Tagliare la spesa. Il dibattito perenne e sempre mancato. Soprattutto: quante domande mancate!
Non è vero. Qualche domanda ce la facciamo. Domina in Italia il quando tagliare. Mai? A volte no, a volte si rimanda. Così, per vivacizzare la cosa. Prendete l’ultima manovra estiva 2010 tremontiana (art.8, comma 5), che indica un tetto agli acquisti di beni e servizi (consumi intermedi) delle Amministrazioni Centrali e Periferiche dello Stato per il 2012 e per il 2013 pari ad una riduzione rispettivamente del 3% e del 5% in riferimento ai due anni rispetto al valore storico dell’anno 2009. Perché mai, se si era deciso di tagliare, bisognasse tagliare dopo non era chiaro, ma sta di fatto che, giusto o sbagliato che fosse, tutto il dibattito si fermò lì.
In realtà si tentò anche di fare un’altra domanda, dato il taglio, di come tagliare tale spesa. Una domanda già più interessante. Ma senza risposta, o se vogliamo, con risposta disarmante: tagli orizzontali, cioè uguali su tutti i capitoli di bilancio, stessa proporzione. Compri bene? Compri male? Tutti tagliati uguale. Bello stimolo ad essere bravi.
Mai si cerca di introdurre una domanda chiave quale, dove comprare o dove tagliare la spesa. Per carità. Compri gelati? Compri ecotomografi? Non c’è differenza. Eppure si parla in tutto il mondo (compreso in Europa, dove la Commissione Europea ha appena terminato la nuova consultazione per modificare la Direttiva degli appalti in una direzione più aperta all’impatto industriale del procurement pubblico) di come il procurement pubblico (acquisto di beni, servizi, lavori da parte della Pubblica Amministrazione) possa sostenere, tra l’altro, l’innovazione tecnologica oppure la domanda e l’offerta di beni ad alto contenuto ecologico. Mentre in tutto il mondo la domanda pubblica fa nascere nuovi mercati ed è diventata strumento forte di politica industriale, noi ci condanniamo, per la mancanza di una cabina di regia nazionale e di voglia di costruire un settore pubblico migliore, a subire molto spesso una domanda pubblica non coordinata e spezzettata, perdendo opportunità di sinergie e risparmi.
Proibito è il dibattito apertissimo (fuori dall’Europa) di politica industriale del “da chi comprare” o da chi non comprare, essendo ben noto che mentre alle piccole imprese negli Stati Uniti è riservato come minimo il 23% della domanda pubblica (e un “ambasciatore” della piccola risiede presso ogni grande amministrazione pubblica, messo là dal Governo a controllare che le gare non siano di dimensione talmente grande da escludere senza grandi vantaggi le piccole aziende) in nome della futura partecipazione e concorrenza, in Europa proprio in nome della stessa concorrenza si dice (seriamente, senza vergognarsi neanche un po’ dell’assurdità di una tale affermazione) che piccole o grandi corrono alla pari, bastando che i bandi siano pubblicati per garantire tale uguaglianza di trattamento.
E non solo proibito ma tabù risulta fare la madre di tutte le domande, perché ridurre la spesa? Due qui sono le questioni a cui va data risposta. Perché ridurla e non migliorarla? Questa è una domanda strutturale a cui possiamo e dovremmo rispondere in ogni momento del ciclo economico, buono o cattivo che sia. Secondopoi, c’è la questione ciclica che attraversiamo. In tutto il mondo si nota che in un momento di crisi l’impatto della minore (maggiore) spesa è recessivo (espansivo), come sostiene lo stesso Fondo Monetario Internazionale. Uno studioso del calibro di Riccardo Fiorito scrive come La principale conclusione è che la componente discrezionale della spesa pubblica dovrebbe aumentare solo in periodo di recessione, purché essa sia insieme efficace e revocabile. Gli esempi in Italia vanno purtroppo nella direzione opposta. In materia, la mia analisi sui fatti stilizzati della spesa pubblica nei G7 mostra, comunque, che solo gli acquisti intermedi anticipano ovunque positivamente il PIL. Eppure, gli acquisti intermedi sono spesso considerati una forma di spreco solo perché sul piano politico sono meno costosi da tagliare rispetto alle altre spese.
In realtà, si dirà, il FMI sostiene che gli impatti espansivi della spesa sono minori qualora un Governo abbia una situazione di partenza di alto debito pubblico come da noi. Non mi è mai risultato chiaro quale sia il fattore che faccia ridurre la forza della spesa quando il debito è alto. Forse il fatto che la maggiore spesa segnala minore capacità di ripagare il debito e che dunque renda più cauti i consumatori nello spendere. Ho 2 obiezioni forti al riguardo. Primo, stiamo parlando di spesa in una recessione. Se questi programmi di spesa sono adottati in periodi di recessione la maggiore crescita che viene ad essere causata dalla spesa pubblica ha un impatto enorme su famiglie ed imprese vincolate dal credito: è difficile immaginare che queste non siano sollevate dal crescere del reddito più che preoccupate della futura maggiore tassazione. Secondo. Nulla osta che questi aumenti di spesa non siano finanziati da maggiore debito ma siano: a) finanziati da tassazione, senza scalfire il debito oppure b) finanziati da tagli di spesa pubblica proprio sugli (altri) acquisti, se con questa spesa che tagliamo intendiamo i trasferimenti impliciti negli sprechi negli appalti. Ambedue i meccanismi scatenano la domanda aggregata in una congiuntura in cui le imprese altrimenti non ricevono ordini, non producono, non occupano.
