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Tasso di cambio o cambio di passo?

Si torna a parlare di tassi di cambio. Con Mario Draghi, Presidente della BCE, che rimbrotta il Presidente della Repubblica francese Hollande per aver fatto balenare la pur minima possibilità di un deprezzamento dell’euro per ridare crescita all’area tutta via export, specie in un momento in cui dollaro e yen fanno altrettanto, seguendo i voleri dei loro rispettivi Paesi.

Governi contro Banca centrale sui cambi? Certo, e non è una novità. Sempre conteso, povero tasso di cambio. Paese che vai, tradizione che trovi.  Stati Uniti, Giappone e Francia, fino a quando aveva il suo franco, ne lasciano tradizionalmente la gestione ai Governi. La Germania invece, alla sua banca centrale, alla Bundesbank. Fino all’arrivo dell’euro.

Quando si trattò di allocare l’autorità sul tasso di cambio dell’euro tra Consiglio europeo dei Governi e BCE, la decisione fu salomonica assai:

In mancanza di un sistema di tassi di cambio rispetto ad una o più valute non comunitarie … il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione e previa consultazione della BCE, o su raccomandazione della BCE, può formulare gli orientamenti generali di politica del cambio nei confronti di dette valute. Questi orientamenti generali non pregiudicano l’obiettivo prioritario del Sistema Europeo di Banche Centrali di mantenere la stabilità dei prezzi.”

Questo dice la  Costituzione europea, il Trattato, art. 111. Questa la forma.

La sostanza è invece la storia di una lunga e complessa battaglia tra banca centrale, la BCE,  e ministri economici dell’area euro, il c.d. Eurogruppo. Battaglia che nasce di fatto insieme all’euro, alla fine degli anni novanta. Battaglia, quella di allora, ben narrata da un bell’articolo di Randall Henning del 2007, a cui attingere abbondantemente per comprendere il destino odierno dello scontro in nuce tra Draghi ed Hollande.

*

Il 4 gennaio 1999 è il primo giorno di scambio della nuova valuta. Apre ad 1,17 dollari Usa.

Da lì in poi, e per quasi un biennio, è un dolce declino (vedi figura) che pare inverosimile agli occhi odierni, come un giovanotto che non si ritrova nella sua fotografia di bambino 10 anni prima.

Nel gennaio del 2000, però, è tempo di mettere un primo freno al costante deprezzamento dell’euro. L’Eurogruppo, coeso, così si esprime:

I ministri dell’euro-11 e la BCE condividono una visione che la crescita nell’area euro è ora robusta e in maniera crescente radicata sulla crescita della domanda interna. Di conseguenza, l’euro ha il potenziale per apprezzarsi, stabilmente ancorato su crescita e stabilità interna dei prezzi. Una economia forte va di pari passo con una valuta forte”.

E così prima si arresta il deprezzamento dell’euro e poi partità l’apprezzamento fino ai giorni nostri.

Strana dichiarazione? No. Una dichiarazione che mostra la capacità dei Governi di poter gestire saggiamente uno strumento prezioso di politica economica, come stanno facendo Giappone e Stati Uniti.

Eppure.

Eppure oggi troveremmo strano sentirci dire dall’euro Gruppo una frase di questo tipo:

“I ministri dell’euro e la BCE condividono una visione che la crescita nell’area euro è ora debole e in maniera crescente radicata sulla decrescita della domanda interna. Di conseguenza, l’euro ha il potenziale per deprezzarsi, stabilmente ancorato su crescita e stabilità interna dei prezzi. Una economia debole va di pari passo con una valuta debole”.

Ah, magari leggessimo una tale dichiarazione, oggidì… Ma, malgrado Draghi abbia affermato proprio pochi giorni fa come l’aspettativa della BCE sulla crescita dei prezzi è una di declino sotto all’obiettivo BCE del 2% – e vi è dunque ampio spazio per permettere all’euro di deprezzarsi dando ossigeno al nostro export – lo strapotere di una BCE arci-conservatrice in sede di politica economica rende queste frasi, così realistiche solo 10 anni fa, assolutamente irrealistiche oggi.

Ma non impossibili da resuscitare domani nel linguaggio dei ministri dell’economia. Se solo questi lo volessero.

*

Perché lo spazio per imporsi sulla BCE c’è, eccome.

