saldo commerciale; inutile cercare problemi nel rapporto debito pubblico/PIL. Insomma: ha amplissimi margini di manovra.
    Temo abbia ragione: gli esperti a stelle e strisce argomentano pro domo loro, o almeno dal loro punto di vista, quello di un paese le cui multinazionali trovano barriere. E forse non sono tanto interessati a un aumento della domanda interna in Russia, perché quel paese importa soprattutto da Cina, Germania, Ucraina e… Italia.
    Quasi quasi il tema di un impulso a una più diffusa imprenditorialità e ad una maggiore domanda interna in Russia potrebbe e dovrebbe trovarsi ai primi posti di un’agenda europea, anche italiana.

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