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L’Italia eserciti il suo enorme potere di veto

Come forse ricorderete da tempo abbiamo sollevato la questione del contenuto del nuovo testo del Trattato dell’Unione Europea, da approvare nel 2012 senza la Gran Bretagna, successivo al Consiglio di Marsiglia. Di esso sappiamo che circola una prima bozza inviata a tutti i Governi ma il testo non è disponibile, mi conferma una fonte non italiana presso la Commissione Europea.

Apprendiamo a pezzi bocconi da fonti (governative?) non meglio specificate – grazie a giornalisti che hanno fatto bene il loro mestiere, soprattutto del Foglio - che l’Italia ha presentato degli emendamenti (vedi per esempio Ansa) ma non abbiamo il testo ufficiale di tali emendamenti. Parrebbe tuttavia che valentemente il Governo italiano si stia battendo affinché, tra le altre cose, sia sminuito l’assurdo articolo che ci chiedeva di ridurre il rapporto debito pubblico-PIL del 3% ogni anno per 20 anni, che contribuirebbe all’avvitamento dell’economia italiana. Bene.

Mi pare tuttavia assurdo questo stillicidio di notizie col contagocce. I cittadini hanno il diritto di dibattere la loro futura costituzione europea su temi così rilevanti apertamente. I mercati che necessitano certezze hanno bisogno di potere influenzare con le loro reazioni il processo decisionale. Tutta questa segretezza fa malissimo all’Europa. La segretezza passata sui derivati greci non ci insegna nulla?

Detto questo. Bene che il nostro Presidente Monti abbia ben chiaro che la Germania non conduce le danze in questa fase e che il nostro potere di veto – enorme – potrà essere esercitato in ogni momento fino alla elaborazione finale del documento da approvare nei Parlamenti nazionali. Forza Presidente! Speriamo anche che il Parlamento Europeo (come ricordava l’On. D’Alema in una recente intervista) si batta in questa direzione,venendo in aiuto.

Ma sia chiaro: anche se riuscissimo a bloccare la clausola della riduzione del debito non avremmo fatto che tornare al punto zero da dove eravamo partiti prima che qualche monello facesse circolare una prima bozza del nuovo Trattato diversa – come fa intuire di fatto oggi il Ministro Moavero Milanesi sul Corriere della Sera – da quanto concordato al vertice di Marsiglia. Ma il punto zero da cui ripartiremmo non è la soluzione per il futuro dell’euro. Il futuro dell’euro richiede crescita subito, ispirata da politiche fiscali espansive guidate dalla Germania (in deficit) e seguite dagli altri paesi (senza deficit: più spesa pubblica finanziata da più tasse o da meno sprechi). Questo dobbiamo ottenere dalla Germania ed in cambio del quale l’Italia metterà in cambio le riforme necessarie. Tutto il resto è inutile agonia.

Quindi non cantiamo vittoria troppo presto, tanto rimane da fare con la nostra eccellente diplomazia e il nostro potente potere di veto. Trasparenza e crescita subito è quanto Monti può tranquillamente chiedere alla Cancelliera tedesca, riappropriandosi di un ruolo decisivo dell’Italia in Europa che da tempo pareva perduto e che grazie a Monti abbiamo ritrovato.

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La madre di tutte le liberalizzazioni. Portare da 70 a 1000 il numero di università. Prima puntata

Allora parliamo di liberalizzazioni. Spesso si parla di liberalizzare le professioni. C’è chi chiede di abolire gli ordini professionali, sostenendo che la loro missione principale di tutela del consumatore -fornendo informazioni e certificando le competenze – non solo è divenuta secondaria  rispetto alla difesa dei propri interessi particolari ma è comunque da rigettare in quanto è la reputazione sul mercato che fornisce l’informazione ai consumatori. Un medico incapace? Nessuno andrà da lui comunque dopo … il primo morto sotto il bisturi, non abbiamo bisogno di un ordine per dircelo (certo magari il morto non sarebbe d’accordo ma i più contrari agli ordini argomentano che comunque gli ordini non ci avrebbero mica tutelato negando la licenza a quel medico lì).

La madre delle liberalizzazioni? Sorpresa sorpresa … quella delle università. In che senso? Intanto cominciamo dalle analogie. Anche se non si chiama ordine, vi è un’associazione, la CRUI (conferenza dei Rettori) che vigila anche sull’assetto universitario impedendo spesso l’entrata di nuove università apparentemente di cattiva qualità, come le c.d. università telematiche. Come gli ordini dei medici o dei commercialisti, argomenta questa sua opposizione in nome della qualità minima necessaria che deve avere una università e non ci vuol sentire sul fatto che la reputazione di ogni università  presso le famiglie, studenti e le imprese basterebbe da sola a scremare le buone dalle cattive. Gli ordini restringono il numero di individui che possono praticare la professione? Le università esistenti restringono il numero di università. Non è vero nella forma, lo è spesso nella sostanza.

