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In guerra per vincere la cattiva spesa: ecco come grazie ai militari

Io non mollo sulla questione di come Monti, Grilli e Bondi (MGB) stanno gestendo l’operativita’ della spending review (perdonerete gli accenti ma sto scrivendo da tastiera americana, e per di piu’ di nascosto che se mi beccano in vacanza a lavorare mi uccidono! in realta’ questo e’ divertimento ma vallo a spiegare …).

Nel senso che vorrei capire come tutt’ad un tratto da zero ispezioni sul territorio si possa passare a migliaia di ispezioni come quelle fatte dal team di Obama descritte in un post precedente.

La questione e’ essenziale come ha fatto notare anche Giarda sottolineando di fatto qualcosa di noto: meglio non fare la spending review se questa e’ fatta male. Perche’ la spending review e’ favolosa quando fatta bene: non e’ recessiva, crea spazio fiscale per minori tasse o maggiore domanda pubblica che addirittura aumentano il PIL, e dunque piace anche ai tedeschi…. Ma e’ disastrosa quando e’ fatta male: e’ recessiva, dunque fa aumentare rapporto debito-PIL e dunque … non piace ne’ a me ne’ … ai tedeschi. Perche’ ? L’ho gia’ detto tante volte, scusatemi se non lo ripeto (rileggete per esempio qui). E i mercati che vedono una spending reviw fatta male, beh, sono pazzeschi i mercati, hanno le antenne a mille quando si tratta di individuare le debolezze dei deboli (tanto quanto sono codardi e incapaci di vedere il marcio nei potenti): gli spread non scendono, salgono.

Per essere fatta bene, la nostra spending review, non puo’ essere fatta dall’alto, dagli uffici di Via XX Settembre di Bondi: dobbiamo sguinzagliare ispettori ispettori ispettori dovunque si acquisti con soldi pubblici. Si’, come fece Obama.

Mi direte, ce li abbiamo gia’ gli ispettori? Forse si’, ma a guardare cosa e’ stato fatto nel passato non si direbbe. Quindi abbiamo bisogno – per mille motivi – di trovarne di nuovi, spendendo poco. Ma molto comeptenti, duri come l’acciaio nel rigore, esperti e furbi come i capitani di mille traversate.

Impossibile? Nulla e’ impossibile, come al solito, per chi vuole veramente fare le cose.

Ecco come. Sappiate che ….

L’Amministrazione della P.A. si avvale di personale militare in congedo per ripianare esigenze che non possono essere soddisfatte con l’impiego di personale in servizio. Detto personale può essere impiegato, a seguito di specifico richiamo in servizio, prevedendone il richiamo con assegni o senza assegni.

L’attuale assetto dell’istituto della c.d. ausiliaria prevede la possibilità di utilizzare il personale militare in congedo, in detta posizione di stato giuridico, oltre che dall’amministrazione della Difesa anche da parte di altre amministrazioni che devono avanzare formale richiesta al Ministro competente, con il limite dell’impiego in incarichi adeguati alla categoria, al ruolo di appartenenza, nonché al grado rivestito dal militare.

L’ausiliaria consente all’amministrazione di disporre del personale della relativa categoria per un periodo massimo di cinque anni. Per tale periodo il militare in congedo manifesta la propria disponibilità a prestare servizio nell’ambito della provincia di residenza, presso l’amministrazione di appartenenza o altra amministrazione, a seguito di richiamo in servizio disposto con decreto del Ministro della difesa di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro della funzione pubblica.

A fronte degli obblighi di disponibilità e di quelli eventuali di servizio, l’Amministrazione garantisce, come controprestazione, un’indennità annua, in aggiunta al maturato trattamento di quiescenza.

In un contesto di razionalizzazione della spesa non va sottostimata la possibilità che l’istituto offre di fruire delle prestazioni di personale altamente qualificato a costi verosimilmente molto contenuti (i relativi oneri sono limitati alla corresponsione del solo compenso per lavoro straordinario effettuato e per eventuale trattamento economico di missione).

Per quanto concerne, in particolare, il settore dei controlli, ed eccoci al dunque, il Dicastero della Difesa, nel cui ambito opera, tra l’altro, un Ufficio Centrale per le Ispezioni Amministrative che già si avvale anche di personale militare dirigente richiamato “senza assegni”, è ovviamente in grado di mettere a disposizione delle pubbliche istituzioni personale dirigente di altissimo profilo professionale per le ispezioni. Ovviamente, il numero degli Ufficiali dirigenti interessati e le specifiche professionalità necessarie, dovrebbero essere oggetto di adeguato, preliminare approfondimento. In ogni caso, in una prima fase sperimentale, l’eventuale individuazione di 15/20 unità, coordinate da un dirigente militare di adeguato livello, parimenti in ausiliaria e richiamato “senza assegni”, non dovrebbe costituire un particolare ostacolo ai fini di un impiego istituzionale i cui costi potrebbero risultare effettivamente molto contenuti.

