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Miglioriamo le istituzioni e le regole, la politica fiscale farà lo stesso

Quando un paese si ritrova con un PIL in calo, la risposta che un governo “intelligente” può dare, non vi parrà strano, è aiutare l’economia a uscire fuori dalle secche con maggiore spesa pubblica e minore tassazione. PIL giù, spesa pubblica su. Si chiama proprio per questo politica fiscale contro- ciclica, perché la spesa va in direzione opposta al ciclo. Nel fare ciò aiuta a smussare le asperità del ciclo: più domanda pubblica significa più produzione, occupazione, reddito. Una politica pro-ciclica, PIL giù, spesa pubblica giù, è una evidente idiozia, a meno che non si sia a favore di una masochistica sofferenza e sacrificio delle persone (tra parentesi, brutta parola che va di moda, sacrificio, meglio dire sforzo, almeno si mette l’enfasi su di un moto di volontà e non di dolore, che porta veramente da qualche parte).

Il problema di chi fa politica contro-ciclica in tempi duri, e dunque opera bene, è che nelle fasi di espansione (tempi gai) ogni tanto viene preso da crisi di memoria su cosa sia una buona politica fiscale e da Dr. Jekyll diventa Mr. Hyde. Come? Semplice, facendo, in tempi di vacche grasse, una politica pro-ciclica: più PIL? Ok allora più spesa pubblica, dicono questi governi. Invece di mettere fieno in cascina, moderando la spesa quando è utile farlo, governi “cicala” spendono le tante risorse disponibili che sarebbero così utili in “inverno”. Potete ben capire che un governo contro-ciclico nelle recessioni e pro-ciclico nelle espansioni finisce per espandere il debito oltre misura: spende sempre! Un governo invece sempre anti-ciclico aumenta spesa e debito in fase di recessione e li taglia in espansione così da non poter far sorgere un problema di sostenibilità delle finanze pubbliche. Un Governo cicala presto o tardi si troverà nella difficile situazione di non poter espandere la spesa in una recessione perché … è finito il fieno in cascina e i mercati non gli concedono la possibilità di prendere a prestito ulteriormente.

Perché i governi finiscono per comportarsi come cicale? Perché questi governi “fanno la cosa sbagliata” a danno dei loro cittadini? Tre economisti di calibro, Jeffrey A. Frankel, Carlos A. Végh e Guillermo Vuletin, hanno da pochi giorni fatto uscire un lavoro che affronta proprio questa  questione.  La loro risposta? Sono i governi che hanno buone istituzioni che imparano o trovano più semplice effettuare le giuste politiche fiscali, e cioè quelle contro-cicliche. Sono i Paesi con  istituzioni di mediocre qualità invece ad adottare politiche fiscali pro-cicliche, sbagliate.

Cosa  intendo per paesi con istituzioni di buona qualità? Quelli che: 1) tutelano i diritti di proprietà, il rimpatrio dei profitti e il pagamento puntuale dei fornitori, 2) adottano politiche dure contro la corruzione, 3) tutelano l’ordine e fanno rispettare la legge (sistema giuridico imparziale) e 4) hanno una buona burocrazia con la dovuta professionalità che fornisce servizi ai cittadini in maniera puntuale e senza interruzione. Perché mai, vi potreste chiedere, Paesi con buone istituzioni dovrebbero adottare le giuste (anti-cicliche) politiche fiscali? Gli autori lo spiegano così con un esempio: pressioni politiche per spendere di più in tempi di vacche grasse sono difficilmente aggirabili e la costruzione di regole ed istituzioni che tendano a far sì che maggiori entrate fiscali siano “messe da parte” in periodi buoni aiuterebbero in maniera decisiva l’evitare politiche fiscali pro-cicliche. E perché poi sarebbero i paesi con cattive istituzioni a fare politiche pro-cicliche? Con parole degli stessi autori: “Una ragione importante per una spesa pro-ciclica  è che i governi, nelle espansioni cicliche che generano maggiori imposte, non riescono a resistere alla tentazione o alle pressioni politiche di aumentare tale spesa proporzionalmente o più che proporzionalmente.” A meno, appunto,che non abbiano messo su regole ed istituzioni che frenino questa miopia dei politici. 

