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La casa europea

Dal mio collega Stefano Caiazza ricevo e volentieri pubblico

Standard & Poor’s (S&P) ha declassato l’Italia di due notches, assegnando al nostro Paese il rating BBB con outlook positivo, unitamente a quello di altri otto paesi Europei.

Il commento pubblico forse più critico è stato quello di Christian Noyer, governatore della Banca di Francia, che ha dichiarato: «Le agenzie di rating hanno alimentato la crisi nel 2008, e viene da chiedersi se non stiano facendo la stessa cosa in questo momento», evocando una teoria del complotto che ad oggi appare priva di fondamento.

Intanto osserviamo che per lungo tempo le agenzie di rating sono state criticate, anche pesantemente a livello ufficiale per essersi mosse in ritardo rispetto agli eventi (si leggano i comunicati del Financial Stability Board, chiarman Mario Draghi o i risultati della Commissione Lamfalussy sulla crisi dei subprime in Europa) . Pochi mesi fa la stessa agenzia aveva declassato, anche lì tra le politiche, niente di meno che il debito pubblico degli Stati Uniti. Ora, sbagliando o meno, S&P ritiene che il rischio di default del nostro paese sia aumentato. Questo risultato è compatibile con gli spread osservati nei giorni passati, ossia il differenziale di rendimenti dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi a parità di maturity. Spread che il Governo Monti non sapeva, almeno ufficialmente, spiegarsi visto che i conti pubblici erano stati rimessi in ordine.

In realtà come ha pubblicamente motivato S&P, il declassamento deriva dalle preoccupazioni riguardanti la crescita del Paese. Preoccupazioni che sono state più volte espresse da molti ecnomisti. Il prof. Gustavo Piga ha sostenuto in più occasioni non solo la necessità di politiche rivolte alla crescita, ma concretamente ha anche proposto di re-investire parte delle maggiori entrate diquesta ultima manovra in spesa pubblica di qualità indirizzata a sostenere la domanda aggregata verso i settori a più alto impatto moltiplicativo del Pil. Le sole, eventuali, liberalizzazioni, non sono infatti sufficienti poiché daranno piccoli contributi alla crescita e solo nel lungo periodo. Non che le liberalizzazioni non siano necessarie ma non sono la cura, oggi, per la crescita che manca dal nostro paese da oltre un decennio.

E la crescita manca perché l’Italia ha rinunciato ad affermare le sue idee e si è accodata, come altri paesi, alla posizione tedesca del rigore. L’idea portante che impernia i Trattati Europei, la Banca Centrale Europei, l’azione della Commissione Europea (Patto di Stabilità e Crescita) è quella del rigore dei conti pubblici temendo che un alto deficit e debito pubblico pongano un vincolo all’azione della BCE nella lotta titanica contro l’inflazione, considerata dai tedeschi fondamentale, e a ragione dal loro punto di vista considerando l’iperinflazione che hanno sperimentato nel 1923.

Eppure è dalla sua nascita che l’Europa non cresce. Certo, anche per problemi mondiali (nel 2000 si è conclusa l’onda lunga della crescita del Pil statunitense), ma non si possono tacere le scelte interne compiute del’Europa.

E veniamo all’ultima osservazione. Non sono stati declassati tutti i paesi Europei, ma alcuni paesi appartenenti tutti all’area Euro (Francia, Austria, Spagna, Portogallo). Segno chiaro di una crisi di fiducia sull’euro ma anche segno che la politica economica imposta dai tedeschi e avallata nel caso della Grecia dal FMI è un problema, anzi a nostro avviso, il problema. Perché il vestito che vuole imporre la Germania agli altri Paesi è un abito costruito a misura per quel Paese ma stà stretto, molto stretto agli altri Paesi. Non si può imporre un modello che, prima di essere economico, è culturale e sociale ed si è stratificato nel tempo. Altrimenti gli altri Paesi tentando di indossare quell’abito, soffrono. E i mercati, le agenzia di rating, puniscono questi connubi innaturali. Sofferenza che si traduce in manovre finanziarie impegnative pagate dai contribuenti nazionali e “bruciate” in pochi giorni dai mercati. L’avanzo primario generato dai sacrifici economici viene, anche questo, “bruciato”, mangiato, dal maggior costo degli interessi che lo Stato deve pagare. Il Paese rischia di avviarsi verso manovre sempre più frequenti, sempre più costose socialmente, sempre più recessive, che lo avviano in una spirale non più controllabile.

La casa europea è stata costruita con fatica, e in modo discontinuo, alla metà del secolo scorso.

Questa casa sta bruciando e rischia di crollare. Evitiamo che ideologie economiche e culturali distruggano questa unione.

A meno di non voler pensare che, all’interno di questa casa comune, si stai combattendo una guerra, di tipo economico, in cui il paese più forte sta conquistando quelli più deboli.

4 comments

  1. Prof.Piga utilizzo questo post per farle una domanda da colui che ignora le implicazioni di quanto sto per dire, ovvero: attribuire alla Banca d’Italia, nel nostro caso, il ruolo di prestatore di ultima istanza è un’ipotesi impensabile?Abbiamo perso il cambio variabile perchè perdere allora anche l’autonomia della politica economica? Insomma, contenere l’inflazione ( giustificata ) e chiedere anche di sostenere la crescita è un’ipotesi difficile da sostenere. Cosa ne pensa? L’unica cosa che mi vien da dire da appassionato di economia è che abbiam bisogno di scelte ortodosse, almeno quanto quelle proposte da Keynes.

