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Come difendere la causa della spesa pubblica: istruzioni per l’uso

Marco Fortis finalmente sul Sole 24 ore arriva alle nostre conclusioni (di 1 anno di blog): l’Italia schiava del totem debito-PIL.

Analizza i dati debito-PIL come abbiamo fatto ieri sera in inglese. Il debito italiano cresce meno di quello dell’area euro e la maggiore crescita del rapporto debito-PIL è da legare alla nostra pessima performance di crescita economica del PIL. Applicassimo ai dati italiani la maggiore crescita del debito europeo e la maggiore crescita economica europea, il nostro debito su PIL calerebbe rispetto a quello odierno. Invece sale, sale sale. A causa dell’austerità.

E’ ancora timido Fortis, parla di “sforzi fiscali eccessivi” a cui non dovremmo essere costretti, invece di dire apertamente che è necessario essere fiscalmente espansivi, anche per ottenere conti pubblici migliori. E’ timidissimo Fortis a non avventurarsi a proporre aumenti di spesa pubblica ma mere diminuzioni di tasse, che come ormai ben sappiamo hanno un potenziale molto minore di far riprendere il PIL che non quelli che ha, a parità di sforzo di bilancio, la spesa via appalti.

Quanta timidezza sulla spesa pubblica in questo Paese.

C’è chi dice che tutta questa enfasi sulla spesa pubblica mi fa uno statalista. Strana definizione per uno che fino a 3 anni fa era considerato uno strenuo liberista di destra dai suoi colleghi ora strenui liberisti. ;-)

Se pare difficile giustificare l’essere statalisti per gestire il ciclo economico, ancora più complesso appare difendere la causa della spesa pubblica nel lungo periodo. Allora proverò a farlo.

Ecco la mia visione. Il bilancio dello stato è ricchissimo di risorse, 800 miliardi circa da una parte e dall’altra.

A sinistra, lato spese, ci sono gli usi dei soldi dei cittadini a favore di altri cittadini e delle imprese. Tutti i paesi hanno molti soldi da questo lato del bilancio. L’Italia ne ha molti su interessi e pensioni, molto meno sul resto. Quel resto impatta sul PIL in maniera diversissima a seconda della qualità della spesa. Un 80-100 miliardi sono sprecati. Vanno identificati. Ciò richiede competenze ed istituzioni all’altezza (altro che la spending review di questo Governo): e cioè investimento in risorse. Fatto ciò, ed è possibile farlo malgrado i corvi ed i pessimisti, si pone la questione di cosa fare con quei miliardi risparmiati. Ridurre le tasse? No. Dobbiamo spenderli, con le competenze acquisite, per rifare la nostra scuola. La nostra università. Proteggere e esaltare il nostro patrimonio culturale. Combattere la mafia. Migliorare le cure dei nostri ospedali. Senza queste spese il nostro settore privato non sarà mai competitivo con le imprese di altri Paesi che tutte questi “beni pubblici” a supporto hanno.

Poi c’è il lato destro. Le entrate, che uccidono tanti e tanti altri non toccano. Se la spesa deve rimanere intatta, lo scopo di una riforma da questo lato del bilancio deve preoccuparsi, mantenendo la somma totale costante, di ripartirla equamente. Come? Permettendo la deduzione delle spese effettuate, e cioè senza bisogno di ulteriori giganteschi controlli ispettivi che mai permetterebbero l’ottenimento di cifre pari a quelle recuperabili. Una riforma epocale, non a caso mai permessa dai passati Parlamenti, il carico fiscale sui tartassati crollerebbe. Anche qui corvi e pessimisti vi diranno che non è possibile. Chissà perché.

E il debito? Ah già, il debito. Irrilevante, come direbbe Bisin (lui in realtà lo diceva della disoccupazione di questa congiuntura drammatica) di fermareildeclino.

Perché irrilevante? Perché uno Stato migliore ed una pressione fiscale abbattuta genererebbero tanto di quel PIL da renderlo invisibile.

Ecco il mio progetto statalista. Al servizio delle imprese e del Paese.

20 comments

  1. Giacomo Gabbuti

    26/10/2012 @ 09:38

    “C’è chi dice che tutta questa enfasi sulla spesa pubblica mi fa uno statalista. Strana definizione per uno che fino a 3 anni fa era considerato uno strenuo liberista di destra dai suoi colleghi ora strenui liberisti.”

