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La squadra che farebbe vincere gli Europei

Ieri chiedevo sulla spending review di accelerare e mi domandavo:  Ma ci sono 300 persone che stanno lavorando 24 ore su 24 su questi temi? Abbiamo preso il meglio che c’è in Italia per affrontare in un batter d’occhio queste questioni essenziali?

Non è questione da poco. Lo Stato funziona se si mostra, e se si mostra organizzato e volitivo. Ci sono tanti sprechi in Italia che avvengono perché facciamo leggi ma poi non mettiamo in atto i controlli necessari.

C’è chi invece fa le leggi ma soprattutto le fa rispettare. Come negli Stati Uniti. Eccola la squadra statunitense, ve la presento.

E’ foto sul sito del Governo americano, a www.Recovery.Gov, “il sito ufficiale del governo Usa che fornisce facile accesso ai dati legati alla Legge sulla ripresa dell’economia (basata sulla spesa pubblica, NdR) e che permette di segnalare potenziali frodi, sprechi ed abusi”.

No, non è il sito dove si danno idee per come fare a tagliare la spesa. E’ cosa più seria. Quelli che vedete sopra sono gli ispettori generali, i cui uffici, gli Ispettorati li chiameremmo noi, dal 1978 effettuano Audit, ispezioni, e investigano sulle attività delle pubbliche amministrazioni. Sul sito si legge della loro missione in dettaglio: “sono politicamente indipendenti ed hanno una forte reputazione in termini di integrità. Di solito hanno competenze acquisite nel campo contabile, audit, analisi finanziaria, controllo di gestione, amministrazione pubblica, legge, investigazioni”.

“Il Presidente li seleziona e nomina, e devono essere confermati dal Senato”.  Guardateli quei sorrisi. Sono i sorrisi della responsabilità e dell’orgoglio.

Lavorano assieme al Dipartimento di giustizia per denunciare tali frodi e per espellere dall’albo fornitori chi froda negli appalti. Da febbraio 2009 al 31 marzo di quest’anno hanno riportato 3580 denunce di misfatti associati al cattivo uso dei fondi per la manovra di spesa pubblica aggiuntiva. 1901 hanno visto aprirsi inchieste.

Obama li seleziona e nomina. Wow. Lo stesso Obama ha stanziato per le loro attività 221,5 milioni di dollari per minimizzare le frodi, gli sprechi, gli abusi, aggiungendo 12 ispettori a fronte del grande programma di spesa che l’amministrazione lanciò per tirare su l’economia.

Con chi lavora Bondi? Dove sono le loro fotografie? E’ importante pubblicare le loro fotografie, si sentiranno responsabilizzati. Quanti soldi abbiamo stanziato per combattere gli sprechi e trovare quelle risorse che permettono di avere i soldi da spendere per aiutare l’economia? Che ruolo gioca la nostra Ragioneria dello Stato, prima di Monti assolutamente passiva nella lotta agli sprechi? Quanti Ispettori Mario Monti ha incontrato personalmente per dargli la carica e la giusta motivazione in questo ruolo decisivo? Perché non creare una squadra analoga subito, indipendente dalla Ragioneria e che riporta ogni giorno a Bondi e Monti, da far correre in lungo ed in largo per la penisola?

Ecco cosa si chiede un analista di mercato quando deve prezzare i BTP italiani e si sente dire che c’è la spending review: non gli basta. Vuol vedere la ciccia, vuol vedere se al di là delle parole e delle belle leggi poi si combatte in trincea con credibile ardore dietro un sorriso convinto.

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8 mesi di Governo Monti e di blog e quello che va tentato

Riassumendo per il GR3 per domani mattina cosa potevamo fare meglio e cosa possiamo ancora fare oggi, mi sono riguardato il blog. Un pezzo di vita!

Cosa potevamo fare meglio?

Intanto teniamoci a mente che lo spread senza MM sarebbe stato veramente alto. Sono spese per interessi risparmiati. E teniamo a mente che del senno di poi son piene le fosse.

Ma grazie a MM avevamo più potere al tavolo negoziale europeo. Che si è seduto pensando che Debito/PIL alto vuol dire abbassiamo il Debito e lo spread crollerà. Invece di dire alziamo il PIL e anche il Debito crollerà grazie alle maggiori entrate fiscali. Se avesse combattuto per la crescita avrebbe, a quel tavolo: a) chiesto in cambio del Fiscal Compact l’aumento del debito per pagare tutte le imprese dei ritardati pagamenti, essenziale quando il credito si arena; b) chiesto (e io credo ottenuto) un rinvio al 2015 del deficit pubblico a zero. E invece no, ha confermato i target al 2013, quei target che ai mercati non interessavano, identici a quelli del … governo Berlusconi.

