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Small is beautiful

Eccomi ieri al bel convegno su Infrastrutture, finanza e crescita all’Università Lateranense (dove non ero mai stato, ma vi lascio immaginare uscire alle sei di sera nel tramonto freddo e sferzante di piazza sangiovanni, mamma mia quanto è bella questa mia città).

Vi vorrei parlare di tantissime cose che sono emerse tra tanti relatori bravissimi. Un relatore, bravissimo, mi ha fatto veramente arrabbiare. Ha descritto (slide qui accanto) il sistema industriale italiano per dimensione, notando il basso numero di aziende italiane sopra i 200 milioni di fatturato rispetto a Francia e Germania. La slide seguente, anch’essa interessante,

mostra invece come le aziende italiane più sono grandi e più sono capaci di generare profitti. Tutto rilevante, e tutto giusto.

Peccato che poi il (bravissimo) relatore se ne sia uscito dicendo: questo dimostra che PICCOLO E’ BRUTTO.  Ho fatto un salto dalla sedia. Avrei voluto dire: come? COME?

Poi ho pensato che in effetti è sempre così che finisce quando si parla del nanismo industriale italiano. Invece di dire “CRESCERE E’ BELLO” si dice “PICCOLO E’ BRUTTO”. Mi direte, c’è differenza?

Capperi! Se dici crescere è bello, se sei uomo di Governo, ti fai in 4 per aiutare le aziende a crescere. Se dici piccolo è brutto, mah, perché mi devo impicciare di questi brutti anatroccoli?

Non sto scherzando. Negli Stati Uniti, dove SMALL IS BEAUTIFUL, in nome della concorrenza e della partecipazione (potenziale e futura) dal 1953 si proteggono le piccole imprese appena nate (esatto, come fa un buon genitore con i suoi figli), riservandogli il 23% degli appalti pubblici e stabilendo regolazione differenziata per le piccole rispetto alle grandi e tanto altro. In Europa tutto ciò è vietato, confondendo protezione con protezionismo, uccidendo il liberalismo con il liberismo.

Un piccolo grande visionario, Ernst Schumacher, in uno stupendo libro un po’ folle di una quarantina di anni fa (vedi a sinistra) ebbe modo di riassumere perfettamente la questione: “Man is small, and, therefore, small is beautiful”. Ci torneremo su, tranquilli.

 

 

 

 

 

6 comments

  1. Roberto Evoli

    27/01/2012 @ 20:33

    Eccoci qua Professor Piga. L’aveva promesso che ne avrebbe parlato della questione delle dimensioni delle aziende Italiane e che non era d’accordo con me quando scrivevo che una delle principali deficienze delle aziende Italiane e’ la loro limitata dimensione. Beh, con questo suo post esprime chiaramente il suo pensiero che mi permetta, non condivido. Soprattutto oggi dove per uscire dalla recessione serve una maggior spesa pubblica da dedicare principalmente in investimenti in opere pubbliche. Per far questo credo che servano grandi aziende ben strutturate ed il piccolo e’ bello, ahime, non e’ la giusta ricetta in questo momento storico. Quanto Lei cita di come si proteggono le piccole imprese Americane riservando per legge una quota di appalti pubblici e’ vero. Lo stesso sta accadendo da qualche anno anche in Corea Del Sud, con delle leggi che limitano di fatto la partecipazione a gare d’ appalto pubbliche dei grandi gruppi come LG, Samsung, Hyundai. Ad ogni modo in questi due grandi paesi sono i grandi gruppi ad essere in grado di garantire innovazione a medio e lungo termine, a fare lobbying (attenzione ! Lobbying non e’ “una parolaccia” e non confondiamola in Italia con la corruzione !) non solo locale ma a livello internazionale e far vincere gare d’appalto, sia pubbliche che private in tutto il mondo. Lei crede veramente che l’aziendina edile bergamasca sia pronta oggi, in questo stato d’emergenza, di partecipare a gare d’appalto di un certo rilievo ? Io credo di no. Servono grandi gruppi industriali che poi certamente subbaltaranno lavori anche all’azienda sopra citata bergamasca (tutto il mio rispetto per Bergamo, che non mi si infrantenda, e’ solo un esempio). Per concludere come scrissi in un post qualche tempo fa, la causa della mancanza di grandi aziende in Italia non va cercata solo nel sistema politico Italiano, ma anche in alcune deficienze endogene della nostra classe imprenditoriale.