    Potremmo chiamarlo il “complesso di Pericle”, a conferma delle sue pericolose simpatie greche?

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  2. Ma Fini ieri da Santoro?
    “Krugman parla solo in teoria, perchè in Italia non si può fare altrimenti perchè abbiamo un debito pubblico altissimo che gli USA non hanno” Ah, ah, ah, ah!
    Qualcuno glielo deve spiegare come funziona una frazione e perchè “esiste” il moltiplicatore….Non Renzi che continuava a dire (glielo avevano detto in vista der dibattito e si era imparato a memoria solo quello) che in Italia è inutile spendere perchè c’è la corruzione e tutti i costi delle autostrade e alta velocità sono falsati…Non sapeva immaginare altro.
    Siamo seri: almeno Sinn, le spara grosse (target2 funzionerebbe come un sistema UEM di trasferimenti!), ma rigorosamente A FAVORE del suo paese.
    Il bello è che i tg a reti unificati continuano a dire che il problema è il debito e i giornali tutti che l’austerità sarebbero riforme strutturali: siccome i giornali sono in mano alla finanza e alla grande impresa, sua appendice, e le televisioni dipendono dalla politica (direttamente o indirettamente), non è che ci sia molto spazio per un’offerta politica diversa dall’attuale.
    Per questo si buttano sulla caccia ai batman e rubagalline vari (odiosi e ripugnanti ma “irrilevanti” in termini macroeconomici, salvo distinguere le varie posizioni stile Gavio che è un’altra cosa), nascondendo le dimensioni del disastro che i sobri (e i loro predecessori, a partire dai divorzisti da bankitalia) hanno accattato imperterriti e irresponsabili, per giustificare la nuova svendita di quel che rimane del patrimonio pubblico…

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  3. Professore, Lei non è statalista… è anti-ciclico, che è diverso ;)
    Lei afferma:”L’Italia ne ha molti su interessi…” … bene… ma se noi italiani, anzi il nostro governo stellare, la finisse di essere più realista del re ed iniziasse a fare così? http://www.economiaepolitica.it/index.php/primo-piano/leccezione-tedesca-nel-collocamento-dei-titoli-di-stato/ … Perchè va bene fare i compiti, ma se il primo della classe copia….hai voglia a prendere bei voti…

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  4. In questi tre giorni sono stato a Barcellona per un convengno. Mi è caduto l’occhio sul titolo di un quotidiano (forse El Mundo o El Pasi): i dipendenti pubblici hanno uno stipendio medio superiore del 32 % a quello dei dipendenti privati.
    Serve altro per spiegare la crisi?

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    • Fantastico. Ora El Pais è fonte di auctoritas e di deduzioni diagnostiche definitive.
      Fammi indovinare: la Spagna sarebbe in crisi per colpa del debito pubblico e per la spesa allegra sui pubblici dipendenti?
      Al momento dell’inizio della crisi 2008 la Spagna aveva all’incirca pareggio di bilancio e debito\PIL al 34%. E dopo la crisi (determinata dall’indebitamento privato-estero, ma che te lo dico a fa?) ha licenziato migliaia di dipendenti pubblici.
      Ma poi, come fai a paragonare i “livelli” del pubblico e del privato in modo che siano termini omogenei per comparare le differenze? E’ un’operazione economicamente e giuridicamente molto opinabile, a parte, appunto, l’irrilevanza sul problema congiunturale spagnolo.
      Quanto all’Italia, è in corso il più forte intervento di deflazione salariale (che è quella che conta per contenere l’inflazione all’interno di un’AVO) sul “pubblico impiego” dai tempi della parità a “90″ (convertibilità in oro) del 1927. Ovviamente non ci credi, ma i servo subito (notare che la deflazione salariale, cioè crescita inferiore all’inflazione e prolungata è in atto dal 2007 e ora è in atto “anche” la diminuzione nominale, misurata nel 2,5% di qui al 2015…senza parlare dei tagli in organico di diritto ed effettivi in corso dagli anni 90 per i vari “blocchi del turn over”).
      http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sezioni_riunite/sezioni_riunite_in_sede_di_controllo/2012/delibera_13_2012_contr_cl.pdf