Allora MGB: che ne dite? Si puo’ fare? Come direbbe Obama: Yes, we can.

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Se perdere l’euro porta meno fast-food

5 ricercatori, di cui due islandesi, hanno esaminato il cambiamento dal 2007 della bontà di abitudini di consumo dei cittadini islandesi dopo la terribile recessione 2009 che fece seguito alla svalutazione della valuta locale combinata alla durissima crisi bancaria.

Ricordiamone brevemente le caratteristiche: il tasso di disoccupazione che sale dal 2,3% al 9,1 in un anno e mezzo, colpendo specialmente i giovani. Il tasso di cambio reale della corona islandese si deprezza del 36%, malgrado l’imposizione di controlli di capitale stringenti, e il prezzo delle importazioni sale drasticamente. Meno quello dei beni prodotti all’interno anche se l’inflazione sale del 27,3% in due anni, colpendo tutti, ricchi e meno ricchi. A ciò aggiungete il drammatico effetto ricchezza dovuto alla cancellazione del valore dei risparmi detenuti e della crescita dei debiti delle famiglie (finanziati in valuta estera).

Insomma uno scenario simile a quello che un crescente numero di economisti va proponendo chiedendo il passaggio a due euri. Forse anche per questo val la pena vedere di capire cosa succederebbe alla nostra salute in un tale scenario?

I ricercatori non guardano ai suicidi (che sembrerebbero non essere aumentati nella crisi islandese) ma al cambiamento dei comportamenti/abitudini di consumo buoni o cattivi per la salute. E scoprono che, specie via aumenti dei prezzi, essi riducono il consumo di beni dannosi per la salute (fumo, alcool e lampade solari) ma anche quello di beni “sani” (frutta e verdura), anche se in minore misura.

Si riduce il consumo di fast-food ma qui può avere giocato un ruolo la scelta di Mc Donald di chiudere i locali islandesi per un raddoppio dei costi di produzione.

E, effetto importante quanto ambiguo, aumentano le ore di sonno. Sulla carta cosa buona, ma chissà quanto dormivano per piacere e quanto dormivano perché non sapevano cosa fare perché non avevano lavoro?

Oggi l’economia dell’Islanda tira nuovamente: e dunque si fanno più lampade solari così come si fuma di più, si dorme di meno e si mangia più verdura ed immagino sia tornato Mc Donald.

Tanto vi dovevo per la cronaca. Quello che lo studio non racconta è il numero di vittime silenziose della recessione, comprese quelle che morirono d’infarto (così pare) quando il Primo Ministro annunciò in TV la bancarotta nazionale.

Rimane da questo studio nella mia testa un’unica convinzione: rimanere nell’euro, ora che lasciarlo mi leverebbe anche gli adorati hamburger Mc Donald, ha poche controindicazioni. Basterebbe solo, piccolo dettaglio, che l’euro divenisse il simbolo (solo quello è una moneta) di politiche per la crescita, piuttosto che quello dell’austerità. Ma questa è un’altra storia, sui cui l’Islanda stessa, col suo rifiuto di salvare banchieri incompetenti, avrebbe tanto da dire.

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L’orgoglio giapponese e la crescita nipponica che c’è (stata) malgrado la crisi

I giapponesi hanno il loro orgoglio, come ben sappiamo. Capisco che a forza di sentire argomenti come quelli sollevati da Alesina e Giavazzi sulla disastrosa performance nell’ultimo ventennio dei nipponici, si irritino un po’. Così pare dal rileggere la lezione del Governatore della Banca del Giappone data alla London School of Economics a gennaio di quest’anno.

I grafici che mostra il Governatore stanno solo a dire una cosa: se secondo voi noi abbiamo fatto male dopo le nostre crisi finanziarie, beh voi state facendo peggio!

I grafici sotto paragonano l’andamento del PIL reale giapponese (rosso) e dell’area euro (giallo) dopo la crisi nipponica del 1990 (primo riquadro) e del 1997 (secondo riquadro) con quella dell’euro della seconda metà del primo decennio del XXI° secolo. La disoccupazione dei due paesi è mostrata nel terzo riquadro. La retta verticale in ognuno dei 3 grafici mostra il momento della crisi per ambedue i paesi e a voi interessa vedere cosa è successo a destra della retta verticale, dopo l’avvio delle crisi nei rispettivi paesi. Giappone batte euro area 3 a zero.