BCE ed Eurogruppo, in un accordo nell’autunno del 1999 in Finlandia, si ripartirono i compiti sul tasso di cambio, consci che l’art. 111 del Trattato lasciava aperto un potenziale conflitto di attribuzioni, un fuoco pericoloso che doveva essere rapidamente spento prima di diventare incendio.

Un accordo sempre ricontrattabile, quello del 1999, non scolpito sulla pietra, ma che fino ad oggi ha retto. Accordo che lascia alla BCE la scelta di quando, quanto e come intervenire sui cambi (modello à la tedesca) sulla base però di un assenso preventivo dell’eurogruppo.

Già, sembra quasi un rovesciamento dell’art. 111, che sembra lasciare l’azione all’Eurogruppo con l’assenso della BCE,

Un accordo definito come “modus vivendi” tra istituzioni ma non certo scolpito nella pietra, come dicevamo sopra. Come argomenta Henning nel 2007: “se i ministri economici nel 1999 avessero accettato il ruolo dominante della BCE de jure, l’Eurogruppo avrebbe avuto spazio limitato per riconquistarsi un’autorità in futuro. Ma accettando il ruolo dominante della BCE (solo) de facto, i ministri conservarono per loro il potere di riappropriarsi di una qualche autorità ad un certo punto nel futuro, specie quando collettivamente capaci di esercitarla”.

Ecco. Ma quando mai saranno i Ministri economici dell’euro capaci di trovare accordi collettivi tra loro per imporre alla BCE una politica più attiva del tasso di cambio?

Henning chiudeva, nel 2007, il suo saggio, quanto mai profeticamente, affermando come “se dovesse aumentare la divergenza di performance economica tra paesi membri dell’area euro … i governi potrebbero avere ben più difficoltà a raggiungere un consenso all’interno dell’eurogruppo sui limiti desiderabili alle fluttuazioni del cambio… queste barriere al consenso potrebbero limitare la capacità dell’area dell’euro a agire esternamente.”

La divergenza tra Paesi, con la stupida austerità, è aumentata ed è parallelamente diminuita la capacità dei governi euro di unirsi per affrontare coesi la BCE e riappropriarsi di un potere che il Trattato non gli nega.

Ma non tutto è perduto.

Mi è molto chiaro che il governo Hollande ha bisogno di alleati forti nell’Eurogruppo per cambiare i rapporti di forza con la BCE nella politica del cambio. L’esito delle prossime elezioni determineranno se quell’alleato, così indispensabile, sarà italiano.

3 comments

  1. L’alleato non sarà italiano semplicemente perchè le elezioni non decideranno nulla, tranne l’aumento del caos e l’avvicinarsi del baratro finale. Dal quale poi occorrerà risalire. Con una classe dirigente diversa, però.

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  2. Nel corso del 2001 ebbi modo di parlare con un tizio che lavorava in una banca svizzera, insomma uno che di soldi se ne intendeva.
    Mi consigliò, se ne avessi avuto l’opportunità, di comprare euro contro dollari perché l’euro avrebbe inziato a risalire subito dopo l’1/1/2002, ovvero dal momento in cui fosse entrata in circolazione la moneta cartacea.
    Fui piuttosto sorpreso e gli chiesi una spiegazione.
    Lui mi disse che una fetta consistentissima dei contanti in circolazione (marchi, franchi, lire e così via) che comunque ormai erano solo sottomultipli dell’euro, erano di fatto in mano a mafie varie di vari paesi. Poiché il change-over tra le vecchie banconote in valuta locale e le nuove in euro sarebbe avvenuto in un tempo molto breve (in Italia vi furono solo due mesi di circolazione combinata e sei mesi per cambiare le lire alla propria banca) le varie mafie avevano il timore di ritrovarsi in mano un mucchio di carta che non avrebbero poi potuto cambiare senza destare sospetti. Per cui ciò che stavano facendo era dare via le vecchie banconote, che ormai erano comunque euro, in cambio di dollari così da non rischiare di ritrovarsi carta tra le mani o di destare troppi sospetti. Quando l’euro fosse tornato in circolazione avrebbero ricambiato. Certamente il giochetto gli sarebbe costato qualcosa in termini di cambio, ma dal loro punto di vista ne valeva la pena.
    Oltre a questo mi disse di stare attento al mercato immobiliare che sarebbe salito visto che, oltre a cambiare in dollari, avrebbero pure acquistato immobili.
    Non gli diedi retta, o forse non volli dargli retta per non guadagnarci grazie alle mafie, ma quello che aveva detto successe paro paro.

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