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I 300 giorni che non hanno cambiato nulla se non Stiglitz

Sono passati all’incirca 300 giorni da quando l’economista Stiglitz fece tremare per un attimo i muri della indifferente politica romana, ad un passo da Montecitorio, politica di allora che non sapeva allora di essere ad un passo dalla sua eutanasia.

Quello Stiglitz-2012 che, come se raccontasse la cosa più ovvia del mondo, guardando fisso negli occhi il Presidente Monti gli disse: l’unica riforma che serve è quella della testa europea, che deve cambiare per combattere l’austerità, anche con il bilancio in pareggio, e cioè con le tasse che stai alzando sui cittadini italiani, invece di ripagarci il debito,  dovresti domandarci produzione ed occupazione al settore privato tramite maggiore domanda pubblica, appalti, appalti, appalti.

Non scorderò mai il volto di un Presidente Monti culturalmente impreparato al concetto del moltiplicatore, all’idea che la politica della domanda pubblica è l’unica salvezza in queste gravissime crisi da carenza di domanda, quando ingenuamente chiese (prima ancora che a Stiglitz, a se stesso) “sono desideroso di sapere come rispettare l’obbligo di bilancio in pareggio facendo diminuire il rapporto debito su PIL e soddisfacendo al contempo l’esigenza immediata di crescita”.

Noi glielo abbiamo spiegato mille volte, anche con i calcoli degli economisti del Fondo Monetario Internazionale, ma era fatica inutile.

Oggi Stiglitz-2013 parla di nuova di Europa (vedi video qui). Dice cose molto simili. Eppure non esattamente le stesse. Qualcosa è cambiato nel suo linguaggio. Un anno cambia drasticamente le cose, confermando quello che diciamo sempre su questo blog, che non c’è tempo per aspettare le famose “riforme”, quelle che danno risultati a 10 anni (quand’anche fossero ben congegnate). Non c’è tempo. C’è bisogno di ben altro.

Parla sempre dell’enorme distruzione europea di capitale umano, di conoscenze e di entusiasmo specie nei giovani, che stiamo generando con questa stupida recessione auto-impostaci. Parla e dice ancora che la madre di tutte le riforme non è quella del mercato del lavoro in Italia, o della vendita del patrimonio pubblico, è la riforma dell’Europa verso la solidarietà. Perché senza di quella l’Europa muore.

E siccome non vede all’orizzonte segni di solidarietà sufficiente per far funzionare l’area dell’euro, dice per la prima volta in maniera esplicita, che “per salvare l’Unione europea e l’Europa, forse dovrà essere necessario sacrificare l’euro, anche se spero che ciò non avvenga. Purché le giuste riforme dell’Europa avvengano, in tempi rapidissimi”.

Io non concordo con lui su tante cose. Non concordo con lui che la strategia giusta richieda eurobond (impossibili da ottenere dai tedeschi), né che sia sufficiente e comunque molto rilevante l’unione bancaria per tirarci fuori dalle peste. Soprattutto non sono d’accordo con lui quando pensa che l’Unione europea e l’Europa si salveranno se salterà l’euro.

Ma sono d’accordo con lui quando chiede maggiori salari netti per gli operai tedeschi con politiche fiscali di minore tassazione in Germania (così che aumenti anche  la domanda per i nostri prodotti), quando chiede politiche industriali che l’attuale Commissione europea vieta (in special modo penso ad aiuti specifici alle piccole imprese), quando chiede la fine dell’austerità in Italia.

E sposo la sua richiesta di maggiore solidarietà come l’unica vera riforma che serve oggi all’Europa, all’Italia, alla Germania.

La solidarietà non si inventa in un anno? Può darsi, ma certamente si costruisce con elezioni a suo favore, come ha fatto l’Italia votando 90 a 10 contro l’austerità, primo Paese ad avere il coraggio di farlo.

Ma, clamorosamente, sembrerebbe che queste elezioni non abbiano cambiato nulla nella politica e nella stampa italiana, occupata a parlare di nuovo di … politica ed elezioni. Nulla.

Zingales oggi sul Sole 24 ore traccia un’agenda che dovrebbe occupare i prossimi mesi di una potenziale coalizione Grillo-Bersani. Agenda che nulla serve al fine di combattere questa tragica condizione del mercato del lavoro e delle imprese: anti-casta politica, class action, abolire l’ordine dei giornalisti, salario di disoccupazione senza occupazione pubblica, fondazioni bancarie, la TAV, il no al Porcellum. E così, mentre PD e Grillo dovrebbero scannarsi tra loro su questi “micro temi” (per carità così nobili), dove troveremmo il tempo per combattere ciò che uccide occupazione, produzione, dove troveremmo il tempo per costruire l’alleanza europea per mettere pressione sulla germania e sull’Europa per abbattere con un bazooka l’austerità?

Il popolo italiano ha votato contro l’austerità, unica cosa che accomunava tutti i partiti che non hanno votato Monti. La politica pare non avere capito il messaggio.

A cominciare da Grillo che nel suo programma non ha la minima idea di come combattere l’austerità – anche se la sua protesta ne incorpora il disagio - e che nel suo rifiuto di sostenere qualsiasi coalizione e nel suo flirtare col referendum sull’uscita dall’euro (che ovviamente i suoi elettori non sembrano condividere) pare non dare grande priorità a tutto ciò.

Eppure dovremmo. Stiglitz non è europeo. A lui spetta essere osservatore che ricorda con precisione i sempre maggiori rischi a cui ci esponiamo con la nostra idiozia. A noi spetta costruire un futuro per le prossime generazioni. Scusate se è poco.

Senza l’euro? Se non sei al tavolo, come sempre, sei sul menù. Gli americani lo sanno, e si prenotano per rappresentare i nostri interessi a quel tavolo dovessimo spaccare l’Unione europea con la decisione di spaccare l’euro, come hanno fatto fino al crollo del Muro di Berlino.

Noi continuiamo a non capirlo. Si sveglino i politici italiani e capiscano cosa ha chiesto a voce alta la gente.

Grazie Concetta.

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Abbiamo fatto l’Europa, come si fanno gli europei?