Il grafico ancora sotto fa vedere come il vero problema giapponese non ha a che vedere con il debito quanto con la demografia di un paese che va rapidamente invecchiando.

A sinistra vedete il tasso di crescita medio del PIL nel primo decennio di questo secolo (basso in Giappone). Al centro il tasso di crescita del reddito pro-capite (dove il Giappone pare allineato agli altri paesi). A destra il tasso di crescita medio del PIL per lavoratore, un indicatore di produttività: sono meno i lavoratori giapponesi in proporzione (anche a causa della demografia) della popolazione, ma riescono a fare di più che i lavoratori europei. Ritorno: Giappone contro area euro uno pari.

Insomma, per favore, non parlatemi male del Giappone. E se non volete parlare bene dei debiti pubblici, fate pure, neanch’io sono un grande fan: per me conta cosa ci fate con tasse o debito. Ma non usate il Giappone come dimostrazione che fare spesa pubblica in recessione da domanda è  una cattiva idea. E non chiedetemi aiuto sul come dimostrarlo: è una causa persa.

PS: sto per partire per Boston per qualche giorno, scriverò se riesco. Un caro saluto a tutti.

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Monti e Grilli contro la City? Will the Italian Treasury join the Libor class-action?

In queste ore istituzioni pubbliche e private che si ritengono danneggiate dal caso Libor stanno valutando il via a una class action nel Regno Unito e nel resto dell’Unione europea.

Quanto incide il meccanismo LIBOR nella gestione del debito pubblico italiano? Non sui titoli in euro probabilmente. Forse sui titoli in valuta? Su altre operazioni finanziarie? Forse sì.

Io non so se convenga al Tesoro italiano partecipare alla class action (sia per il momento particolare dei mercati verso l’Italia, sia perché magari i guadagni attesi dalla class action sono molto bassi), ma direi che certamente sarebbe utile se Grilli e Monti riferissero al Parlamento, o in Commissione, le loro valutazioni al riguardo su questa questione cara ai contribuenti italiani.

*

Will the Italian Treasury participate to any class action that were to sue banks in the Libor scandal?

I don’t know. Possibly Italian Republic FX issues and other financial transactions whose value was affected by Libor pricing might exist.

It might not be the right moment for Italy to go against the City and maybe values are small. Maybe.

It would be nice of Proff. Grilli and Monti to report their deliberation to the Parliament on this issue. After all, we are talking about taxpayers’ money.

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Pepsi, Coca, potenti e ipocriti: come salvare l’Europa

Il buon Dan Ariely segnala un lavoro uscito due anni fa di Joris Lammers, Diederik A. Stapel e Adam D. Galinsky dove si studia il legame tra ipocrisia e potere con lo strumento dell’esperimento (usando cioè studenti come “cavie” di cui controllare le reazioni in contesti specifici, avendoli prima stimolati ed indotti ad adottare atteggiamenti appunto di “potere” o di assenza dello stesso).

L’ipocrisia è definita come la situazione in cui gli individui non seguono i loro principi morali così come espressi. La loro tesi, che confermano nei dati che emergono degli esperimenti naturali, è che la discrepanza tra il dire ed il fare è maggiore tra i più potenti.

Più precisamente, l’idea che testano è quella che, per una svariata serie di ragioni già studiate da altri ricercatori, i potenti sono più severi nel loro giudizio morale su come gli altri devono comportarsi (per esempio perché sono più inclini e abituati a esprimere la loro opinione dicendo agli altri cosa fare e cosa non fare) e allo stesso tempo più comprensivi verso se stessi se non seguono quelle stesse norme (per esempio perché il potere li rende meno sensibili alla disapprovazione altrui).

Nel fare questi esperimenti – che confermano la loro intuizione – scoprono tuttavia due altri risultati, più inattesi. Primo: l’ipocrisia nei potenti si trasforma in … “ipercrisia” (troppa critica verso se stessi, nella definizione degli autori) negli individui con meno potere, che giudicano con più severità le proprie trasgressioni che quelle altrui. Secondo: il legame tra potere e ipocrisia è forte solo se la fonte del potere è legittima. Quando il potere è detenuto in maniera illegittima, esso porta il potente a divenire anch’egli critico verso se stesso ed i suoi comportamenti.