      Ma che te lo ri-dico a fà’? L’esistenza di un saldo primario dei conti pubblici ha un preciso significato macroeconomico (riflesso sul livello degli investimenti pubblici e sul risparmio privato e quindi sugli investimenti privati). Quale?
      Credo sia inutile parlarne, visto che su questo blog la cosa viene illustrata da taaanto tempo e che continuare a parlare della p.a. sempre e solo in termini di eccesso di spesa per il personale (dato ormai contraddetto da 5 anni di manovre che la contraggono, innescando peraltro il moltiplicatore negativo sul PIL), è frutto di una “non lettura” dello stesso blog

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      • E questo tanto per capire come in Spagna (e in tutta l’UE) in termini causali della crisi il debito pubblico non c’entri una mazza.
        http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-10-11/giusto-giudicare-paese-solo-115806.shtml?grafici&uuid=AbCV5grG
        Tra l’altro sono i dati aggiornati al 2012 (quando i debiti pubblici sono lievitati proprio per far carico allo Stato dei debiti privati: insomma, gli squilibri commerciali in un’AVO sono prevedibili e scontati, e non ci si può risvegliare solo per mettere in mezzo i cittadini e la spesa pubblica come “colpevoli” facendo il gioco dei creditori interessati a gonfiare le bolle private per sostenere il proprio export e i propri profitti finanziari fidando dei tassi reali più vantaggiosi ricavabili nei paesi in deficit…ma per capirlo bisogna “pensare” e fare un pò di fatica a “studiare”)

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      • L’eerore che si commette è, a mio avviso, considerare la spesa pubblica tutta indistintamente come ricchezza prodotta dal paese, come PIL.
        Faccio un esempio banale e paradossale ma giusto per spiegare il senso.
        Prendiamo ad esempio lo stipendio di un tecnico comunale. Esso è spesa pubblica. Ma il lavoro che egli fa è assolutamente indipendente dallo stipendio che riceve. Può sbrigare 10 pratiche al giorno sia che venga pagato, per assurdo, 700 euro al mese che se venga 40000 euro al mese. La ricchezza che egli produce sta nelle pratiche che sbriga, non nello stipendio che riceve. Certo, magari a 700 euro al mese avrà poca fantasia di farlo, ma è un problema che non ha attinenza alla ricchezza prodotta.
        Mettiamo ora che questo tizio inizialmente guadagni 700 euro al mese. Certamente si dovrà accontentare di vivere con poco, ma altri cittadini che tramite le loro tasse pagano lo stipendio di quella persona hanno di più in tasca.
        A un certo punto si decide che 700 euro al mese sono in effetti molto pochi e che quello stipendio vada alzato. Per poterlo fare si dovranno alzare le tasse alle altre persone, ovvero quelle persone, nella ripartizione delle ricchezze prodotte, dovranno cedere un po’ di più di quanto da loro prodotto in cambio delle 10 pratiche al giorno.
        Fintanto che l’aumento di stipendio che questo riceve rimane nella ragionevolezza, nessun problema.
        Cosa succede però se a questa persona viene concesso uno stipendio di 40000 euro al mese?
        Avrà sicuramente molti soldi da spendere per beni di consumo (automobili, vacanze, vestiti). difficilmente, visto che un lavoro ce l’ha, utilizzerà quei soldi per un investimento produttivo.
        Dall’altra parte vi sono invece altri cittadini che, dovendo pagare più tasse, molto probabilmente taglieranno prima un pochino i consumi, quindi a bilancio zero con l’aumento dei consumi dell’impiegato comunale, ma poi inizieranno a tagliare gli investimenti. Insomma magari il contadino non scaverà il nuovo canale di irrigazione e dopo qualche anno il suo campo inaridirà facendo sì che non produca più alcun reddito da cui derivano tasse per pagare lo stipendio del funzionario pubblico.
        Pertanto un conto è che lo Stato prelevi tasse per fare investimenti (ad esempio scavarlo lui il canale se il contadino si impigrisce), altro è se preleva troppe tasse al fine di pagare dipendenti che poi aumentano i loro consumi a discapito dei consumi degli altri (bilancio zero) o degli investimenti.
        Da questo meccanismo nasce la crisi. E lostesso, ovviamente, vale anche quando si fanno operazioni di salvataggio nei confronti delle banche, ma la mentalità che vi è dietro è sempre la stessa.