Chi vuole una riforma radicale degli ordini vorrebbe la loro abolizione lasciando ognuno libero di praticare la professione ed ai consumatori-utenti di valutare la qualità del servizio spargendo la voce su di questa. Ciò allargherebbe enormemente il numero di fornitori di servizi professionali e spesso la concorrenza, riducendo spesso anche le tariffe minime. Bene, io vorrei che ci fossero 1000 e non 70 università. La cui qualità sia lasciata alle famiglie, agli studenti ed alle imprese da valutare. Avete sentito bene. Mentre ci sono Ministri che dicono che ci sono troppi Atenei io dico che è ridicolmente basso il loro numero. Perché lo dico.

Guardate il grafico qui accanto (tratto dall’ottimo rapporto ISTAT 2011). Non so quanti di voi sanno che Europa 2020 è una iniziativa dell’Unione Europea che ci chiede (e chiede agli altri 26 paesi membri) di raggiungere una serie di obiettivi importanti per il 2020. Uno di questi riguarda la crescita del capitale umano dei nostri giovani facendo sì che entro il 2020 appunto il numero di laureati tra i giovani tra i 30 ed i 35 anni sia pari al 40% della loro popolazione. Nel grafico vedete dove sono oggi i vari paesi (in celeste il totale, in verde chiaro gli uomini, in verde scuro le donne). Alcuni paesi già hanno raggiunto questo risultato: Irlanda, Danimarca e Finlandia sono le prime 3 classificate. Altri ci arriveranno per il 2020. Altre ancora sono talmente indietro che hanno dovuto fissare obiettivi di convergenza graduale. L’Italia è 24° su 27. Avete letto bene. 24°. 24°!!! Come uomini, siamo addirittura i peggiori in tutta l’Unione. I peggiori! Circa il 15% dei nostri trentenni maschi risultano laureati.

Come pensiamo di potere raggiungere l’obiettivo di Europa 2020 senza migliaia di altre università? E’ ovvio che con lo Stato da solo non abbiamo le forze in campo a disposizione perché mancano i fondi pubblici. C’è bisogno della libertà per i privati di rilasciare titoli universitari come gli pare e piace.

Due questioni rimangono aperte.  Perché abbiamo bisogno di tutti questi laureati? Come facciamo a far sì che queste università siano tutte di qualità?

E la mia risposta è la seguente. Alla prima domanda:  anche se non imparano nulla dalle lezioni in aula e anche se nessuno gli darà un lavoro, l’alfabetizzazione universitaria di cui parliamo è essenziale. Alla seconda domanda: non devono assolutamente essere tutte università di qualità, anzi, per carità.

Ma questo è un post già molto lungo e va digerito. Quindi rimando alla prossima puntata (post) l’approfondimento ulteriore.

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Se diminuiscono i grandi sprechi

Importantissima l’intervista di Mario Baldassarri, Presidente Commissione Finanze e Tesoro  del Senato, sulla questione degli sprechi negli acquisti pubblici e dei 40 miliardi di risparmi conseguibili. Per una serie di motivi.

Primo. Perché ricorda che non sarà la spending review (letteralmente valutazione della spesa pubblica) a creare spazio fiscale e risorse nel bilancio pubblico: porta via troppo tempo elaborarla. Tra anni sarà ultimata e sarà troppo tardi.

Secondo. Perché polemicamente ma intelligentemente ci ricorda che il dibattito pubblico sul taglio degli stipendi ai parlamentari è un sonnifero perfetto per scordarci che la vera questione è altrove. Le somme dei risparmi derivanti da una riforma degli stipendi agli onorevoli vale 1 quando le somme derivanti dal controllo degli acquisti pubblici valgono 1000.

Terzo. Perché ricorda che le altre voci di spesa sono bloccate e difficilmente da esse troveremo risorse. E’ sugli acquisti pubblici – che pesano quasi il 15% del PIL e quasi il 30% della spesa totale – che dobbiamo dare l’anima per trovare gli sprechi.

Quarto. Perché parlando delle “troppe siringhe” che si usano (mediamente ogni paziente che esce da un ospedale dopo nove giorni dovrebbe avere 81 buchi) ci ricorda che la questione essenziale non è solo sui prezzi (amministrazioni pubbliche che lo stesso giorno comprano la stessa cosa a prezzi diversissimi) ma anche sulle quantità (perché a parità di pazienti e di prezzo c’è chi compra il doppio di siringhe?).

