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Reti d’impresa, perché mi piacciono

Cinquantacinque anni dopo l’adozione dello Small Business Act negli Stati Uniti da parte dell’amministrazione Einsenhower, nel 2008, anche la Commissione europea adotta «Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno «Small Business Act» per l’Europa)». E nel novembre 2011 il Senato italiano emana lo Statuto delle imprese, volto a assicurare lo sviluppo della persona attraverso il valore del lavoro, sia esso svolto in forma autonoma che d’impresa, e di garantire la libertà di iniziativa economica privata in conformità agli articoli 35 e 41 della Costituzione. In esso ci si impegna, in particolare, a promuovere politiche volte all’aggregazione tra imprese, anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di imprese.

Non c’è dubbio che quello delle reti è un tentativo di sbloccare l’impasse organizzativa interna a cui sottostanno le tantissime piccole imprese italiane, eterno baco mai diventato farfalla dell’economia italiana di questi ultimo ventennio di bassa crescita. Il perno su cui poggia il disegno di stimolo pare evidente e ben disegnato: l’idea di abbattere la prevalenza di quei costi fissi (spesso poco rilevanti per una grande impresa e invece soffocanti per una piccola impresa che cerchi di crescere e sviluppare) tramite l’alleanza con altre compagne di avventura. Specie nel mondo degli appalti pubblici e dell’internazionalizzazione ma anche nella ricerca, commercializzazione, marketing nonché nella ripartizione del rischio.

Dimostra, la proposta delle reti d’impresa discussa ieri martedì 10 luglio nel seminario organizzato da ItalianiEuropei e Formiche, anche una conoscenza delle debolezze di altri meccanismi sinora adottati. Il contratto di rete si pone infatti tra le filiere produttive, reti con scarsa collaborazione, e i gruppi (con relazioni di possesso di quote d’imprese) intese spesso come soffocanti dalle piccole che denotano una avversione a sottoporsi a vincoli: il sistema delle reti nasce da accordi flessibili in situazioni operative specifiche e potrebbe dunque risultare quel grimaldello che sblocca la naturale diffidenza del piccolo dal crescere unendosi con altri.

Potrebbe anche rivelarsi utile nel conferire maggiore potere negoziale ad ogni singola impresa della rete nel caso di contratti multilaterali di approvvigionamento e di credito bancario (con bond e rating di rete come possibilità concrete), anche se deve essere chiaro, per un appropriata durabilità dell’alleanza stessa, che non deve essere percepito come un obbligo quello di far riferimento ad un fornitore/banca specifici, ma ad un’addizionale opportunità. Le criticità non mancano, malgrado la notizia è che sono ormai ben più di 100 le reti d’impresa già formatesi con più di 500 aziende. Alcune di queste riguardano le stesse imprese di rete per il loro sopravvivere e imporsi, altre il governo per una buona politica industriale.

Primo di tutto, è ovvio che una buona parte degli investimenti di rete hanno caratteristiche immateriali: conoscenze, mercati, relazioni. Sarà essenziale capire come vengano condivisi i rendimenti di questi sforzi comuni.

Secondo, è ovvio considerare questa normativa per le reti permanente e tuttavia transitoria per le imprese che ne fanno utilizzo. Un po’ come lo Small Business Act condiziona gli aiuti alle imprese americane ad un periodo massimo di nove anni, finito il quale l’impresa deve affrontare il grande oceano del mercato da sola, così ci aspetteremmo sia previsto per quelle reti che aspirano a divenire grandi imprese.