Al tempo dell’Unità d’Italia solo il 10% della popolazione parlava italiano. Come ammise Massimo d’Azeglio (uno dei fondatori dell’Italia unita): “abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”.”’

Così comincia l’ultima (e decisamente interessante) fatica scientifica di Alberto Alesina con Bryony Reich. Lavoro che si pone l’affascinante scopo, soprattutto a se pensiamo alla sua rilevanza per la questione europea, del quanta omogeneizzazione culturale sceglieranno (al fine di raggiungere i propri personali obiettivi) i governanti di un’area fatta di persone tra loro diverse. E quanto questa omogeneizzazione permetterà di evitare una secessione di un gruppo del Paese, per non sgretolare la potenziale “nazione di diversi”.

Ulla. Che domandona. Eppure va posta.

Gli autori ovviamente presumono tanto; in primis, che i governanti possano influenzare con le loro scelte politiche il livello di omogeneità culturale all’interno del loro Paese. Lo farebbero, secondo i due autori, con la scelta delle politiche dell’istruzione ma anche delle infrastrutture comuni, spesso capaci di avvicinare le persone (pensate al Ponte, scelto non a caso come simbolo dei Viaggiatori in Movimento).

Perché e quando dovrebbero coloro che comandano spingere verso l’omogeneizzazione all’interno del Paese?

Sono parecchi i casi che considerano i nostri autori, fondamentalmente dividendo tra dittature e democrazie, e tra le prime considerando quelle con il potere saldamente in mano al dittatore (o a una élite, o a una delle etnie) e quelle invece consce di essere vicine a cedere il potere a forme di rappresentanza più democratica.

Primo caso: democrazia. In questa i costi dell’omogeneizzazione (infrastrutture, scuole, imposizione di regole comuni) sono pesate rispetto ai suoi benefici (maggiore accesso e mobilità, maggiore scambio culturale, maggiore coesione). Ne emergerà un certo livello di omogeneizzazione, democraticamente prescelta, capace di evolversi nel tempo a seconda delle decisioni, appunto, della maggioranza.

Un attimo di pausa. A cosa possiamo paragonare questo caso? Immaginate che esso sia equivalente al caso statunitense, Paese all’inizio della sua storia tormentato dalle fortissime differenze culturali tra Stati, dove lentamente abbiamo assistito ad un processo di “omogeneizzazione  guidata”, con maggiore o minore intensità a seconda del momento storico (a volte con la guerra, a volte con la forza – pensate all’invio di truppe al Sud inviate da Robert Kennedy per ottenere maggiore integrazione razziale –  e spesso con infrastrutture interfederali come autostrade e programmi scolastici).

Che succede rispetto al caso di una democrazia con una dittatura?

Per prima cosa i due autori considerano un dittatore (o una élite, o un’etnia) che abbiano saldamente il potere in mano.  In tal caso il dittatore avrà scarsissimo interesse strategico per una politica di omogeneizzazione: tasserà quanto basta per ottenere la spesa che più gli aggrada come gruppo di potere.

Vediamo come si applica questo caso potenzialmente all’Europa (miei sono i pensieri, non degli autori che non guardano all’Unione europea, anche se secondo me ci hanno pensato quando scrivevano il loro lavoro).  Pensate voi che l’Europa sia in mano alla élite tedesca e che questa non tema di vedersi sottratto il potere decisionale da altri Paesi? Allora in Europa dovremmo, se sono valide le intuizioni degli autori, vedere tasse, spese e deficit come li vogliono i tedeschi e nessun interesse a omogeneizzare culturalmente le politiche, riducendo per esempio l’austerità. E’ forse questo il caso attuale? Può darsi.

Qualcuno potrebbe poi voler analizzare il caso di cosa avverrebbe a questa scelte se il “dittatore” (la Germania) temesse invece un inevitabile processo di democratizzazione delle scelte e cessione di potere. Alesina e coautore vedono due minacce per l’élite dall’arrivo prossimo di una perdita di potere: il rischio di secessione di alcuni gruppi (immaginatela come un’uscita dall’euro) e la possibilità che la spesa e il suo finanziamento (debito vs. tasse e che tipo di tasse) siano diverse da quelle desiderate (immaginatele, di nuovo, come minore austerità). In questo caso sarà interesse dell’elite dominante promuovere maggiore omogeneizzazione, addirittura di più di quanta non se ne avrebbe in democrazia: come risultato il rischio di secessione sarà minore e altrettanto minore la differenza tra aree del Paese rispetto ai livelli e tipi di spesa ed il finanziamento della stessa che non in democrazia.

E’ forse questo il caso a cui stiamo assistendo in questi giorni, in cui di fronte al pericolo derivante dall’esito dell’elezione italiana l’area dell’euro Nord sta facendo passi veloci e alquanto terrorizzati per promettere di essere meno severi con l’austerità? Può darsi ….

Ma maggiore omogeneizzazione potrebbe voler dire due cose: o tutti più simili al Nord, o tutti più simili al Sud (dell’euro).

E infatto Alesina e Co. vedono due tipi possibili di omogeneizzazione: una brutale ed una gentile. La prima è a scapito delle minoranze non al potere (l’area dell’euro Sud?), la seconda divide i costi di questa tra Paesi. E concludono come le élite sceglieranno sempre forme di omogeneizzazione brutale. Se pensiamo allora che nelle promesse di solidarietà postume arrivate in questi giorni non ci sono grandi “sacrifici” tedeschi ad essere anche loro più espansivi, ma solo ai paesi “sud” di essere meno “austeri”, in effetti non pare che tale omogeneizzazione delle pratiche di politica economica sia stata particolarmente “gentile”, solo un po’ meno … “brutale”.

Infine verificano come le politiche di omogeneizzazione impattano sulla probabilità di secessione da parte di coloro che non detengono il potere. Il risultato è che dipende: potrebbe aumentare o diminuire. In particolare, diventare troppo a favore dell’omogeneizzazione venendo incontro alle esigenze delle minoranze potrebbe far sì che queste ultime (italiane, spagnole, greche) possano allearsi meglio tra loro. Pensate all’omogeneizzazione come a minore austerità: se è vero che quando soffri meno pensi di meno alla tua pancia e ti guardi intorno di più,  cercando magari alleati, forse questo dovrebbe far aumentare il rischio di secessione perché maggiore è il potere decisionale delle minoranze. In questo caso è meglio applicare il vecchio detto “divide et impera”, evitando di venire in soccorso di chi soffre la crisi economica, così lasciando ogni Paese talmente tanto in difficoltà e coi suoi problemi interni che non ha tempo di tessere alleanze alternative.