Concludono gli autori (e voi che mi conoscete applicate le loro conclusioni all’attuale situazione europea con Stati potenti e altri meno):

i nostri risultati confermano … (che) i potenti impongono più regole e vincoli morali agli altri, ma credono di potere operare con meno vincoli. I meno potenti, al contrario, sono meno inclini ad imporre regole agli altri e più rigidi nel seguirle loro stessi”. Incredibile no?

E continuano:

ciò significa che non solo individui potenti prendono ciò che vogliono perché sanno di restare impuniti, ma anche perché sentono intuitivamente che ne hanno diritto. Al contrario, coloro con poco potere non solo non ottengono quello di cui hanno bisogno perché gli è vietato, ma anche perché intuitivamente pensano di non averne il diritto.”

E concludono:

ma il nostro ultimo esperimento mostra come rompere questa spirale viziosa: basta che l’illegittimità della distribuzione di potere sia svelata. Un modo di farlo è la rivolta aperta, ma un modo più sottile con il quale i senza potere possono arrestare l’arricchimento dei potenti è nel macchiare la loro reputazione, per esempio con il pettegolezzo. Se i potenti sentono che il loro potere, che li arricchisce, è soggetto a derisione e la  loro reputazione di leader coscienziosi è minata, potrebbero essere ispirati a tornare agli standard morali dichiarati. Se non lo fanno, potrebbero rapidamente perdere autorità, reputazione e, in ultimo, potere

Una storia “fantascientifica” per l’Europa? Proviamoci, così per divertimento.

Dal 2000 ad oggi la potente Germania, legittimata dalla sua performance economica, ha accresciuto il suo potere imponendo man mano maggiori regole e standard agli altri Paesi, che le hanno accettate supini, senza poi condannarsi più di tanto quando lei stessa ha infranto le regole (per esempio il Patto di Stabilità). Con la avvenuta crisi e l’assenza di solidarietà verso coloro che soffrivano, l’illegittimità di tale posizione acquisita di potere ha portato a crescente irritazione ed aperta rivolta (in alcuni settori e Paesi) contro le regole imposte.

Mmm. Non male come teoria. Debole ma non troppo.

Che mi conferma nella mia opinione. E’ ora che si chiuda il cerchio. Si ”veda” (ma i nostri diplomatici, che fanno?) il bluff tedesco, ci si unisca – Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia e forse anche la Francia – e si dica una piccola parolina: basta.

In fondo, noi siamo come questa dolce ed educata ragazzina dalle origini inconfondibili, e sappiamo farci rispettare dall’omone grande e grosso e fragile.

 

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L’Europa guarda Pompei, Italia. Ma vede poco.

Ricorderete forse come mezzo Governo scese a Pompei per dire MAI più gare di appalti a rischio infiltrazione della criminalità: alla presenza del Presidente dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (dott. Sergio Santoro) del Ministro per la Coesione Territoriale (dott. Fabrizio Barca) del Ministro per i Beni e le Attività Culturali (prof. Lorenzo Ornaghi) del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (prof. Francesco Profumo) del Ministro dell’Interno (dott.ssa AnnaMaria Cancellieri) e del Presidente del Consiglio dei Ministri (prof. Mario Monti) fu firmato il relativo protocollo di legalità sulle gare.

«L’Europa ci guarda», ammetteva il ministro Cancellieri.

Purtroppo non possiamo dire che guardando si veda molto. Le gare già affidate sono parche di informazioni. Per esempio, per la gara “lavori di Restauro architettonico della Casa dell’Efebo e Case limitrofe Reg. I ins. 7 nn.10, 12 e 11 – 19  negli Scavi di Pompei”, leggiamo uno scarno comunicato:

Importo complessivo: € 582.000,00 oltre IVA Oneri per la  sicurezza, non soggetti a ribasso: €  10.614,15 oltre IVA Criterio di aggiudicazione: offerta economicamente più vantaggiosa art. 83  D.Lgs. 163/06 Imprese offerenti: n. 19 Impresa aggiudicataria: A.T.I.:  R.C.R. Edilizia s.r.l. – Minerva di Vassallo Ludovico & C. s.n.c. Ribasso offerto: 32,799% Data di aggiudicazione:  31 maggio 2012.

Poco si sa di quanti punti ha ricevuto sulla qualità l’azienda vincitrice, su quali aspetti della qualità, se ci sono state offerte anomale, esclusioni ecc. Notate bene: tutto regolare, l’informazione minima ai sense della legge è fornita. Ma possiamo dire che la cittadinanza ne sa di più di prima dell’attività di appalto dello Stato? Che sia effettivamente cambiato qualcosa? Forse sì, ma certamente non lo possiamo desumere coi nostri occhi.