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        • Allora. è un’ottima lezione, identica a quelle che insegno al primo anno, non fa una grinza. E spiega benissimo il ruolo della P.A. nell’allocazione delle risorse e nella generazione di benessere (o malessere): spiega cioè perfettamente la (de)crescita potenziale di un Paese. E la crisi dei 12 anni di PIL italiano, in media negativo, secondo me è dovuto a un settore pubblico che non funziona, con buona pace della riforma dei taxi, della Prof.ssa Fornero, delle liberalizzazioni finte che abbiamo avuto da questo Governo. E ci indica la via della riforma: lavorare non per meno Stato (fermareildeclino) ma per un migliore stato, molto migliore. tempo di realizzazione? Con un governo che sa cosa fare, 10 anni.
          Ovviamente quello che lei dice non ha nulla a che vedere col decisivo breve periodo dell’Europa che non può aspettare di veder finire invano: e cioè con la politica anti ciclica, su cui lei non dice nulla.
          Ma la crisi attuale è la somma di una crisi ciclica su di una crisi strutturale: una malattia infettiva su un corpo debole. Lei cosa farebbe? Farebbe fare ginnastica ricostituente o debellerebbe prima l’infezione?

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          • Buonasera Professore,
            sono d’accordo con Lei, occorrono anche e soprattutto misure di emergenza.
            Le ho gia scitto in altra occasione una mia idea e mi pare di ricordare che Lei la ritenne valida.
            Forse la cosa richiederebbe una legge costituzionale ma in 6 mesi si può fare.
            Operei un taglio per il 10-15 % dell’ammontare totale delle pesnioni oggi erogate (quindi si tratterebbe dell’1,5-2 % di PIL) riducendo con meccanismo da valutare quelle superiori a una certa cifra (1500, 200, 2500?).
            Metà del risparmio dovrebbe andare a riduzione del deficit, con ovvi vantaggi a breve scadenza anche sulla riduzione degli interessi e quindi della possibilità di aumentare la spesa utile e di ridurre le tasse.
            L’altra metà andrebbe destinata alla riduzione del cuneo fiscale tramite una riduzione dei contributi a carico di aziende e lavoratori. Le aziende sarebbero più competitive e i lavoratori avrebbero più soldi da spendere con vantaggi sia per i consumi che per l’export e quindi con un rapido ritorno di entrate fiscali.
            L’altra cosa che fare con effetto immediato sarebbe l’introduzione dei costi standard per la sanità.

        • No guarda: questa crisi non nasce affatto da questo meccanismo.
          Se non vuoi capire come è sorta stai messo male: la crisi sarebbe aggravata e di molto se tu portassi gli stipendi di tutti i dipendenti comunali al lvello che tu, con metodo pseuso-analitico e per osservazione deduttiva personalissima, riterresti “giusto”.
          Peraltro, anche se fossi in un’azienda privata mi piacerebbe sapere se useresti lo stesso metodo per fissare i livelli retributivi.
          Ti accorgeresti che non c’è un livello “giusto”, cioè aggiustabile a posteriori a seconda dell’andamento dei costi-ricavi, dipendendo piuttosto dall’andamento dell’attività economica settoriale e ANCHE generale, e dalle sue prospettive di offerta…la quale, però, dipende dalla domanda (e dalle condizioni concorrenziali extra-costo del lavoro) e non viceversa.
          A meno che non riesci a dimostrare che la legge di Say sia ancora valida, cosa che, chissà perchè, nessun economista contemporaneo sostiene: economista, non politico pseudo-tecnico (nessuno taglia all’infinito i costi del personale, anche se è il sogno del vetero capitalismo luddista dell’800, perchè innesca comunque il fallimento e\o la rivolta sociale, quando vengono meno la condizoni di convivenza a cui l’attività d’impresa è funzionale non essendo il “fine” della società, nemmeno nelle visioni di Smith).
          E questo perchè la causa dei conti che non tornano non è mai lì, e l’”eccesso” (“sopravvenuto”) di costi del lavoro è SEMPRE la conseguenza di queste altre cause.
          Non solo: ma il fenomeno da te descritto proprio non esiste in natura.
          Non hai chiaro il meccanismo di formazione del risparmio e la sua elasticità di conversione in investimenti, che non hanno nessuna relazione con il tipo di attività che da luogo al risparmio stesso (influiscono molto di più i tassi di cambio reale e le politiche delle BC in liberalizzazione dei capitali), descrivendo tu un diverso fenomeno di autofinanziamento: e attenzione! questo è a sua volta impedito, nella congiuntura attuale, da condizioni creditizie, monetarie e valutarie che nulla hanno a che vedere col costo del lavoro, che ne è semmai la “vittima”.

