Buongiorno a voi. Mi hanno segnalato di prima mattina che ho perso il dibattito a distanza tra il Nobel Krugman (Repubblica) e l’Avv. Guido Rossi (Sole 24 ore).
Strana combinazione. Distanza tra continenti, distanza tra giornali, distanza tra preparazione, distanza tra passaporti.
Mi unisce a loro la stanchezza infinita per queste politiche di austerità che condannanno l’Europa.
Mi distingue da Krugman la tesi sulla bontà di una uscita dall’euro ma non per un ragionamento economico come fa Rossi, “l’abbandono dell’euro provocherebbe una sorta di disastro finale nelle economie occidentali e nella finanza mondiale”. Per favore, ogni cosa che si fa, si disfa, perdenti e vincenti ci saranno sempre e dopo un bel po’ di caos il mondo continuerebbe ad andare avanti come è sempre andato, producendo e scambiando e con una Grecia, va detto, che avrebbe un vantaggio dalla svalutazione della dracma ben più abbondante del pazzesco costo che sta subendo per restare nell’euro.
Ma per un ragionamento politico: l’Europa politica che stiamo costruendo subirebbe un arresto per decenni e questo sì che in un mondo globale sarebbe un danno terribile. Ma non si può chiedere a Krugman di fare il tifo per l’Europa: questione di passaporto.
Anche Rossi fa un argomento politico, e qui forse è in terreno a lui più congeniale, di cui condivido il fine ultimo: una Europa “seriamente concorrenziale con gli Stati Uniti d’America, soprattutto nell’eliminazione delle disuguaglianze sociali e nella qualità della vita, finalità contrarie alle logiche del capitalismo finanziario”. Ecco forse anche i greci dovrebbero valutare questo vantaggio del rimanere nell’euro malgrado i costi economici. Ma tutto sta a capire come raggiungere questo obiettivo in maniera convincente.
Per raggiungerlo, di nuovo, Rossi porta ricette economiche su cui sono in serio disaccordo. E siccome non vogliamo altri 10 anni di ricette economiche sbagliate per l’Europa, sarebbe bene parlarne. Cito Rossi nuovamente:
“È invece la moneta unica di un’Europa che si salva solo se continua nel suo processo di unificazione, affiancando all’euro una politica fiscale e monetaria unitaria e una forte spinta verso una vera Europa federale. Si potrà allora dotare la Banca centrale europea di veri poteri di una banca centrale, favorire l’emissione degli eurobond, il cui progetto ha molti sostenitori ed è già stato ampiamente illustrato nei particolari e fors’anche stimolare la domanda con meno riguardo a pur controllati processi inflazionistici”.
Se pensiamo che l’Europa si salvi dal suo declino strutturale come area con gli Eurobond, pezzi di carta con piccoli trasferimenti tra Germania e Grecia, dal valore più che altro simbolico, scordiamoci di uscire da questa crisi.
Peggio ancora, se pensiamo che una politica fiscale centralizzata ci salvi, addio Europa. Centralizzando anche la politica fiscale la si allontana dai cittadini e dai loro bisogni che sono in questo momento altamente asimmetrici. Una politica fiscale centralizzata a Bruxelles, per l’italiano o il greco, sarà più vicina al cittadino medio, il francese, di quanto non lo sia oggi. E dunque più lontana dal supporto alla sua sofferenza, più lontana dal supporto necessario per il rilancio economico locale.
Se la crisi è negli shock asimmetrici (vedi Germania ed Italia) e nella nostra incapacità di gestirli, sarebbe criminoso privarci, dopo avere rinunciato al cambio e alla moneta, dell’unica gamba di politica economica che ancora abbiamo per gestire tali shock nazionali, la politica fiscale.
Una politica fiscale centralizzata deve essere la conseguenza e non la causa dell’Europa unita. Quando tutti saremo più simili, perché avremo imparato a conoscerci meglio, commerciando e viaggiando sempre più, quando le nostre economie strutturalmente si avvicineranno sempre più, allora saremo pronti a delegare la politica fiscale al centro.