Anche perché sulle gare ancora da aggiudicare, su cui avevamo fatto osservazioni puntuali, bandite ad aprile, poco sappiamo. Abbiamo scritto alla Soprintendenza per saperne di più e molto cortesemente abbiamo ricevuto una seppure succinta risposta dalla soprintendente, la Dott.ssa Cinquantaquattro.

Nella nostra mail chiedevamo: Buongiorno. La contatto come cittadino interessato che ha molto apprezzato il vostro procedimento per la trasparenza delle gare d’appalto a Pompei e ne ha abbondantemente parlato sul suo blogLe sarei grato se volesse aggiornarmi sullo stato del procedimento delle procedure ristrette in scadenza il 24 aprile e in particolare se avete proceduto alla qualificazione nonché sul se e quando pubblicherete il capitolato. Grazie di cuore e complimenti per il vostro lavoro.

La buona notizia è che abbiamo ricevuto una risposta, come dicevamo:

Purtroppo la cattiva notizia è che nemmeno i capitolati saranno messi a disposizione dei cittadini. Di nuovo, nulla di irregolare formalmente: solo l’incapacità dei cittadini di poter dire la loro e valutare lo Stato, contribuendo al suo miglioramento.

L’Europa ci guarda, ma non vede bene cosa avviene in Italia. Anche questo è spread.

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Di uccellini, mucche e margherite fumanti. Quando fa bene dire la verità alla Germania

Bene. Qualcosa si muove. Ottima la decisione di Moody’s sulla Germania, abbassare l’outlook a negativo, una sveglia di cui si sentiva il bisogno, che ricorda a tutti noi il senso di una Unione. Una boccata d’aria fresca: la Germania senza l’Europa non può essere come la Germania con l’Europa. Giusto. Giusto soprattutto che lo sappiano i tedeschi.

E poi bravissimo il Ministro dell’Unione Europea spagnolo, Inigo Méndez de Vigo, a tirare fuori quel comunicato subito smentito da Francia e Italia, con un accenno, nella lettera, all’appoggio anche di Irlanda e Danimarca, per mettere subito in moto gli accordi di giugno sullo scudo europeo senza attendere oltre.

Cominciano le prove di alleanza? Non lo so. Ma come dicevo ieri, non aiuta i tedeschi non sentirsi dire chiaramente in faccia l’illegittimità del loro potere, che è solo condiviso e non assoluto. Gli amici sono amici quando danno anche le cattive notizie, quando gli dicono “no, non siamo d’accordo”. Per troppo tempo abbiamo seguito la Germania nel suo percorso senza farle capire che c’era anche chi non era d’accordo. Scusate se rimetto sotto il video magnifico dei grandissimi Terence Hill ed Henry Fonda ne Il mio nome è nessuno, quando ci vuole ci vuole. E poi anche io credo alle favole.

Sento stamattina su radio 24 di Giannino parlare un civilissimo parlamentare tedesco e mi rendo conto di cosa non va. Non è il contenuto del suo argomentare che non va, è la ovvia distanza siderale da qualsiasi considerazione che sia comprensibile ai nostri orecchi. E’ come se, mi dico, non  avesse mai sentita elaborata una posizione “italiana”, o “greca” o “spagnola”, da lustri.

Mi sembra chiaro ora. Percepisco. Che al tavolo del Consiglio europeo non si portano a sufficienza le posizioni diverse di ogni singolo Paese. E se a quel tavolo così importante non si discute delle proprie differenze, si legittima un potere che non ha ragione di essere.

E’ nello spirito dell’Europa parlare. I tedeschi lo fanno. E bene. La mia impressione è che noi facciamo troppo il coro ai tedeschi, con questo non aiutando l’evolversi della crisi verso una buona soluzione. Presentiamo la nostra posizione con più forza, i margini di negoziazione saranno ben più ampi di quelli odierni. Avanti dunque, così.

 

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L’unione con l’euro? No, l’euro che unisce

Ho delle immagini in mente da condividere con voi.

Prima. La miope Germania e la presbite Italia. Così bravi i tedeschi a vedere vicino casa. Con Kohl, quando si trattò di fare l’Unione Monetaria con i fratelli orientali. Con Schroeder quando si trattò di fare la concertazione con sindacati ed imprese di fronte alla minaccia cinese. Così incapaci di guardare lontano, fuori di casa, con lungimiranza. Così timorosi di riprendersi una leadership europea temendo di fare altri disastri come allora. E’ comprensibile. E noi, presbiti, così incapaci di vedere dentro casa nostra, di mettere a posto il nostro giardino, capaci sì di dire dove deve andare l’Europa, ma senza essere capaci di costruirla dal basso.

