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Gerontius ci scrive: gli economisti e le cose da fare

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

L’Italia sta entrando nella quinta recessione dal 2001. A differenza delle volte precedenti, questa recessione si manifesta in un momento di estrema fragilita’ del sistema bancario. Le banche stanno combattendo con problemi di liquidita’ e di ratio patrimoniali. Un peggioramento della qualita’ degli asset potrebbe essere per alcune di esse fatale con conseguenze destabilizzanti per l’intero sistema economico.

Il governo arriva per le vicende a tutti note con estremo ritardo ad affrontare la crisi. Ma a questo punto la questione che ci sembra di maggior rilievo e’ stabilire se le misure adottate e quelle che saranno prese nelle prossime settimane sono quelle corrette.

Per capire lo spirito delle politiche del governo Monti bisogna partire dalle lettera Trichet-Draghi del 5 agosto 2011. In questa lettera T-D suggerivano per migliorare il potenziale di crescita dell’economia (a) di liberalizzare i servizi pubblici e professionali, (b) di riformare il contratto di lavoro collettivo  dando maggiore spazio alle esigenze delle singole imprese e (c) di rendere il mercato del lavoro piu’ flessibile accompagnadolo con ammortizzatori sociali. Inoltre, auspicavano l’introduzione immediata di misure correttive di finanza pubblica per arrivare al pareggio di bilancio nel 2013.  In particolare, (1) di mettere mano al sistema pensionistico introducendo criteri piu’ restrittivi per avere diritto alla pensione, (2) di mettere in atto clausole automatiche di tagli di spese a fronte di sforamenti dei target prefissati di finanza pubblica  e (3) di mettere sotto controllo i debiti commercilali e finanziari degli enti locali. Le misure (a) ( b) e ( c) sono tutte auspicabili per rendere piu’ efficiente il sistema economico italiano. Ma il principale problema economico che abbiamo adesso e’ di evitare una pesante recessione che potrebbe avere conseguenze nefaste. Le riforme microeconomiche suggerite da T-D per quanto necessarie, non possono esserci d’aiuto in questo momento. Anzi in alcuni casi come ad esempio la riforma del mercato del lavoro possono introdurre maggiore instabilita’ non necessaria in questa fase.  Il nostro problema  immediato e’ una insufficienza di domanda. L’azione immediata del governo dovrebbe concentrarsi in politiche di stabilizzazione macroeconomica. E’ solo attraverso un’azione di stimolo della domanda aggregata coordinata con gli altri paesi europei che possiamo invertire l’andamento recessivo dell’economia.

Il governo Monti e’ stato creato con una procedura legittima ma inusuale principalmente per attuare il piano T-D visto che il governo precedente a causa di dissidi interno non era in grado di portarlo avanti. Fino ad oggi il governo Monti ha timidamente tentato di attuare parte del  punto ( a), la liberalizzazione delle professioni, per poi abbandonarla visto le resistenze incontrate, sta invece portando a casa un’importante aggiustamento del sistema pensionistico e ha intenzione di riformate il mercato del lavoro. Allo stesso tempo per assicurasi il pareggio di bilancio nel 2013 ha introdotto tasse sulle proprieta’ immobiliari e sui consumi. Nessuna di queste misure pero’ ci puo’ aiutare ad uscire dalla crisi. Al contrario molte di esse avranno l’effetto di aggravare la crisi con esiti molto incerti proprio su quei conti pubblici che dovrebbero risanare se l’aggravarsi della recessione dovesse portare a drastiche riduzioni del PIL.

Ma il governo Monti ha inserito nella manovra presentata un importante provvedimento che potrebbe contrastare gli effetti recessivi delle politichre messe in atto:  un piano di investimenti pubblici pari a circa l’1% del PIL.  Il successo o meno del governo Monti si gioca su questa partita e l’esito come molti possono immaginare e’ molto incerto. I governi precedenti hanno sistematicamente fallito nel mettere in piedi questi piani a causa delle lungaggini e delle burocrazie che  affliggono questo paese. Il vero eroe di questo governo potrebbe essere il ministro dello sviluppo Passera, ma anche il villano se dovesse fallire. Quello che deve portare a casa e’ la partenza immediata dei progetti e augurarsi che siano sufficienti a contrastare gli altri interventi recessivi. E’ tuttavia evidente che l’intera partita si gioca a livello europeo. Nella lettera di T-D si fa riferimento all’introduzione di clausole automatiche correttive in caso  di sforamento dei target di  finanza pubblica. In una Europa che non e’ in grado di esprimere una governance per rispondere con tempismo ed efficienza alle necessita’ che  di volta in volta si presentano, puo’ essere una buona idea ricorrere a politiche che vengono attivate in maniera automatica da specifici eventi. Quello che pero’ ci lascia perplessi e’ che quando si pensa a questi meccanismi si pensa sempre ad interventi di tipo restrittivo. Dovremmo cominciare a pensare a gestire le politiche di budget in maniera tale da creare cuscinetti nei periodi di prosperita’ per poter fare interventi di politica fiscale espansiva nei momenti di crisi. E’ stato un errore madornale commesso dal ministro Tremonti  annunciare il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 in un momento in cui il paese necessitava una politica fiscale piu’ espansiva. Cosi come e’ un errore fissare target di requisiti di capitale o di indicatori di liquidita’ per le istuiuzioni finanziarie senza tenere conto della fase ciclica in cui si trova l’economia come di recente sta facendo l’EBA. Sembra che non faccia parte del DNA delle autorita’ monetarie dell’Europa il fatto di utilizzare la politica fiscale e nel caso dell’ EBA anche quella bancaria come strumento di stabilizzazione macroeconomica.

Questo ci porta ad una ultima riflessione. Di questo stato di cose hanno una grossa responsabilita’ gli economisti. Dalla depressione mondiale che duro’ dal 1929 al 1939 gli economisti uscirono fuori armati di nuovi strumenti analitici per la gestione e la stabilizzazione macroeconomica grazie soprattutto  alle teorie di Keynes. Alla meta’ degli anni settanta una nuova generazione di economisti principalmente di formazione statunitense ripudio’ le teorie keynesiane di gestione della domanda aggregata  rifondando la macroeconomia su basi classiche. Questa e’ la dottrina  che e’ stata insegnata nelle migliori scuole di economia negli ultimi trent’anni. Adesso che l’economia e’ entrata di nuovo in uno stato di stagnazione persistente dove i meccanismi classici di autoaggiustamento vengono meno, il pensiero del vecchio Keynes torna alla ribalta e molti economisti devono impararlo di nuovo e dopo di loro le istituziomi che ci governano.

Gerontius

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