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Due peccati incredibili

È finalmente chiaro a tutti che l’imposizione fiscale in Italia deve scendere… come finanziare la perdita di gettito?

Una riduzione delle imposte di dimensioni adeguate a far ripartire un’economia disastrata come la nostra deve essere notevole: attorno al 4 per cento di Prodotto interno lordo (Pil) in un orizzonte di due-tre anni…. Tali tagli farebbero però aumentare il deficit.

L’alternativa è una sola. Cominciare immediatamente con un piano aggressivo di riduzione delle aliquote e di dismissioni del patrimonio pubblico e annunciare tagli di spesa da far partire tra un anno, dopo che, sperabilmente, la riduzione delle imposte abbia contribuito a far riprendere l’economia.

È probabile che un piano di questo tipo faccia aumentare il deficit per un anno o due. Di quanto, dipenderà da come l’economia risponderà ai tagli di aliquote e dalle altre misure da avviare comunque per la crescita.

L’esperienza recente dimostra che l’effetto espansivo di riduzione delle tasse compensa la diminuzione della domanda dovuta ai tagli alla spesa. Ma ci possiamo permettere i deficit temporanei che si manifestassero nel periodo intercorso tra i tagli di imposte (subito) ed i tagli di spesa (un po’ ritardati)? La riposta è sì, a patto che le riduzioni delle spese siano credibili.

Alberto Alesina, Due scelte credibili, Corriere della Sera, ieri.

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Che l’imposizione fiscale debba scendere (cosa su cui I Viaggiatori in Movimento scommettono) non mi è chiaro per niente. Specie dopo aver letto questo articolo di Alberto.

Che auspica un taglio delle tasse non immediatamente finanziato da taglio di spese. E’ un peccato due volte, questa idea.

Primo peccato. Perché se il taglio di spesa venisse da taglio di veri sprechi, non quelli della politica, ma della politica degli appalti, non farlo subito sarà stato un’enorme spreco di opportunità, una perdita di un altro anno di governo della cosa pubblica. Perché rinviare a domani qualcosa che serve a tutti oggi? Tanto più se prendiamo atto che il taglio degli sprechi non è recessivo: taglia trasferimenti da un tipo di cittadino (l’imprenditore che ottiene extra profitti ingiusti vincendo la gara d’appalto a prezzi più alti di quelli ottenibili) ad un altro (il contribuente che paga per tali sprechi), senza dunque levare ricchezza al Paese nel suo complesso e senza accelerare la recessione. Anzi, liberando risorse per finanziare (subito) i tagli delle tasse che vuole Alberto oppure maggiore spese, vere spese, non sprechi. Anche perché se questo governo dimostrasse di sapere individuare gli sprechi (finalmente!) potremmo dargli fiducia sul potere di spendere, perché avrebbe dimostrato di sapere spendere bene.

Secondo peccato. Perché non si capisce la logica sequenziale della proposta. Se Alesina chiede minori tasse oggi e minori spese domani è perché sa bene, o crede, che i tagli fatti bene siano impossibili e dunque che si debba andare a tagliare non sprechi ma vera domanda pubblica, esattamente come ha fatto Monti con Bondi, tagli a casaccio, lineari, senza una metodologia forte dietro e soprattutto senza una squadra professionale e ampia di ispettori della spesa.

Sapendo bene ciò, sa che questi tagli lineari sono più, non meno, recessivi del taglio delle tasse, come dimostrano tutti gli studi del Fondo Monetario Internazionale, in barba al suo enigmatico riferimento che “L’esperienza recente dimostra che l’effetto espansivo di riduzione delle tasse compensa la diminuzione della domanda dovuta ai tagli alla spesa” : quale esperienza recente please??

Ma non c’è bisogno di chiederglielo: è lui stesso che ammette che non è così quando chiede che il taglio della spesa sia rinviato di un anno; perché sa bene che un taglio contemporaneo di tasse e spese pubbliche sarebbe recessivo perché l’impatto del secondo sovrasta il primo!

Rovesciando il paradigma:  un aumento di spesa è ben più espansivo di un taglio delle tasse in questo contesto economico.

Ne segue naturalmente, ma Alesina non lo ammetterà mai, che quello che dobbiamo fare, subito e non domani, è un taglio degli sprechi negli appalti che finanzi il motore più rapido di ripresa che abbiamo: non il taglio delle tasse ma l’aumento di vera domanda pubblica, come lo stesso Alesina ammette, ma senza dirlo. Investimenti, investimenti, investimenti.

I tagli della spesa non devono essere credibili, devono essere mirati, al taglio degli sprechi. Quello che deve essere credibile  è il rientro della spesa pubblica appena usciti dalla recessione, quando potremo finalmente mettere mano a quelle riforme che consentiranno che la crescita sia duratura e di lungo periodo, finanziando così una riduzione permanente della tassazione, senza dover ridurre il ruolo utile della spesa pubblica per imprese e cittadini.