          Nessuna descrizione del genere consentirebbe di passare l’esame di scienza e politica delle finanze.
          Sei ossessionato dall’idea che le tasse non abbiano corrispettività in termini di utilità collettive indivisibili, che sono indispensabili per l’esistenza stessa della comunità statale, anche e proprio nella sua libertà di iniziativa economica (difettosa corrispettività che può essere, sempre, solo in parte vera: ma attualmente in Italia ha cause del tutto diverse dall’eccesso di spesa per stipendi); credi che ogni attività pubblica sia perciò in sè inutile e idonea solo a giustificare lo stipendio di chi viene così a gravare sugli altri.
          Ma se compari i costi delle attività pubbliche italiane con quelle francesi e tedesche ti accorgerai che sono normalmente più bassi (nel caso della Francia notevolmente e per la germania lo sono in assoluto da sempre): solo la caduta del PIL attuale ne segnala, per gli anni 2007-2009, un “rapporto” % crescente, ma sempre al di sotto dei valori assoluti e percentuali di questi paesi; per non parlare dei flussi di attività, quantitativamente superiori in Italia, data la strutturale maggior costosità del…territorio italiano; ma qui andiamo allo studio dei fattori della produzione sistemici.
          Ma non confondere alcune distorsioni (ad arte dilatate nella visibilità mediatica), determinate dalla violazione di principi legali, con la loro capacità di descrivere il fenomeno che affronti.

          I tecnici comunali hanno in effetti un difetto: di essere “comunali” e quindi di radicare un’attività di controllo tecnico-dscrezionale troppo vicino alla pressione localistica. Dovrebbero essere tecnici di agenzie-uffici periferici decentrati dell’autorità statale (criticità peraltro comune a tutti i paesi UE, improntati alla “sussidiarietà). Ma comunque rimangono sempre pochi e oberati di compiti complessi e quantitativamente eccedenti le possibilità “razionali” degli organici di tali uffici locali.

          Ma questi sono discorsi che presuppongono riflessioni del tutto diverse da una ricostruzione della dinamica economica delle funzioni statali che neppure uno studioso del 500 avrebbe compiuto con tale impostazione.

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          • Non sono economista, ma ingegnere. Sono dipendente del settore privato. I miei genitori erano dipendenti pubblici, lo è mio fratello, lo è mia cognata, lo è la mia ex moglie, lo sono stati 5-6 miei zie e zie e altri parenti vari. Diciamo quindi che del settore pubblico ho un’abbondante e sperienza indiretta.
            Non posso rispondere, per mancanza di competenza specifica, a tutte le varie osservazioni.
            Su quello che è lo “stipendio giusto” per un dipendente pubblico dico solo che esso deve essere inferiore, a parita di qualifica e mansioni, di un 10-15 %, forse anche 20 %, rispetto all’equivalente dipendente privato, come peraltro era quando i miei genitori erano giovani.
            Quello è il valore della sicurezza del posto di lavoro garantita nel settore pubblico rispetto al settore privato. Mai e poi mai potrà però essere superiore.