Rimangono due questioni aperte su cui mi permetto di aggiungere la mia. Primo. Non sono d’accordo che la soluzione sia nel “dare un budget e dire: tutte le p.a. possono spendere sulle voci di spesa quello che hanno speso nel 2009, più l’inflazione.” Perché non mi piace troppo? Perché nel 2009 molte amministrazioni spendevano già troppo e perché altre spendevano poco e meritavano più fondi, non fosse altro che perché avevano dimostrato di saper spendere bene i loro fondi. Bisogna creare una cultura negli acquisti pubblici che: si basi sul monitoraggio in tempo reale prima di autorizzare la spesa, il controllo in tempo reale delle anomalie per autorizzare la spesa, il premio alle amministrazioni che nell’anno si mostrano efficaci ed efficienti. Il che significa: una legge fatta subito che nessuna gara terminata può dare vita alla firma di un contratto se tutta l’informazione su quell’acquisto non è riversata in tempo reale presso un centro di competenze (perché non una nuova Autorità Anti Corruzione e Sprechi? Ministro Severino?) che ne verifica la normalità rispetto agli altri acquisti simili. Approvazione che sarà automaticamente data in un giorno se il prezzo non supera del 5% il prezzo medio analogo. Approvazione che sarà negata se lo supera. Notate che questa regola non creerà rallentamenti negli acquisti: la stragrande parte delle amministrazioni pubbliche saranno immediatamente portate, per evitare guai, ad utilizzare come prezzo base per la gara i prezzi storici di aggiudicazione pubblicati dalla stessa Autorità. Con questa banca dati, tenuto poi conto delle caratteristiche della stazione appaltante quanto a numero dipendenti e attività svolta, sarà possibile anche avviare un controllo delle quantità acquistate e verifiche mirate che non solo scoraggeranno abusi ma permetteranno di premiare le amministrazioni più competenti ed attente con maggiori fondi.

Secondo poi: cosa ci facciamo con questi 40 miliardi di risparmi? So già che qui coincideremmo con il Prof. Baldassarri: VERA spesa pubblica. Quindi sapendo che niente deficit né debito sono generati (la maggiore spesa è finanziata da maggiori tagli) deve essere chiaro che l’uso dei risparmi conseguiti non deve essere volto a rimborsare il debito a banche (italiane ed estere) che non le reimmettono nell’economia italiana. Come usarli dunque?  Per domandare beni e servizi e lavori alle nostre imprese, specie quelle più piccole, possibilmente pagandole in tempo stavolta. Sì, più appalti. Notate bene che la crescita che ne conseguirà abbasserà sia il rapporto deficit PIL che il rapporto debito PIL: in questi momenti  è la crescita che genera stabilità e non il contrario!

PS:  Se qualche attento lettore mi chiedesse, “scusa ma se da un lato diminuisci la spesa e dall’altro la aumenti, come fai a stimolare l’economia? Non è nullo l’effetto?”  gli ricorderei che con 300 euro, se compriamo 100 siringhe a 100 euro a Palermo e 100 siringhe a 200 euro a Bolzano, a Bolzano ci sono degli sprechi. Una volta individuati e bloccati, a Bolzano spenderemo 100 euro per le 100 siringhe, ma rimangono 100 euro di risparmi. Che ci facciamo? Ci compriamo 100 euro per 100 siringhe per l’ospedale di Lucca che non ne aveva le risorse ma ne aveva bisogno. Ecco che la spesa in euro è sempre 300 euro, ma abbiamo che la spesa reale è diventata da 200 siringhe, 300 siringhe. Quelle 100 siringhe in più sono quelle che creano valore, reddito, occupazione.

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Privatizzazione e corruzione? Spesso a braccetto

Equità e crescita si combinerebbero anche privatizzando imprese pubbliche, dove talvolta – come nel caso di Finmeccanica, un tempo additata quale gioiello del sistema pubblico – abbiamo appreso che dilagava la corruzione. Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, oggi, Corriere della Sera.

Ci dobbiamo sorprendere se è iniziata la fiera delle privatizzazioni (vedi per esempio la recente notizia su una possibilità concreta per Snam) ?

No, se pensiamo che in Italia essa pare essere legata a stretto filo con governi tecnici. No di nuovo se pensiamo che la clausola (ancora sconosciuta) contenuta nel nuovo Trattato europeo (ancora sconosciuto) che chiede una riduzione del debito-PIL ogni anno del 3% per 20 anni non potrà (nella sua pervicace assurdità) che essere raggiunta con l’aiuto di un progetto di dismissioni.