Seconda. La porta di Magritte. Nessuno entra o esce se si chiude l’euro. Siamo tutti e due fuori, esposti alle intemperie della Natura.

Terza. Ferita o mutilazione? Brunetta dice di uscire “temporaneamente” dall’euro. Come se agli ingressi trionfali del 2000 si potessero contrapporre uscite  banali, cerotti su graffi. No le uscite di tutti sarebbero traumatiche, mutilazioni, con il consueto gioco dei rinfacci reciproci, degli stereotipi nazionalistici e razzisti, dell’assordante silenzio del disprezzo. Altro che temporaneo, qui perderemmo trent’anni di futuro.

Sì, l’unica soluzione per salvare i prossimi trent’anni di Europa è salvare l’euro. Ma l’unico modo per farlo è rovesciare il paradigma di chi vuole l’euro senza aver capito che esso è solo il simbolo di qualcosa di più grande, dell’Europa pacificata: lasciate perdere le fandonie che ci salveranno le unioni bancarie, fiscali e le riforme e soprattutto aiutate a sconfiggere il virus mortale dell’austerità che contagia le piazze e divora le bandiere europee. Pretendete politiche europee di crescita della domanda. Tutto poi, comprese le riforme e la risanata forza innovativa del settore privato, sarà più facile avere.

E a voi giovani vorrei dirvi di rileggere le parole a voi rivolte di ieri del primo ministro norvegese Jens Stoltenberg, nel suo importante discorso per commerare le vittime dell’odio di 1 anno fa:

I vostri sogni sono stati interrotti bruscamente. Ma i vostri sogni possono essere esauditi. Potete tenere vivo lo spirito di questa sera. Voi potete fare la differenza. Fatelo! Ho una semplice richiesta per voi. Cercate di essere coinvolti. Di interessarvi. Unitevi a una associazione. Partecipate ai dibattiti. Andate a votare. Le elezioni libere sono il gioiello di quella corona che è la democrazia. Partecipando, voi state pronunciando un sì pieno alla democrazia.

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Le sirene Alesina e Giavazzi, Montalbano, la loro BCE ed il mio Giappone

Io vorrei andare a fare colazione ma dopo avere letto sul web le sirene A&G sul Corriere me ne è passata la voglia. Davvero.

Troppe le cose da dire. Mi limito alle più rilevanti.

Comincio dalla più grave: “Una prima decisione, dopo aver affidato la vigilanza bancaria alla Bce, potrebbe essere un primo passo nel trasferimento della sovranità sui propri conti pubblici. Ad esempio si potrebbe decidere (seguendo una proposta che è stata avanzata in Germania) che se un Paese non rispetta gli obiettivi sui conti pubblici, la nuova legge finanziaria che si renderà necessaria (incluse le riforme indispensabili per renderla credibile) non sarà scritta dal governo di quel Paese, ma dalla Commissione di Bruxelles, e non sarà votata dal suo Parlamento, ma dal Parlamento europeo”.

Chi scrive questo è agli antipodi di qualsiasi mia visione di democrazia. Alberto Alesina credo che conosca un po’ gli Stati Uniti di America. Vedesse lui cosa gli direbbero i cittadini americani, ancora prima che i suoi politici, se venisse delegata la scrittura (non il controllo) del budget e della manovra di finanza pubblica a strutture tecniche non elette dal popolo.

Chi mi legge sa poi cosa penso dei pericoli di cedere alla BCE la vigilanza bancaria europea. Leggere ieri la coraggiosa intervista dei giornalisti de Le Monde a Draghi (finalmente domande non supine!) è particolarmente istruttivo.

Alla domanda: “capi di Stato e Governo vogliono inserire la BCE al cuore della supervisione bancaria. E’ in favore di ciò?”, la risposta di Draghi ha del clamoroso nella sua ingenua verità: “la Commissione Europea ha la responsabilità su di ciò consultandosi con la BCE e il Parlamento europeo…”.

Cari A&G non vedete una crisi profilarsi già all’orizzonte? Voi che chiedete di ridurre “l’influenza dei banchieri sui governi” non siete sconvolti che chi deve supervisionare sia impegnato esso stesso a preparare la proposta di legge per ricevere il mandato? Ma che razza di conflitto d’interesse mostruoso è questo? E meno male infatti che, non a caso, la domanda successiva dei giornalisti riguarda i potenziali conflitti  d’interesse che la BCE potrebbe avere nella gestione di questa funzione.