E poi c’erano le pulizie di casa. Beh, qui la follia di fare riforme irrilevanti (taxi e farmacie per chi già non le ricorda più) o chiaramente dannose (come quella del lavoro) che hanno avuto la vera colpa di farci perdere tempo preziosissimo. Per fare per esempio a novembre la spending review, la madre vera di tutte le riforme, che ci da le risorse per spendere e rilanciare l’economia. E la mancata concertazione con le banche per chiedere, in cambio delle garanzie che gli abbiamo regalato, l’obbligo di prestare di più al sistema economico.

Già, avete ragione, non sarebbe bastato, c’era di mezzo l’Europa dei 27 nani che non funziona. E quindi ora, mi chiede il giornalista, che fare?

Cosa non fare: a) insistere su inutili eurobond o scudi anti spread irrilevanti come dimensione e dannosi perché legati all’austerità; b) fare un’altra bella manovra di aumenti delle tasse o tagli lineari così da far schizzare verso l’alto il debito PIL, tanto per cambiare, con la cresciuta conseguente recessione.

Cosa accelerare: a) rimborsi alle imprese dei ritardati pagamenti e b) spending review. Ma ci sono 300 persone che stanno lavorando 24 ore su 24 su questi temi? Abbiamo preso il meglio che c’è in Italia per affrontare in un batter d’occhio queste questioni essenziali?

Cosa inventare: a) usare i maggiori risparmi della spending review accelerata per fare vera spesa pubblica e non sprechi, così da aumentare il PIL e far crollare il deficit pubblico: appalti appalti appalti, occupazione occupazione occupazione; b) concertazione con sindacati e imprese immediata per scambiare un aumento di IVA con riduzione immediata del costo del lavoro. Già un aumento di IVA, quello appena evitato. Ma tanto qui non si consuma e non si assume, tanto vale farlo subito lo swap tra tipi di tassazione per produrre reddito e dare segnale ai tedeschi che anche noi, che non abbiamo l’anello al naso, abbiamo capito la loro lezione che solo con buona concertazione alla lunga si vince, uniti.

Cosa tentare: la sola mossa veramente rilevante. Unire Portogallo, Grecia, Spagna e richiedere la modifica del trattato per quanto riguarda la sottoscrizione di titoli di stato in asta da parte della BCE. In cambio, quell’1% di PIL di spesa per interessi risparmiata al primo anno garantire ai tedeschi di dedicarla, questa sì credibilmente e non come le dismissioni immorali e inutili, alla riduzione del debito. L’Unione fa la forza, anche qui. Se poi si dirà no a 4 paesi dell’euro, tutti avranno capito. Forza Monti. Forza. Forza!

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Per una politica economica per i giovani della scuola media

Su questo blog vi sarete abituati ormai a sentirvi dire che dobbiamo combattere la disoccupazione giovanile perché il non farlo significa perdere spesso per sempre le risorse che hanno questi ragazzi dentro di loro. Si scoraggiano, si deprimono, escono dalla forza lavoro.

Sono felice che il Financial Times ed il Corriere della Sera abbiano ripreso il nostro appello e gli abbiano dato rilevanza, e ancora una volta il mio grazie va a tutti i firmatari dello stesso. Aspettiamo fiduciosi la risposta del nostro Presidente del Consiglio.

Sono certo che non si possa combattere la disoccupazione giovanile con contratti di apprendistato come quelli approvati dalla riforma Fornero che prevedono aumenti degli oneri di assunzione e di licenziamento per le imprese. Specie in questo momento. Sono certo che combattere la recessione con maggiori appalti di beni, servizi e lavori abbatta la disoccupazione e rilanci il PIL, ma non sono convinto che necessariamente i giovani siano i primi a beneficiarne (così ad esempio segnalava Christina Romer quando propose il piano di appalti per l’Amministrazione Obama nel 2010, nota 4).

Sono dunque certo che solo un piano come quello da noi proposto, giovani al servizio civile remunerato dentro la Pubblica Amministrazione per un periodo di 2 anni potrebbe frenare l’emorragia crescente di scoraggiati e depressi, invisibili alle statistiche, ma visibili dentro le mura di tante famiglie sempre più preoccupate per questa crisi. E generare PIL via servizi migliori e più celeri della PA alle imprese e cittadini. Una PA che ha pochissimi lavoratori rispetto al resto del mondo sviluppato e per di più tra i più anziani, come ci mostrava il Centro Studi di Confindustria.