Ribadisco, ambedue. Ma ora lasciatemi approfondire il secondo canale di finanziamento della spesa chiamata domanda pubblica, cioè quello con un pari taglio di altre spese di apparente domanda pubblica di beni e servizi. Perché dico apparente sarà chiaro tra poco.
Immaginate di avere una amministrazione, una ASL, ASL 1, che compra 1 ecotomografo a 200.000 euro quando in realtà si dimostra che qualche altra ASL, la ASL 2, lo compra a 100.000 euro. Ora fate sì che siate in grado di avere questa informazione e possiate tagliare quella spesa di 200 a 100 mila euro. Cosa è successo alla spesa pubblica? E’ diminuita di 100 mila euro? Sì, ma comprate sempre due ecotomografi. La spesa nominale è cambiata ma quella reale, l’unica che conta per i cittadini, è rimasta uguale. Nessuna macelleria sociale, i 2 ecotomografi sono sempre lì. Cosa avete tagliato allora? Un mero trasferimento che andava dai contribuenti a imprenditori corrotti o che approfittano di amministratori incompetenti e che vendevano a 200.000 un ecotomografo che poteva essere comprato dalla ASL 1 a 100.000 euro. Quando tagliate un trasferimento di questo tipo non tagliate il PIL, lo ridistribuite semplicemente. In questo caso, tagliando lo spreco fate un mero ma importante trasferimento di un extra-profitto da un’impresa a …. a chi?
Avete liberato risorse per 100.000 euro che ora potete riutilizzare. Come? Tagliando le tasse o aumentando la spesa. E in una recessione la seconda cosa funziona molto meglio (le famiglie e le imprese in una recessione risparmiano, non domandano). Ecco dunque… 3 ecotomografi per voi.
E c’è di più. 3 economisti di grande valore hanno pubblicato sulla rivista scientifica internazionale di maggiore prestigio mondiale per noi economisti, l’American Economic Review, la loro analisi su 3 anni di acquisti pubblici di beni e servizi in italia. E hanno scoperto che gli sprechi ammontano a … 2% di PIL annuo.
2% di PIL. 2% di PIL: 2% di PIL! ma vi rendete conto. Mettetevi nei panni di un politico che si ritrovi con uno schiocco della dita in mano il 2% del PIL: sarebbe per sempre (o quasi) rieletto! Perché ora ha 30 miliardi di euro per … per abbassare le tasse o, meglio ancora in questa situazione di crisi, ricostruire carceri, scuole, strade, paesaggio, patrimonio culturale, asili nido, ecc. ecc…. Dando lavoro a tantissime piccole e grandi imprese inneschiamo il moltiplicatore della spesa che genera reddito, occupazione, PIL e dunque anche … stabilità del debito. To be continued.
20/12/2011 @ 15:43
Caro professore, le scrivo un pensiero che mi assale da tempo e che questo suo articolo mi ha trasmesso il coraggio di esprimere. Sottolineo che questa è una piccola riflessione da studente di economia alle prime armi quale sono.
Ogni sera mi ritrovo a sentire telegiornali, quotidiani o trasmissioni televisive che parlano in continuazione della crisi che stiamo attraversando e ognuno esprime la propria tesi per superarla nel migliore dei modi e purtroppo ogni comune cittadino che ovviamente non conosce le dinamiche economiche in senso stretto, ma solo quelle reali di tutti i giorni, non riesce a farsi un idea precisa della soluzione per navigare in questo mare in tempesta, date le diverse posizioni contrastanti. Mi meraviglio di ciò perchè le persone che espongono le loro tesi sono tutte al dentro della situazione politico-economica e dovrebbero essere coloro che ci tireranno fuori da questa crisi, ma sorprendentemente non riesco a trovare qualcuno che dia una soluzione univoca e che sia realmente in grado di trovare anche solo un’idea per ricominciare a crescere. Questo da cittadino italiano mi spaventa perchè non riesco proprio a capire come sia possibile che nessuno parli di spesa pubblica in Italia improduttiva; non so precisamente la grandezza di questo fenomeno, ma da varie inchieste e ricerche so che in Italia si sprecano una marea di risorse che i contribuenti trasferiscono allo Stato e che la politica dovrebbe ridistribuire in forma di servizi produttivi a tutti i cittadini (cosa che come già accennato non avviene). Non crede lei come me che bisognerebbe studiare se la spesa pubblica è o meno produttiva, allo scopo di non continuare ad aumentare la pressione fiscale, ma di fare una semplice rimodulazione della spesa pubblica corrente che garantisca servizi efficienti per tutti?
23/12/2011 @ 21:05
Il teorico spesso sfugge ai richiami della realtà. E colui che si immerge nella realtà spesso per conflitti d’interessi dimentica la teoria.
Non facile trovare una soluzione alla questione.
Ma certamente come dice lei è fondamentale discutere di COME e DOVE spendere.
06/07/2012 @ 09:54
Non volevo credere che in università italiana si potesero insegnare ancor acose come “Avete liberato risorse per 100.000 euro che ora potete riutilizzare. Come? Tagliando le tasse o aumentando la spesa. E in una recessione la seconda cosa funziona molto meglio (le famiglie e le imprese in una recessione risparmiano, non domandano).”
Il keynesismo alla Cirino-Pomicino è duro a morire
06/07/2012 @ 09:56
Forse a Piga varrebbe anche la pensa ricordare che a meno che le famiglie e le imprese accumulino denaro in casa, per foderare i materassi, quei risparmi finiscono in depositi bancari