Concentriamoci dunque a stabilire in Europa, in questa Europa ammalata di crisi da domanda, un meccanismo credibile per ridurre la spesa pubblica quando (e solo quando) l’economia tirerà al bello, cosa che non siamo ancora riusciti ad escogitare. Altro che le idiozie, che paiono non finire mai, della Commissione europea e del suo 3% di deficit su PIL da rispettare che genera solo austerità.

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Rispettiamo il trattato europeo: innalziamo il rapporto PIL su debito

Se per essere selezionato alle olimpiadi sui 100 metri devo fare 10 secondi massimo, come minimo devo fare 10 metri al secondo.

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Sono un po’ stufo di sentir dire che il parametro del Trattato europeo ci impone di ridurre il debito. Non è così. Ci chiede, siamo precisi per favore, di ridurre il debito in rapporto al PIL: che non deve essere superiore al 60 per cento, 6 su dieci.

Se faccio l’inverso di questo rapporto, il PIL sul debito, questo dunque secondo l’Europa formalmente e rigorosamente non deve essere inferiore all’inverso di 6 su 10, ovvero non deve essere inferiore a 10 su 6, e cioè 1,6 periodico, ovvero il 166,66%.

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Ecco, vedete, è semplice. Oggi le cose stanno così.

E’ un grafico che conosciamo bene: a cominciare dall’Olanda (in rosso) con un debito PIL del 71,2% nel 2012 e proseguendo verso destra vedete i cattivi che non rispettano Maastricht con un debito su PIL superiore al 60 per cento. L’Italia è seconda solo alla Grecia.

Ricetta? Semplice, abbassiamo il debito, spostandoci a sinistra, verso il virtuoso Lussemburgo dal debito pari al 20,8% del PIL!

Un momento.

In realtà il Trattato europeo ci chiede, come dicevamo sopra, di avere un rapporto PIL su debito superiore al 166%. Ecco la situazione dei vari paesi:

E’ un grafico che conosciamo meno bene: ma che dice che a cominciare dall’Olanda (in rosso) con un PIL su debito del 140% nel 2012 e proseguendo verso sinistra vedete i cattivi che non rispettano Maastricht con un PIL su debito inferiore al 166 per cento. L’Italia è seconda solo alla Grecia con un rapporto PIL su debito pari a solo il 78% (l’inverso di 127%). Troppa poca crescita.

Ricetta? Semplice, alziamo la crescita, da subito, spostandoci a destra, verso il virtuoso Lussemburgo dal PIL pari al 5 volte il debito!

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In economia li chiediamo effetti di “inquadramento” (framing effects): le stesse cose, dette in modo diverso, modificano, a volta radicalmente, le reazioni delle persone.

Da ora in poi in questo blog ricorderemo a tutti che il Trattato europeo ci chiede una sola cosa: di avere un rapporto PIL su debito superiore al 166%. Chissà che non capiremo finalmente cosa dobbiamo fare per rispettare la nostra Costituzione europea: focalizzarci sul far ripartire la crescita e smettere di dire che dobbiamo abbattere il debito.

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Come aiutare Draghi? Nazionalizzando il Monte dei Paschi di Siena

Siamo – non userei la parola – anzi sì la uso la parola “frustrati”, sì, certamente. Vediamo miglioramenti nei mercati finanziari. Pensiamo che i mercati finanziari siano i soli, ed i necessari, canali tramite i quali la politica monetaria si trasmette. Non andiamo in giro con l’elicottero pieno di banconote, facendole cadere dall’alto. In Europa, si deve passare tramite le banche. Non ci sono mercati dei capitali del tipo di quelli che si hanno negli Stati Uniti, e dunque bisogna passare tramite il sistema bancario.  Ecco perché, nelle mie conferenze stampa, cerco di darvi un’analisi dettagliata dei diversi indicatori; perché ciò mostra come stiamo cercando di esaminare ed analizzare da vicino la realtà, per vedere se gli impulsi che abbiamo trasmesso all’economia da lungo tempo si traducono oggi in un maggior livello di benessere, minore disoccupazione e maggiore attività economica.” Mario Draghi, ieri, mia traduzione.

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Bisogna passare per il sistema bancario. Ma quale sistema bancario? Ci sono sistemi bancari che fanno passare meglio di altri gli impulsi monetari, specie quando questi contano di più, in una recessione come questa?

Secondo tre ricercatori che hanno recentemente pubblicato il loro lavoro sulla prestigiosa collana bostoniana dei working papers del NBER, sì.