Non mollate, parlatene del nostro appello: e a chi vi dice che “poi tanto questi giovani non vanno più via e divengono un costo permanente” ricordategli 2 cose. Che il costo permanente ci sarà se questi giovani saranno presi a carico della comunità per sempre a causa delle loro malattie e fragilità. E che abbiamo per decenni avuto un servizio militare dove l’obbligo di “1 anno e poi esci” è stato rispettato. Ci mancherebbe pure che lo Stato non sappia mettere in piedi uno schema obbligatoriamente transitorio e così avremmo dimostrato la follia di un governo di esperti che non sa fare nemmeno le cose più facili.

Però oggi volevo parlarvi di un altro tema, che è stato stimolato in me dalla lettura di un lavoro di analisi scientifica dell’impatto della depressione giovanile sulle possibilità di raggiungere un buon collocamento sul mercato del lavoro. Il rovescio cioè di quello di cui vi ho parlato sinora: non della disoccupazione che genera depressione ma della depressione negli anni dell’adolescenza che lascia tracce permanenti tali da rendere più difficile trovare sbocchi di carriera lavorativa.

Jason Fletcher della Yale University riesce ad isolare questo effetto (dati Usa) e a mostrare come gli effetti di una depressione nei primi anni della gioventù rende del 5% più basso il tasso di occupazione (con effetti ancora più pronunciati per le donne), mentre riduce del 20% il salario in caso di lavoro (con forza maggiore tra gli uomini).

Le cause del perché ciò avviene sono tipicamente 3: minore motivazione e peggiore carattere, discriminazione da parte degli imprenditori, maggiori costi sanitari per l’impresa.

I canali sono svariati, ma la (peggiore) istruzione negli anni dell’adolescenza appare come uno dei più significativi.

L’unico aspetto su cui Fletcher non ha dati è, una volta appurato che questi ragazzi depressi vengono da famiglie più povere, se i ragazzi di famiglie più agiate hanno accesso a cure (psicologiche e farmacologiche) migliori. Dettaglio non da poco: con le cure questi effetti negativi si riducono. Sono costi per la società, quelli di individuare e curare questi ragazzi, con grandi ritorni economici e sociali.

Se unisco questo risultato a quanto trova Paola Giuliano che un grande spreco di risorse avviene quando i nostri ragazzi bravi alle medie scelgono di non andare al liceo di qualità perché i loro genitori non hanno fatto il liceo trent’anni prima, mi dico che quegli anni, quegli anni delle medie sono anni decisivi per la politica economica di crescita di lungo periodo del Paese, dove sbocciano o si calpestano per sempre i fiori che abbiamo messo al mondo.

Se soltanto ci dedicassimo ancora di più con strutture di supporto altamente specializzate a questi adolescenti è probabile che ci faremmo un regalo invisibile meraviglioso, verso l’Italia che vogliamo.

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Il dirigente del Fondo che ci inchioda alle nostre responsabilità

Dopo 20 anni di lavoro qui, mi vergogno di essere associato in qualsiasi forma con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) …

… perché le difficoltà sostanziali di queste crisi (globali e dell’area dell’euro), come per altre, erano state identificate in anticipo ma qui al Fondo sono state soppresse… avvertire in tempo era essenziale … le conseguenze includono sofferenze (con il rischio che le cose peggiorino) per molti inclusa la Grecia,  e che la seconda valuta più importante è sull’orlo del precipizio …

Non capita tutti i giorni di leggere lettere così, scritte da un economista senior dell’organizzazione internazionale deputata a risolvere le crisi finanziarie internazionali, il FMI, accusata di essere stata il colpevole codardo che non ha avvertito i passeggeri della nave che stavano per sbattere contro gli scogli e perire. Una bella responsabilità.

E da miei colleghi amici del Fondo sento dirmi un breve e conciso “no, non ha torto”. Ma nessuno si sposta, nessuno vuole perdere il lavoro. Come Doyle, che lo fa solo dopo 20 anni.

Le cause di tale codardia? La lettera fa intendere una dipendenza supina dell’organizzazione sovranazionale basata a Washington, il cui mandato è quello di sorvegliare le politiche economiche dei paesi ricchi e di quelli poveri. Una dipendenza supina dalla politica dei grandi paesi occidentali, tutti tesi a minimizzare i rischi di essere smascherati  nelle proprie colpevoli inerzie.

E sì che se lo erano detti quelli del Fondo quando si erano fatti l’esame ai raggi X dopo la prima crisi del 2008: “il FMI non dovrebbe pensare come se “l’Europa è diversa” … I fatti dimostrano che i paesi dell’area dell’euro possono sperimentare crisi simili a quelle dei paesi emergenti …  Il Fondo dovrebbe prestare attenzione ai vincoli istituzionali dell’Unione europea ma non sentirsene per questo vincolato… Stare fuori dal gioco di potere europeo dà al Fondo libertà e obiettività, preziose armi …  Tentativi di limitare lo scopo della sorveglianza o di abbassare il tono dei suoi giudizi dovrebbe essere contrastati…”.

