Andrea Ichino e Daniele Terlizzese da tempo si battono per l’introduzione di una tassazione universitaria più giusta verso le fasce più povere.
Hanno ragione da vendere quando affermano che “le famiglie più povere ricevono perciò, sotto forma di istruzione, un quarto di quanto lo Stato spende per gli atenei: circa 2,2 miliardi. La differenza tra quanto pagano e quanto ricevono (2,7 mld) è un regalo alle famiglie più abbienti … È un trasferimento inaccettabile, che si perpetua solo perché i più ignorano come stanno realmente le cose. Che possa essere maggiore in Paesi dove l’università è del tutto gratuita non lo rende meno odioso e paradossale”.
Poi continuano: “una volta che questi fatti siano riconosciuti da tutti (da me compreso, NdR), possiamo discutere di come venirne fuori. E qui le prospettive, legittimamente, possono essere diverse. Una, a cui forse aspira Meloni, potrebbe essere che tutti i giovani frequentino l’università, così come già frequentano la scuola dell’obbligo. In questo modo tutti ne fruirebbero in modo uguale ma i ricchi pagherebbero di più per via del prelievo fiscale progressivo, e il paradosso scomparirebbe.”
Mmm. Interessante la proposta Meloni. Provocatoria, ma interessante. Vediamo cosa ne pensano i due economisti: “si tratta di una prospettiva realistica, o desiderabile? Certamente vanno rimossi tutti gli ostacoli che scoraggiano i ragazzi poveri e di talento dall’acquisire un’istruzione superiore. La qualificazione «di talento» non è però un inciso retorico, va presa sul serio. Il sistema universitario è la modalità con cui la società trasmette la frontiera più avanzata della conoscenza a chi è meglio in grado di riceverla ed estenderla. È un sistema intrinsecamente elitario, perché si fonda su un’ineliminabile disuguaglianza nelle capacità delle persone. È una disuguaglianza che non deve dipendere dalla ricchezza della famiglia d’origine, e bisogna fare ogni sforzo per rompere questo legame; ma così come non è possibile che tutti vadano alle Olimpiadi, è inevitabile che alcuni siano più di altri in grado di prendere il testimone della conoscenza. Ciò non è in contrasto con la nostra Costituzione (art. 34), dove stabilisce il diritto di «raggiungere i gradi più alti degli studi» per i «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». Anche questa è una qualificazione importante e spesso trascurata: non per tutti, solo per i capaci e meritevoli. La scuola è e deve essere per tutti: è lì che si devono davvero creare le pari opportunità. L’università è altra cosa.”
Ecco, rimango basito. Per la differenza di visione, per l’abisso che mi separa dalla loro visione.
Il sistema universitario è il sistema che trasmette la frontiera più avanzata della conoscenza? Ma scherziamo? Io al primo anno non insegno la frontiera più avanzata della conoscenza di economia politica ai miei 300 ragazzi (1000 in tutto che mi divido con altri 2 colleghi). Insegno loro saperi che tramandiamo da decenni, io e tutti i miei colleghi. In Italia come negli Stati Uniti, insegno sempre le stesse cose. Essenziali. Cerco di insegnarle bene mettendo qua e là riferimenti alla realtà odierna. Le insegno perché sono essenziali non per scoprire la nuova formula per la felicità eterna o il razzo spaziale che in 30 secondi ci porti sulla luna ma perché servono per imparare meglio come funziona il mondo dove dopo tre o cinque anni (alla fine della laurea) dovranno gettarsi con coraggio leonino.
Quello di cui parlano Ichino e Terlizzese va trasmesso più avanti a quei pochi che decidono di essere interessati alla ricerca pura, a livello di dottorato. E lì non c’è pietà per nessuno: il programma deve essere durissimo. Per 6-7 studenti ogni anno. Così è stato il dottorato che ho avuto l’onore di dirigere e così sono i programmi di dottorato che stimo e che alcuni docenti (non tutti) in Italia si fanno in quattro per mandare avanti malgrado lo scarso riconoscimento per la qualità conseguita.
Parlano di un sistema elitario e mi vien da ridere: la laurea triennale a 1000 studenti di economia a Tor Vergata elitaria? Ineliminabile disuguaglianza delle capacità? Ma scherziamo? Se sapessero quanti studenti raggiungono alti livelli partendo da diplomi scolastici di non altissimo punteggio solo perché si sono appassionati ad una qualche materia universitaria e l’hanno abbracciata con tutte le loro forze intellettuali? Tutto sta a far trovare a quei giovani dei docenti che sappiano stimolarli e la scintilla si accende.
