Altre Unioni Monetarie sono impegnate anch’esse discutere come si fa politica fiscale durante una recessione che genera disoccupazione quando ci si preoccupa anche di non aumentare troppo, nel lungo periodo, un debito pubblico già alto.
E’ il Congressional Budget Office (CBO) statunitense, organo di grande prestigio al servizio del Parlamento USA per calcolare l’impatto di diverse manovre possibili di finanza pubblica. Magari ce l’avessimo noi in Italia (Europa), un organo indipendente dal Governo che segnali le possibilità che la politica economica mette a disposizione, invece che sentire la monocorde voce di una istituzione, la Ragioneria Generale dello Stato (la Commissione europea), al servizio del Governo più che del Parlamento, organo monocratico che poco risponde delle sue stime e valutazioni e che tende spesso a sostituirsi alla politica.
Ma basta divagazioni, torniamo a noi.
Il CBO di preoccupa di fornire al Congresso Usa le sue valutazioni sulla rischiosa “fiscal cliff”, la “scogliera fiscale” che a fine 2012 attende il nuovo Presidente Usa quando, in assenza di mutamento di politiche, verranno a cadere esenzioni fiscali e programmi di spesa pubblica per un totale di 607 miliardi di dollari, riducendo drammaticamente del 4% del PIL (!!) il deficit pubblico (in realtà un po’ meno se si inserisce l’impatto negativo sul PIL che essa creerebbe). Un piano che metterebbe tecnicamente in recessione l’economia Usa nel primo semestre 2013.
Si chiede il CBO cosa succederebbe all’unione monetaria Usa dovesse il Congresso approvare invece una legge che mantenesse lo status quo, di fatto approvando una espansione fiscale fatta di tasse che rimangono basse e di spesa pubblica che rimane alta, lasciando il deficit lì dove sta oggi.
Oh, robetta. Il PIL USA crescerebbe nel 2013 invece che dello 0,5% atteso del 4,4%. Nulla di che, giusto? Solo circa 2 milioni di posti di lavoro attesi in più. Robetta, no?
Come calcolano questi effetti al CBO? Semplice, come si calcolano in tutto il mondo (oops, forse non in Europa?). Basta leggere quanto scrivono: 1 dollaro in più di spesa pubblica (attenzione, non qualsiasi spesa pubblica: acquisti di beni e servizi con appalti) genera tra 0,5 e 2,5 dollari in più di PIL (durante una recessione come quella attuale, con tante risorse inutilizzate, sostiene il CBO, è più probabile che gli effetti siano vicini ai livelli alti che non a quelli bassi). 1 dollaro di tasse in meno tra 0,16 ed 1 dollaro di Pil in più (a conferma, anche, di quanto diciamo sempre su questo blog, che se facciamo più spesa pubblica in questa recessione finanziandola con tasse l’effetto sul PIL è comunque positivo perché l’impatto positivo della spesa pubblica sovrasta quello economico negativo delle tasse).
Ora il CBO è però attento a far notare anche che, a loro avviso, il debito pubblico su PIL (rinunciando a ridurre il deficit) aumenterebbe e suggerisce dunque una strategia intermedia: non ridurre il deficit di quanto previsto dalla “scogliera fiscale” per non fare attraversare all’economia americana una recessione che fa male all’occupazione, ma nemmeno non lasciarlo andare “al massimo”, mantenendo una qualche stabilità del debito in rapporto al PIL. In questo scenario intermedio (dove le tasse aumentano e la spesa diminuisce ma non così tanto quanto previsto dalla scogliera) sarebbe “solo” del 2,1% la crescita PIL e i posti in più se si evita la stupida austerità “solo” 1,3 milioni.
