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Non è credit crunch: è demand crunch

Alberto Bisin oggi su Repubblica teme che la BCE non basti. Inoltre ritiene che “le prospettive di crescita delle economie del Sud dell’Europa sono alquanto misere” e che questo possa portare all’uscita di alcuni Paesi dall’euro.

Sembra di leggere Piga. Siamo dunque in sintonia?

Per nulla. E’ il bello della scienza economica.

Bisin sostiene che la politica monetaria non è sufficiente perché le banche non prestano, generando un credit crunch: “l’attività produttiva è in parte bloccata dalla mancanza di credito a famiglie e imprese”. Ovviamente il colpevole è sempre il cattivo “settore pubblico”: “le banche hanno utilizzato una larga parte delle proprie risorse per acquistare titoli sovrani invece che per concedere credito”. La soluzione? “intervenire più efficacemente sul sistema bancario” (come?).

Peccato che non sia così. Il vero colpevole? Chiediamolo alla Banca d’Italia che nel suo consueto Bollettino Economico di luglio regolarmente analizza lo stato di salute del mercato del credito italiano:

“Nei mesi più recenti l’andamento del credito ha riflesso in larga parte la debolezza della domanda che risente, per le imprese, della contrazione degli investimenti e delle incertezze sulle prospettive di crescita economica e, per le famiglie, del deterioramento delle prospettive del mercato immobiliare e della debolezza della fiducia dei consumatori. … Secondo le risposte fornite all’inizio di aprile dalle banche italiane intervistate nell’indagine trimestrale sul credito bancario nell’area dell’euro … il grado di restrizione dei criteri di erogazione dei prestiti alle imprese si è fortemente attenuato … Il miglioramento ha interessato sia i margini sia le quantità erogate e ha riflesso le minori difficoltà nel reperimento di fondi sui mercati e la diminuzione del rischio percepito sulle prospettive dell’economia. Nelle valutazioni degli intermediari, la domanda di prestiti delle imprese ha registrato un marcato rallentamento, di intensità superiore a quello osservato nei mesi successivi al dissesto di Lehman Brothers; tale dinamica ha riflesso il forte calo delle richieste di fondi per gli investimenti fissi. È invece rimasta sostenuta la domanda per operazioni di ristrutturazione del debito. … La domanda di prestiti da parte delle famiglie si sarebbe mantenuta debole. I mutui per l’acquisto di abitazioni avrebbero continuato a risentire delle prospettive meno favorevoli sulle condizioni del mercato immobiliare e del calo del clima di fiducia; sul credito per finalità di consumo avrebbero contribuito negativamente l’andamento della spesa per beni di consumo durevoli e quello del risparmio delle famiglie.

Eh già, “è la domanda aggregata bellezza” direbbe Humphrey Bogart. Altro che banche che non prestano (anche se certo non spiccano per il loro dinamismo e supporto all’economia): qui nessuno domanda (nemmeno credito) perché tutti hanno paura di scommettere sul futuro.

La politica monetaria, in questo contesto, ha un solo ruolo che non è quello di levare la paura a famiglie ed imprese: ma di abbattere gli spread, liberando spazio fiscale nei bilanci pubblici per sostenere la domanda aggregata che non c’è, ed è ovvio che trattasi di domanda pubblica.

Ma no, dice Bisin, altro che più domanda pubblica, qui la crescita economica non c’è perché mancano “i tagli strutturali di spesa che rischiano di condurre … all’asfissia di carico fiscale”.

In barba a tutti i modelli econometrici (vedi ieri post su Usa ma rivedetevi se volete i post su analisi Banca d’Italia mettendo sulla ricerca la parola “Momigliano”), Bisin crede che meno spesa pubblica generi più PIL.

Ma c’è un dettaglio interessante: Bisin vede questi tagli come funzionali ad una riduzione del carico fiscale e non del debito pubblico. E’ già qualcosa, questa di usare spazio fiscale per non ridurre il debito ma aiutare PIL ed occupazione. Ma è meglio usarla per fare appalti pubblici!

Ieri abbiamo messo in evidenza come anche negli Usa si sa bene che 1 euro meno di spesa pubblica ed 1 euro meno di tasse sono recessivi, perché la domanda pubblica al settore privato genera per definizione produzione, mentre solo una parte della riduzione delle tasse si rivolge a domandare beni, un’altra a risparmiare e in questa recessione, con i timori che hanno famiglie ed imprese, una buona parte va a risparmiare o a ridurre debito.

Intanto l’ISTAT pubblica nuove statistiche drammatiche sul PIL e sull’occupazione, ma non basta: i dati dovranno essere ancora più drammatici per far capire a tutti l’abisso anti-euro e anti-coesione sociale in cui ci getta questa idiotica austerità in tempo di crisi da domanda.

2 comments

  1. Professore, mi permetta di dissentire dal suo pensiero. Come ha ben detto “…Secondo le risposte fornite all’inizio di aprile dalle banche italiane intervistate nell’indagine trimestrale sul credito bancario nell’area dell’euro … il grado di restrizione dei criteri di erogazione dei prestiti alle imprese si è fortemente attenuato …” ciò riflette il pensiero delle banche italiane intervistate, le quali hanno tutto l’interesse ad affermare ciò viste le continue accuse che le vengono rivolte.
    La invito a rileggere la Congiuntura del Centro Studi di Confindustria da lei tanto apprezzata, nella quale è riportato che dopo il miglioramento dell’erogazione dei prestiti bancari alle imprese nel mese di Aprile (periodo in cui sono state raccolte le risposte dell’indagine sopracitata) si è rilevata una restrizione del credito nei confronti delle imprese italiane dello 0,7% nel mese di Maggio.
    Con ciò intendo dire che parlare di un miglioramento nell’erogazione del credito da parte delle banche alle imprese, in seguito ad un solo mese di recupero (quello di Aprile) dopo mesi e mesi di cali, è, a mio avviso, avventato. Inoltre non sarebbe la prima volta che il bollettino della Banca d’Italia commetta qualche leggerezza (ricordiamoci le stime del PIL).
    È vero che le banche hanno “paura” ad erogare prestiti a causa dell’incerto scenario economico, ma ci sono tanti altri nodi da sciogliere: uno su tutti le regole di Basilea e la convenienza delle banche ad investire le risorse in strumenti finanziari piuttosto che nell’economia reale.
    Concludo ritenendo che pur essendo inopinabile l’evidente calo della domanda di prestiti, esso non è tale da giustificare una consistente contrazione dei prestiti emessi. Probabilmente nel caso del credit Crunch le problematiche sono da ricercare più nel lato dell’offerta piuttosto che in quello della domanda. Cordialmente. Adriano

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  2. Bisin chiaramente non riesce a capire che nel distorto contesto attuale un taglio della spesa risulta recessivo quanto un aumento di tasse, e di conseguenza gli eventuali risparmi non possono essere usati per ridurre un bel niente perché servono per tappare i buchi causati dalla spirale recessiva in cui ci siamo infilati…

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