Il loro attacco è formidabile; citano lavori precedenti sulla politica monetaria cinese che legano “l’efficacia dello stimolo monetario cinese nel 2008 alla percezione da parte degli amministratori delegati (AD) dalle banche a proprietà statale che i maggiori crediti all’economia aumenterebbero le loro probabilità di promozione all’interno della gerarchia del  Partito Comunista, piuttosto che ad incentivi economici passanti attraverso l’offerta di moneta o i tassi d’interesse. Lo stimolo monetario funzionò perché i quadri dirigenti ordinarono agli AD delle banche statali di agire come i modelli macroeconomici sostengono essi debbano agire – una forma estrema di moral suasion.”

“Un sistema bancario pienamente controllato dallo stato trasmette un aumento di 1% nella base monetaria nell’anno precedente in un – rispetto ad un sistema bancario completamente privato – maggiore aumento dello 0,3% del tasso di crescita reale dei prestiti e dello 0,81% nel tasso di crescita degli investimenti. Questi effetti variano con il variare dello stato dell’economia e della posizione della politica monetaria… La spinta derivante dalla politica monetaria associata ad un controllo statale della proprietà delle banche è maggiore durante le espansioni monetarie e la crescita economica bassa … Le banche a controllo statale appaiono sospingere la trasmissione di politica monetaria precisamente quando la sua efficacia è più rilevante”, e cioè durante le recessioni.

Perché le banche private “appaiono caute e relativamente poco reattive alla politica monetaria”?  E’ la domanda a cui vorrebbe rispondere anche Draghi, immagino.

Gli autori sostengono che forse i banchieri privati “vogliono una vita tranquilla”. Forse gli interessi degli azionisti privati non sono ben serviti da un manager che in un periodo in cui prestare è più rischioso (la recessione) si mettono a servire il bene comune, rischiando i loro soldi. Forse è più profittevole fare semplici arbitraggi che non prestare a piccole imprese poco note.

Siamo dunque pronti ad aiutare Draghi nella sua missione, cominciando con il nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena? Perché no.

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Lo spreco è la piu’ preziosa risorsa per salvare l’Italia e l’Europa

Buon 1° maggio.

Del discorso del premier Letta (di cui ho apprezzato il coraggio dell’approccio e del messaggio con la cancelleria tedesca) mi stupisce una sola cosa. L’assenza di qualsiasi menzione per quella che è stata una delle poche idee innovative del Governo Monti.

La spending review.

Idea innovativa finita ben presto non solo nel nulla, ma anzi peggio: costruita frettolosamente e con pochissime risorse umane e nessun ispettore sul territorio, il team costituito dal solo Bondi ha finito per fare di un’opportunità di rilancio dell’economia uno strumento di accelerazione di tagli lineari recessivi.

Ma l’idea c’era tutta, quella di creare una sorta di Ministero del Controllo della Qualità della Spesa come quello proposto dai Viaggiatori in Movimento.

Non potevamo sperare che il Premier creasse dalla mattina all’indomani tale Ministero, né che costituisse l’altro da noi richiesto, quello per le Piccole Imprese.

Ma il fatto che non vi sia stato nessun accenno alla spending review mi stupisce. E deprime un po’.

Perché non è possibile parlare di lavoro senza risorse. Quelle risorse senza le quali non potremmo avviare un programma come quello che chiediamo da un anno, ed ora è ancora più urgente di allora, un servizio civile temporaneo e non ripetibile per i giovani all’interno della Pubblica Amministrazione. Quelle risorse che servono per stimolare subito maggiore domanda pubblica alle imprese di beni, servizi, lavori, così che si freni l’emorragia occupazionale che non potrà mai essere arrestata da maggiore domanda di famiglie ed imprese, estenuate dal pessimismo che genera la trappola europea dell’austerità.

Ebbene? Dove sono queste risorse? C’è chi dice (basta sentire l’amico Stefano Lepri a Radio 3 ieri quando ci siamo confrontati sul programma del nuovo governo) che non ci sono. Che incredibile realismo, quello di Stefano. Realismo che mi abbatte e che combatto. Certo, non ci sono se pensiamo che questo Governo rimanga come tutti gli altri, indifferente al problema, incapace di agire, incompetente nel rivoluzionare il funzionamento della macchina pubblica. Una incredibile abdicazione, una umiliante resa, una incredibile ammissione di impotenza.

Negli appalti l’Italia spende circa il 16% del suo PIL. Gli sprechi documentati (altro che i risibili sprechi  dei parlamentari) sono di circa il 20%. Cioè di quel 16%, circa il 13% è vera domanda alle imprese che genera occupazione e PIL, il 3% un mero spreco ovvero trasferimento dal contribuente all’imprenditore.