Ecco, per avviare il lento processo di creazione di una Nazione più omogenea culturalmente che assomigli al percorso statunitense, bisogna cominciare dal levare il pallino decisionale dalle mani delle nazioni europee che più in questo momento guidano il processo, i paesi … del Nord. Questo comporta paradossalmente il rischio di maggiore secessione da parte dei paesi del Sud. A meno che, contemporaneamente al passaggio democratico non si ottengano rapidissime e sostanziose diminuzioni di austerità (cioè di minore omogeneizzazione tra Paesi, con una Germania che accetta l’idea di partecipare a scelte che non sono quelle ideali per il suo stretto interesse nazionale).

Insomma, camminiamo sulla lama di un rasoio dove per avere maggiore omogeneizzazione tra cent’anni dobbiamo averne meno oggi, come ho sempre sostenuto, senza però che questa minore omogeneità oggi si ottenga via secessione.

Difficile? Certo. D’altro canto anche gli Stati Uniti lo hanno fatto.

Tuttavia con ben minore masochismo e ben maggiore pragmatismo e senso della direzione di quanto non lo si sia mai fatto noi sinora. Sveglia Europa!

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La cappa dei derivati

Sono un amatore di bombole grigie, con bocchettone, non si respira, manca l’aria.  C’è come una cappa, non si sa perché.

La bombola, Giorgio Gaber

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Circa un anno fa su questo blog commentavamo il miracolo del primo sottosegretario nella storia della Repubblica che sottoponeva al Parlamento una qualche informazione precisa sulla situazione dei derivati italiani sottoscritti non da enti locali ma niente meno che dalla Repubblica Italiana, ovvero dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di Via XX Settembre a Roma.

Allora non si capì perché a riferire al Parlamento fu un (il migliore!) Sottosegretario all’Istruzione e non uno di, appunto, Via XX Settembre.

Qualcosa ci disse, come uno squarcio nel buio più totale. Poi più nulla.

Qualche settimana fa, al margine di un Convegno (dell’Aiaf), la brava Capo della gestione del  debito pubblico italiano, Maria Cannata, dirigente del Ministero, ha comunicato ai giornalisti che la situazione da allora non è mutata, sempre su 160 miliardi di nozionale è il nostro debito. Come l’anno scorso.

Un’occasione meno solenne di quella di un anno fa alle Camere, con meno dati comunicati. Non vorrei che in questo dolce declinare il prossimo marzo tornassimo al silenzio assoluto.

Più rilevanti sono state però alcune frasi che pare abbia pronunciato il Capo del Debito.

1)      Il ministero dell’Economia ha costruito derivati finanziari sul debito pubblico per un valore di 160 miliardi di euro e “corrisponde al 10% dello stock. In altri paesi del mondo è più grande e nessuno si scandalizza”.

2)      “I derivati – secondo la dirigente del Tesoro – non sono il male assoluto: sono uno strumento che va usato in maniera appropriata”. L’alto funzionario del Ministero dell’Economia accomuna i derivati a “un coltello da cucina che taglia bene la carne, ma puo’ anche uccidere una persona, ma non per  questo uno non lo deve tenere in cucina”.

3)      Cannata, inoltre, spiega che la mancanza di trasparenza su queste operazioni (“una minore disclosure”) e’ giustificata dal fatto che se fossero rese note tutte le caratteristiche qualche operatore di mercato “potrebbe giocarti contro”.

Immagino queste dichiarazioni siano state riportate fedelmente. Ovviamente essendo la stampa italiana rimasta assolutamente silenziosa su questo tema da allora, come se fosse cosa irrilevante, val la pena farle noi le domande che andrebbero poste al Capo del Debito Tesoro e più in generale al nuovo Ministro dell’Economia:

1)      Dal mio libro nel 2001 sui derivati emergeva come allora fosse vero che l’Italia non aveva il debito legato a derivati più grande. La Svezia allora lo aveva più grande sia in valore assoluto che in percentuale del debito. Immagino (immagino) sia così ancora oggi. E anche la Danimarca.  E’ anche vero tuttavia che un 10% di debito ancorato a derivati è un valore molto più grande di quello dell’1% che stimavo il Tesoro avesse allora (è importante sottolinearla questa incertezza, perché se il segreto è ancora ampio oggi pensate a cosa era 10-15 anni fa). E soprattutto, Danimarca e Svezia adottano sui derivati una politica di trasparenza pubblica che è imparagonabile a quella italiana, lasciata alle dichiarazioni primaverili di questi due ultimi anni;

2)     I derivati possono uccidere, dice Maria Cannata. Come i coltelli. Ma non è che i coltelli non li teniamo in cucina per i loro usi più consoni. Vero, ma facciamo attenzione a che i bambini non ci si avvicinino troppo, a quelli più acuminati. E soprattutto, se non si corrono rischi con questi coltelli chiamati derivati, perché li nascondiamo dalla vista di tutti, come fanno solo gli assassini?

3)     La risposta al punto due è nella terza dichiarazione di Maria Cannata: perché sennò i mercati ti giocano contro e ti costano più cari quando li compri, perché il mercato te li raziona anticipando la tua domanda di questi. Vero, ma questo vale attorno ai giorni dell’acquisto. Non a caso Danimarca e Svezia, che ne comprano tanti, non hanno problemi a rivelare tutto o quasi su di essi pochi mesi dopo. E così facendo non danno adito nella comunità finanziaria a cattivi pensieri come quelli che potrebbero avere tante banche come “se lo fanno loro al Tesoro, di non rivelare nulla, non rivelo nulla nemmeno io”. Capite bene come il passo per arrivare all’improprietà o illegalità nell’uso del coltello sia proprio breve.

Basta con questa cappa. Basta. La si finisca una volta per tutte e si dica chiaramente quali sono questi tantissimi derivati su cui sediamo come cittadini. E la stampa una volta per tutte crei una vera campagna su questo. Altro che costi della politica.

