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Piccola è bello e pulito quando lo Stato c’è.

Appena finita intervista a GR Parlamento. Sulle piccole imprese. Giornalista in chiusura che dice “dappertutto si dice piccolo è bello, ma non è così, bisogna avere imprese grandi”.

Non è vero. Dappertutto dove vado sento sempre dire “piccolo è brutto”. Non sento dire “crescere è bello”, ma “piccolo è brutto”. Credo di averlo già scritto ma val la pena ripeterlo: tra i 2 modi di dire c’è un abisso, non sono la stessa cosa. L’enfasi è dirimente: se dici piccolo è brutto non ti dai da fare per le piccole, se dici crescere è bello, ti metti a supporto, come negli Stati Uniti.

E siccome tanta innovazione viene proprio da lì, dalle piccole e nuove, se non le aiuti o proteggi tanta innovazione non vedrà mai la luce del giorno, con buona pace della adorata e astratta produttività. Tante idee muoiono ogni giorno perché non diventano impresa. Se non aiuti questo parto e se non mandi a scuola a tuo costo le piccole imprese aiutandole, caro Stato, le idee muoiono, per quanto buone esse siano, con molta maggiore probabilità.

Ecco a voi l’ultima conferma che dobbiamo proteggere con appropriate istituzioni le piccole imprese.

Murat Şeker and Judy S. Yang della Banca Mondiale in un recente studio affermano che la corruzione uccide le imprese (ma va!) ma soprattutto, tra queste, le più piccole.

Che la corruzione riducesse la performance e la crescita delle imprese (nel loro campione di imprese sudamericane la differenza di crescita è +0,9 per le tartassate da corruzione contro +3,3 per quelle che non devono subirla!) era già noto.

Ma quali imprese?

Tra quelle che hanno dovuto pagare una tangente, le più piccole hanno tassi di crescita più bassi del 43% delle grandi, una volta che si sia controllato per tutti gli altri fattori che possono spiegare il diverso livello di dimensione aziendale.

Stessa cosa se differenziamo tra imprese che pagano tangenti e hanno più di 10 anni di vita o meno di 10 anni: le prime hanno tassi di crescita medi maggiori del 21%. Sono le più giovani a soffrire maggiormente la corruzione.

All’interno delle sole piccole imprese, con meno di 100 addetti, quelle che soffrono più di tutte dal pagare la tangente sono nuovamente le imprese più giovani, quelle dove spesso si annida la potenziale innovazione.

L’importanza dello studio è che non usa le solite misure soggettive di percezione della corruzione ma misure oggettive: la richiesta di connessione per elettricità e/o acqua, il permesso di costruire, operare o importare ed infine l’incontro con ispettori del fisco.

In fondo il risultato non ci deve sorprendere, vero? Le imprese grandi, note, hanno più contatti e riescono a catturare meglio i regolatori e gli amministratori. Negoziare mazzette porta via tempo ai leader dell’azienda e questi manager sono spesso più importanti e strategici per le PMI che non per imprese grandi che hanno già processi organizzati e rodati. Infine, data una certa dimensione della mazzetta, questa incide maggiormente in termini percentuali sui costi della piccola che non della grande.

Tutte cose che sappiamo? Non lo so. Ma che val la pena ripetere: la gara competitiva tra piccole e grandi è una gara truccata, anche dalla corruzione. Che fa più male alla piccola e alla giovane impresa che non alla grande o matura.

Messaggio finale? Stasera non voglio tanto dire combattiamo la corruzione, cosa certo buona e giusta. Voglio dire che dobbiamo creare una tutela specifica per le piccole imprese là dove si annida maggiormente quella corruzione, che da un ulteriore ingiusto vantaggio competitivo alle grandi: negli appalti pubblici e nella regolazione. Nei primi la soluzione è nota: dobbiamo riservargli, alle piccole specie giovani, una quota di appalti pubblici senza farle competere con le grandi aziende, così come avviene negli Stati Uniti.

Nella regolazione? Individuiamo i permessi e le pratiche dove è maggiormente probabile si annidino le richieste di tangenti e lasciamo ad una Agenzia nazionale della pubblica amministrazione di negoziare a condizioni di favore la pratica per conto di tutte le piccole giovani imprese. Condizioni uniformi ed uguali per tutte loro, disponibili immediatamente grazie ad appropriate convenzioni per il solo fatto di essere piccole e giovani. Complesso? Ma no, i dettagli li costruiamo dopo. Ora costruiamo il nostro futuro di occupazione, innovazione, speranza.