E’ interessante la parte finale del rapporto CBO che raccomanda questa politica intermedia (mia traduzione): “una tale combinazione di politiche economiche userebbe la politica fiscale per sostenere la domanda di beni e servizi nel breve periodo, quando la disoccupazione è alta e molte fabbriche e molti uffici sottoutilizzati, ma imporrebbe disciplina fiscale per far ripartire la produzione dell’economia nel lungo periodo, quando PIL e occupazione saranno probabilmente vicini al loro potenziale. Tale approccio funzionerebbe al meglio se i cambiamenti di politiche future (di riduzione del debito, NdR) fossero sufficientemente specifici e ampiamente condivisi così da portare le famiglie, le imprese, i governi locali e i mercati finanziari a credere che la politica di futura restrizione fiscale avverrà realmente. Se questi cambiamenti fossero adottati rapidamente, ciò aiuterebbe il PIL e l’occupazione nei prossimi anni, riducendo i tassi d’interesse, l’incertezza e aumentando la fiducia di consumatori ed imprese … Sì, ci sono dilemmi nello scegliere quando cambiamenti di policy per ridurre i futuri deficit dovranno avere effetto, ma vi sono importanti benefici e pochi costi apparenti dal decidere subito quali saranno questi cambiamenti”.
Ecco, magari usassimo questo ovvio e normale linguaggio da unione monetaria per trovare il compromesso europeo: politiche fiscali espansive ora e subito, ma altrettanto subito ci si accordi su come ridurre tali aumenti di spesa pubblica appena l’economia europea è ripartita. Vale la pena provarci, così per gioco, per salvare quella robetta chiamata Europa: far diventare le brutte scogliere fiscali bellissime come le bianche scogliere di Dover.
08/08/2012 @ 05:43
Buongiorno Professore,
ero rimasto in debito con Lei sul tema, che comunque riguarda la spesa pubblica, dell’Università, della sua trasformazione da statale a cooperativa.
A dire il vero la trasformazione dovrebbe riguardare tutto il sistema scolastico, estremamente inefficiente e fonte anche di sperequazione.
Oggi come oggi l’università statale, i cui costi sono quasi completamente coperti dalla fiscalità generale, è un sistema in cui le tasse dei meno abbienti, che normalmente non mandano i figli all’università avendo bisogno di farli lavorare subito, finanziano gli studi dei figli delle classi più abbienti che invece mandano i figli all’università. Tutto ciò è profondamente ingiusto.
Partiamo quindi dalla scuola, dalle elementari ai licei.
Ogni singolo istituto, o gruppo di istituti se piccoli, dovrebbe essere completamente gestito dal consiglio di istituto eletto tra i genitori degli studenti e tra i residenti nella zona di influenza dell’istituto.
Lo Stato (o altra pubblica amministrazione) conserverebbe unicamente la proprietà dell’immobile e ne curerebbe la manutenzione.
Lo stato assegnerebbe ogni anno all’istituto dei fondi pari a quanto viene attualmente speso per ogni studente (mi sembra circa 7000 euro) che verebbero gestiti in totale autonomia dal consiglio di istituto per il pagamento degli stipendi agli insegnanti e al personale ATA e per ogni altra spesa inerente l’attività scolastica (viaggi di istruzione, materiale didattico, ecc.).
Insegnanti, qualificati eventualmente tramite apposito esame di Stato, un po’ come succede ad avvocati, ingegneri ed architetti, e ATA sarebbero dipendenti diretti dell’istituto. Il consigli avrebbe quindi la piena facoltà di selezionare gli insegnanti che ritiene migliori e mandare via i più incapaci.
Il controllo della gestione dell’istituto avverrebbe in due modi:
1. per quanto riguarda la didattica attraverso esami triennali svolti da professori esterni provenienti da sedi distanti almeno 300 km
2. per quanto riguarda la gestione economica attraverso l’invio periodico di un revisore dei conti (può anche essere un libero professionista, nuovamente proveniente da sede distante almeno 300 km incaricato appositamente)
Il consiglio avrebbe la facoltà di imporre agli iscritti una extra-tassa non superiore al 20 % del fondo di dotazione.