Ma passiamo oltre. Perché il top dell’articolo di A & G viene dopo, quando si cerca di distruggere l’esperienza giapponese della spesa pubblica con alto debito, apparentemente, secondo loro, fallimentare.

Io sono felice che si parli di ciò: abbiamo sprecato un anno evitando di parlarne come se fosse un tabù, ed il fatto che A&G mettono tutta la loro potenza di fuoco su questo argomento vuol dire che le alternative a loro disposizione (tutte le pallottole che hanno sparato in questi mesi contro la crisi) sono finite, rimbalzando sul corpo spesso di una crisi che si fa gioco dei tanti tecnicismi. Ed ora finito il tempo dell’ideologia dobbiamo confrontarci con i dati: meno male, alleluia.

Sorvolo alla grande sulla tenera ammissione che “anche il programma fiscale di Obama, se forse ha attenuato la recessione americana, certo non è riuscito a ridurre la disoccupazione e a far ripartire velocemente l’economia”. Forse? Forse? Bah lascio parlare Krugman ed i suoi dati chiarissimi al riguardo: se Obama (rosso) perderà le elezioni è proprio per essere stato troppo timido al riguardo dell’espansione fiscale, al contrario di un suo predecessore, tale Reagan (blu). Il grafico mostra i cambiamenti nel livello reale della spesa pubblica nel primo mandato in una recessione.

Ma arrivo al dunque. “Per vent’anni il Giappone le ha provate tutte: porti, metropolitane, alta velocità: il debito pubblico si è triplicato, ma la crescita non è mai arrivata.” Come A&G sanno bene, il paragone va fatto con la crescita che ci sarebbe stata in assenza di intervento statale. Io preferisco farmi dire cosa successe in Giappone da Mr. Koo di Nomura (non un comunista dunque) che ha recentemente presentato alla Banca Centrale Europea la sua analisi del perché l’Europa si sta incartando con politiche di austerità non seguendo la lezione giapponese.

Lezione che ha evitato esattamente quello che A&G temono: “le crisi finanziarie, soprattutto quelle scatenate da aumenti ingiustificati nei prezzi delle abitazioni producono, quando la bolla poi scoppia, recessioni molto lunghe. Le banche, dopo aver concesso mutui con grande leggerezza, senza chiedersi se il cliente debitore sarebbe stato in grado di sostenere le rate, subiscono perdite ingenti e devono ricapitalizzarsi. “ Ecco questo in Giappone non avvenne, grazie alla spesa pubblica. Lo lascio parlare (mia traduzione):

Il  Giappone fronteggiò una recessione “patrimoniale” a seguito dello scoppio della bolla speculativa nel 1990 … Il Giappone si salvò e riuscì ad evitare la depressione perché il Governo prese a prestito e spese … Malgrado una drammatica perdita di ricchezza e una riduzione del debito del settore privato che raggiunse il 10% di PIL  annui, il Giappone mantenne il suo PIL (serie in blu scuro) sopra i livelli della bolla per tutti gli anni post 1990. Ed il tasso di disoccupazione non superò mai il 5,5%. Non toccando mai cioè i livelli che A&G giustamente ricordano si hanno in caso di scoppio di bolle (trattini rossi).

Non c’è dubbio che i governi europei stanno ripetendo gli errori giapponesi di austerità premature del 1997 e 2001 che in ambedue i casi avviarono una spirale deflazionistica e in ultima analisi aumentarono il deficit pubblico. L’errore giapponese del 1997, per esempio, generò 5 trimestri di crescita negativa e aumentò il deficit pubblico del 68%. Il Giappone ci mise 10 anni per uscire da questo buco creato da un errore di politica economica. Sarebbe uscito da questa recessione patrimoniale molto più rapidamente ed a un costo significativamente minore se non avesse adottato misure di austerità in queste 2 occasioni.

Ah, se Obama avesse ascoltato Krugman e Koo… Ah se Monti e Merkel lo ascoltassero non dando retta alle sirene A&G…

PS: come lettura per l’estate, alle tante persone in difficoltà per questa crisi, non consiglio nessun economista. Montalbano, ecco, sì. O quello che vi rende felici.