Visto che quando facemmo le privatizzazioni negli anni 90 lo facemmo per motivi di apparente emergenza di riduzione del debito a fronte di chi chiedeva invece di avviare prima le liberalizzazioni e poi le privatizzazioni, e visto che tale scelta fu drammaticamente dannosa per l’avanzamento fattivo delle liberalizzazioni (immaginate quanto l’acquirente privato di aziende monopolistiche o oligopolistiche pubbliche fosse contento di immaginare il suo settore liberalizzato … e quanto si sia dovuto dare da fare per bloccare o ostacolare queste una volta fatta la privatizzazione e risultato lui il nuovo proprietario delle aziende dismesse dallo Stato), sarebbe bene vigilare sulle argomentazioni addotte a favore della privatizzazione.

Parrebbe dunque che privatizzare abbia questo beneficio aggiuntivo di ridurre la corruzione. Specie nel settore bellico. Ora, conoscere la struttura proprietaria dell’industria della difesa in Europa è particolarmente complesso  ma suona particolarmente difficile da digerire l’idea che privatizzando l’industria bellica essa possa “ripulirsi” dei suoi peccati.

La corruzione nel settore difesa è altissima, in tutto il mondo. E’ alta perché ci sono pochi compratori (di fatto i 180 Paesi o giù di lì) per di più dominati dalla politica e pochissimi venditori, con conoscenze sofisticate e capacità finanziarie gigantesche volte ad effettuare investimenti enormi, che fa sì che sia difficilissima l’entrata di nuovi fornitori. Insomma, un gioco ripetuto nel tempo tra clienti e fornitori che si conoscono benissimo tra loro ed interessi in gioco enormi se si pensa che quando si vende un aeroplano non si vende solo quello ma il supporto logistico per i successivi … 50 anni. Vogliamo ora credere che se privatizziamo queste aziende otteniamo minore corruzione? Per favore…

Insomma lasciamo stare: se è la minore corruzione nel settore difesa che vogliamo curare, ben altri sono gli strumenti a disposizione. Per esempio strumenti di governance interna per ridurre gli enormi problemi che, indipendentemente dalla natura privata o pubblica dell’organizzazione , si rendono necessari per mitigare la corruzione. Lo so, è poco rispetto alle enormi pressioni, ma meglio di niente.

Ma, più di tutto, sarebbe utile anche il pensare a “stornare”  la corruzione dal compenso al politico di turno a beneficio della collettività che acquista il bene o servizio militare. Non è uno scherzo, è un metodo usato ampiamente in forma contrattualista. Si chiama “offset” e prevede che al Paese acquirente di tecnologia bellica l’azienda venditrice si obblighi a fornire una serie di servizi, anche al settore civile, in cambio. L’Italia è particolarmente carente in questo rispetto ad altri paesi, ma dovrebbe imparare a farsi … restaurare il suo patrimonio culturale con i fondi dei fornitori esteri di tecnologia militare. Sì, da un po’ i brividi, lo capisco. Ma se questa tecnologia dobbiamo acquistare comunque per fini di difesa e di protezione della pace a livello mondiale, tanto vale che ne traiamo un beneficio anche noi come cittadini a livello nazionale!

P.S.: E, sia detto en passant, prevengo il prossimo articolo sul Corriere dove magari si dirà che, privatizzando i servizi pubblici locali la corruzione tanto temuta sparisca. Anche qui un bel lavoro di Martimort e Straub  , due economisti dell’Università di Toulouse, chiarisce la questione: le privatizzazioni cambiano solo il tipo di corruzione e l’identità dei gruppi da essa danneggiati, non la riducono. I contribuenti sono coloro che soffrono della corruzione quando le imprese sono pubbliche, i consumatori dei servizi pubblici quando queste sono private. L’idea essendo che i politici, comunque presenti anche dopo la privatizzazione, chiederanno compensi illegali anche alle aziende private che svolgono il servizio pubblico locale ed il costo delle inevitabili tangenti è incorporato nelle tariffe del servizio all’utente del servizio (privato).  

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Privatizing corruption

Italy is on the verge of privatizing more of its assets, including its defense industry and its local utilities. Will this reduce corruption?

Not at all. As for defense, this is a sector that remains among the most corrupt,  whether it is in the public hands or in the private ones. The reasons are many but some stand out. The concentration of a few buyers (governments mostly) and a few sellers (large multinational which do not allow free entry) that play a repeated game among themselves and the criticality of obtaining or losing a contract (one plane sold is not one plane sold but all the logistics for decades attached to it) make corruption more likely to occur anyway, indpendently of the ownership structure of defense producers. That is, privatization in the defense industry might achieve other goals but does not guarantee that corruption in defense deals will decline.