Che sia per corruzione (a proposito, perché nulla è stato detto nel discorso introduttivo sulla lotta a questa rafforzando la nuova Autorità Anti Corruzione, oggi ancora senza quasi dipendenti?) o, più frequentemente, per incompetenza, quel 3% di PIL sprecato è il più grande Tesoro che abbiamo a disposizione per rilanciare lo  sviluppo ed il lavoro. Circa 50 miliardi! Altro che “soldi che non ci sono”. 50 miliardi che, tagliati, non fanno male all’economia, ma redistribuiscono solo, ridando indietro soldi dall’imprenditore al contribuente. Soldi dovuti.

Soldi dovuti. Che ci sono. Basta volerli trovare. Basta voler organizzare un gruppo ampio di ispettori, finanzieri, auditor, statistici, informatici. Informatici? Certo, come in Tunisia, come in Corea, dove si può controllare in tempo reale – grazie ad una unica piattaforma internet – tutte le gare fatte (noi possiamo farlo tipicamente con … qualche anno di ritardo).

Se da lì non parte la rivoluzione, niente risorse. Senza risorse , mai saremo credibili in Europa. Senza risorse, mai potremo far ripartire da noi stessi la macchina dello sviluppo. Senza risorse, e la volontà di trovarle, mettiamo a rischio l’Europa perché questa, concordo con Letta, ”è in crisi di legittimità ed efficacia proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno”. L’Europa, non l’euro.

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Senza clienti, addio euro

Non cambia mai nulla nelle determinanti di questa maledetta crisi europea. Intervistate, come ogni semestre, dalla BCE, piccole e grandi imprese sono accomunate da un vero ed unico problema: la mancanza di clienti (cerchio rosso). Anzi le grandi (secondo grafico) ancora più dello scorso semestre. Ben di più di qualsiasi altro problema che vi diranno i guru, i “quelli che” la competitività, “il costo del lavoro”, “la burocrazia”, oh yes.

 

Il quadro che la Banca di Francoforte dipinge per l’Italia è chiarissimo: il 62% delle piccole imprese riportano per gli ultimi 6 mesi un aumento nei tassi sui prestiti ad indicare “una forte avversione delle banche in un contesto di attività economica debole e di difficoltà dei sistemi bancari” anche a prestare a imprese la cui rischiosità è aumentata. Percentuali in crescita.

Ditemi voi, a che servirebbero le pur meritorie operazioni di defiscalizzazione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato menzionate dal Presidente Letta: se non si vedono clienti all’orizzonte, perché assumere? Senza ottimismo, perché scommettere sul futuro?

Dubito che Saccomanni veda il rilancio dei clienti delle imprese come un tema pregnante con il  quale caratterizzare il suo mandato. Saccomanni? E che c’entra mi direte?

Semplice. Quasi 20% della ricchezza che  viene prodotta ogni anno da queste imprese viene proprio dalla domanda del cliente pubblico. E sarebbe così facile far ripartire l’ottimismo generale per le assunzioni, gli investimenti ed i consumi proprio da quella componente che è l’unica nelle nostre mani e che non dipende da più o meno ottimismo ma da più coraggio politico.

Se non lo faremo, d’accordo con la Francia, saremo qui tra un anno a leggere il prossimo DEF con numeri sempre peggiori. Il 18 aprile 2012 parlavamo di un PIL 2013 che sarebbe cresciuto dello 0,5%, un anno dopo Moody’s parla di -1,8%. Politiche sciagurate, quelle dell’ultimo governo, che se questo Governo oserà ripetere … Beh, lo sappiamo cosa succederà: condannerà se stesso ed il Paese ad una incredibile e ben più grave sciagura; l’uscita dall’euro e la fine del progetto europeo, per voto unanime referendario di una maggioranza di cittadini italiani distrutti dalla più stupida austerità che ci sia mai stato dato di conoscere nella nostra pur lunga vita.

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Fighting Corruption, Internationally

From the Anti Corruption G20 OECD  high level conference in Paris I come back with 2 main feelings. They are both related to the issue of how to fight corruption worldwide through a supranational approach driven mostly by a subset of (richer) countries.

Not an easy topic.

1) A first tool that was seen favorably was “Collective Action” by firms (typically large multinationals) that agree to resist the temptation to bribe through an explicit joint commitment. In such a way it is hoped that citizens (often in developing countries) will benefit from the lower costs due to lower corruption.

Tricky issue. As Adam Smith would have said, it is hard that entrepreneurs meet during a party or a social event without ending up conspiring against the greater good of society. I would posit that the risk here is that less corruption comes, to be optimistic, at the cost of the greater collusion that such collective actions talks among firms would encourage.  In such case citizens (often of developing countries) would not only see zero benefit from collective action, but only a more expensive procurement with extra profits shared among cartel members of firms (often from richer nations), either alone or together with corrupt government politicians and/or officials.