Poiché il consiglio ha piena facoltà nell’utilizzo dei fondi potrebbe sia decidere di utilizzarli completamente per l’attività didattica che cercare di realizzare un avanzo di gestione.
Con classi più numerose (io ho studiato benissimo in classi con 36 studenti, non vedo perché oggi le classi siano al massimo di una ventina di ragazzi) o attraverso la razionalizzazione degli orari potrebbe ridurre il numero degli insegnanti, i genitori potrebbero offrire volontariamente il loro tempo per provvedere alle pulizie e alla segreteria di istituto e così via.
L’ventuale avanzo di gestione andrebbe ripartito per una quota piccola, diciamo il 10-15 %, come bonus ai membri del consiglio, per un altro 10-15 % come residuo nella disponibilità dell’istituto per necessità future, per un 20 % restituito allo Stato (riduzione della spesa pubblica) e per il rimanente 50-60 % andrebbe a costituire un fondo per le borse di studio per gli studenti più meritevoli, il 10 % degli iscritti .
Ipotizzando un istituto con 200 studenti e un avanzo di gestione, secondo me possibilissimo e anzi probabilmente conservativo, pari al 10 % del fondo di dotazione, ogni istituto potrebbe accantonare per le borse di studio circa 70000 euro all’anno, 3500 euro per studente meritevole.
Uno studente che lungo tutto il corso degli studi risultasse tra i più meritevoli a fine ciclo scolastico si troverebbe ad avere disponibile per gli studi universitari oltre 40000 euro.
Veniamo ora all’Università.
E’ chiaro, per quanto detto finora, che le rette dovrebbero coprire quasi completamente il costo degli studi, sia che gli studenti (o per meglio dire i loro genitori) le paghino personalmente, sia che esse siano pagate per il tramite delle borse di studio accumulate con il meccanismo di cui sopra.
Un’altra fonte di finanziamento per gli atenei sarebbe la ricerca a pagamento svolta per conto delle aziende private. L’utile derivante da tali ricerche, oltre a finanziare la ricerca pura, coprirebbe anche parte dei costi generali mantenendo le rette entro valori accettabili; d’altra parte gli studenti lavorano gratuitamente ai progetti di ricerca!
Ogni ateneo, o meglio facoltà o guppo di facoltà) dovrebbe essere organizzato in forma di cooperativa di professori. Essendo questi normalmente non molto portati all’amministrazione, ovviamente dovrebbero assumere degli amministratori per la gestone quotidiana così come andrebbe assunto il personale per i servizi generali (pulizia, manutenzione, tecnici di laboratorio). Questo personale sarebbe appunto dipendente dell’ateneo e non dello Stato e quindi l’ateneo avrebbe piena facoltà di assumere tanto personale quanto necessario così come di mandare via lavativi e incapaci.
La partecipazione dei professori alla cooperativa non sarebbe a vita, ma per la durata dell’incarico stabilita al momento dell’ingresso. Ovviamente l’incarico sarebbe rinnovabile.
Starebbe quindi all’assemblea, plenaria o ristretta ma è un dettaglio di tipo organizzativo che ogni ateneo potrebbe risolvere per suo conto, dei soci della cooperativa (i professori) decidere se chiamare un nuovo socio, per quanto tempo e se confermarlo al termine dell’incarico.
Eventuali incarichi a vita potrebbero essere assegnati a professori eccezionalmente meritevoli (un Nobel per esempio) ma non potrebbero riguardare più del 10-20 % del totale del corpo docente e dovrebbe in ogni caso essere soggetta a meccanismi rigorosi con eventuale conferma tramite voto degli studenti.