So how exactly do we make defense corruption decline? Not easy. Deloitte posts a series of ways to fight corruption in defense through corporate governance and institutions. It is an important instrument but one that pales when looking at the political pressures that individuals face when making decisions in this field. The concept of off-set, instead,  whereby governments that buy defense services and equipments receive from the seller additional  industrial, social and technical assistance even in civilian sector is one way in which transfers go not (or not only!) to the local politician (as occurs with corruption) but to the economy at large.

In the end, privatization does not guarantee lower corruption even where you might expect it to occur more easily, like in local utilities. Work by Martimort and Straub shows how privatization only changes the nature of corruption and the groups within society affected by it. Taxpayers suffer from corruption when ownership is public but when the latter is private then politicians manage anyway to induce bribes from private regulated utilities, the cost of which is then transferred in higher tariffs for service users and consumers.

Privatization may have other benefits. Not one of changing human nature so easily.

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Merkel and Obama, Light the Lantern

Happy New Year to All. Last night less fireworks than usual for a country like Italy. But I was stricken more by the introduction in the “end of the year partying” of a new innovative product: the Lantern. My ignorance: I did not know it existed.

You can see one thanks to the beautiful pictures of Luca Giocondo, Turin.

It did not replace fireworks, still the dominant tool to exorcise the fear of the unknown future, but it gave a relevant touch to this New Year. It looks sober. But it flies high, gently and steadily, putting a light into the unknown. We only need to follow it, I thought with my spumante glass from the beautiful balcony of my friends Lalla and Fabrizio.

Those were my deep thoughts when I read the last of Christina Romer’s lectures, this time at the Information Management Network Super Bowl of Indexing, Phoenix, Arizona.

Her lecture is on the state of US economy, but as she says, the future of our recovery depends in large part on what the Europeans do. What can be done? Among the several problems she argues convincingly that: on the fiscal side, European governments and the IMF need to admit that immediate radical fiscal austerity is not working. Many countries are caught in a vicious downward cycle. Near-term budget cuts have led to rising unemployment. Higher unemployment has lowered tax revenues. This has led to calls for yet more austerity. My great fear is that any fiscal agreement European leaders come up with this week will just call for more of the same [she was indeed right, but too optimistic; her speech was before the disastrous Marseille meeting of EU leaders where deflationary policies and UK exit were the outcomes, GP]. A much better approach would be immediate structural reforms and more back-loaded fiscal contraction. Countries like Italy should take measures to improve the flexibility of labor markets and the ease of doing business. But they should phase in aggressive deficit reduction only gradually—because what these countries need more than anything else to remain solvent is to start growing again.

Her model of fiscal expansion today with reforms and phased back government retrenchment convinces me totally. Reforms won’t happen without growth and growth won’t happen without expansionary fiscal policy, financed by debt in Germany and with balanced budgets in other euro countries with deficits, like Italy and Spain. This in turn creates worries in markets and in Germany that big Governments are here to stay? Fine, then let us make a contingent dynamic policy where in the euro area Governments agree to retrench public spending once growth in national economies is above 2% in real terms.

The added value of Romer’s point is another one: its global implications. As the US has a keen interest in Europe returning above trend, she says “we should do that to strengthen our own recovery and that of the rest of the world—and to encourage other countries with fiscal space to follow similar responsible, pro-growth policies”. Can Mr. Obama immediately summon all European leaders, together with Italian PM Monti, to launch this global temporary fiscal expansion? If that were to happen a big Lantern would lighten the world’s future.

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La fata Obama convochi subito il G8 e salvi l’Europa

Capodanno a casa di Lalla e Fabrizio in un cielo di fuochi ma anche di lanterne che solcano la notte di Roma.

Guardate che belle queste foto di Luca Giocondo di Torino.

Vengono dalla Cina le lanterne. Leggo che una … leggenda narra che Imperatore Celeste di Giada fosse un giorno molto arrabbiato nei confronti di una città per l’assassinio della sua oca preferita, quindi per punizione avesse deciso di bruciare l’intera città, ma una fata buona di cuore, sentendo ciò, aveva avvertito gli abitanti della città del pericolo, suggerendo loro di accendere nella notte migliaia di lanterne, tale che dal cielo, la città sarebbe parsa come arsa dal fuoco, così che l’Imperatore avrebbe creduto la sua oca vendicata e avrebbe lasciato perdere. Da qui la festa delle lanterne come un modo per ringraziare la fata.

Non abbiamo ancora una fata per ringraziarla di averci salvato da una crisi che rischia di avvenire a causa di chi è giustamente arrabbiato che la sua oca preferita è stata uccisa ma che non ha voglia di perdonare e venire incontro. Ma stiamo mandando le nostre lanterne nel cielo chiamando in aiuto.

Anche al di là dell’oceano. Leggevo la (ex) consigliera economica di Obama, sempre lei, la ottima economista Christina Romer.