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    • Grazie mille di questa chiara e importante mail. Parto dal suo esempio sulla Corea (ma ci sono anche Brasile, Sudafrica …): è esattamente come dice lei. Ci sono aziende piccole che vivono di piccoli appalti e aziende grandi che fanno grandi opere. E’, questo dei piccoli/medi appalti il terreno fertile per le piccole, non dobbiamo pensarlo in competizione con quello per le grandi. Ma se non proteggiamo le piccole ci sono anche gare piccole e medie (non le grandi opere pubbliche) a cui partecipano imprese medie e grandi, spesso vincendo per una migliore struttura dei costi che non ha nulla a che vedere con la loro bravura ma solo per la loro dimensione (se per partecipare a una gara ci vuole 1 persona totalmente dedicata per scrivere l’offerta per 1 mese, secondo lei chi vincerà? la piccola o la grande?). Aggiudicare al prezzo + basso oggi alla grande ha un vantaggio ma anche un costo: perdere lo sviluppo e la crescita di una piccola che con una buona probabilità domani potrà diventare un campione nazionale. Gli americani questo lo sanno benissimo.
      Il che ovviamente non va contro il suo punto che vi siano deficienze endogene delle nostre piccole: le vorrei comunque misurare, queste deficienze, una volta che il sistema le abbia aiutate. Sapendo che parte di queste (non tutte) saranno state curate.

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  2. Gentile Professore, seguo sempre con grande interesse quello che scrive, colgo l’occasione per ringraziarla, i suoi interventi sono sempre molto stimolanti (e non mi sorprende! Ho avuto la fortuna di seguire le sue lezioni di microeconomia). Mi trovo d’accordo con lei soprattutto nella parte conclusiva dell’intervento. Vorrei sottoporle una comunicazione della Commissione Europea che ho letto di recente e mi è venuta subito in mente leggendo il post: COMM(2008) 394 “Think Small First” A “Small Business Act” for Europe. Nelle intenzioni (e soprattutto nel titolo), sembra voler affrontare alcune problematiche legate alle PMI europee.
    http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0394:FIN:en:PDF

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  3. fedora filippi

    29/01/2012 @ 11:39

    Molto interessante davvero! penso al mio mondo (tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico) fatto di piccoli appalti, molte piccole imprese molto specializzate, a volte addirittura individuali, ma che costituiscono una unicità di competenze, per questo difficilmente imitabili (per lo meno, ci vuole molta esperienza per arrivare a competenze specialistiche). Dunque condivido totalmente la filosofia dell’uomo è piccolo, l’impresa è piccola, il nostro paese è piccolo, ma tutto è molto speciale. questo secondo me è il nostro valore aggiunto. il subappalto, ad esempio nel mio settore, fa cadere la qualità. Nel mio settore anche un lavoro facile facile come ricostruire un muro di pietre diventa un lavoro di alta professionalità, non parliamo di un restauro di un opera ecc..
    Penso spesso al settore della moda italiana: era piccola e raffinatissima (le sorelle Fontana, Valentino ecc. inventavano e cucivano abiti meravigliosi con stoffe meravigliose che vendevano in tutto il mondo, osannati), poi piano piano sono diventati grandi, sempre di più, si sono quotati in borsa (pensiamo a Prada, Armani, Dolce e Gabbana, Gucci….), hanno abbassato la qualità, hanno gonfiato i mercati, e hanno ucciso il made in Italy, la specificità. Dunque impresa piccola, specializzata, competente, e ben strutturata. L’esempio dei cuccioli è bellissimo !! Vale di più di qualsiasi altro discorso economico.

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  4. I vostri commenti sono assai stimolanti, un paricolare elogio va al post del professore, si è proprio vero che il piccolo è davvero bello, senza dimenticare che il periodo migliore dello sviluppo economico Italiano è stato trainato dal sistema delle PMI.
    Le stesse imprese che oggi vengono lasciate tracollare in un sistema dove la pressione fiscale è alle stelle, gli incetivi presocchè esistenti o fondati su una burocrazia assai farriginosa.
    E’ davvero un peccato.
    @per il professore, perchè non affrontare il tema dello sviluppo ineguale in Italia?

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