Non c’è dubbio che quel Fondo Monetario Internazionale che aveva chiesto politiche fiscali espansive dopo la crisi del 2008, dal 2011 non c’è più stato a dare i buoni consigli. Sparito. Si è sciolto come per miracolo di fronte alla posizione di intransigente austerità dei 27 nani europei, mentre poteva essere il principe che, con saggi consigli, avrebbe potuto risvegliare la Biancaneve Europa con un bacio.

Ma il Principe in verità è solo un brutto ranocchio, che circola zampettando nelle grotte dei diamanti dove lavorano i miopi nanetti.

Lo dice bene Joe Stiglitz, premio Nobel, che della Banca Mondiale, dirimpettaia del Fondo Monetario a Washington, è stato capo economista e che quando era (ancora) capo economista dell’Amministrazione Clinton ebbe modo di rendersi conto come le visite del Fondo al governo degli Stati Uniti “avevano zero impatto sul nostro modo di pensare … Quando un’istituzione che è percepita riflettere gli interessi dei mercati finanziari afferma che ci vuole più deregolamentazione finanziaria, non ha impatto. E’ quello che direbbe una qualsiasi lobby. Molto di quanto afferma oggi il Fondo non è valutato seriamente come potrebbe (o dovrebbe) perché è percepito essere il riflesso di interessi settoriali particolari come quelli finanziari, dando poco peso ad altri interessi, come quelli dei lavoratori”.

O dei greci? E ancora:

Ecco, se il FMI vuole divenire più efficace, deve esplorare le conseguenze di modi diversi di modellare l’economia. Se ad esempio (come alcuni lavori recenti del FMI stesso suggeriscono) l’ineguaglianza contribuisce all’instabilità, allora rendere i mercati del lavoro più flessibili può portare non solo a più disuguaglianza, ma a più instabilità. Se, come molti economisti oggi credono, c’è carenza di domanda aggregata in molti paesi, più flessibilità del mercato del lavoro può portare a più e non meno disoccupazione. Se, come Irving Fisher notava, recessioni profonde e depressioni sono legate a cicli di debito e deflazione, allora più flessibilità dei salari e dei prezzi rischia di spingere l’economia ancor di più in una recessione”.

Il Fondo Monetario e la lettera di Doyle sono la punta di un iceberg. Per esistere un Fondo Monetario Internazionale codardo come quello descritto dall’economista deve esistere anche un gruppo di paesi, azionisti principali del Fondo Monetario Internazionale, che pretendono di non essere valutati e di essere lasciati liberi di proseguire nelle politiche sbagliate.

Se poi gli spread salgono perché nessuno che ha soldi a rischio crede a questa pantomima di falsi salamelecchi reciproci, non ci dobbiamo stupire più di tanto.

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Il (fu) malato immaginario ed il paradosso di Polito

Caro Antonio,

ti scrivo dopo avere letto in tarda serata il tuo stimolante pezzo di oggi sul Corriere sulle “risorse immaginarie”.

Faccio parte anche io della squadra dei medici pietosi che si affolla attorno al capezzale dell’Italia e dunque, aggiungo, dell’Europa. Li fai assomigliare ai medici ciarlatani di Molière (quelli ritratti da Daumier a sinistra).

Non sono però tutti uguali, questi medici. Puoi ben immaginare che non è detto che io concordi con chi mi sta accanto sulla diagnosi esatta né sui rimedi. Quanto a diagnosi, certo non faccio parte di coloro che pensano che il nostro malato l’infarto l’ha avuto 8 mesi fa. Magari. I tassi di crescita medi dell’economia italiana indicano problemi strutturali profondi e, come ha detto il Governatore Visco, parte della malattia, contagiosa, viene da fuori dei confini nazionali.

Quanto a rimedi, più di tutto io mi differenzio da alcuni di loro da sempre perché sono decisamente contro questa eutanasia di “staccare la macchina che ci tiene legati all’euro“. Ma sono anche conscio che non basterà la macchina a rimetterci in piedi: ci vuole la medicina, giusta, poi la terapia, giusta, e poi ancora la riabilitazione psicologica dopo un simile trauma. Insomma altro che analgesico, altro che far finta di non sapere che il paziente sta lottando per la vita e la morte: è proprio questa la mia preoccupazione, come la tua.