Il suo discorso come sempre riguarda l’economia statunitense ma ha un afflato globale quando dice che (mia traduzione)il futuro della nostra ripresa dipende in buona parte da quello che faranno gli europei. Cosa faranno? Leggiamola: “sul piano fiscale, i governi europei ed il Fondo Monetario Internazionale devono riconoscere che programmi immediati di austerità fiscale non funzionano. Molti paesi sono inviluppati in un circolo vizioso recessivo. Tagli di breve periodo dei bilanci hanno portato a crescente disoccupazione che a sua volta ha fatto calare le entrate fiscali. E ciò ha portato alla richiesta di maggiore austerità [vi ritrovate in questa analisi? Io sì, GP]. Il mio grande timore è che qualsiasi progetto di accordo fiscale che dovessero raggiungere I leader europei a Marsiglia [la lezione della Romer si è tenuta qualche giorno prima  della Conferenza francese, di cui conoscete bene la mia opinione e che conferma i timori della Romer: costruzione deflattiva e recessiva] sara senza alcuna novità di rilievo. Un approccio decisamente migliore sarebbe quello di riforme strutturali immediate a contrazioni fiscali successive all’uscita dalla recessione. Paesi come l’Italia dovrebbero attuare riforme per migliorare la flessibilità del mercato del lavoro e per ridurre I costi al fare impresa. Ma dovrebbero fare politiche di riduzione del deficit solo lentamente, perché quello di cui questi paesi necessitano più di qualsiasi altra cosa per rimanere solventi è di riprendere il loro percorso di crescita economica.

Ecco, sono veramente d’accordo. Riforme ma solo con crescita. E crescita solo senza austerità. So che la Romer sarebbe d’accordo con me quando dico: e questo spazio derivante dalla minore austerità usiamolo per spendere bene con la spesa pubblica. E il tutto fatto da ogni singolo Paese, con l’avvertenza che la Germania può e deve fare le sue politiche fiscali anche in deficit, mentre noi la maggiore spesa pubblica la facciamo con maggiore tassazione o tagli di sprechi (risulta espansiva per il ciclo economico, anche se un po’ meno che se la facessimo in deficit, ma tant’è, non riesco nemmeno io a convincermi che con l’attuale momento politico sia realistico chiedere a Monti di finanziarle con debito, queste nuove spese).

PS: Mi direte. Come individuare gli sprechi? Semplice: basta avere il controllo pieno di cosa si sta facendo, come in qualsiasi impresa che si rispetti. Cosa aspetta il Presidente Monti a vietare con una minuscola ma rivoluzionaria norma qualsiasi gara d’appalto che non fornisca in tempo reale al Governo data, luogo, azienda, prodotto, prezzo, qualità, durata e quantità acquistati così da permettere il confronto e monitoraggio?

Perché la Germania dovrebbe accettare tutto ciò? Per 3 motivi. Primo, perché glielo dice Obama (ancora la Romer: dovremmo fare tutto ciò per rafforzare la nostra crescita americana  e quella del resto del mondo ed incoraggiare altri paesi che abbiano spazio fiscale a seguire politiche economiche responsabili a favore della crescita). Secondo, perché a fronte della spesa della formica i paesi cicala come l’Italia mettono sul tavolo del negoziato (sarebbe in maniera stavolta credibile, non come non è plausibile facciamo oggi in recessione) le riforme. Terzo, perché (ecco l’idea della Romer), nell’accordo ci si impegna a ridurre l’aumento di spesa non appena l’economia dei paesi torna a crescere a più del 2%, così rassicurando ancora di più i mercati.

Si impone immediatamente un nuovo G8 per rimediare al disastro di Marsiglia ed invertire la rotta. Che sia Obama la fata che ci salverà? Credo sia possibile.

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Il Muro di gomma si sgretola?

Con molta gioia riprendo le parole del Sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo sul Foglio di oggi sulla questione del vincolo a ridurre per l’Italia il rapporto debito-PIL ogni anno del 3% per 20 anni. Non tanto perché sono chiare (alcuni punti richiedono grandi sforzi di interpretazione) né perché danno certezza di informazione (noterete il distinguo fatto “se le indiscrezioni fossero vere”, un po’ paradossale per essere sostenuto da un alto rappresentante del Governo) ma perché dimostrano che il MURO DI GOMMA NON E’ IMPERMEABILE alle pressioni dell’opinione pubblica. Dice Polillo [in parentesi quadre alcuni miei commenti]:

Le nuove misure europee sul rientro del debito – se le indiscrezioni e ricostruzioni ieri del Foglio risultassero vere [il Foglio sosteneva che le regole della riduzione del debito-PIL del 3% annuo erano già valide dal 2012] – rischiano di creare un pasticcio indigeribile e contraddittorio. Anticipare al 2012 l’obbligo di rientro (3 punti di PIL per l’Italia) è in netto contrasto con l’obiettivo di pareggio del bilancio, previsto per il 2013. E’ evidente che il debito non può scendere se prima non si pareggia il bilancio. [frase di per sé non chiara. Il debito può scendere anche se non si è pareggiato il disavanzo, per esempio con privatizzazioni o vendita patrimonio pubblico  (ma vedi dopo). E in realtà se fosse vero che vi è la richiesta europea all'Italia di far scendere il debito-PIL del 3% nel 2012 ciò significherebbe che bisognerebbe anticipare, rispetto a quanto negoziato a Bruxelles, il surplus di bilancio al 2012 e forse anzi a fare anche un avanzo di bilancio. Sembrerebbe che Polillo dica: ci hanno dato l'OK sul pareggio di bilancio al 2013 non ci possono ora chiedere di fare ancora di più sul deficit].

A meno di non ricorrere a misure di carattere strordinario, come la vendita del patrimonio pubblico [appunto]. Qualsiasi altra misura, compresa un’eventuale imposta patrimoniale, ridurrebbe, al tempo stesso e in egual misura, deficit e debito.[qui si conferma: il bilancio in pareggio lo facciamo nel 2013, così è stato concordato e non anticipiamo né modifichiamo in senso di maggiore austerità quanto stabilito]. 

Si aggiunga che il pareggio di bilancio richiesto non è quello contabile ma quello corretto per l’andamento del ciclo, che per l’Italia significa uno sconto di 0,5 per cento di PIL: sempre che le cose non peggiorino. [qui si manda un primo messaggio a Bruxelles: non ci chiedete di fare di più se la recessione peggiora: è già qualcosa; anche se con il nostro appello in cui chiedevamo di riconoscere la grave recessione potremmo scendere ad un deficit ancora maggiore senza andare contro il Trattato].

Criterio, quest’ultimo, per dare coerenza sistemica al tutto dovrebbe essere applicato anche al debito-PIL. [frase chiave: il sottosegretario ora si riferisce al nuovo Trattato e ci dice che non è coerente chiederci di ridurre il debito-PIL del 3% ogni anno se siamo in condizioni di ciclo difficile. Il nuovo Trattato non prevede, crediamo, una particolare esenzione per i Paesi in difficoltà di ciclo. Ora Polillo sta dicendo che ciò non è logico: è forse questo un emendamento che abbiamo proposto al Trattato quando abbiamo inviato le nostre valutazioni nazionali sullo stesso il 29 dicembre? Sarebbe utile saperlo, ma comunque l'apertura di Polillo è notevole e ha un suo senso economico].

Allora è meglio tornare a quanto stabilito: si cominci dal 2015. [quindi apprendiamo che si doveva cominciare dal 2015, informazione che filtra a pezzi e bocconi, ma non è possibile, per la miseria, avere la bozza del testo della nuova porposta di Costituziobne su cui ha lavorato il Governo?]

Intanto alla crisi si deve far fronte con altri strumenti, dopo avere convinto Merkel che al fondo salva stati non esistono alternative credibili“. [bene c'è voglia di pretendere dalla Germania, andiamo avanti così, anche se quello di cui veramente abbiamo bisogno non sono più soldi per eventuali momenti di difficoltà (fondo salva stati) ma più espansione fiscale da parte della Germania che rilanci le esportazioni e dunque la crescita di tutta l'area dell'euro].

Grazie Sottosegretario Polillo per questi brandelli di utile verità. Possiamo ora essere più trasparenti ancora e conoscere il testo proposto del Trattato e la posizione degli emendamenti italiani specie sulla questione della riduzione del debito su PIL?

Buon anno!

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Il 2011 è questo, il 2012 è nelle nostre mani. Italy, 2012: a New Rinascimento is Possible.

Abbiamo dato la dimostrazione che quando gli italiani sono coesi e compatti e determinati non sono inferiori a nessuno. In un periodo come questo credo che sia un messaggio importante per le nuove generazioni.

Alessandro Campagna, Allenatore del Settebello Azzurro, Campione del Mondo 2011

We have shown the world that when Italians are united and determined they are inferior to none. In a period like the one we are going through, I believe it is an important message for future generations.

Alessandro Campagna, Coach of 2011 Italian World Champion “Settebello” Waterpolo

Indeed. Certamente.

Happy New Year, Italy-Europe.

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Tre Monti

Mi è venuto in mente ieri che ne esistono tre di Monti e che il più inatteso è, come spesso accade, il più importante e strategico.