2) A second tool proposed to reduce corruption at the international level is common rules imposed in a single country by the international community (typically richer countries).

Tricky issue here too. Those who push for this approach claim that corruption is a global phenomenon and should be thus tackled globally. If corruption is instead seen as a cultural phenomenon affected by globalization, it comes naturally to leave the fight aganst corruption to local forces, and let the international community identify ways to sustain those governments that show the greatest improvements in such a struggle.

In this sense, international indicators of national corruption like the ones produced by Transparency International - which rank countries worldwide without taking into account that it makes no sense to compare the anti corruption stance of a country with a 5000 $ income per capita with one with a 30.000 $ one - are extremely dangerous. They might rather fast become a blackmailing tool for rich countries to deny financing and support to poor countries that do not open sufficiently to multinationals or that conduct foreign policy that is considered against the interest of those.

Much better it would be to monitor, rather than the level of corruption of any given country, its improvement over time, rewarding it if some (jointly) established targets are achieved.

Until then, don’t let the fight against corruption become a new (neo) colonialist tool in the South-North never-ending interaction.

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Quando l’Italia nega all’Europa un attaccante come Mario (Balotelli)

Qualcuno mi ha rubato il paragone con la squadra di calcio, sono stati più veloci.

Così il Governo Letta è stato paragonato ad una squadra che può ambire all’Europa League e forse anche alla Champions, con un difesa rocciosa ma efficace nelle mani di Saccomanni.

Ecco, mi sono detto, è proprio qui che non siamo d’accordo.

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Se c’è qualcosa che rimpiango di questo Governo è che all’attacco, là dove c’era bisogno di finalizzare per portare a casa il risultato finale, la vittoria, hanno messo … un difensore, uno che non sa segnare.

Perché il MInistero dell’Economia è l’attacco, non la difesa della squadra, e la scelta di Saccomanni è la scelta di chi mette centravanti un Chiellini.

Il problema non è nella persona, è nel non capire cosa sia il Ministero dell’Economia, specie in questo momento così delicato per … l’economia del nostro Paese.

Vedere nel Ministero dell’Economia la difesa del Paese e non l’attacco, vuole dire di nuovo vedere la politica economica come un’operazione catenaccio a difesa degli attacchi dello spread, che marca a zona tutti i territori dove si può materializzare qualche buco di bilancio per coprirlo immediatamente con maggiori tasse e o minori spese per far felice la Commissione europea.

No, questa visione del Ministero dell’Economia, il catenaccio, non paga più. Il modulo Monti ha fallito, subendo tantissime reti, chiamate debito su PIL a livelli record, tre anni di recessione, disoccupazione a livelli record. Ha fallito perché invece di spingere con coraggio la Germania a comprendere i suoi errori le abbiamo dato possibilità di perseverare, diabolicamente.

Il Ministero dell’Economia del Governo Letta doveva essere la punta di diamante dell’attacco, dell’alleanza con i francesi per dire per sempre basta all’austerità, per far ascoltare ai mercati quello che vogliono sentirsi dire, che gli assicureremo la solvibilità del nostro debito con l’unica moneta sonante che apprezzano, la ripresa economica. Avremmo avuto bisogno di far sentire a tutti che la politica economica, di pertinenza del Ministero dell’Economia, è il luogo dove si combatte l’austerità, non dove la si giustifica.

Ma non si può chiedere ad un banchiere centrale di fare altro che giocare sulla difensiva: nato e istruito per proteggerci dall’inflazione, il banchiere centrale fa fatica  a capire che ci sono momenti di crisi dove l’inflazione non è il pericolo mortale per la stabilità di un Paese, ma la crisi che attanaglia le famiglie sì, lo è. E che questa crisi non può aspettare le riforme dei sogni tra 10 anni, ma ha bisogno subito di quella medicina chiamata lavoro e produzione che rende degna e decorosa la vita delle persone, siano esse dipendenti o imprenditori. Sennò si muore, sennò si perde.

La realtà è che questo Governo Letta ha una ottima difesa con un pessimo attaccante: le scelte sui Ministeri del Lavoro e dell’Università e dell’Istruzione, dove più forte è il potenziale per arrestare l’emorragia dei giovani, sono state credo ottime. Ma la scelta di quei Ministri, se tutto va bene, aiuterà, speriamo, a guadagnare tempo per arrivare ai supplementari, a fermare il nemico, ma non a sconfiggerlo.

Perché per sconfiggerlo avremmo avuto bisogno di ben altro attaccante.