Ma il vero problema, se mi permetti, è quello della macchina che ci tiene all’euro: l’Europa che suggerisce austerità. E’ macchina che non funziona, consigliata da un medico incapace che fa diventare malate anche le persone in sufficiente salute. 8 mesi (e molti di più!) ci dovrebbero convincere che le formule sinora adottate sono fallimentari, come dice il più noto dei medici di qualità, il Nobel Krugman. Prima di lui ebbe modo di farlo dire Molière nel Malato Immaginario ad uno dei suoi personaggi: “Presque tous les hommes meurent de leurs remèdes, et non pas de leurs maladies“, “quasi tutti gli uomini muoiono a causa dei rimedi loro consigliati e non delle loro malattie”. Il malato da immaginario è divenuto reale per la sciattezza dei rimedi sinora suggeriti da un’Europa priva di sapere scientifico basilare ed intuito, caratteristiche essenziali per essere un buon medico.

Tu dici che è “diventato di moda condannare l’austerità e suggerire alternative keynesiane: iniezioni di denaro pubblico per battere la recessione”. In realtà chiariamo subito: io suggerisco iniezioni di denaro privato. Cioè iniezioni delle tasse su quei nostri redditi che, in questo momento così incredibilmente raro di gravissimo stallo economico, non spendiamo per timore: queste risorse devono essere messe a disposizione di chi è oggi il solo disposto a spenderle. E cioè lo Stato. Così (è contabilità nazionale questa, non economia) il reddito sale, l’occupazione sale, e così le entrate e l’avanzo primario, facendo scendere finalmente il debito su PIL che l’austerità, la macchina che non funziona, sta facendo crescere ogni anno (dati banca d’Italia). Oggi le nostre tasse ci vengono prese per essere date ai detentori di titoli che non spendono nella nostra economia (siano esse famiglie italiane o banche d’affari che non sono il demonio) e che temono di non essere ripagati perché non cresciamo: ben meglio usarle per creare reddito che ripaga il debito e abbatte gli spread.

Ti preoccupi che siano spesi male? Ma come! Ti preoccupi proprio ora che, con un governo di esperti che fa proprio la spending review, abbiamo la certezza, e non sono faceto, che questi soldi saranno ottima domanda pubblica di beni e servizi alle imprese e non odiosi sprechi, ovvero meri ed inutili o dannosi trasferimenti di ricchezza dai contribuenti a singoli imprenditori corruttori!

Ti preoccupi chiedendo “dove intendono attingere le ingenti risorse che servono (perché uno stimolo keynesiano o è ingente o non è)”? Oltre alle tasse con cui pagare la spesa e non il debito? Ma proprio dai soldi dei risparmi della spending review, e non dal debito, potrebbero venire ulteriori risorse per spendere (non sprecare, spendere!).

Purtroppo ci sono tanti dottori che di Keynes sanno poco e che ti diranno come Keynes avesse a che fare con un alto peso dello Stato nell’economia e non con una importante presenza dello Stato nell’economia quando si è in crisi da domanda aggregata come oggi. C’è una bella differenza tra chi chiede più Stato sempre e chi chiede più Stato ora e meno domani, non credi?

Di nuovo, mi dirai che domani non si torna mai indietro, che la spesa rimarrà alta.

E io ti dico, non è vero. Perché c’è Monti che renderebbe credibile il messaggio.

Tu hai ragione quando dici “perfino per fare una politica keynesiana bisognerebbe prima convincere i mercati che si possono fidare di noi, e prestarci soldi a bassi tassi”. Il paradosso della tua affermazione è che sembri dire che Monti, proprio lui, non riesca a convincere i mercati che di lui si possono fidare. Beh, è incredibile. Anche se così fosse, nulla sarebbe più grave dell’austerità: anche Alesina e Giavazzi, nei loro tenui argomenti che meno spesa pubblica fa bene (mai confermati dai dati economici), fondano tutto sul ruolo benefico delle aspettative positive dei mercati. Ma come può un Governo di cui non ci si può fidare influenzare le aspettative in maniera positiva?

Una volta che riconosci che di Monti ci si può fidare, devi ammettere che essere keynesiani, nel vero senso della parola, si può essere e si deve essere. Perché i mercati sanno che l’aumento di spesa pubblica sarà temporaneo e mirato a generare quella crescita economica che solo lei i mercati aspettano per credere di nuovo in quello che ci accomuna, a me e a te, il sogno di far crescere ancora la nostra Europa.

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No alle dismissioni immorali.

A San Vittore, carcere di Milano, possono essere detenute al massimo 785 persone. Oggi se ne contano circa 1600.

1600.

Da 7 mesi il Comune di Milano ha stabilito di procedere con apposita Commissione al censimento dello Stato delle prigioni comunali. Nulla è ancora stato avviato.

Ecco, quando leggo di dismissioni immobiliari di questo Governo mi chiedo come sia possibile non pensare di, anziché venderle, trasformare le nostre caserme in carceri di bassa sicurezza, ristrutturandole rapidamente con procedure di gara accelerate. Tanto si deve alla dignità dell’uomo.

Fino a quando non lo faremo, per me quelle dismissioni immobiliari sempre sarano dismissioni immorali e così le chiamerò da ora in poi.