Non c’è fretta, l’Europa va costruita lentamente: abbiamo visto quanto ci è già costato accelerare senza pensare bene alle conseguenze di quello che facevamo. Gli Stati Uniti di America, come notavo indirettamente nel post su Roosevelt ed il New Deal di ieri, nel loro primo secolo erano molto decentralizzati nel loro processo fiscale, e solo nell’ultimo secolo hanno aumentato il loro grado di centralizzazione, e comunque con ampi limiti, lasciando potere agli stati: e questo è avvenuto perché il Paese si è unito sempre più culturalmente dopo la Guerra di secessione.
Di cosa abbiamo dunque bisogno? Di due cose: di un’Europa che investa sempre più risorse nella cultura, nell’istruzione europea dei giovani, in una difesa comune. Questo sì che aiuta ad unirci. Lento? Certo, e allora? Chi va piano….
Secondo, della politica giusta per uscire da questa crisi prima che qualcuno si decida a seguire i consigli (o lugubri presagi) di Krugman.
E qui per l’ultima volta mi allontano da Rossi quando dice che l’America degli anni trenta fu salvata dall’abbandono di politiche monetarie restrittive che destabilizzavano l’economia (vero) e che “si creò così finalmente stabilità dei prezzi, bassi interessi, e largo credito alle imprese, stimolando la crescita attraverso la creazione di nuova domanda”.
Forse Rossi dimentica che la politica di Roosevelt non fu di stabilità dei prezzi: egli si legò le mani (vedi grafico tratto da Eggertson dove la linea verticale mostra l’arrivo di FDR) ad una politica inflazionistica a tassi nominali a zero (grafico a sinistra) grazie a grandi deficit pubblici (9% di PIL!) e debito nominale, così che la deflazione divenne inflazione (dal -26% al +13%) e i tassi reali a breve (a destra) si abbassarono permettendo la ripresa della domanda!
Se citiamo Keynes e pensiamo a Roosevelt, per favore facciamolo correttamente e portiamo i nostri ragionamenti fino in fondo. Se quello è il modello (e io sono per esso) allora diciamo chiaramente che: malgrado non si abbia bisogno di una ripresa dell’inflazione così ampia (per fortuna) come allora perché non siamo in deflazione, abbiamo certamente bisogno come allora di chi pompi la domanda nel sistema e, lo ripeto da mesi, c’è un solo attore che lo può fare, allora come ieri: la spesa pubblica, quella fatta bene. Il deficit? Lo faccia la Germania con i paesi del Nord, l’Italia con i paesi del Sud faccia spesa finanziata da quelle tasse che abbiamo già alzato, ma per favore non ci ripaghiamo il debito con le tasse, facciamoci spesa, così riparte il PIL e crolla il rapporto debito-PIL e gli spread crollano.
In una frase: per favore non perdiamo tempo con eurobond e politica fiscale centralizzata per salvare l’euro e l’Europa. Così l’Europa si condanna piuttosto a quella lenta agonia che non si meritano le future generazioni, a cui dovremmo poi dare l’arduo compito di ricostruire dalle ceneri della nostra miopia.
23/04/2012 @ 08:43
“ma per favore non ci ripaghiamo il debito con le tasse, facciamoci spesa, così riparte il PIL e crolla il rapporto debito-PIL e gli spread crollano.”
E’ lampante! con un debito di circa 2.000 mld di euro è stupido pensare di abbatterlo con la tassazione, primo perché sarebbe come pensare di prosciugare un lago usando il contagocce, secondo perché con queste maledette politiche restrittive non si fa altro che peggiorare il rapporto debito/pil. Insomma, l’ho capito perfino io!