E’ del tutto evidente che poiché gli studenti pagherebbero di tasca loro le rette, o utilizzerebbero la borsa di studio faticosamente accumulata nelle scuole inferiori, essi cercherebbero università con rette accessibili e una didattica valida. Si innescherebbe quindi un meccanismo competitivo tra i vari atenei, i quali essi stessi potrebbero offrire borse di studio o agevolazioni di pagamento a studenti brillanti, niente niente ci scappi un Nobel. I professori infatti guadagnerebbero in proporzione a quanti studenti frequentassero quella specifica università, alla retta da essi pagata e a quanto le aziende si rivolgessero a loro per lo svolgimento di progetti di ricerca.
Sarebbe inoltre nell’interesse degli atenei promuovere la raccolta di fondi nella comunità. In fondo soprattutto gli ex-studenti restano sempre legati alla loro alma mater soprattutto quando ne escono soddisfatti.
08/08/2012 @ 09:30
1. Perfettamente d’accordo sulla naturale funzione anticiclica delle politiche di bilancio pubblico. Per l’Italia, deve però rammentarsi che abbiano un risparmio pubblico-saldo attivo primario di bilancio, ormai da 20 anni
E ciò ha un’ovvia influenza su “private saving net” e capacità sistemica di investimento: in una logica di riduzione del deficit orientata sugli effetti e non sulle cause, il saldo primario è legato all’onere degli interessi sul debito, che a loro volta sono legati al permanere del vincolo valutario in varie forme ( apartire dallo SME).
2. Quindi abbiamo politiche che prescindono dal ciclo e comprimono la crescita da maastricht-Amato-svendita iri e compressione salariale in poi…al netto degli sprechi che assumono solo il ruolo di epifenomeni; ad es; negli anni 80 utilizzo massiccio di investimenti esentasse in bot da parte delle imprese in luogo di IR&S per rimpolpare i bilanci, prendendosi pure l’incentivazione pubblica senza effettuare reali investimenti (sono gli anni della “duna”): manovra avallata dallo Stato di allora- con la mitica “preghiera” di Goria di…non esagerare- e innescata dal divorzio tesoro-bankitalia con il conseguente decollo di interessi e debito pubblico.
http://www.soas.ac.uk/cdpr/expertise/worldmodel/file45187.pdf
Questa analisi, in linea con quella qui suggerita, ma con maggior attenzione ai meccanismi -valutari e di bdp- dell’economia reale che determinano i deficit pubblici, è riferita a 2 unioni monetarie (USA e UK, caratterizzate dall’essere formate da paesi con la stessa lingua, lo stesso fondamentale “diritto civile”, la stessa letteratura-cultura, religione “prevalente” inclusa, e specialmente, privi di soggettività di diritto internazionale da 500 anni -UK- o da “sempre”, USA, il che politicamente -cioè decisivamente- rende il paragone con l’UEM inattendibile).
3. Infine, inutile illudersi, per i tedeschi politiche espansive-reflattive, con annullamento del loro vantaggio competitivo da tassi di cambio reale, sono fuori questione: non le hanno MAI fatte e non le faranno certo in queste condizioni politiche di cui la loro stessa classe dirigente è prigioniera (e con una campagna mediatica talmente granitica e prolungata che sarebbe velleitario ignorarne l’effetto consolidato sull’opinione pubblica; v. l’interessante blog “vocidallagermania”)
08/08/2012 @ 13:14
Lei però sa benissimo che non faranno nulla di ciò che lei e il CBO suggeriscono nel post, vero?
Lo scopo è distruggere la classe media e i salariati per poi svendere il paese a due soldi; perché dovrebbero intraprendere delle politiche a favore del paese se loro NON sono del paese, se loro fanno parte di gruppi di interessi che NON hanno più alcun legame con le realtà nazionali?
Tra qualche mese, meno di un anno, ci sarà il redde rationem e se viene eletto Romney succederà tutto molto più velocemente. Scripta manent e avremo tutti modo di capire se si era mentito (questo certo non lei), omesso o banalmente chiacchierato in libertà (e questo potrei essere io, vedremo).
La gente sta cominciando a farsi la lista di nomi.