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Il nostro Bob Lucas? Sta a Bologna, ma non è un neo-classico

Nel 1964 Robert Lucas otteneva il Dottorato (Ph. D.) in Economia alla durissima e prestigiosissima University of Chicago. 31 anni dopo vinceva il Premio Nobel per l’economia. Grandissimo (sono 3 superlativi ma ci vogliono) economista, ha avuto il merito indiretto, con le sue asciutte e profonde analisi neoclassiche di mettere KO (anni settanta) una scuola keynesiana ormai imborghesita e addormentata sugli allori delle politiche del dopoguerra.

Ma anche il merito involontario di stimolare la sua rinascita, con una nuova generazione di economisti (neo-keynesiani anni ottanta) che fece tesoro delle critiche che Lucas aveva apportato ad un modo incompleto di capire il ruolo e l’efficacia della politica economica.

Così rinacque un ruolo più credibile e meglio strutturato per la politica economica: dallo scontro appassionato di grandi intellettuali che stavano sulle sponde diverse del fiume della scienza economica. Ma che sapevano trarre il meglio dagli stimoli dell’avversario.

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Nel 1964 ci fu un altro economista che prese il Ph. D. in Economia a Chicago. E’ italiano. Pochissimi italiani in quegli anni prendevano la coraggiosa decisione di salire su un aereo TWA o Pan Am, lasciandosi dietro famiglia ed affetti per fare qualcosa che oggi tantissimi nostri valenti giovani fanno come se fosse (quasi) normale.

Ancora meno sono i giovani che studiarono e studiano negli Usa e che ancor prima di dottorarsi pubblicano sul prestigiosissimo (e 4!) Journal of Political Economy. E che nel giro dei 7 anni successivi infilano come fosse una cosa facile facile 4 altre pubblicazioni su riviste al top mondiale, tra cui la grandissima (e 5!) American Economic Review (se oggi è difficile farlo, allora era praticamente impossibile).

Tranne uno.

Sarebbe potuto restare, negli Usa, e ottenere grandissimi (e 6!) successi. Ma lui tornò nel 1968. Ad insegnare, a Bologna, divenuta la sua città adottiva, per lui seconda solo alla sua Genova.

E dedicò una vita ai giovani. A aiutarne tanti, spingendone molti verso la decisione difficile di continuare a studiare dopo la laurea. E ne aiutò ancora di più a capire la società ed il mondo con splendide lezioni.

Non un neo-classico, assolutamente. Ma a Chicago aveva imparato ad affinare quelle doti innate fondamentali per ogni economista che sa fare buona ricerca: la precisione e il rigore, accoppiate con il buon senso e l’intuito del pensiero e con la semplicità e l’eleganza delle dimostrazioni.

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Pochi mesi fa ero a Ravenna con mia figlia Chiara. Un imprenditore, Gabriele M., mi ha fermato per strada e ci ha scortato come un Cicerone per la sua bellissima città. E così ho scoperto che aveva studiato a Bologna.

“Ricordo un solo Professore, eccezionale, lo conosce per caso, Prof. Piga? Si chiamava, Giorgio Basevi.”

“Come no, Sig. Gabriele, lo conosco benissimo. E’ da poco andato in pensione.”

“Beh, glielo dica, era proprio eccezionale.”

Glielo dirò Sig. Gabriele. Anzi glielo dico adesso. Sul blog. Perché l’Italia ha questa pessima abitudine di non dare spazio sufficiente ai suoi grandi scienziati, quelli che non scrivono blog o sulle prime pagine dei giornali, ma molto più modestamente e spesso in grande silenzio fanno cose molto più semplici: scoprono e insegnano, bene, anzi benissimo.

E bisogna dirgli grazie, a queste persone eccezionali a cui l’Italia dovrebbe fare piccoli monumenti in qualche angolo dei suoi bellissimi Atenei. Per essere tornati, per non avere mollato, per avere costruito, per avere insegnato anche con l’esempio.

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Giorgio Basevi sarà pure in pensione ma continua a scrivere. Anche lui ci tiene all’Europa, e sarebbe interessante chiedergli perché.

E ha scritto di recente su Vox Eu il suo solito pezzo, misurato e profondo. Di quelli che ci metti un po’ a fartici catturare ma poi sai che è roba seria. Roba che va meditata. Roba non strillata. Eppure.

Vi traduco il sunto: “il rallentamento della ripresa europea è dovuto al procrastinarsi della politica? I cicli elettorali stanno prevenendo il ritorno della crescita? In quest’articolo affermo che se sincronizzassimo i cicli delle elezioni nazionali dei paesi europei (attorno a quelle europee) l’Europa potrà abbandonare il suo approccio timido e ansioso (alla politica economica). Creare un sistema di voto europeo sincronizzato, in un dato periodo, eliminerebbe cicli elettorali nazionali che si susseguono. Una finestra di voto comune ridurrebbe l’incertezza politica e assicurerebbe risposte di politica economica più rapide per generare una più rapida e facile ripresa.”

E fa vedere come l’altra unione monetaria non ottimale a cui paragono sempre la nostra situazione, gli Stati Uniti, hanno rapidamente imparato a fare proprio in questa direzione: Presidenziali assieme a elezioni di deputati e parte dei senatori e 1/5 di elezioni statali (2012), quasi nulla nel 2013, elezioni di deputati e altri senatori e 3/5 di elezioni statali (2014), quasi nulla nel 2015, Presidenziali assieme a elezioni di deputati e parte dei senatori e 1/5 di elezioni statali (2016).

Insomma, ben minori tensioni e distrazioni periodiche.

Basevi indica anche come riuscire in breve tempo ad armonizzare il caldendario delle elezioni nazionali in Europa, così da lasciare poi leader eletti liberi di concentrarsi sul lavoro da svolgere.

That simple, that elegant, that relevant.

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L’Agenda europea italiana

Da Patte Lourde riceviamo e volentieri pubblichiamo

Sul Sole 24 ore di ieri, Chiara Bussi ci ricorda i “cinque vincoli di Bruxelles sul nuovo governo”. L’articolo è una vera e propria agenda, che senza entrare nel “come” ricorda il “cosa” ci siamo impegnati a fare. Ed in parte abbiamo fatto.