E’ un peccato per l’Europa tutta che l’Italia abbia rinunciato ad attaccare. E qui la similitudine col calcio finisce: perché non si è gli uni contro gli altri, non si è in Champions’ League. Se proprio vogliamo, si è ad un mondiale con una sola maglietta blu a stelle gialle. E vi assicuro che se l’Italia nega alla squadra europea il suo Super Mario, il suo Balotelli, un Ministro che sappia dire “no” alla Germania e “si” alla solidarietà, nessuno potrà rallegrarsene: le chance che perderemo la gara del mondiale saranno sempre maggiori.

P.S.: poi il calcio è misterioso. E a volte si vince anche in maniera inattesa. A volte l’avversario sbaglia, a volte giocatori che credevamo brocchi si rivelano grandissimi. Cercheremo di capire, dai primi segnali, se e quanto abbiamo avuto ragione a essere pessimisti. Intanto in bocca al lupo al Governo, se lo merita, sia perché è all’inizio, sia perché le novità di questo Governo non sono poche e meritano, solo per questo, rispetto.

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Corruption, how to Fight it

I was invited at the G20 OECD Third Annual High-Level Anti-Corruption Conference for G20 Governments and Business. The question that was put to me was the following:

This discussion is not only about how corruption impedes economic growth, but also how anticorruption policies can contribute to establishing growth. Could you tell us of instances where countries have achieved large reductions in their corruption perception scores while demonstrating an improved economic performance? Can we really identify/single out anticorruption practices as one of the factors in this success? What lessons could this provide G20 countries as they strive to build a strong international agenda against corruption?

Here is the text that was the basis for my speech.

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You are asking me for economic advice, and I fear for the risks you are running by doing that. Economists Acemoglu and Robinson, in their latest paper “The Pitfalls of Economic Advice”, put  it out nicely: “We argue not only that economic advice will ignore politics at its peril but also that there are systematic forces that sometimes turn good economics into bad politics, with the latter unfortunately often trumping the economic good” and “unintended political consequences are common place when reform is imposed from the outside without understanding the political equilibrium on the ground.”

So, by asking good advice to an economist on what anti corruption practices can be recommended there is not only a risk that the advice will fail, but of unintended worse consequences. For example, still following their line of thought, a government might end up – by pushing for the “right“ economic policies” – being forced to prematurely shift its nature or to alter its coalitions, and by so doing lose political control, suffer civil war or even become more authoritarian in nature.

Really good economic advice is only one that takes these (complex and local) considerations into account.

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But in a less dramatic tone, I would like to go back to the other problem I see with giving a general advice to every country,  the issue of the “one size fits all” solution.

Let me start with one example. The history of Anti Corruption Authorities, one of the latest and most interesting developments,  as also told by World Bank’s Recanatini is clear:

a)     Policy-makers should attempt to replicate successful experiences with caution;

b)     The success of some countries – Brazil, Hong Kong, Indonesia, Slovenia and Singapore are some that come to mind – has been hard to replicate.

Case studies of failures sometimes are more informative than successes, because they show us what we should keep in mind anyway to avoid risking defeat again, and because they force us to understand what went wrong.

Italy’s Mani Pulite, the bribery scandal in the early 90s that wiped out from the political arena two of the three largest parties in Italy’s republican history till then, is the tale of a sudden strong improvement in many indicators of anti corruption monitoring, especially the activity by judges and police forces. In a paper I wrote with Coppier and Costantini that we published in Economic Inquiry, we show that lack of full credibility in this new anti corruption drive made firms at least in some areas of the country postpone investment (a wait and see attitude) and damaged the growth process of Italy in those years.

Reforms that generated less growth.

What can we learn from that episode? That only an explicit and very credible anti corruption reform is what generates growth.

Ok. But I see your question coming, so let me anticipate it. Explicit and credible is good, but explicit and credible depends on a political willingness rather than on the instruments per se, dont you think?

Yes. A whistleblower program may simply fail to protect whistleblowers. An anticorruption authority may be chaired by a corrupt chairman, or an honest chairman may soon be fired. It has happened before.

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So the key question we should ask ourselves is: what makes the chances of a whistleblower program or of an anti corruption authority being successful more likely?

One anwer, we know, is growth and development. After all, whistleblower programs and anti corruption authorities are often successful there where they are needed the least, in rich countries which have developed over time a strong anti corruption stance also thanks to the larger amount of resources available.

We know for sure that the correlation of growth and corruption runs in both directions and that healthy and well distributed growth and opportunities reduce corruption. For that to happen, however, we need long spans of time.

The real issue is then if there is something we can recommend to be done in a shorter span of time to fight corruption or if we should resign ourselves to wait for growth to do its job. To make the issue even more tricky, let’s not forget that corruption is a cultural phenomenon, that can hardly be eradicated by itelsf in a short time, especially within democratic means. Or at least we lack evidence of such cases, as I argued before (we should however keep Brazil under a very watchful eye, since what is happening there, with an incredible acceleration in policies against and intolerance toward corruption is puzzling and fascinating at the same time).