Gli autori guardano all’esperienza di 94 paesi dal 1960 al 2009. I risultati sono mostrati dal grafico accanto che riporta sull’asse delle ascisse la qualità istituzionale media del paese e sull’asse delle ordinate la pro-ciclicità della politica fiscale misurata dalla correlazione tra spesa pubblica e PIL  (maggiore il suo valore, peggiore la politica fiscale effettuata). Cosa dimostrano i dati? Vedete sicuramente la relazione decrescente
tra le due variabili: maggiore la qualità delle istituzioni di un Paese minore la correlazione tra spesa pubblica  e PIL, ovvero migliore è la politica fiscale adottata. L’Italia, tra 1960 e 2008, è
21° quanto a qualità media delle istituzioni ed ha adottato nel tempo una politica fiscale di fatto a-ciclica, finendo per non adattarsi alle variazioni del ciclo e dunque comunque non sfruttando al meglio il potenziale della politica fiscale. Oggi

Dunque, cosa ci insegna questo risultato? Molto. Siamo sempre stati abituati a credere che una migliore qualità ed efficacia delle nostre istituzioni migliora i servizi al cittadino e che dunque ci si debba dar da fare per migliorare le stesse istituzioni e le regole del gioco sociale, introducendone di nuove o migliorando le esistenti. Ora sappiamo che vi è un’altra ragione per lottare contro la corruzione, la burocrazia asfissiante e in generale per migliorare l’azione del governo: ottenere una politica fiscale contro-ciclica che, tra le altre cose, ci garantisce che durante una recessione meno persone siano lasciate da sole, a soffrire di una disoccupazione che spesso può rivelarsi di lunga durata ed incurabile.

E dunque possiamo sperare che l’Unione Europea di sforzi ancora di più per avere istituzioni che funzionino così da far sì che venga impedito ai politici di svolgere politiche fiscali pro-cicliche dannose? Buona domanda. Non è cosa di cui non ci dovremmo preoccupare, e la ragione è presto spiegata. Gli autori del lavoro si preoccupano infatti di verificare che non vi sia, nella relazione mostrata dal grafico, una causalità inversa: che vada piuttosto dal tipo di politiche fiscali alla qualità delle istituzioni, e non viceversa. “Ad esempio, politiche fiscali pro-cicliche potrebbero aumentare le possibilità che un governo incontri problemi di sostenibilità del debito pubblico durante delle recessioni (immagino che ogni riferimento non vi risulti puramente casuale) e che queste necessità di finanziarsi portino a espropriazioni, ripudio di contratti o interferenze con altri poteri indipendenti come quello giudiziario o come la banca centrale (anche qui, tutto poco casuale). Per di più, il caos creato da crisi del debito potrebbe esacerbare la corruzione del sistema  politico, così minando le fondamenta di una pubblica amministrazione efficiente e professionale.

La preoccupazione in questo caso è che la crisi possa avere reso le nostre istituzioni peggiori quando queste hanno adottato le politiche fiscali sbagliate. Ma ciò non ci esime dal batterci per migliorare le nostre istituzioni, anzi rende il problema oggi ancora più cogente.

A cominciare, diciamo noi guardando a casa nostra, da riforme volte alla creazione di un’Autorità Anti Corruzione che non abbiamo, a una Civit che funzioni sul serio, a una soluzione al pagamento ritardato delle imprese creditrici della P.A., a una centralizzazione delle informazioni in tempo reale sulla spesa di appalti per beni, servizi e lavori al fine di una razionalizzazione e riqualificazione della stessa spesa, a una determinazione dei costi standard delle amministrazioni locali al fine di un decentramento amministrativo serio e rigoroso. Eccetera eccetera eccetera.

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