Fa bene il Sole a ricordare gli impegni presi in Europa dall’Italia, perché l’Italia al di fuori dell’Europa non ha futuro. Non a caso Dino Pesole sullo stesso quotidiano  riportava i “possibili spazi di manovra” nella “partita con la UE”.

È infatti dentro l’Unione che l’Italia deve portare il suo peso politico e contribuire a definire una nuova politica europea che dia più spazio all’innovazione, alla PMI e all’istruzione. Da soli siamo troppo piccoli per poter essere interessanti ed ascoltati nel mondo dove ci confrontiamo con Cina, Usa, Brasile, India.

Nel frattempo, mentre cioè pensiamo a dare una spinta riformista all’Europa, dovremo confrontarci con un piano di riduzione del debito da porre in essere dal 2015 (parte del Cd six pack in vigore da gennaio) e entro il 15 ottobre con la manovra che preventivamente dovrà essere inviata a Bruxelles (come previsto dal Two pack).

Le due cose (politica europea e rispetto dei trattati) vanno viste insieme, perché non possiamo ipotizzare di non reindirizzare tutta l’Europa verso politiche di crescita e sviluppo e sostenere il peso del rilancio della nostra economia con le sole politiche nazionali non coordinate con gli altri Paesi con cui condividiamo la moneta (e il destino).

La stessa Europa ce lo chiede: l’”Analisi annuale della crescita 2013″ adottata il 28 novembre 2012 dalla Commissione UE ha affermato la necessità di un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita (con priorità su istruzione, ricerca, innovazione ed energia).

Ora l’Europa riuscirà a tradurre questi intenti in politiche? Dipende anche, ma non solo, dall’impegno italiano. Non occorre chiedere sconti o inventare regole (da eludere), ma passare in fretta ad un vero e proprio assetto federale del bilancio, con talune competenze di spesa portate a livello Europeo ed integrate a livello nazionale.

La strada è tracciata da tempo. Cosa proporre?

Primo: impegnamoci per arrivare ad una banca europea per il credito alle PMI  e per una legislazione che – sulla falsariga della Small Business Administraction e del relativo Act statunitense – assicuri una quota di appalti pubblici alle piccole imprese e che favorisca l’internazionalizzionalizzazione delle eccellenze produttive europee.

Secondo: assicurare i finanziamenti necessari a  creare una rete europea di centri di ricerca nazionali per favorire la ricerca e l’innovazione tecnologica dell’Unione.

Terzo: utilizzare i fondi europei per favorire l’inserimento di laureati nelle imprese finanziando i primi due anni di salario.

Quarto: avviare programmi europei di innovazione nell’agricoltura, assicurando il necessario livello di finanziamento.

E la riduzione del debito? La cura è la maggiore crescita in Europa, attuale e potenziale! Non illudiamoci, infatti, di ridurre il debito con le sole privatizzazioni, ammesso che qualcuno compri in un continente in declino. Se  non viene data una prospettiva di crescita all’Europa, il solo bilancio in pareggio assicura solo diseguaglianze sociali e l’impoverimento della nostra economia.

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Morte Austerità e lo stupido referendum di chi ne ha paura

Adesso è di scena il referendum.

Che ci arrivassimo, a parlarne con insistenza, non mi stupisce. Che la stupida ottusa Austerità la sfangasse un’altra volta, nemmeno mi sorprende.

Mi ricorda la Morte, l’Austerità.

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In Messico è famosissima ed amata: la chiamano Catrina. La Calavera Catrina, lo “scheletro elegante”, la Morte, col suo cappello da donna dell’alta società, da … europea del suo tempo, primo Novecento, di quando fu per la prima disegnata dal suo inventore, Posada. Cappello di stile primo novecento italiano o francese, scegliete voi.  In origine era una satira che si faceva beffe di quei Messicani dell’era pre-rivoluzionaria che si davano delle arie cercando di assomigliare all’aristocrazia europea.

Europa e Morte, che intuizione geniale.

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Catrina è oggi molto amata in Messico, forse perché oggi il Messico non ha più paura di assomigliare ad un passato che ha sconfitto per sempre, affrancatosi com’è dal potere delle ricche famiglie europee, simbolo di una occupazione straniera che faticava a svanire per sempre.

La Morte Austerità in Europea è invece odiata, non possiamo scherzarci su, perché non ce ne siamo sbarazzati. Mentre il dolce Messico cresce con orgoglio, nelle sue infrastrutture e nel mercato, e finalmente si sente di guardare i gringos senza invidia, pieno di orgoglio, l’orgoglio che viene dal partecipare ad un progetto di benessere e sviluppo, l’Europa muore di Austerità.

La Morte che tutto sfiora in Europa, la Morte che tutto fa appassire, la Morte chiamata Austerità, la scampa sempre. Non ce ne sbarazziamo più.

Ride, si fa beffe di tutti, non solo non pare andarsene, ma divora tutto quello di bello avevamo costruito.

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E così siamo qui già a parlare di dare l’addio all’euro, fantastica ed illusoria panacea per chi è impaziente. Come se l’Austerità non fosse altrove. Non fosse, sì certo, anche nelle riforme – quelle giuste, che non facciamo e che la Commissione europea non ci chiede mai – ma soprattutto nelle politiche fiscali espansive che non vogliamo mai fare, che ogni giornalista mi chiede quasi timoroso, “come si fanno le sue politiche Professore? E poi cosa dirà l’Europa?”. Quale Europa? Quella lì, sdraiata sul letto, pallida, uccisa dall’austerità? E che vuol dire come si fanno? Si fanno. Si fanno: lo chieda ad un bambino, come si colpisce il pallone coi piedi, glielo chieda.

Si chiede un referendum sull’euro e non un referendum sull’austerità. Che forza questa Morte Austerità, che si fa beffe di tutto. Che ride dell’euro che muore mentre lei sopravvive, tanto quando arriverà un nuovo Governo con la nuova lira, cosa si credono, “che non ci sarò ancora? Che non si farà austerità?”. E come pensano di farlo, se io sono ancora viva e vegeta, tutti questi che non hanno il coraggio di combattermi ma che preferiscono far fuori l’euro? Come?