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My thought has always been that you need allies in fighting corruption. That is, just like for whistleblowing one looks for the partners of corrupt people as the weak link of the corrupt deal, one needs to find those phenomena that partner with corruption and focus on fighting them.

In economics we say that we need to look for “strategic complements” of corruption. Those phenomena that go in hand in hand with corruption, who feed on it and feed it at the same time.

There are three main strategic complements of corruption. One is criminal activity, especially of the systemic type. Its existence makes corruption easier to emerge, and the existence of corrupt people makes criminal organizations more likely to succeed.

In this sense cooperation between anti corruption units and criminal investigators becomes essential, even if fighting criminal organizations is often as hard as fighting corruption.

The other complement of corruption is collusion. Cartels and corruption walk hand in hand. The work of Ariane Lambert Mogilianski and others is very important in this sense. Corruption makes cartels more stable and cartels often make corruption more rewarding. An anti-corruption drive where collaboration with antitrust authorities is central might go far in making corruption harder to be sustained. But for this we need to fight for centralized antitrust authorities budget to be much larger, so as to look for data in public procurement across a given country, across different regions and over time. In Italy, the Italian antitrust authority has been able in 22 years of activity to open 22 cases of cartels in public procurement. My hunch is that the true number is way bigger than this.

Antitrust is often debated with less passion than anti corruption, it looks too technical. If we think that cartels and corruption are related, then we might put some passion in the antitrust reinforcement.

The third complement is incompetence . Corruption and incompetence walk together: where there is corruption the willingness to train is low, where there is incompetence corruption has a much easier time to capture procurers. Turn that result around: more competence, rewarded, less incentive for corruption to sustain itself.

We know if anything that Singapore’s emphasis on high wages and competence has come together with a good anti corruption record. Is that a coincidence? I dont think so.  So one needs to focus, especially in public procurement, in making the labor force motivated, trained, rewarded.  Possibly a professional career for purchasers should be created similar to the one of other elite officials like judges and diplomats. The private sector does it, why not the public?

Finally, related to competence, we should start teaching in every school at a very young age the advantage of “just saying no”. Brazil does it, we should help every country that wants to engage in such types of programs.

I hope my message, although not always optimistic, will encourage rich nations to think twice before applying external pressure to conform to a given rule chosen by outsiders. Corruption is not a global phenomenon that needs a global solution: it is a cultural phenomenon faced with globalization. And globalization might help in making internal reforms faster and more effective, it is enough to think how fast everywhere in the world the younger generations are getting a taste for integrity.  As such, as a cultural phenomenon, it should be fought internally with resources from rich countries flowing there were improvement, even modest improvement, is shown in the battle against corruption.

Thank you.

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Accounting is not Keynesian, fighting austerity is

Letter to the Editor of the Wall Street Journal (unpublished at the moment of publishing in the blog).

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Dear Sir,

in yesterdays’ editorial “Europe’s Austerity Fable” you take advantage of the evident shift in the European mood toward austerity to remind readers of the dangers of an awakening of the public spending party across the Continent.

What stroke me of your argument was a great deal of confusion regarding basic macroconomic and accounting features of the workings of any economy that I would like to underline here.

You say: “If a country could somehow borrow an amount equal to GDP and spend it all in one year, statistical GDP would therefore double. Yet no one thinks that country would suddenly be twice as prosperous. It would merely be in big debt. Likewise, if a government spends less, then statistical GDP shrinks, other things being equal. Lower spending therefore is bad for growth in the short-term as measured by Keynesian national accounts. But if controlling government spending means lower borrowing costs and lower tax burden combined with other reforms, it will lead to faster growth over time”.

That is wrong in an accounting and in an economic sense. If a country were to borrow such an amount from markets and transfer it in the shape of larger pension  benefits or to double the interest payments to bondholders, 2 examples of that important component of public spending called transfers, nothing would happen to GDP. In an economic sense, if indeed spending were to be directed at procurement or salaries, there is no doubt that independently of the quality of that spending officially recorded GDP would rise, maybe less or maybe more than the true level of goods and services the community really receives (having more policemen in a neighborhood might be highly valuable depending as to whether the policeman shirks or monitors thiefs).

“Other things being equal” is obviously a puzzling term that you use . When evaluating the economic impact of a policy move that requires more spending,  we know it also requires by definition more financing, whether through debt or taxation. So the impact of that financing cannot be removed for a complete analysis of the impact of more public spending  (and indeed you do not hold everything else equal when you describe the positive impact of reducing spending). So economically I would not be able to tell you whether, after raising by 100% of GDP the level of public purchases, GDP would go up: I would actually expect that given the very high number you provocatively mention, which requires taxing all income of citizens away, GDP would definitely shrink. However I would not dare call these national accounts “neo-classical” for that reason.