Vi è poi la questione della partecipazione alle gare di appalti pubblici (che negli stati Uniti, lo ricordiamo, per il 23% ogni anno vengono riservati esclusivamente alle pmi). Il Codice dei contratti non annovera i soggetti sottoscrittori dei contratti di rete tra quelli legittimati a partecipare alle procedure di gara. Le imprese aderenti al contratto di rete potrebbero ricorrere allo strumento del raggruppamento temporaneo di imprese, certo, ma è invece ancora discusso se il contratto di rete possa valere ex se come “titolo giuridico” abilitativo alla partecipazione congiunta delle imprese facenti parte della rete. Da questo punto di vista, una prima criticità sorge con riguardo alla natura stessa del contratto di rete che non è finalizzato alla creazione di un soggetto giuridico distinto dai sottoscrittori, ma alla collaborazione organizzata di diversi imprenditori. Una soluzione potrebbe consistere nel valorizzare il rapporto di mandato con l’organo di rappresentanza comune (ove costituito), conferendogli espressamente, una tantum, il potere di presentare domande di partecipazione od offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara. Resta fermo che i concorrenti che partecipano per mezzo della rete non potrebbero partecipare alla gara anche in forma individuale. Per quanto concerne i requisiti di qualificazione potrebbe ipotizzarsi il ricorso alle regole dettate, a tal fine, per gli Rti. Sarebbe inoltre auspicabile, anche se la normativa attuale rimane rigida la riguardo, permettere all’impresa aggiudicataria di poter affidare i lavori ad altre imprese con le quali avrà stipulato un contratto di rete senza che ciò costituisca subappalto, così da allargare la quota di appalti per le pmi senza ridurre la quota lavori subappaltabile. Un’altra riguarda quella parte dello Statuto delle Imprese così importante ma al quale tutt’oggi non è stato dato seguito in alcun modo è la riduzione degli oneri regolatori specie per le pmi.

Se pure non ritroviamo la stessa penetrante efficacia del Regulatory Flexibility Act statunitense che vieta la regolazione che incide in maniera asimmetrica sulla piccola impresa, questi passaggi, se effettivamente seguiti da una serie di precisi decreti attuativi (quali la creazione in Italia di una Small Business Administration che sorvegli appunto sulla regolazione amministrativa), avrebbero avuto l’importante ruolo di aiutare tutte le piccole, in rete e non, in questa fase di gravissima crisi, a respirare quell’ossigeno così essenziale per potere proseguire il loro percorso di crescita e di affermazione in mercati sempre più ampi ed internazionali.

Da Italia Oggi, oggi.

3 comments

  1. I problemi posti sono analoghi a quelli dei consorzi, legittimati a partecipare alla gara con agevolazioni di qualificazione e indicazione della o “delle” imprese esecutrici.
    Per la fruizione di requisiti di qualificazione (complementari) potrebbe già utilizzarsi l’”avvalimento”, salvo che in genere si tratterebbe di tutte imprese in sè non particolarmente dotate di requisiti di qualificazione (specie se si utilizza il criterio del fatturato per lavori analoghi o identici); problemi si pongono poi per una SOA di classifica idonea.
    Inoltre, la mandataria di RTI deve possedere una qualificazione rafforzata, il che alza ulteriormente l’asticella di accesso (per non parlare dei problemi aperti sulle RTI miste verticali-orizzontali e relativi requisiti di qualificazione della sub-mandataria su opere -o servizi- scorporabili).

    La verità è che la normativa UE sugli affidamenti fa parte di un gigantesco disegno di dumping “normativo” teso a escludere le piccole imprese dalla stessa possibilità di crescere; è controvertibile che una “riserva” (individuata per soglie, ma già c’è una simile disciplina sulle gare sotto soglia) per le PMI costituisca “aiuto” vietato (creando una posizione in astratto protetta per le imprese nazionali sugli importi minori), ma con l’aria che tira (atteggiamento ipocrita sulle PMI della commissione-CGE e forza politica delle imprese maggiori in mano, direttamente o indirettamente, alle onnipotenti banche) la vedo dura….

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  2. Scusate se la domanda precedente era OT ma avevo postato sul merito, non l’ ha presa e non ha accettato che la ripostassi perché la considera ripetizione.

    Volevo aggiungere una cosa che credo sia essere interessante e anche abbastanza singolare sul fatto che nessuno dice le cose scritte da Krugman.
    Il 3 luglio a La7 Ernesto Screpanti dice che Monti sta “creando una recessione” proprio ai fini indicati da Krugman. La giornalista gli risponde tout court che il ragionamento di Screpanti è “un salto mortale” cioè lo liquida con due parole in un modo scortese che raramente ho visto prima in tv. Subito dopo Tremonti sminuisce l’ analisi di S. e il bello è che ammette che la politica del governo stia portando verso una recessione ma dice che non si sa perché il governo la faccia. Una spiegazione un po’ troppo misera per uno che è stato ministro dell’ economia, direi. Guardatelo perché credo che sia molto significativo.

    http://www.youtube.com/watch?v=PFdayuv0XV0&feature=player_detailpage#t=523s

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