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Il debito che è un’eredità, in ricordo di Paolo Borsellino

Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarre (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia: accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità. Dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo.

Palermo 23 giugno 1992, Paolo Borsellino ricorda Giovanni Falcone davanti a circa mille esponenti di associazioni antimafia di Palermo, nel cortile di Casa Professa, centro dei gesuiti palermitani.

(da Enrico Deaglio, Il vile agguato)

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Milioni di farfalle in piu’ nel cielo universitario italiano

L’Università è un po’ sparita con il focus sullo spread dal circolo delle riforme essenziali. E’ passato quasi sotto silenzio nella spending review l’ulteriore riduzione della spesa universitaria che vede la possibilità di spendere in assunzioni solo il 20% della spesa per personale che va in pensione, dal 50% che era.

Non sono uno di quelli che pensa che nell’università ci siano pochi soldi, ma che vadano spesi bene sì. Se quindi tagliamo soldi per (non) assumere ricercatori non è detto che stiamo facendo un danno rispetto alle attuali pratiche di assunzione (potremmo evitare di prendere gente non brava) ma certamente stiamo rinunciando a fare cose importanti per il paese se sapessimo gestire bene i soldi dell’Università (stiamo evitando/rinunciando a selezionare tantissimi giovani eccellenti per la ricerca che o cambiano mestire o cambiano Paese). E quindi se facessimo i passi giusti su come selezionare bene i giovani ricercatori (magari un’altra volta ne parliamo) saremo un passo avanti e potremmo spendere bene. La riforma universitaria non si fa a pezzi e bocconi: per avere successo ogni misura deve essere coordinata con le altre. Ma tant’è.

Ora un altro “pezzo” viene affrontato singolarmente, ma è un pezzo rilevante: quello dei maledetti fuori corso. Bene ha fatto il Ministro a sollevare il problema: “dei quasi 600mila studenti che non hanno completato il ciclo di studi nei tempi previsti dall’ordinamento universitario, il 33,59% del milione e 782 mila iscritti all’anno accademico 2010/2011“.

E’ parte dello spreco. Lo Spreco che assilla questo bellissimo Paese pieno di risorse stupende che non valorizziamo a sufficienza. Spreco non tanto di noi docenti che dobbiamo insegnargli né delle strutture da loro usate. No, il fuori corso fa parte di un grande Spreco italiano del giovane che impara male, poco volentieri, poco motivato. Tant’è che l’azienda che guarda al suo curriculum lo considera subito di “serie B” anche se magari non lo è. L’Università non trasforma questo baco in farfalla.

Spesso in aula dico ai miei ragazzi “meglio un 105 preso in tempo che un 110 e lode preso in 8 anni”.

Non è chiaro dall’intervista al Ministro quale sia la soluzione appropriata che ha in mente per rimediare al problema dei fuori corso. Dietro di esso si nasconde un ugualmente importante problema, quello dell’abbandono durante l’università che contribuisce al disastroso e minuscolo 18% di laureati in età di 30-35 anni rispetto all’obiettivo europeo del 40% per il 2020 (irraggiungibile), dato che ci vede 24° su 27 nell’Unione.

Quando sento dire che sono così pochi perché la laurea non serve a niente e non garantisce lavoro, mi arrabbio: non sono a favore del 100% di laureati, ma 40% in un mondo dove i paesi occidentali diventano sempre più concentrati sul settore dei servizi, è essenziale. I servizi sono a crescente contenuto intellettuale ed è evidente che abbiamo bisogno di più laureati. Anche perché chi va all’università spesso riceve idee per diventare lavoratore di se stesso: il lavoro se lo crea e non deve trovarlo.

Ma torniamo a noi: c’è una cosa che il Ministro può fare, subito. L’ho già detto su questo blog. Vietare, come fanno la maggior parte degli altri Paesi europei, i fuori corso. Si va all’università come si va a scuola. Alla fine del terzo anno ci si laurea. Il che significa cambiare il modo di valutare i giovani: non più bocciature su singoli esami, che danno potere divino di vita e di morte a singoli baroni, ma voto medio alla fine dell’anno con possibilità di ripetere ad inizio anno successivo (a settembre)  l’esame peggiore per migliorarsi la media.

Un percorso di questo tipo permette anche di seguire meglio i singoli studenti e ridurre gli abbandoni: è un primo passo di non poco conto verso l’aumento dei nostri laureati.

Ministro, abbia coraggio, rivoluzioni l’università. I giovani la seguiranno. Centomila farfalle in più nel cielo italiano. Bellissimo.

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Calma e gesso

Mi preoccupa sentire il dibattito emergenziale sulla riduzione del debito pubblico via privatizzazioni e dismissioni immobiliari. Un’ansia da dismissione di cui mi sfugge qualcosa.