Anyway, we are blessed that those who argue today in favor of more public spending are more moderate in their proposals: possibly they suggest increases in public demand of the size of 1 to 3% of GDP.

But here comes the final argument of yours that I wish to debate vigorously: “Those who want governments to spend more to boost growth must believe these governments are still able to borrow more to spend more. They could tax more to spend more, but that simply means taking money out of the private economy so the government can spend it. But that is merely another form of austerity, since governemnts will spend most of the money less productively than will private actors”.

I could not dissent more. First, because it seems to imply that borrowing today is totally different for taxpayers from taxing today. Actually it isn’t that much. Most rational citizens know quite well that those governments that don’t tax them today will tax them tomorrow to repay their debt, and often save in precaution for that moment.

Second, and more importantly for the current economic cycle in Europe, taxing today to spend today indeed takes away from firms and citizens, but is turns out that exactly because of that it is exactly the opposite of austerity: since private actors currently do not spend (internal private demand being the culprit of the current European crisis, according to all governments and central banks’ analyses) because of fear of the future, only spending by governments will be able to push us out of this recession.

Two last things.

Does this mean that governments have to further increase taxes? No, they might be happy to use all of the higher revenues that over the past 2 years have been raised by many austere governments not to spend more but to repay debt, with the final sole and obvious result to raise debt GDP levels to historically record high levels.

The true challenge we should really focus on is to think how to make those governments that today smartly are ready to raise spending to get us out of this recession (and in the process save the euro and Europe) credibly   commit to lower it once we are out of this perfect storm.

You dont need to be a anti-Keynesian to hope the private sector in Europe will one day regain confidence and take the burden of leading the growth process.

Till that day, let austerity die, it has killed enough.

Post Format

La troika italiana che visita Bruxelles e impone l’anti austerità

Sono in Francia. Ascolto la televisione. Tutti a parlare della crescita che non c’è più. Della disoccupazione troppo troppo alta.

Mentre il Nobel Amartya Sen in streaming dall’America afferma che “le riforme non hanno niente a che vedere con l’austerità, che le riforme sono più facili senza austerità, che la Grecia (e l’Italai) abbisognano di riforme ma non di austerità”, leggo sul Wall Street Journal che il Portogallo dice basta all’austerità con un taglio della tassazione sulle imprese e il finanziamento sussidiato alle PMI (non a caso il portoghese Barroso il giorno prima aveva preparato il terreno dicendo che l’austerità non aveva più il consenso della gente per funzionare) e che in Germania l’economia si inviluppa anch’essa, ed addirittura il tetro Olli Rehn ‘afferma che “è possibile effettuare un rallentamento dell’austerità grazie agli sforzi fatti dagli stati in difficoltà, dalla BCE e di politiche di bilancio credibili” (vien da ridere).

Insomma come abbiamo sempre detto su questo blog, insistendo insistendo anche i ciechi si sarebbero arresi. Si stanno arrendendo.  Stanno mollando. Il muro di gomma si è usurato, le crepe appaiono chiaramente.

Per buttare giù il muro, ovviamente, l’ultima picconata dovrà avvenire dopo le elezioni tedesche, (una follia? va seguita la proposta di Giorgio Basevi sul concentrare le elezioni di tutti i paesi euro in un determinato anno), c’è poco da fare.

Ma questo non vuol dire che si debba nel frattempo rimanere fermi.

Questi mesi che ci separano dalle elezioni tedesche devono essere usati per farci trovare pronti per dare il colpo di grazia all’austerità la mattina dopo che le elezioni tedesche hanno avuto luogo.

Va dunque costruita l’alleanza politica nell’area euro contro l’austerità: Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna. E’ ovvio che l’Italia deve condurre le danze assieme alla ancora timida Francia.

Tutti i cannoni del prossimo governo vanno dunque diretti verso questo obiettivo. Tutto il lavoro italiano in Europa dovrà tessere la vittoria della diplomazia dell’alleanza della lotta all’austerità. Presidente del Consiglio, Ministro dell’Economia e Ministro degli Affari Esteri saranno la troika decisiva.

Ci vuole una persona a Via XX Settembre che non abbia una storia passata alla Banca d’Italia, troppo irreggimentata a favore della stupida austerità, e che sappia riconoscere il valore delle politiche che rilancino la domanda interna.

Ci vuole una persona alla Farnesina che sia convinta personalmente della posizione anti austerità, credibile e appassionata al riguardo. Qualsiasi altra scelta sarebbe drammaticamente perdente per la capacità italiana di riprendersi un ruolo centrale in Europa, salvandola.