23/04/2012 @ 12:45
Sostanzialmente d’accordo su tutta la linea ma paradossalmente, mi sia consentito, per una ragione opposta: Quando col trattato di Maastricht venne di fatto sancito l’unione monetaria, ed il conseguente accentramento della politica monetaria, andava lanciata, a mio parere, anche l’unione fiscale. Mi spiego: nonostante lo stato di difficoltà in cui alcuni dei 12 aderenti a Maastricht (vedi l’Italia con un rapporto debito/pil già intorno al 100%) già versavano 20 anni fa, non bisognava, ed evoco quello che diceva nel settimo dato di fatto Velasco, consentire l’accesso all’unione monetaria a quei paesi che, stando al trattato, si avvicinavano ad un ritmo costante ai famosi vincoli del 3% e 60%. Respingere questo sarebbe significato non permettere le politiche dissennate (e ci basta osservare in casa nostra) che si sono succedute nei successivi 20 anni dove, salvo in poche isolate annate, il debito è cresciuto ed il deficit ha sforato sistematicamente il limite consentito. Certo, si può argomentare che fu grazie a quelle regole ed allo sforzo di alcuni uomini di potere (per L’Italia ricordo Guido Carli) che sit rovò un accordo…la verità è che forse sarebbe stato meglio avere una Maastricht nel ’95, ’97 o addirittura nel 2000 piuttosto che una Maastricht del 1992 che ha gettato regole e sovrastante Governance economica europea i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. Insomma, si poteva dire: Cari Stati Membri, le scelte strategiche per il momento restano a voi (ma magari ponendo qualche paletto, tipo ad esempio una soglia minima di spesa da destinare ai comparti produttivi e ad alto valore aggiunto (ricerca, infrastrutture, education) ) ma sappiate che i vincoli sono questi e che i paletti alle politiche fiscali saranno sempre di più in ragione del processo di integrazione avviato… ecco, caro prof., come giustamente argomenti questo oggi non si può più fare..perchè? perchè siamo distanti con quelli del paese a 50 km dal nostro, figuriamoci con gli amici europei…Quindi, per concludere, Se Rossi avesse scritto ste cose 20 o al max 15 anni fa credo gli avrei dato ragione…oggi no… E allora che sia: spendiamo! ma al contempo tiriamo su un meccanismo di controlli di natura preventiva e dissuasiva e non successivo e sanzionatorio come tutti quelli creati e portati avanti sino ad oggi…così, forse, per i nostri figli domani sarà migliore.
Un salutone Prof….
Sandro
23/04/2012 @ 13:02
Rinvengo una aporia nel tuo ragionamento.
Prima affermi, prendendo le distanze da Krugman, che, non si deve uscire dall’Europa per una questione come tu evidenzi, politica: «l’Europa politica che stiamo costruendo subirebbe un arresto per decenni».
Poi però affermi che una unione fiscale sarebbe un brutto colpo. «Peggio ancora, se pensiamo che una politica fiscale centralizzata ci salvi».
Una Unione fiscale non è il logico sviluppo di quell’unione politica che poco sopra auspichi? Se non siamo ancora unione non è certo colpa della moneta. Obietterai, e concordo, che non è solo la mancanza di politica fiscale unica il problema: vi è un abisso culturale, che è il vero problema di fondo, che costituisce una formidabile barriera anche nel solo dialogare-
Perché se così non è, ed a ragione, poiché come affermi questa Europa sarebbe fatta per i cittadini francesi e, affermo io, tedeschi, allora tanto vale certificare il fallimento con una uscita dall’euro. Solo che va fatto subito, senza la benché minima indiscrezione, mettendo ferrei controlli al deflusso dei capitali.
E’ da tempo che circola l’idea di un “euro forte” solo per i paesi virtuosi. Un’euro2.
Se questo sarà lanciato, da altri, non è equivalente all’uscita dalla casa comune?
23/04/2012 @ 23:26
il deflusso dei capitali c’è gia’ da molti molti mesi
e si pubblicano anche grafici esplicativi al riguardo
sui principali giornali economici…
comunque ho apprezzato l’equilibrio dell’articolo
(e non mi sembra che rossi sia un esperto di economia
quindi giusto puntualizzare )
fare delle reali politiche rooslveltiane in quest’europa
e in quest’ italia sembra abbastanza utopistico
(sarebbe bello che qualcuno ci provasse comunque)
probabilmente dobbiamo cadere ancora piu’ in basso
prima di giungere a quel punto
una politica fiscale centrallizzata è semplicemente impossibile
meno impossibili gli eurobond ma probabilmente impraticabili