    Ricordandoci che non siamo agenti razionali, quanto piuttosto esseri guidati dai loro “animal spirits”.

    Grazie Prof.

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    • Neh la Banca d’Italia fa parte del sistema di banche centrali europee, quindi rivolgiamo la sua domanda alla BCE. Io credo ce la BCE stia facendo molto (può fare di più!) ed il fatto che poco si sblocchi nell’economia (anche se le cose senza la BCE potebbero andare ancora peggio) ha a che vedere con una “trappola della liquidità” che può essere risolta solo dalla politica fiscale espansiva. Non debito, spesa pubblica.

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  2. Giacomo Gabbuti

    18/01/2012 @ 22:58

    Francesco Piccioni, sul manifesto di oggi, la pone da questo punto di vista: fino a ieri eravamo solo noi, dal banco degli imputati, a criticare S&P e Co. Ora che, di fatto, sono le uniche a mettere nero su bianco l’assurdità della strategia-Merkel, improvvisamente tutta l’Europa si sveglia e dice che le Agenzie non sono imparziali. Che non ci si voglia proprio sentire da quell’orecchio?

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  3. A mio modo di vedere le regole della costruzione europea non sono state fatte bene (ed è una cosa pacifica visto che nella storia non si era mai fatta una cosa simile).

    Gli errori principali sono stati: mancanza del prestatore di ultima istanza, e il diritto di veto. Probabilmente quest’ultimo errore era inevitabile per vincere la resistenza di alcuni paesi ad entrare nela moneta unica, ma era senz’altro meglio la richiesta di maggioranze qualificate (magari basate sul PIL, ad esempio passano decisioni sostenute da stati il cui PIL complessivo copra almeno il 75% del totale).

    La mancanza del prestatore di ultima istanza è emerso come errore a causa della crisi della grecia, che ha reso evidente ai mercati che la moneta unica non ripara i singoli stati dal default (mancanza del prestatore di ultima istanza), e quindi si sono cominciati ad alzare i tassi di interessi dei paesi con il debito pubblico maggiore (perché più esposti al pericolo default).

    L’errore del sistema a diritto di veto è il seguente: tale sistema non è affatto democratico, ma fa sistematicamente prevalere solo i più forti, intesi come quelle nazioni che nella situazione corrente sono in grado di cavarsela senza problemi.
    Infatti il diritto di veto non ha il potere di cambiare le cose, ma solo di farle rimanere come sono. Così se le cose vanno male, i paesi più deboli (intesi come quelli che nella situazione corrente soffrono) si trovano a dover convincere gli altri paesi a fare dei cambiamenti, ma chiaramente i paesi più forti non hanno necessità di fare tali cambiamenti, e possono quindi ricattarli.

    Il mio discorso emerge in maniera lampante nella situazione odierna: la Germania sta bene nelle condizioni attuali perché l’euro debole avvantaggia le sue esportazioni, e gli alti tassi di interesse dell’italia e della spagna … la fanno apparire come porto sicuro (attira cioé investimenti esteri, e sopratuttto paga tassi bassissimi, adirittura negativi). Il sogno della Germania sarebbe tenere la situazione sempre così a scapito dei più deboli (da qui, secondo me, la dichiarazione informale di Sarkozy, secondo il quale l’egoismo dei tedeschi è criminale, perché aggiungo io, quando il più forte pretende che le regole lo avvantaggiano a scapito dei più deboli c’è in mezzo davvero un egoismo inollerabile),

    Fortunatamente per noi la Germania si è resa conto che qualcosa deve cambiare perché se la situazione rimane quella di oggi ci saranno altri default (in primis il portogallo, poi assieme Italia e Spagna) con guai seri anche per lei. L’obiettivo della Germania è quindi quello di fare prprio il minimo indispensabile per non fare fallire altri stati (cioé secondo me è in malafede, nel senso che non ha la volontà di risolvere realmente la crisi, perché in questa situazione di crisi ha grandi vantaggi economici: facilità di esportazione, alti investimenti esteri e bassi tassi di interesse).

    Il diritto di veto in una situazione come questa da quindi tutto il potere alla Germania e gli altri stati, come l’Italia che vorrebbero che la BCE potesse acquistare i titoli di stato a certe condizioni, sono sottoposti a ricatti (vedai il patto fiscale) nella illusoria speranza che la Germania si apra a questo tipo di soluzioni.

    Io intravedo due possibili soluzioni: o nel patto fiscale si inserisce la possibilità che nell’eurozona (quindi i 17 paesi con l’euro) non ci sia più diritto di veto, ma maggioranze qualificate, oppure Sarkozy deve uscire allo scoperto ed esporre pubblicamente la sua critica alla Germania. Infatti l’unica maniera per contrastare la forza del diritto di veto è uscire allo scoperto e mettere pressione “pubblica” sulla Germania.
    Se Sarkozy non si muove ora che avrebbe l’appoggio di Monti che sta emergendo come un leader forte, fa secondo me un grande suicidio perché perderà l’occasione di fare “la storia”, verrà sicuramente battuto nelle elezioni tra tre mesi, e sarà il suo successore a farlo (almeno così mi auguro e ritengo probabile).

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