Ecco però purtroppo capisco perché ad oggi l’università italiana è ancora troppo elitaria e laurea solo il 20% dei 30-35nni, 24° su 27 nell’Europa che viaggia verso il 40%. Ecco perché non vogliamo altri 50 atenei ma diciamo che ce ne sono troppi: perché c’è chi pensa che l’università debba rimanere “chiusa”, illiberalmente, riservata ai pochi. Così alcuni miei colleghi non si sforzano di insegnare al triennio ma solo ai dottorati, così alcuni i miei colleghi preferiscono bocciare che non dare un 20 o un 22 e far continuare gli studi al giovane senza bloccarlo e poi farlo abbandonare.
Parlo di illiberale non a caso e (ri)cito dunque di nuovo Luigi Einaudi:
“Poiché in Italia gli studenti universitari dagli attuali 150 mila circa dovranno in qualche decennio giungere al milione, sarà d’uopo, senza gonfiamento di quelli esistenti, crescere gradualmente il numero degli istituti universitari dai 20 o 30 attuali a 50 e poi a 70 e poi a cento e più. Né, con un milione di studenti e con cento istituti universitari crescerà la disoccupazione falsamente detta intellettuale; anzi diminuirà, perché non si è mai visto che il possesso del sapere – cosa ben diversa dal possesso del pezzo di carta – cresca la difficoltà di trovar lavoro.”
Parlare di università come di Olimpiadi significa non avere capito bene cosa è l’istruzione. Non è una gara, né una competizione, con altri. E’ una meravigliosa esperienza di crescita personale, una gara sì ma solo con se stessi, fatta di apprendimento e conoscenza.
Nulla mi rende più fiero di laureare un giovane fiero del suo 80 su 110. Perché vedo dietro di lui, che ha gli occhi che ridono, suo padre, con gli occhi pieni di orgogliose lacrime trattenute. Perché a quel padre che non è mai andato all’università, l’università del figlio è il significato di una vita riuscita. Ed ha ragione, perché già pensa a suo nipote, che forse non vedrà nemmeno laurearsi, con il 110 e lode, trent’anni dopo.
Io sto con la Meloni su questo. E con Luigi Einaudi. E con tutti quelli che credono che l’Università non è altra cosa, è la cosa di tutti quelli che “la vogliono”. Di chi ha più da dare e chi ha meno, di chi vuole imparare di più, ognuno col suo bicchiere, piccolino o grande che sia.
Perché i meritevoli della Costituzione sono questi qui: non quelli del 30 o 30 lode, ma quelli che se lo meritano perché desiderano ardentemente imparare e conoscere.
Aprite i cancelli delle università. Ora.
12/12/2012 @ 00:35
“[...]Se sapessero quanti studenti raggiungono alti livelli partendo da diplomi scolastici di non altissimo punteggio solo perché si sono appassionati ad una qualche materia universitaria e l’hanno abbracciata con tutte le loro forze intellettuali? Tutto sta a far trovare a quei giovani dei docenti che sappiano stimolarli e la scintilla si accende.”
Ricordo ancora l’emozione e la soddisfazione che provai quando dopo aver sostenuto l’orale del Suo esame al primo anno, una volta firmatomi il libretto si alzò in piedi mi strinse la mano e mi disse:”Complimenti! Continua così”.
Allora spesso quando passo davanti alle grandi aule dove si tengono le lezioni dei primi anni e sento la Sua voce entusiasta e la Sua passione nell’insegnare non posso non aprire quelle grandi porte nere e sedermi con quelli del primo anno per rivivere con loro le Sue bellissime ed entusiasmanti lezioni…e non posso non ripensare a quel piccolo Suo incitamento che per me…come per tanti altri studenti che ha avuto, vale davvero ma davvero tanto.
“Continui così” Professore!!!!
12/12/2012 @ 06:11
Grazie Federico, per le sue parole, sono belle per me e mi emozionano.
12/12/2012 @ 11:29
Qualcosa mi dice che avrebbe emozionato anche me essere suo allievo
12/12/2012 @ 08:28
Ha proprio ragione, Professore: la conoscenza dovrebbe essere a portata di tutti quelli che desiderano apprendere e sapere.
La stimo tantissimo.
12/12/2012 @ 10:04
Però c’era già una proposta niente male di Livi Bacci e De Santis apparsa nel 2010 su due articoli di Neodemos.it
qui: http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=426&form_search_key=bacci
e qui: http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=420&form_search_key=bacci
12/12/2012 @ 10:43
Mi associo al commento precedente, oramai sono laureato ma se devo essere onesto il più bel ricordo universitario è quando Lei mi disse: “Complimenti” al momento della verbalizzazione… e in fin dei conti era solo un 25.
Per me, quella sua frase, fu veramente motivo di grande orgoglio.