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When the IMF listens to European politicians rather than citizens

The International Monetary Fund report on the euro area is out. Equally out is Dr. Doyle, who resigned from the organization with the following words:

The issues, Europe and Doyle, are related. Not only because Dr. Doyle mentions the European-bias as a critical failure of the IMF:

But also because the IMF itself had recognized the issue clearly before:

The Fund should not have a “Europe is different” mind-set. Facts have proven that countries in the euro area can experience crises of the sort that is frequent in the emerging world. In its surveillance work the Fund should make full use of its comparative advantage which consists of the breadth of its expertise, the wealth of its experience across countries and over time, and an approach that is driven first and foremost by economic analysis rather than by institutional constraints… The Fund should take notice of the EU’s institutional constraints but it should not be bound by them. The EU by nature is process-driven and this affects its own surveillance work, which is structured around institutions and procedures. Furthermore, European processes are inevitably affected by power games between national governments and EU authorities (Council, Commission, Parliament and ECB). Being outside of this game gives the Fund freedom and objectivity. Those are precious assets that should not be squandered by attempts to be part of the European institutional game and to mimic European processes… Attempts to limit the scope of Fund surveillance or to tone down its assessments should be resisted. The Fund‘s expertise and financial commitment in the euro area give it a duty towards its entire membership to be as thorough and comprehensive as needed.”

I know a bit of this matter too. Many years ago I watched so-called independent supra-national institutions turn their back on the evidence of the wrong accounting practices by some governments on the use of derivatives. They knew, they were told not to meddle, they abided. Countries like Greece suffered immensely from this, just like they do now according to Doyle:

Optimistically, forgetting for a second Dr. Doyles’s resignation, things might have changed in the meantime and the IMF might have acquired more candor and traction (defined by the IMF as “the extent to which the authorities engage with the Fund on its advice or the extent to which Fund advice translates into policy action”). For example, in this last report on Europe there is growing pressure on the ECB, the European Central Bank, to act fast in support of the economy.

But from reading it all, I do not think enough has been done yet to change the IMF ways of working. In its 2011 triennal review of surveillance operations the IMF had asked its staff and external advisors to enquire as to whether, on stimulus and exit policies, the Fund’s policy advice in this area had proven useful for country authorities and had had a consistent framework for analysis applied across countries that took into account both growth/employment and sustainability considerations.

In the final report that followed, the IMF Managing Director writes that indeed “the revised surveillance guidance note will urge better coverage of issues involving unemployment, inequality and inclusive growth, where they are macro-critical, leveraging expertise in other organizations”.

Hélas. There is little regarding these issues in the latest report on the euro area. Very little.

What is more, one finds embedded in it only one possible model of the economy. In its external advice to the IMF last year, Nobel prize Joe Stiglitz had warned the IMF: “for IMF surveillance to be more effective, there needs to be more explorations of the consequences of different ways of modeling the economy. If, for instance (as some recent IMF papers suggest) inequality contributes to instability, then making labor markets more flexible may not only lead to more inequality, but more instability. If, as many economists believe today, there is a deficiency of aggregate demand in many countries, more labor market flexibility may lead to higher, not lower, unemployment. If, as Irving Fisher argued, deep recessions and depressions are related to a debt-deflation cycle, then so are more wage and price flexibility risks pushing the economy further into recession”.

None of that intuition can be found in the euro area report of the IMF. In this review of the euro area we can read that “to reduce deficits and debt that have risen sharply in recent years, most euro area countries plan significant fiscal adjustment over the medium term. In this setting, the overarching challenge is to implement consolidation plans without exacerbating the adverse feedback loops with the real economy. Countries where market pressure is high have little choice but to proceed rapidly with consolidation. But the adjustment elsewhere should be conducted at a steady underlying pace that balances the need to bring down deficits and to support the recovery.”

On the basis of this comment, it is obvious that Greece, Portugal, Spain and Italy will not count on  the IMF to support a possible expansionary fiscal stance when asked by the European Commission to do instead more austerity. My point: why is the IMF so sure that were these countries to pursue expansive fiscal policies they would not get out of trouble sooner and more effectively? What evidence do they bring for such an important statement of theirs? Why have they not proposed the possibility also of a second scenario? Have they considered Stiglitz statement in writing those words cited above?

Page 30 of the euro area report shows the US and Japanese public debt to GDP dynamics, much more dramatic than the one even of Italy and certainly of the whole euro area. Why are Japan and the US not facing a crisis of the kind the euro area is? Possibly because the level of public debt to GDP has little to do with it? And so why should countries with a high public debt ratio focus on austerity rather than expansion? Why? None is said.

Is the IMF still too dependent on Europe’s politicians suggestions? I fear so. The road to independence and intellectual freedom of analysis, I fear, is still to be conquered at the IMF. As long as it won’t be, the public good embedded in the IMF mission, providing honest and competent opinion on complex international economic policy matters, will remain a chimera. And people will suffer from the absence of this public good, much much more than the suffering of these past 20 years of Dr. Doyle.