E non tanto perché memore di altri momenti in cui tali dismissioni emergenziali furono effettuate (anni novanta) per fare cassa e ci trovammo a vendere “gioielli di famiglia” a prezzi bassi e ostacolando per lungo tempo il necessario e propedeutico processo di liberalizzazioni.

E non tanto perché sarebbe l’ennesima distrazione, soprattutto se si considera che scendendo il debito pubblico al massimo scende la spesa per interessi ma non lo spread (non è che il debitore Italia vendendo attivo patrimoniale convince i mercati che è diventato più bravo a generare crescita e solvibilità) e dunque i risparmi sono minimali ed il tempo prezioso  perso (in Parlamento, presso Bruxelles e per convincere i giornali a far da grancassa all’ennesima iniziativa) è immensamente costoso.

Qui la questione che mi pongo è da dove vengono i numeri che a me paiono incredibili del Ministro Grilli.

“La strada praticabile è quella di garantire, con un programma pluriennale, vendite di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno, pari all’1 per cento del Pil». Un po’ poco, ministro (dice De Bortoli).

In realtà a me paiono dei numeri immensi: 15-20 miliardi l’anno? Ma dove li troviamo? Sarebbe utilissimo saperlo per essere credibili. Una cosa è certa: i mercati sanno giudicare molto meglio di me la fattibilità di tali stime.

Se gli spread salgono è forse perché non ci credono? Non ne ho la minima idea. So però che mostrarsi ansiosi di produrre un piano al giorno per calmare i mercati può rivelarsi controproducente. Molto controproducente.

Eddy lo svelto dice: “Io non chiacchiero, ragazzo, ma proprio per questo ti insegno a vivere.” (Lo Spaccone)

La questione chiave che va affrontata a livello europeo: come recuperiamo l’unità d’intenti? come generiamo la crescita economica immediata nei paesi sotto attacco?  Concentriamoci per favore.

Calma e gesso.

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Il Regno Unito ed il Regno Disunito: quanto tempo abbiamo ancora?

Il governo crede che oggi l’Europa fronteggi una domanda fondamentale a cui rispondere: che valore (l’Europa) ha aggiunto e potrà aggiungere in futuro, oltre quello derivante dall’azione nazionale o locale, nel promuovere la prosperità e la sicurezza dell’Europa, e nell’aumentare l’influenza della voce dell’Europa nel mondo?

Ecco questa domanda (chi l’ha posta ve lo dico tra poco), pur se imperfetta nella sua struttura ortografica, avrei voluto fosse stato un qualsiasi Governo italiano a porsela. Ma la crisi ci porta lontano dal porci le domande giuste, aggravando di conseguenza la crisi.

Continuiamo a proporre soluzioni tecniche per attenuare la crisi di domani mattina dello spread senza sapere indicare la strada da seguire per ottenere il risultato che vogliamo raggiungere tra 100 anni. Roberto Perotti sul Sole 24 ore ha mirabilmente illustrato i difetti dell’ennesima proposta, quella della garanzia dei depositi bancari:

Se anche, per assurdo, non ci fosse alcun problema con il debito pubblico greco, finché c’è un rischio di un’uscita dall’Eurozona i cittadini greci continuerebbero dunque a portare i propri depositi in Germania … In questa situazione, un’assicurazione europea scongiurerebbe una fuga dalle banche greche solo a due condizioni: i depositi dovrebbero essere garantiti per il loro valore in euro, ed anche se la Grecia dovesse abbandonare l’euro. Ciò è impossibile: è impensabile che i contribuenti dell’Eurozona siano chiamati a garantire i depositi di un Paese che ha abbandonato l’euro, e per di più a garantirne il valore in euro.

Ma c’è di più. Se anche questa garanzia venisse data, essa, perversamente, aumenterebbe la probabilità che la Grecia abbandoni l’euro! Come abbiamo visto, un’uscita dall’Eurozona con la conseguente svalutazione della dracma ha il vantaggio di rendere l’economia greca più competitiva; ma ha il grave costo di diminuire il valore di tutta la ricchezza (inclusi i depositi) che viene ridenominata in una dracma svalutata. Un’assicurazione europea che garantisca il valore dei depositi in euro eliminerebbe gran parte del costo dell’uscita dall’Eurozona, lasciando solo il vantaggio della svalutazione. L’incentivo ad abbandonare l’euro per i politici e i cittadini greci aumenterebbe, e questo grazie a un’assicurazione pensata per scongiurare proprio questo evento!

È qui la differenza con l’assicurazione federale sui depositi Usa. Negli Stati Uniti, se c’è una crisi bancaria in Texas, nessuno in quello Stato penserebbe di abbandonare il dollaro. Nell’Eurozona questo rischio c’è. È una piccola differenza, ma con enormi conseguenze.