Come ride l’Austerità!

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Di referendum gli svizzeri ne hanno fatti tanti, non solo quelli sui bonus dei manager. Per esempio ne fanno tantissimi in molte municipalità per dare il loro assenso a richieste di naturalizzazione di immigrati.

Ne studiano le caratteristiche, degli esiti di questi referendum, due politologi del MIT di Boston e della London School o Economics. Per scoprire quello che forse già sappiamo, ma che val bene ricordare: che la variabile che meglio spiega la decisione se dire “si” o “no” alla naturalizzazione è la nazionalità di provenienza dell’immigrato. A parità di altre condizioni, un cittadino della (ex) Jugoslavia o della Turchia per esempio ha 13-14% probabilità in meno di essere accettato, una differenza del 40% del tasso di rifiuto della domanda di naturalizzazione.

Tra le loro conclusioni: “i nostri risultati mostrano che, in assenza di altre salvaguardie istituzionali, votare in un referendum può risultare in una sistematica discriminazione contro specifici gruppi della minoranza, preda dei capricci della maggioranza nativa ”.

Già. La minoranza europea, discriminata nel referendum italiano dai mille stereotipi sui terribili tedeschi, che non votano, no, non votano al referendum italiano sull’euro.

Ve l’immaginate voi la Sig.ra Morte Austerità ridere spassosamente davanti al dibattito referendario sull’euro, dove tutto il rancore sui peggiori stereotipi tedeschi potrà avere finalmente libero sfogo, non più trattenuto dall’obbligo e dalle imposizioni che gli poneva l’euro stesso richiedendo alle nazioni di parlarsi tra loro? Ve l’immaginate un referendum tedesco sulla Grecia, a cosa porterebbe? A quali terribili stereotipi emergerebbero, senza nessun costrutto?

Vittorioso il referendum per chi vuole uscire, riderà grassamente Morte Austerità.

Sconfitti coloro che vogliono uscire, radunati attorno ad un forte 40%, avranno vinto lo stesso, avendo inferto una ferita impossibile da rimarginare all’orgoglio di culture diverse che tante differenze hanno dovuto e dovrebbero ancora superare per capirsi fino in fondo, per non ricadere nel vecchio gioco delle guerre.

Ancora riderà Madre Austerità, di fronte al ridicolo affannarsi umano attorno al finto nemico. Ancora ringrazierà, Madre Austerità, i leader che avranno portato alla morte un progetto di Pace per non combatterla, perché di lei timorosi e rispettosi, incapaci di sfoderare il coraggio di combattere, ma capaci solo di fuggire.

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Italy did not vote for 2 stand-up comedians. Letter to a German

Letter and opinions of a colleague of mine to a German friend who wrote being vastly upset at the Italian vote, “for 2 stand-up comedians”. Thank you A.

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Dear G.,

You know, things here are more complex than what the media say, and have been saying for years. This is also because either politicians or media, here in Italy, never really understood who the people who have voted for Grillo are. Grillo is not a simple comedian: he became an activist many years ago, refusing to show himself on tv due to what he called the corrupt media system in Italy. He created his blog, which is the most visited blog in the world. He has been fighting against things that in the rest of Europe are often normal: sustainability, lack of work due to the élite who would occupy the key jobs in all fields, lack of meritocracy. He fought against this terrible election rules we have in which citizens cannot choose the politician (the lists are made and locked by the parties: this is also at the basis of corruption, since politicians are not afraid anymore not to be re-elected by citizens, as their reference is the secretary of their party and not the voters anymore). He wanted to get internet free and make bureaucracy digitalized, he fought the euro not as a fascist or nationalist but by fighting against the banks’s speculations and the state banks covering the debts of private banks with the money of the citizens.

He has been saying these things traveling all over Italy for more that 7 years, gathering around him and his civic movement honest people, the so-called ‘lost generation’ of 30 and 40 years old brilliant people who have been prevented from finding a job – again, we have a tremendous work law system, that the left wing doesn’t want to change, that forbids any way of firing people, in Italy you cannot fire anyone, so you have the untouchables on one side, public officers mainly, all put there because of political reasons and advantages, never for any quality or skill – and so you have all this crowd of the best Italians who are forced to get stages, or jobs for 3 months in call centers, whereas the worse people or the privileged are occupying key positions.

Grillo is a crazy person, and I didn’t vote him due to his topics on technology and because I don’t like people who insult. Nevertheless, when a country as ours is locked, has been locked into corruption for 30 years, without any perspective (the left wing is so old, conservative and stuck on their privileges too) for anyone, that only a man like this could gather these people around him, he was the only one who went in the street, on the buses, in the markets, at the post office, and understood how miserable the average people’s life is in our country, and when you see that the best ones are literally almost dying, and the worst ones have total power, and the others, just stare and look, remaining like zombies, because they don’t want to change a system that guarantees to the left the power of being at the opposition, well, many of these honest people, old and young, saw in Grillo the only possibility to change everything, because there were no other solutions.

And let me say that I think that this is  a great civil non violent citizen event. It’s like if Occupy Wall Street became a real movement, so strong, to be in the position to get to Congress. What other country succeeded into this? Again, I don’t like Grillo, I don’t fully trust him, and I don’t like the guru that stands behind him, a weird man who talks about ‘the new world order’ and things like that. But I have to tell you that people who have voted for Grillo are the most honest ones, it’s just people who want to have a suitable and decent job, and who never had the chance to refer to any honest politician. People who are aware of how the rest of Europe is working and developing, and who refuse to accept for ever that with Italy you can’t do anything, you have to make with what you have.

Some excellent German journalists who are based in Italy, the best foreign journalists, really, they have instead very well understood all this: Udo Gumpel for instance, he was among the ones who said that Grillo’s movement is not populist at all, and that many topics from his program (the media have been saying he doesn’t have a program , which is absolutely not true) are based on what the rest of Europe has achieved already.

What really makes me sad is that the left wing, in my opinion, is the real responsible for all what happened. They had a great young candidate, Matteo Renzi, the mayor of Florence, who would have obtained 1/3 of the votes of Grillo and 1/3 (maybe less) of the ones who voted for Berlusconi: he had a new vision for the work laws system (this unacceptable prevention from firing people that is preventing anyone from having access to decent jobs) that was attracting many from the right wing who had a real contempt towards Berlusconi, he was also someone who was in touch with real people, great speaker and doer, everyone, everyone loved him, the elder, the young ones, many of the right wing (the non corrupted ones, as who has voted for Berlusconi mainly did it just to keep on evading taxes).