  5. GIà: è se non riesci a individuarla la parità di qualifica e di mansioni?
    Magari perchè le mansioni di un dipendente privato sono NECESSARIAMENTE più complesse di quelle di un equivalente professionalità di un’azienda privata, che svolge un’attività più rischiosa ma di gran lunga più semplice?
    Ma poi se anche la sicurezza del posto viene meno (come in effetti si sta verificando, sia per via dei contratti a termine sia per via dell’introduzione di norme su licenziamenti e riduzioni organici mentre i “livorosi” si accalorano su quello che è un falso obiettivo di uscita dalla crisi)’?
    Ma poi, perchè non ti studi con un pò di curiosità i meccanismi che hanno innescato la crisi specifica italiana?
    Basta cercare, di studi seri ce ne sono e, pensa, risalgono a ben prima dell’attuale crisi.
    Siccome sei un ingegnere (come mio padre, mio nonno, il mio bisnonno, mio fratello e vari cugini), non dovresti avere difficoltà a capire certi meccanismi.
    Se ti interessa:
    1. The Balance-of-Payments Problems of a European Free-Trade Area- Author(s): J. E. Meade, Reviewed work(s): Source: The Economic Journal, Vol. 67, No. 267 (Sep., 1957), pp. 379-396
    (qui si vede come si pagano errori grossolani nel configurare una moneta unica in assenza di presupposti, convergenze economiche e istituzioni indispensabili che devono precedere la moneta stessa);

    2. Modelli di crescita limitata dalla bilancia dei pagamenti: storia e panoramica
    ANTHONY P. THIRLWALL Moneta e Credito, vol. 64 n. 255 (2011), 319-367

    3. la conoscenza di questi prodromici studi consente anche di apprezzare molto meglio lo studio della corte dei conti che ti ho linkato in una precedente risposta (e che ti assicuro è molto interessante);

    4. Infine sulla “efficienza” generale della p.a.: concordo col prof.Piga che è un problema strutturale d risolvere e non causativo dell’attuale crisi, ma dissento sul fatto che le medesime attuali ragioni della crisi non abbiano influito anche sul livello degli investimenti pubblici, anche sull’organizzazione (cosa attestata dalla presenza di un forte saldo primario da circa 20 anni) e che quindi siano estranei alla c.d. inefficienza, mentre ancor più la stagnazione del PIL degli ultimi anni è certamente dovuta agli stessi fattori monetari e di squilibrio dei tassi di cambio reale e quindi commerciali che sono stati “accelerati”, secondo un ben noto ciclo di crisi, dalla crisi “esogenza” dei sub-prime

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    • Il problema è che tutti la pensano come Vincenzo. Ieri stavo a Parigi e un tassista mi dice che nous les italiens adesso ci compreremo tutta la Francia.
      Scusi?
      Avete fatto le riforme e adesso vi sistemerete benissimo in breve tempo.
      Gli faccio presente che proprio a causa delle riforme imposte in periodo di crisi il rapporto debito PIL in Italia è addirittura peggiorato e lui mi dice che non è quello il problema ma lo stipendio dei dipendenti pubblici e mi fa lo stesso discorso di Vincenzo, pari pari (era un ingegnere in incognito evidentemente).

      Avere le idee chiare non serve a niente se non a consolarsi pensando di avere ragione; il punto chiave è come svegliare la gente, come riuscire a ridare la voglia di partecipazione e ci vuole ben altro che delle raffinate analisi per quello. Qualcuno ne parlerà mai? Per adesso nessuno né qui né altrove.

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    • La questione della bilancia dei pagamenti la conosco e concordo con il fatto che sia stata la miccia di innesco della crisi.
      Ma allora c’è da chiedersi: chi ha messo la miccia? Perché mai diavolo dobbiamo avere una bilancia dei pagamenti in negativo?
      La risposta è: una scarsa competitività.
      Sappiamo tutti benissimo che:
      1) gli stipendi netti sono bassi mentre i lordi pagati dalle imprese sono alti, ergo la differenza va in tasse e contributi, cioè va a finire in spesa pubblica
      2) La giustizia, specie quella civile, è inefficiente
      3) La dotazione in infrastruttura è carente, non solo quando parliamo di grandi opere ma anche di piccole. I Comuni e le Regioni, per esempio, spendono spesso in operazioni clientelari, vedasi i famosi forestali o gli spalatori di neve in Sicilia, piuttosto che magari nel sistemare la viabilità
      4) Per iniziare una qualsiasi attività occorre un giro dell’oca di autorizzazioni spesso del tutto inutili. Una piccola tintoria, per esempio, deve ottemperare quasi agli stessi adempimenti del petrolchimico di Marghera per lo smaltimento dei rifiuti. Aprire un piccolo bar (mi è capitato di sentirlo qualche sere fa alla radio) richiede 6 mesi. Cosa sono tutte queste procedure burocratiche se non un modo di giustificare attività che non hanno senso?