Domanda chiave a Roberto: e perché con una crisi bancaria in Texas, a nessun texano verrebbe in mente di abbandonare il dollaro? Ovviamente non perché non vi sarebbero guadagni dallo svalutare, così come per la Grecia. No. Semplicemente perché ci si sente parte di un progetto più ampio, da cui ci guadagna, ieri oggi e domani, lo Stato più povero, con i trasferimenti dagli Stati più ricchi, ma anche gli Stati più ricchi, dato che grazie alle dimensioni e forza dell’Unione influenzano lo scacchiere geopolitico a loro favore, economicamente e culturalmente parlando.

Non se ne esce: l’unione bancaria e tutte le altre belle o meno belle proposte tecniche sono figlie dell’unione culturale e sociale, e non viceversa. Vero è che gli economisti leggono poco i libri di Storia, ma questo è, francamente, così ovvio…

E dunque torno alla prima frase, pronunciata non da un governo dell’euro, ma dal governo di sua Maestà la Regina,il Regno Unito, che, a distanza di 39 anni dal suo ingresso nell’Unione europea ha lanciato una nuova iniziativa pluriennale di formidabile ambizione come sintetizzato dal Ministro degli esteri britannico:

“Oggi, ho pubblicato una ordinanza (Command Paper) che descrive nel dettaglio come affronteremo … “l’esame dello stato attuale delle competenze dell’Unione europea (UE). Tale esame sara un audit di quello che  fa la UE e di come ciò impatta sul Regno Unito. Esaminerà dove si concentrano le “competenze”, siano esse esclusive dell’UE, condivise o a supporto, di come queste siano utilizzate e di cosa ciò significhi per il nostro interesse nazionale.” E questo perché “l’Unione europea fronteggia 3 sfide urgenti: la globalizzazione, la crisi dell’eurozona e la legittimità democratica”.

Ce lo dicono, lo dobbiamo sentire da quei britannici che pian pianino stiamo perdendo (anche se loro lo negano con un fare minimalista adorabile) come àncora preziosa del nostro futuro progetto geopolitico, proprio per la nostra incapacità di progettare un futuro a 100 anni (e seguono ricchi dibattiti alla London School of Economics per preparare l’intellighenzia).

Non c’è tanto tempo per lasciare un futuro europeo ai nostri figli. Anche perché tra poco non ne vedranno l’utilità. Pochi giorni fa Alessandro Piperno ci ricordava, in un interessante articolo sul Corriere, come “è ogni istante più vicino il giorno in cui l’ultimo sopravvissuto della Shoah scomparirà dalla faccia della Terra…. Con la scomparsa dalla faccia della Terra dell’ultimo internato, infatti, non ci sarà più nessun essere umano capace di testimoniare con il proprio corpo, con il proprio spirito, con il proprio cervello, con il proprio sangue quello che successe in Europa centrale più di mezzo secolo fa. Da quel momento in poi i testimoni verranno sostituiti dai figli e dai nipoti…. Tutto questo autorizza l’ipotesi che, nel corso di poche generazioni, la Shoah — inghiottita dai decenni trascorsi, divorata dalla retorica istituzionale, banalizzata dal profluvio bibliografico, oltraggiata dal risentimento dei negazionisti, offuscata da qualche altra tragedia più incombente — diventi un fantasma? Ovvero, qualcosa di non immediatamente intellegibile. Qualcosa imposto dall’alto: come una religione, o come una vecchia carta costituzionale. Una ricorrenza in mezzo a tante altre ricorrenze. Quanto tempo deve passare prima che il più spaventoso dei ricordi cada in prescrizione?

Ecco, anche altre cose si possono dimenticare. Quanto tempo ci vorrà perché i nostri giovani, cresciuti all’ombra gentile della pace, non capiscano più dell’importanza di lottare per una Grecia sorella della Germania? E quanto stiamo noi accorciando questo tempo con le nostre miopi ed erronee politiche? Quanto tempo prima che i giovani italiani non comincino a parlare della Germania esattamente come parleranno dell’Italia i giovani tedeschi, con sprezzo e indifferenza come hanno fatto per secoli, interrotti soli dalla costruzione dell’Unione dal dopoguerra?

Come spiegargli, in assenza delle giuste politiche, che, ad un tavolo negoziale con Cina e Stati Uniti, l’Europa porterebbe con la sua storia e la sua filosofia il più importante bene planetario di tutti, quello della solidarietà?

E quanto tempo abbiamo per non diventare un minuscolo e banale frammento di questo incredibile video (cliccate qui per vederlo, grazie Lucio Picci)? Quanto? Quanto?