C’è l’economista bocconiano che ha lasciato una Università invidiata in tutta Europa. Non ci serve ora, anche se ci serve una università all’altezza della sfida globale e spero di questo di parlarne domani e la Bocconi che ha costruito può insegnarci qualcosa di importante (certamente non tutto, tante Università statali sono all’avanguardia mondiale e offrono percorsi culturali da cui imparare).

C’è il tecnico prestato al servizio pubblico, europeo (fu Commissario Antitrust di spicco) e  Presidente del Consiglio dei Ministri prescelto soprattutto per le sue competenze economiche. A sciogliere una crisi, però, che tutto appare meno che nazionale ma europea, la crisi dell’euro. Quella crisi, ci ha ricordato il nostro Presidente Napolitano in un bell’intervento pubblicato su Repubblica, di quel progetto europeo che ha rappresentato la più grande invenzione politica della seconda metà del Novecento, sprigionando dinamismo e potenzialità in tale misura da imporsi come punto di riferimento, se non come modello, ben oltre i confini dell’Europa …. (ma oggi) le leadership europee appaiono invece in grande affanno a raccogliere la sfida, innanzitutto nei suoi termini di crisi incalzante dell’euro; appaiono palesemente inadeguate anche a causa di un generale arretramento culturale e di un impoverimento della vita politica democratica, che hanno congiurato nel provocare fatali ripiegamenti su meschini e anacronistici orizzonti e pregiudizi nazionali. Poco potranno fare le pur importanti riforme che riuscirà a far approvare il Governo al Parlamento né eventuali politiche economiche (espansive, non restrittive) che volesse finalmente adottare. Salvare l’euro è nelle mani dell’Europa, non nelle nostre. E la fine dell’euro, sia chiaro, non sarà colpa dell’Italia soltanto ma di tutti. Ci serve questo Monti prestato alla politica economica, certo, ma non così tanto quanto sembriamo pensare.
Ma c’è un terzo Monti in giro. Che non possiamo far finta che non esista. E’ il Monti che non ti aspetti ma è il Monti che può salvarci tutti. E’ il Monti politico che in primavera (da gennaio ma in maniera fondamentale a marzo) siederà al tavolo europeo dei 27 (oops 26, senza il Regno Unito) per approvare il nuovo Patto Fiscale, la nuova Costituzione Europea volta a creare una Unione fiscale. Una Unione fiscale (pensate all’Italia che unisce regioni diverse o agli Stati Uniti con i suoi stati) si regge su regole condivise, attribuzione di responsabilità decisionali e capacità impositive specifiche, accordi di solidarietà in caso di difficoltà. Ecco, l’Unione Fiscale che nascerà a marzo sarà determinante per capire il futuro dell’euro. Se nascerà sulla deflazione e i sacrifici individuali di singoli Stati, senza prevedere aiuti, crescita e reflazione per chi è in difficoltà, sancirà la morte dell’euro. Se essa conterrà per l’Italia e la Grecia clausole che le obbligano a ridurre il rapporto debito PIL del 3-4% ogni anno per 20 anni, l’euro è morto in partenza per le recessioni devastanti che genererà. E’ il modello, quello deflazionista, voluto forse dai tedeschi, che comporta la morte del nostro tessuto industriale; qualcosa che può forse interessare qualche miope imprenditore germanico ma non può non essere rigettato da un leader come la Cancelliera Merkel.

Monti politico sarà determinante, con il suo potere di veto, per bloccare qualsiasi Costituzione suicida. Come ha detto ieri: da oggi cominciano gli atti voluti di questo Governo. Bene mio Presidente, ora voglia fermare la Germania e salvare l’euro e l’Europa. L’Italia ritorna in maniera prorompente sul tavolo decisionale: esercitiamo questo potere con grande responsabilità. E che i partiti tutti si schierino compatti con lei per darle la forza di cui ha bisogno. Chieda che il Fiscal Compact includa in caso di recessione di un paese solo accordi di solidarietà, politiche fiscali espansive di tutti gli altri paesi in cambio riforme di quel singolo Paese. Si rifiuti di approvare qualsiasi accordo che includa riduzioni meccaniche del rapporto Debito-PIL che come lei, da economista di grande qualità ben sa, non hanno nessun senso economico né capacità di generare né sviluppo né stabilità.

E’morto da poco un altro uomo prestato alla politica per un breve ma importante periodo della sua vita, Vaclav Havel. Ebbe modo di dire che ”la vera politica è semplicemente il servizio al prossimo”. Io voglio credere che pensasse al prossimo anche come alle altre comunità di popoli. L’importanza storica del momento in cui ha ricevuto il potere Monti non differisce tanto da quella in cui la ebbe Havel. Io spero che ne sappia fare lo stesso uso visionario ed umile allo stesso tempo che ne fece Havel.