      Faccio una domanda: esiste una particolare ragione per cui i bidelli delle scuole non possano anche fare le pulizie, cosa che peraltro hanno sempre fatto, e invece tale servizio vada appaltato all’esterno?

      Non so poi come fai ad affermare che le mansioni di un dipendente pubblico siano necessariamente più complesse di quelle di un dipendente privato. Secondo te il responsabile di una struttura vendita di una ditta che fa semplicemente distribuzione di bibite svolge una mansione semplice visto che se sbaglia qualcosa manda a pallino l’intera azienda? E che ciò gli costa il lavoro e lo costa pure a tutti coloro che riportano a lui?
      Hai mai provato a metterti di fronte a un cliente che c’ha le paturnie ed essere costretto a sopportarle diplomaticamente e a non fartele a tua volta venire perché altrimenti esci dalla riunione che hai perso il fatturato di un anno?
      Vai invece alle poste: se è l’impiegato allo sportello che c’ha le paturnie tu, che con le tue tasse gli paghi lo stipendio, sei cotretto a sopportarti le sue. E se a tua volta te le fai venire, quello magari chiama i carabinieri che, di default, danno torto a te. Non ti sembra un po’ sbilanciata la cosa?

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      • La tua posizione era chiarissima. Ma i fenomeni che descrivi non sono “cause”: sono a valle nella concatenazione delle “cause” macroeconomiche.
        Se tu avessi considerato anche solo per un attimo di leggerti Thirlwall e Meade (mica pizza e fichi) forse di faresti delle domande e arriveresti a delle conclusioni diverse.
        Tra l’altro la maggior parte dei problemi che indichi, oltre a essere effetti o al più corollari, e neanche i più decisivi, sono in buona parte comuni anche ad altri paesi che “non” hanno i nostri problemi. Oppure “non” sono presenti in paesi che ne hanno peggiori dei nostri.
        E comunque l’Italia ha una specificità che gli ha consentito di bilanciare alcune caratteristiche negative con altre positive che oggi si vuole disconoscere interamente, facendoci sentire collettivamente in colpa (non singolarmente, dato che, come tu comprovi, ogni individuo definisce l’italiano-tipo da colpevolizzare).
        E’ la famosa logica dei 60 milioni di ct della nazionale e, per un condizionamento costante e capillare dei media, recepito a livello “riflesso”, ogni italiano tende ad attribuire in vario modo le colpe ad altre categorie di “italiani”, generandosi la credenza di falsi meccanismi causa-effetto e facendo così il gioco di chi può nascondere più facilmente il gioco al massacro che ci coinvolge tutti.
        Ma poichè parte fondamentale di questa mentalità italiana è il credere di “sapere”(già), rinunciando a “cercare di capire” (come se fosse un’ammissione di inferiorità, mentre è un punto di forza per qualsiasi essere umano), dubito che servirebbe a qualcosa sperare che tu possa arrivare a informarti (la “questione” della bilancia dei pagamenti non è così scontata come affermi, altrimenti l’avresti collegata alle serie storiche e alle “scelte” monetarie assurde compiute negli ultimi 30 anni a cominciare dallo SME e dal divorzio tesoro-BCE: e il significato reale di ciò non è così intuitivo come gli slogan mediatici di 30 anni lascerebbero supporre…

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      • “…la Germania si era ben preparata a vincere la battaglia dei mercati dell’UME attraverso una decisa riforma del mercato del lavoro sotto il governatorato Schroeder, la quale aveva impresso un deciso orientamento moderato alla dinamica dei salari e dei consumi interni…” e ancora “…Insomma se ci sono cambi fissi, come nel sistema di Bretton Woods, l’importante è tenere l’inflazione un po’ più bassa dei concorrenti per sostenere le proprie esportazioni, pur continuando a godere di un cambio forte…” tratto da qui http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/03/10/sergio-cesaratto-la-germania-e-l%E2%80%99italia-che-vorremmo-e-quelle-che-abbiamo/ . Questo per rispondere al primo e ben importante quesito “chi ha messo la miccia” (che poi spiega bene anche tutto il resto). Q

