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Il futuro è dei piccoli, ora anche in Cina

Ecco, ora è ufficiale. Il mio collega ed amico Fuguo Cao, docente di diritto amministrativo a Pechino, con il quale sto scrivendo un articolo sul trattamento delle piccole imprese cinesi all’interno della legislazione degli appalti pubblici del suo paese, mi ha confermato finalmente quanto sospettavo.
Anche la Cina ha deciso di imprimere un svolta alla sua politica degli appalti pubblici riservando, come fanno gli Usa, il Sudafrica, il Brasile, una quota degli appalti esclusivamente per le PMI.
Con particolare focus su micro e piccole imprese. Le più svantaggiate nella impari lotta nelle gare pubbliche, rispetto alle grandi imprese. 30% minimo delle gare aggiudicate a PMI (di questo 30% il 60% a micro o piccole), anche se considerare i sub-appalti o meno è oggetto di dibattito tra giuristi cinesi perché la norma appare contraddirsi su questo aspetto.
In più, nelle gare non riservate alle piccole, queste godranno di un beneficio che va dal 6 al 10% di prezzo: per aggiudicarsi una gara una grande impresa dovrà risultare capace di distaccare la piccola di almeno quella percentuale, aumentando l’incentivo per la grandi a prezzare in maniera aggressiva per non perdere la commessa, a tutto vantaggio del contribuente cinese.
Ci siamo. Metà del mondo ormai adotta criteri di protezione per le PMI negli appalti pubblici. Sarkozy ha promesso che farà altrettanto anche se l’Unione europea non concordasse, ma per ora sono solo promesse. E il nostro Governo? Sarà capace Monti di chiedere all’Europa, in un momento così drammatico per tanti piccoli imprenditori di adeguare i comportamenti delle amministrazioni pubbliche a decisioni che rendano paritario il terreno di competizione tra piccole e grandi imprese? O piuttosto continuerà nel permettere che si discrimini a danno delle piccole a favore delle grandi? E Confindustria come si pone in questa battaglia? A favore di un terreno equo di sfida o risponde agli interessi delle grandi imprese soltanto?

Piccolo è bello, e proteggere i piccoli è proteggere il nostro futuro, ovvero quello dei nostri figli.

Lo sanno gli americani, lo sanno anche i cinesi.

Il futuro dei nostri figli. Come di questo bambino cinese col pannolino, che sa bene dove sta andando e che alza la mano per indicare la sua direzione, verso un futuro ricco di felicità, ora che è protetto e potrà esprimere al meglio il suo talento imprenditoriale.

Go kid, go.

7 comments

  1. Professore,

    Ho una domanda da farle riguardo a piccole aziende e libero mercato. Le premetto che non ho studiato economia, e qundi mi corregga se sbaglio.
    Ragionando su quest’ultima crisi e su quella del 2007, mi e’ venuto un pensiero. Consdierando che in italia ci sono molte piccole e medie imprese non sarebbe questo un terreno fertile per il tanto agognato e discusso libero mercato.
    E mi spiego: Se un’ azienda e piccola il suo guadagno sara’ altrettanto piccolo, se l’azienda cresce fa molti piu’ soldoni. Ma se i soldoni sono tanti allora questi soldoni potrebbero finire sul mercato finanziario. E piu’ l’azienda e’ grossa piu i danni all’economia sono grossi se l’azienda fallisce. Invece se un’azenda e piccola e’ vero che fallisce ed i lavoratori vanno a casa, ma se il tessuto economico e’ sano nel complesso questi hanno possibilita’ di trovare un altro lavoro, e cosi l’imprenditore fallito, certo dalle stelle alle stalle, ma si sa ‘e una profesione rischiosa)
    Ma quindi paradossalmente non si potrebbe dire che un vero libero mercato, o qualcosa che ci si approssimi, si possa raggiungere solo
    con aziende piccole, o cmq con aziende che sono regolate in maniera tale da non poter fare danni estesi al tessuto economico in caso di fallimento, cosicche’ il governo non le debba aiutare.
    Perche mi scusi, ma il mantra del capitalismo che hai un premio per il rischio e che se riesci guadagni tanto, ma se fallisci perdi tutto . Pero’ se fallisco, ed escono fuori bail out qui e li’, allora cosi l’imprenditore lo faccio pure io (quest’ultima frase e’ un po esagerata ma spero aiuti a capire il concetto che cerco di esperimere)

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  2. Mi perdoni e’ un po contorto, ma vado di fretta e non posso correggerlo. Lo faro’ appena possibile