Renzi also had a new and more open perspective on fiscal issues, that was attractive for the many entrepreneurs and small or larger industrials, that are the bone of the real Italian economy and who are collapsing due to the lack of any kind of change of economic policies in the last 30 years. But the party, following this pathological Italian mentality for which the best has not the right to thrive because what would then happen to the less-skilled, a system that then has become such that the worse are the ones that are preferred because they prevent all the others from doing better, the left wing party imposed these primary elections (therefore the many non left wing people have not voted Renzi, whereas they would have voted for him in political elections) within the party, and obviously Renzi lost, due to the conservative mentality oh his own party, which was afraid of losing its privileges and the votes of the extreme left wing party and the votes of the main union group, the CGIL.

Many people, including Renzi, are furious today, since everybody knows that Renzi would have been a super winner in these elections, gathering and getting votes from the right wing parties, and from the many disappointed honest people from Grillo (many of them are normal people like lawyers, engineers, searchers, doctors, just normal people! There is here no comparison at all with the extreme right wing movement like in Greece or in Germany or in France). And you know? Even Berlusconi did declare that he decided to take part to these elections again  only because Renzi was not there, that, in case Renzi would be the left wing candidate, he would not try to be elected. Can you believe this?

Forgive all these words, but I would like you to know how things really are: we are not the country who has voted for two stand-up comedians. Berlusconi is a corrupted man, who got the votes basically from the ones who don’t want to pay taxes. Grillo is a blogger, and should we state that the web has been the greatest revolution in this century, and then be shocked if a blogger creates a real people movement that affects the Parliament not with bombers or fascists or anarchists, but with normal and decent people who struggle against corruption?

I think this is maybe very good for my country, even more, it may become an example of an absolute new and non violent civil real democratic participation of the people to the institutions. We will see. Personally, I would like so much that Renzi would present himself again in case of new elections, even if I am afraid that he has lost the magic moment, and the party will not let him do it.

Let’s wait and see! Italy always comes up with surprises, and not always bad ones.

I look forward to coming to Berlin, and I will, sooner or later!

Ciao,

A.

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Quella sottoscrizione di pessimo gusto sull’anti austerità

“… La seconda critica è che l’UE avrebbe imposto una ricetta di austerità deprimendo l’Italia e le altre economie dell’Eurozona già in crisi. Sul punto basti osservare che l’equilibrio dei conti pubblici è una tappa obbligata propedeutica a qualsiasi progetto di sviluppo e di solidarietà intergenerazionale e va perseguita per il nostro interesse e non per quello dell’Europa. Vivere a debito non è realistico alla lunga. Infatti, per vivere a debito ci vuole qualcuno disposto a dare credito che deve aver fiducia nella solvibilità del debitore; ma senza finanze in ordine un paese non comanda né rispetto, né tantomeno fiducia o credito. E poi l’evidenza mostra che i paesi fiscalmente più virtuosi sono anche quelli più efficienti e con tassi di crescita più elevati.

….

Chi ha a cuore l’Italia e a cuore l’Europa, il prossimo 24 febbraio dovrebbe votare coloro che danno ampie garanzie sul ruolo dell’Italia nella UE e nell’Eurozona, e sul perseguimento del progetto di integrazione europea.”

Tratto dall’appello al Direttore del Secolo XIX di un gruppo di esperti. Nel titolo si legge: “La crisi dell’Italia non dipende dall’Europa: il Paese trae beneficio dall’appartenenza all’Unione europea”. Su di un altro sito lo stesso appello si chiude, sotto le firme tra cui quelle di alcuni cari colleghi che stimo, con la seguente precisazione: “i sottoscrittori sono funzionari europei, docenti, avvocati, consulenti che si occupano di questioni europee. L’appello è sottoscritto a titolo personale e non impegna le istituzioni di appartenenza dei sottoscrittori.”

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Un ricordo flash. Quando ero Presidente Consip, tra 2002 e 2005, andai con una certa frequenza a Bruxelles presso la Commissione europea per discutere in gruppi di lavoro su appalti pubblici. Ho conosciuto lì alcuni valentissimi funzionari italiani presso la Commissione. Ne ricordo anche altri. Che a tavola, assieme a funzionari della Commissione europea di altra nazionalità, partecipavano alle battuttacce e ai commenti ironici di questi ultimi su Berlusconi (allora Presidente del Consiglio) e sull’Italia che lo aveva votato. Non ho mai votato Berlusconi in vita mia, ma non dimentico il mio immenso fastidio verso quei funzionari di cittadinanza italiana che, nell’espletamento delle loro funzioni, a mio avviso, disonoravano il nostro Paese invece di cercare di farlo comprendere meglio nella sua complessità.

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Dell’appello di cui sopra non voglio commentare l’aspetto economico. Noto solo, ma questo non mi fa onore (perché non è che se sei un esperto necessariamente ne sai di più, come la storia messa in cantina del governo dell’economista Monti ha dimostrato), la grande presenza tra firmatari di eminenti giuristi e di qualche microeconomista della DG Concorrenza: forse qualche macroeconomista nel gruppo avrebbe fatto bene. Leggere che l’equilibrio dei conti pubblici è propedeutico allo sviluppo (e non viceversa in una crisi come questa) e che i paesi fiscalmente più virtuosi sono anche quelli più efficienti e con tassi di crescita più elevati (quale evidenza empirica possono citare? poi magari ne discutiamo) comporterebbe una sonora bocciatura al corso di secondo anno di Macroeconomia .

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Noto piuttosto l’ultima frase.

L’appello è sottoscritto a titolo personale e non impegna le istituzioni di appartenenza dei sottoscrittori.

Interessante che abbiano sentito il bisogno di specificarlo.

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Ma vediamo chi è che ha firmato questo appello.

Dei 44 firmatari, 23, più della metà, sono (alti) funzionari della Commissione europea. Dai loro nomi forse 1 non è italiano e gli altri 22 paiono esserlo.