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        • Lo so Flavio, ma per questo gli avevo suggerito di leggersi Meade prima di partire in quarta a ripetere le stesse convinzioni prive di fondamento economico (basti dire che paragona un “preposto” a una struttura di distribuzione privata, cioè una struttura complessa e con autonomia di gestione seppure delimitata, con uno sportellista delle poste (che ha un livello simile a un magazziniere o a un operatore contabile esecutivo), sportellista che non è affatto pagato con le “sue” tasse, visto che è il dipendente di una spa che fa utili

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          • Ma poi: “gli stipendi netti sono bassi mentre i lordi pagati dalle imprese sono alti, ergo la differenza va in tasse e contributi, cioè va a finire in spesa pubblica”… qui la “differenza” fra stipendio netto e lordo viene identifica come G (consumo pubblico aka spesa), mentre in realtà è T (entrate pubbliche). T-G solitamente quantifica il “saldo pubblico”. Quindi in teoria e da quanto so, la differenza fra netto e lordo non è affatto G, ma T. Queste sono tasse, non spesa. Sono una “sottrazione” al reddito (produzione) “nazionale” (Y), per cui se ci sottraiamo le tasse= Y-T=Yd “reddito disponibile” (da cui si sottraggono poi i consumi “privati” per avere il “risparmio privato”). Allora già da qui il misunderstanding è grande. In merito alla competitività basterebbe solamente dire che se – come in Uem si insiste stoltamente a perseguire – si continua a togliere reddito e ad erodere risparmi, tagliando quindi ulteriore domanda (sia privata, sia pubblica) alle imprese, non vedo come esse possano in qualche modo poi pensare di aumentare le proprie quote di investimento o l’occupazione (la “competitività” detta anche produttività quindi) in una fase in cui i dati parlano di un netto, drastico e preoccupante calo dei consumi e con delle previsioni di crescita negative o prossime allo zero…cioè in parole povere zero vendite…o dobbiamo sempre ritornare all’ambiguo “l’offerta crea la propria domanda”?!?! Tanto cara al venditore di limonate nel Sahara…

  6. Caro Marco,
    il prof. Piga, ad esempio, scrive un blog, fa la sua attività di incontri per confrontarsi sulle sue analisi e propone un “movimento” che prende una certa posizione sulla politica economica.
    Sabato c’è stata una manifestazione contro il fiscal compact che raccoglieva varie istanze e visioni.
    Vari blog hanno aderito e invitato la gente a parteciparvi.
    Sicuramente ci sono che persone che discutono su come “aprire gli occhi” a molta più gente. Lo immagino in base alle testimonianze espresse in rete.

    Come vorresti fare per aggregarle (le comunità, spesso sovrapposte, di vari blog) e garantire che ci sia un sufficiente “consenso” sulla visione fondamentale da divulgare?
    E cosa proporresti di diverso e\o ulteriore in termini di prassi informativa? E a chi? E raggiungendolo in che modo?
    E, in definitiva poi, sulla base di quale specifico contenuto di comunicazione?
    Te lo chiedo perchè sono veramente interessato a saperlo

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    • Luca, il professore a mio avviso ha “potenzialmente” il miglior blog in circolazione anche perché alcune cose dette da lui che non è proprio di sinistra estrema acquistano un significato e una forza molto importanti; ci sono delle cose che per ora non riesco a capire ma è vero che si sta dando da fare benissimo e probabilmente ci saranno degli sviluppi anche sui punti per me fondamentali sui quali per il momento mi sembra che si tenda a glissare.

      Detto questo io non ho “soluzioni” per il problema di cui mi hai chiesto ma ho delle idee che forse (forse) confrontate con altre certamente migliori potrebbero contribuire a dare corpo a un discorso che mi sembra stenti a evolversi in termini di visione comune e diffusione nella real life. Sicuramente però voglio far presente che il contributo di quelli come me che non hanno competenze specifiche ma che si informano e sono disposti a collaborare in qualche modo è indispensabile se non altro per fare quella massa critica senza la quale si resta sempre sul piano delle buone intenzioni; e quindi senza ingombrare il blog scrivimi all’email che ti possono dare qui o lì, è uguale.

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