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  3. In linea di principio sono d’accordo su “Il futuro è dei piccoli”, ma guardando ad alcuni nostri “creativi” imprenditori italiani mi viene da pensare alla metamorfosi che potrebbero subire le loro grandi imprese per apparire piccole al bisogno (e viceversa). I nostri “creativi” sanno bene come trasformare una grande impresa in una pluralità di PMI che appaiono tra loro autonome e indipendenti, ma che di fatto appartengono allo stesso soggetto controllante, interessato, per ovvi motivi, a rimanere occulto…Ma ricordo qualcosa di più sfacciato. Fino al 2009 esisteva il mercato azionario Expandi rivolto alle piccole e medie imprese, con requisiti di accesso e permanenza estremamente semplificati e poco costosi. La semplificazione riguardava prevalentemente la trasparenza di alcune informazioni da fornire al mercato, molto più ridotta rispetto a quella richiesta alle grandi imprese quotate nel segmento Blue Chip. L’intento era ovviamente quello di favorire la quotazione delle piccole. Fu interessante scoprire che una percentuale elevata di PMI Expandi era controllata, anche di diritto (quindi in modo assolutamente palese), da società quotate proprio nel mercato delle Blue Chip! Tra le PMI e le loro controllanti di ben più elevata dimensione non mancavano scambi di beni e servizi, anche finanziari. Quindi PMI dal punto di vista giuridico-formale, ma parti di un’unica grande impresa.

    Insomma, ok le PMI, ma che siano veramente PMI, altrimenti si rischia di favorire i grandi con la voce da bambini…La trasparenza degli assetti di governance è fondamentale…ma in Italia su questo punto c’è ancora molto da fare!

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  4. Professore,

    Riformulo la domanda che le ho fatto ieri.
    Non sarebbe piu adatta al libero mercato un’economia fatta principalmente da piccole aziende che in caso di fallimento vanno ad intaccare una bassa % del Pil, o comunque un’economia dove determinate operazioni che potrebbero essere rischiose per il tessuto economico di una nazione sono regolate, cosicche’ in caso di fallimento di una certa compagnia lo Stato non debba intervenire per salvarla, garantendo cosi la sola sopravvivenza di quelle aziende che veramente offrono servizi e prodotti di qualita’, e soprattutto evitando crisi come quelle a cui assistiamo oggi?
    Corregga o faccia le dovute precisazioni a seconda delle necessita’. Se ha tempo di spiegare dettagli (nella maniera piu semplice possibile) lo faccia pure, li leggero’ con piacere.

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    • E’ una buona domanda, a cui è difficile rispondere.
      Noi insegnamo sempre che il mondo migliore è quello dove vivono tantissime minuscole imprese in ogni settore dell’economia. Quando il loro numero si riduce, si produce meno ricchezza, in monopolio meno che mai.
      In realtà è così, solo che in una economia globalizzata è probabile che per internazionalizzarsi e sopravvivere e crescere ci vogliano dimensioni minime più ampie che richiedono anche aggregazioni e man mano che ciò avviene andiamo verso una maggiore concentrazione del mercato e più rischio che una economia nazionale, specie se piccola, dipenda da 1 sola impresa (vedi caso telefonia mobile di alcuni paesi scandinavi) che poi richiederà di essere salvata.
      Una possibile gestione di questo rischio è avere grandi conglomerati che fanno tutto, finanziandosi al suo interno, come in Corea, la Samsung.
      Un’altra soluzione è l’unione di tante piccole, in distretti industriali. Il distretto del tessile nel pratese è stato sì distrutto ma forse non ha ricevuto aiuto statale (ed è stato forse un male) a fronte della concorrenza cinese anche perché le aziende erano tutte piccole. Ma ha garantito grande ricchezza per molti anni all’Italia.
      Non esiste una risposta. Ma una cosa è certa: la soluzione non è nel “grande è bello”. Una economia cresce se genera idee nuove, e queste ultime non sono il mononoplio né delle grandi imprese né delle piccole: hanno semplicemente bisogno di un terreno dove quelle idee possano emergere e essere remunerate.
      Ovviamente io mi batto più per la protezione delle piccole, perché per definizione, avuta una idea, avranno molta più naturale difficoltà a renderla “impresa” per gli enormi costi che fronteggiano. La grande può cavarsela da sola.
      Comunque il suo argomento certamente va tenuto da conto: una economia non può dipendere da pochi grandi campioni nazionali, sia perché aumenta il rischio che questi siano aiutati dai contribuenti per sopravvivere sia perché rischiamo di rimanere poverissimi se quel settore muore.

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  5. Roberto Evoli

    10/04/2012 @ 05:22

    A me questo articolo fa subito pensare a 2 cose:

    1. Quello che e’ piccolo in Cina e’ molto grande in Italia
    2. Che queste manovre Cinesi sono un chiaro segnale alle loro grandi aziende nell’essere piu’ agressive all’estero e quindi ce lo troveremo a breve concorrenti in molte gare d’appalto (con il vantaggio che sono in grado di proporre investimenti diretti nelle opere )

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