In quanto funzionari della Commissione europea non riportano al Governo italiano. Certo che avere 23 dirigenti che si sono espressi pubblicamente con una dichiarazione di voto politica e con una enfasi anti austerità quando il voto italiano ha condannato l’austerità 90 a 10 lascia a bocca aperta.

Per tre ordini di motivi. Primo perché non è chiaro se dirigenti della Commissione siano autorizzati ad esprimere, a titolo personale, una espressione di voto. Come minimo pare un clamoroso passo falso quanto ad eleganza. Secondo, se e quando il partito anti austerità andrà al governo (in qualsiasi formazione ciò potesse avvenire), saprà di potere contare presso la Commissione su una robusta schiera di oppositori. Ripeto: formalmente i dipendenti della Commissione non dipendono dal Governo e non devono sostenere le politiche dello Stato di provenienza. Ma provate a dire una cosa simile ad un britannico, un francese, un tedesco che lavora presso la Commissione: si metterebbe a ridere. Qualsiasi sia il loro colore politico, è noto a tutti che sono bravissimi a lavorare (come è giusto che sia) anche nell’interesse nazionale. Terzo. Siamo certi che dovesse un giorno la Commissione europea ricevere il mandato dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo di allentare la presa sulle politiche anti austerità, i nostri valenti 22 o 23 funzionari si metterebbero nel loro lavoro di tutti i giorni a sostenere queste nuove politiche? o non ne rallenterebbero piuttosto l’adozione perché così fermamente convinti delle loro teorie economiche?

Nel rimanente pool di firmatari ci sono, oltre ad un Giudice della Corte Costituzionale di grande prestigio come Tesauro (della cui firma rimaniamo altrettanto basiti) poi tanti avvocati e professori (che siamo certi non hanno relazioni di lavoro con le suindicate DG della Commissione europea, altrimenti qualcuno potrebbe parlare di una potenziale conflitto di interessi e di una poca genuina firma dell’appello) e poco altro.

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Parliamo tanto di creare una nuova classe dirigente in Italia. Dovremmo anche pensare, nel mondo senza stupida austerità, col nostro Governo di sostenere in Europa per alti posti dirigenziali quei candidati che, oltre al merito, riusciranno a mostrare più senso dello Stato e a tenere in considerazione gli interessi generali del Paese così come elaborati democraticamente nel nostro Parlamento e  nelle diverse sedi governative.

Farà tanto arricciare il naso a tanti bravi dirigenti italiani in Commissione europea, ma non possono nemmeno immaginarsi quanto ho arricciato il naso io quando ero a Bruxelles 10 anni fa e quando ho letto questo loro appello, la cui sottoscrizione ho trovato di pessimo gusto.

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Tertium datur, ancora per poco

Mexico City.

Commento al post sulla BCE di Roberto:

le chiedo: al momento del dunque, che secondo me presto o tardi arriverà, se l’alternativa dovesse essere chiedere il prestito oppure uscire dall’euro lei cosa sceglierebbe?

Non contento della mia risposta, Roberto insiste: Professore, mi scusi se la incalzo, ma non ho capito quale tra le due opzioni lei ritiene quella più nefasta.

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E’ una buona domanda. Che merita qualche pensiero in più. Ed un approccio non teorico ma concreto: e cioè individuare il contesto in cui sarebbe rilevante porsi un quesito di questo genere.

Prima domanda che mi devo porre:  in che scenario è rilevante quanto richiesto da Roberto?

Posso immaginare solo due scenari.

Scenario 1 : crisi dello spread, che raggiunge … fate voi…. quota 600

Scenario irrilevante per Roberto, perché la risposta è facile e sta sul post della BCE: si lotti contro l’austerità, altro che fuori dall’euro o sì ad un intervento BCE. Tertium datur, ed è irrilevante chiedersi cosa sia più nefasto.

Scenario 2:  ulteriore shock recessivo.

Analoga risposta di cui sopra darei a uno scenario in cui entriamo in una crisi ulteriormente recessiva a causa di rallentamento dell’economia mondiale: si facciano politiche espansive a livello europeo, altro che sì a BCE o no ad euro.

Se la recessione invece deriva da maggiore austerità, delle due l’una: o ce la siamo imposta da soli o ce l’hanno imposta l’Europa e la BCE. In ambedue i casi, diventa irrilevante cosa sia più nefasto, perché qualcuno avrebbe già scelto per me. Ma sarebbe una scelta che, imposta dall’Europa o dalla nuova coalizione italiana, violerebbe il mandato anti-austerità che hanno espresso gli elettori. A quel punto, di fronte a cotanta arroganza, mi schiererei per un referendum sull’euro.

Se e quando arriveremo al referendum sarà mia cura esprimervi la mia opinione se vi interessa su come voterò.

Seconda domanda: perché non mi schiero per un referendum ora? I lettori di questo blog lo sanno. Perché non ritengo, al contrario di altri, che vi siano state a tutt’oggi violazioni del processo democratico tali da dover mettere a repentaglio l’Unione europea (non sto dunque dicendo, come sanno bene i lettori storici di questo blog, che non vi siano state violazioni del processo democratico in questi ultimi anni a causa delle decisioni europee; come ve ne sono state, anche, nel ristretto sgabuzzino di casa nostra a cominciare da quelle che ogni giorno perpetriamo nelle carceri disumane in cui non ascoltiamo la voce di chi vede i propri diritti umani violati quotidianamente). E perché ritengo che a fronte di ciò i costi di una uscita che, sempre a mio avviso e non ad avviso di altri, comporterebbe la fine del processo di integrazione europea, siano a tutt’oggi una sciagura ben maggiore.

E’ ovvio che siamo vicini ad uno snodo critico. L’Italia ha esercitato in pieno e con sorprendente forza lo strumento democratico a sua disposizione. A fronte di ciò, o si ascolta il messaggio e lo si incorpora in politiche contro l’austerità, o si va avanti come se nulla fosse con l’austerità. In questo senso, tertium non datur: e tertium non datur anche per le risposte che darà la società italiana alle risposte che darà la politica economica europea anzi, la politica europea tout court. Perché oramai di economico in tutto ciò c’è, a ben guardare, molto poco.