 

5 comments

  1. Giuseppe Pizzino

    28/04/2012 @ 08:41

    “Bisogna avere imprese grandi”. Questo dogma ci ha accompagnato e intimorito continuamente negli ultimi dieci anni. Il risultato è quanto hanno fatto gli Istituti di credito i primi a credere nel grande è bello. Oggi è vero le banche sono più grandi, hanno incorporato quelle più piccole ma, abbiamo forse un servizio migliore, costi più bassi, un monitoraggio del territorio ? Penso proprio di no ! I costi sono più alti che in passato i servizi peggiori e hanno perso il contatto con il territorio. Infine ma non ultimo la loro capitalizzazione è scesa e le perdite continuano a crescere sebbene acquistino la materia prima ad un prezzo più basso e la rivendano dieci volte tanto.
    Piccolo è bello !!! Due terzi della nostra economia è fondata sulle pmi.
    La corruzione rimane un problema, sia per il piccolo che per il grande, ma è fisiologico in tutti i sistemi economici, forse non basta avere un buon prodotto da offrire al giusto rapporto prezzo/qualità ma, la competizione vale anche nel sapere gestire corrette relazioni con la P.A.

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    • La questione delle banche grandi è un enorme problema per varie ragioni ma quella che lei menziona (la distanza dal territorio) è la più importante di tutte. Compresi ormai gli automatismi che negano credito senza dare possibilità di interazione umana tra funzionario bancario ed impresa.

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      • Giuseppe Pizzino

        28/04/2012 @ 10:12

        In Sicilia la presenza del “Banco”, con tutti i suoi limiti, per molti molti decenni ha consentito l’interazione umana tra i protagonisti dell’economia. Oggi, in Sicilia, non esiste più una banca del territorio, che con le sue politiche, anche discutibili, rappresentava un punto di riferimento per gli imprenditori locali. Il “Banco” ,oggi, ha sede legale a Roma dove versa i suoi tributi ( 300 milioni l’anno), che fino all’anno scorso versava a Palermo. La Sicilia proprietaria di un valore ( partecipazione) di oltre tre miliardi di euro nel 2008 ha oggi un corrispettivo di soli 250 milioni di euro che peraltro ha dovuto mantenere con 200 milioni di aumenti di capitale. Abbiamo perso con il consenso del nostro Governo Regionale, che ha votato si alla fusione per incorporazione, non solo un punto di riferimento per lo stimolo della crescita e dello sviluppo ma anche il più grande contribuente dell’Isola e circa tre miliardi di patrimonio. Mi posso permettere di suggerirLe di scrivere un libro, magari titolandolo ” Martellate sui …….. Siciani” ? La Ringrazio per il suo cortese riscontro. Cordialità.

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  2. Carissimo professore,
    seguo (grazie ai link immessi da goofynomics a onor del vero) con vivo interesse i suoi post.
    Circa le due proposte sulle misure preventive del “peso” più che proporzionale della corruzione rispetto alle piccole imprese (specie di recente formazione), ha tutto il mio plauso.
    Sulla possibilità di una “riserva” di appalti per lo small business in realtà l’ostacolo (ancora una volta) è proprio l’UE: fa grandi gruppi di lavoro e proclami sulla questione ma si limita ad porre tutto in termini di semplificazione normativa (bla bal bla contraddetto dalle direttive sempre più stratificate), accertamenti di impatto regolatorio (su cui gli operatori si lamentano che le sedi intergovernative bypassano osservazioni e risultanze delle procedure partecipate) e riduzioni di “oneri burocratici” (avallata dall’OCSE ma contraddetta dal fatto che tali oneri sono in realtà il frutto di politiche sempre UE, quindi inderogabili, caldeggiate dalle grandi imprese molto ben ascoltate dalla commissione).

    Circa la creazione di un’Agenzia nazionale della pa che “negozi” i momenti permissivi critici per lo start up delle PMI, è un’altra grande idea: ma si renderà conto che il “federalismo” del 2001 (e lo dico sulla base dell’esperienza diretta dei conflitti insorti successivamente) è esattamente in antitesi con questa logica (almeno prima si ammettevano i CORECO e i controlli statali sulla regione, momenti evolvibili in procedure quale quelle da lei suggerite).
    Oggi, invece di manomettere la Costituzione per il demenziale pareggio di bilancio, avrebbero potuto dimostrare ben altra sensibilità e semplificare il quadro delle competenze costituzionali in materia economica (il “boom” economico lo abbiamo fatto con la creazione degli organi periferici dello Stato del 1953 e già la creazione regionale coi decreti del 1977 aveva complicato il quadro dei costi corruttivi e di tutto il resto, sanità in testa).
    Aggiungere questa agenzia “procuratrice” di correttezza procedimentale(un’idea “colbertiana”, -innescata sul neofeudalesimo delle politiche locali-, che potrebbe unificarsi con quella delle “reti di ricerca univesitaria” a servizio dei distretti), sarebbe l’uovo di Colombo.
    Ma non ci si può aspettare che qualcuno voglia ora realizzarlo: non è scritto nella lettera BCE (e purtroppo non è una battuta).
    Comunque su queste idee sarebbe il caso di costruire un movimento scientifico di opinione e svilupparle con tutti i players interessati di buona volontà…Sono peraltro a disposizione in tale senso se avremo modo di approfondire in qualsiasi modo…Con sincera ammirazione

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