Cosa ha causato questa doppia crisi europea a distanza così ravvicinata di pochi anni?
Ho sempre creduto che derivasse non dai comportamenti secondo alcuni “eccessivi ed immorali” di economie come la Grecia o l’Italia, ma da una subitanea ed inattesa carenza di domanda aggregata, sia nel 2008 che nel 2011. Trasformatasi poi in crollo del PIL, recessione, aumento del rapporto debito-PIL (effetto, non causa, della crisi).
Avevo attribuito questa carenza nel 2008 ad un panico dovuto ai timori delle ripercussioni di un crash finanziario di Lehman Bothers nell’autunno del 2008. Robert Hetzel, Senior Economist della FED (la BCE Usa) di Richmond e acuto pensatore, esperto di questioni monetarie, mi mostra con dovizia di dati che così non fu, che la diminuzione dei redditi reali che generò tale calo di domanda (consumi ed investimenti) avvenne prima, a cavallo tra il 2007 ed il 2008, a causa di una subitanea e momentanea crescita dell’inflazione europea a seguito dell’aumento dei prezzi mondiali delle materie prime (vedi andamento nel grafico). Analogamente per la crisi del 2011, annunciata da un aumento dei prezzi mondiali già nel 2010.
Resta però un enigma, che tale non è. Resta da capire cosa non abbia permesso all’economia europea di riprendersi come è naturale che sia dopo una recessione (la prima) che ha per definizione carattere temporaneo, e di finire invece bloccata in una crisi di pessimismo (la seconda) che sembra avere assunto ora carattere quasi strutturale e permanente.
Sappiamo bene che la benzina sull’incendio non così vasto è stata la pessima politica economica europea. Ma Hetzel, da par suo, mette l’accento più sugli errori della BCE che non su quelli, che questo blog ha sempre evidenziato, di politica fiscale.
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Nel 2008 la politica monetaria della BCE, secondo Hetzel, fu disastrosa. Perché aumentò i tassi proprio quando l’Europa aveva bisogno che fossero diminuiti. Errore grave, quello di pensare di ridurre l’inflazione via recessione, in soli due casi: quando la banca centrale ha acquisito una solida reputazione anti-inflazionistica ed il mercato sa dunque riconoscere normali periodi di inflazione inattesa non dovuti alla disattenzione della banca centrale e, peggio ancora, quando l’economia è, in aggiunta, in difficoltà ciclica. Era in questa situazione che si trovava la BCE nel 2008, avendo raggiunto ormai credibilmente una reputazione anti-inflazionistica e confrontandosi con una crisi da carenza di domanda aggregata: avrebbe dovuto diminuire e non alzare i tassi. Ma aveva ancora il braccino, si sentiva piccola piccola – pensava che i mercati l’avrebbero punita per aver lasciato andare l’inflazione troppo su, mentre rapidamente poi declinò – voleva far vedere di essere grande grande. Come si dice in gergo, volle strafare, mostrandosi più realista del re.
Così facendo prolungò una recessione che solo una politica fiscale europea abbastanza intelligente riuscì allora a stemperare (opinione di Piga non necessariamente di Hetzel).
Beffa delle beffe, proprio quando l’economia mondiale cominciava a riprendersi, a metà del 2009, ecco i prezzi delle materie prime tirar su nuovamente la testa. E così l’inflazione riprende temporaneamente nell’area euro mentre cala la domanda aggregata e, nuovamente, la politica monetaria della BCE si muove come riflesso condizionato a cercare di correggere un apparente errore passato, aggiungendo un altro errore (il rialzo dei tassi quando la domanda aggregata del sistema cala) al primo (l’aumento dell’inflazione per fattori non in mano alla BCE) che errore non era. Politica monetaria che rimase ben più aggressiva e restrittiva del dovuto, contribuendo, secondo Hetzel in maniera decisiva, al coma prolungato europeo a cui assistiamo oggi.
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Non sempre condivido tutto del suo articolo. Hetzel non vede ad esempio come a questo stato di cose abbia anche contribuito la sparizione di una parvenza di politica fiscale espansiva, di meno tasse più spesa pubblica, ricette proibite qui da noi, dall’altra parte dell’Atlantico.
Ma le sue ultime parole sono un affondo forte e apprezzabilissimo. Oltre a raccomandare (lui banchiere centrale!) una politica monetaria della BCE meno ottusa e tranquillamente disposta a finanziare i debiti dei paesi euro con acquisto di titoli pubblici, è interessante citare la sua ultima frase: “la BCE deve cominciare a riconoscere che i problemi europei non sono esclusivamente strutturali. Deve smettere di usare la politica monetaria come leva per ottenere riforme strutturali e piuttosto cessare la sua contrazione monetaria”. Proprio così, contrazione.
E poi, le riforme. Quelle riforme che nessuna Fed si sognerebbe di chiedere al governo Usa ma di cui parla sempre la BCE.
Poche righe prima Hetzel aveva ricordato come le riforme, al fine di ristabilire equilibri dei conti con l’estero dei paesi euro, sono necessarie nei paesi dell’euro sud ma che i paesi dell’euro Nord dovevano darsi pace ed accettare una inflazione maggiore del 2% per prolungati periodi di tempo. Non mi è chiaro come questa inflazione non differenziata tra zone dell’euro possa essere utile al ripianamento degli squilibri commerciali e come non sia piuttosto tramite una politica fiscale espansiva ben più aggressiva nei paesi come la Germania che non in Italia che tale risultato possa essere raggiunto.
Ma non fossilizziamoci. Robert Hetzel ha generato un po’ di aria fresca nei saloni ovattati ed ammuffiti delle banche centrali europee. Sarebbe ampiamente tempo che l’Europa capisse come si debba procedere rapidamente ad: 1) un cambiamento dell’obiettivo della BCE a favore anche dell’occupazione, 2) abolire l’idiotico Fiscal Compact e 3) slegare il sostegno da parte della BCE a un Paese euro solo in caso di accettazione di ancor più stupidi piani di riforme ed austerità fiscale.