Oggi posso permettermi di dirle:
Complimenti a Lei professore.
12/12/2012 @ 11:00
Concordo pienamente con quanto scritto. E’ necessario alzare l’asticella della cultura media italiana. I fenomeni ci sono e ci saranno sempre non è su di loro che devono essere indirizzate le politiche sull’istruzione. Sarebbe bello che queste idee fossero fatte proprie da coloro che decidono le politiche sull’istruzione.
12/12/2012 @ 11:28
Un’altra cosa secondo me insensata è il fatto che il voto di laurea si abbassa se lo studente ci mette più tempo a laurearsi. E’ una ulteriore bastonata ai tanti ragazzi le cui famiglie sono tutt’altro che benestanti, che sono costretti a dare una mano al padre in bottega o peggio essere veri e propri studenti lavoratori a tempo più o meno pieno. I ragazzi (e le loro famiglie) che fanno sacrifici devono essere premiati, non ulteriormente bastonati.
12/12/2012 @ 13:15
Scoprire per caso, dopo quasi 10 anni, che il mio “giovanissimo professore” (credo l’unico giovanissimo) di allora scrive e ci illumina su un blog tutto suo è stato magnifico…finalmente un pò di informazione-formazione vera e disinteressata, ne abbiamo veramente bisogno; poter leggere i suoi articoli è un privilegio….la ricordo con enorme simpatia alle prese con la spiegazione della “teoria dei giochi”…fantastico. Tutte le persone hanno un dono ma poche riescono a trarne vantaggio per se e per gli altri. Lei è uno dei pochi che ci riesce e l’articolo che ho appena letto ne è la dimostrazione. Grazie.
Un suo modesto allievo che con la sua laurea ha fatto sentire importante i suoi genitori.
13/12/2012 @ 09:31
Il sistema universitario è il sistema che trasmette la frontiera più avanzata della conoscenza? Ma scherziamo? Io al primo anno non insegno la frontiera più avanzata della conoscenza di economia politica ai miei 300 ragazzi (1000 in tutto che mi divido con altri 2 colleghi). Insegno loro saperi che tramandiamo da decenni, io e tutti i miei colleghi. In Italia come negli Stati Uniti, insegno sempre le stesse cose. Essenziali. Cerco di insegnarle bene mettendo qua e là riferimenti alla realtà odierna. Le insegno perché sono essenziali non per scoprire la nuova formula per la felicità eterna o il razzo spaziale che in 30 secondi ci porti sulla luna ma perché servono per imparare meglio come funziona il mondo dove dopo tre o cinque anni (alla fine della laurea) dovranno gettarsi con coraggio leonino.
Questo è un passaggio molto importante, forse è anche il motivo per il quale nonostante gli anni molti dei suoi insegnamenti continuano a rimanere impressi e contribuiscono alla crescita di molti ragazzi, personalmente le ho gia indicato diverse volte la mia opinione di pensiero, sarebbe interessante pensare se anche altri suoi colleghi sarebbero disposti a rivedere il loro modus operandi.
Concordo pienamente con chi scrive che il sistema di riduzione del voto di laurea produce i suoi effetti nei confronti di chi è uno studente lavoratore part time o full time, che con grande orgoglio cerca di pagarsi la retta universitaria in piena autonomia e chi magari 5 anni fa non ne avvertiva il bisogno, adesso invece si trova nella condizione di dover contribuire e supportare finanziariamente la propria famiglia, però paradossalmente sia l’università che il mercato del lavoro non lo premia, poiché se poi per poter accedere ad un concorso pubblico questo ovviamente è solo un piccolo esempio però utile per comprendere il paradosso di questa situazione, lo studente lavoratore che si laurea con 100 viene automaticamente estromesso da un concorso bankitalia, magari possiede anche quelle conoscenze economico/statistiche per superarlo, l’altra categoria di studenti che hanno potuto frequentare l’uni e non dover lavorare e sono riusciti a prendere un 105 hanno almeno l’opportunità di partecipare al concorso bankitalia.
Questi paletti relativi ad una soglia minima di voto saranno anche necessari e nessuno lo mette in dubbio se arrivano oltre 60.000 richieste per partecipare al concorso della banca d’italia uno screening iniziale senza dubbio per loro è fondamentale, però ovviamente chi non ha potuto frequentare l’uni a corso pieno ne risente.
Oltretutto molti Prof ci mettono del loro per complicare la vita allo studente non frequentante, in alcuni casi chi frequenta riesce a passare l’esame attraverso la discussione di un caso, quindi una presentazione in Power Point, chi non frequenta si trova a sostener un esame con un carico di studio eccessivamente sbilanciato.
Complimenti per il Post Prof!!