Faccio parte del partito di quelli che credono che Draghi stia facendo grandi cose. Una lotta importante per una politica monetaria più espansiva è una lotta per l’Europa, per muoverci verso preferenze della banca centrale più vicine al centro e meno sbilanciate verso la Germania. E’ un pezzo di Europa che si sta costruendo, con il duro confronto, come è giusto che sia.
Il Financial Times riassume bene la sfida che l’italiano sta cercando di condurre in porto a favore dell’euro. E il problema non è certo la Bundesbank, che ben rappresenta, in maniera forte e chiara, un pezzo di storia della Germania. Il problema è di chi non rappresenta più nulla, per ignavia o per qualsiasi altro motivo, quello che per incarico invece è stato delegato a rappresentare.
Il problema è che oltre a Draghi e Bundesbank, nessuno sta ben rappresentando un altro pezzo di Europa: quello del lavoro e della crescita in un momento di terribile crisi da domanda aggregata che attanaglia molti paesi dell’area euro. In un momento in cui imprese e lavoratori chiedono la rappresentanza forte ed attenta dei loro interessi così importanti.
Le conseguenze di questa mancanza di rappresentanza stanno avvelenando l’Europa, lentamente.
Anche nei luoghi più insospettabili, come la BCE. Così purtroppo, per tenere calma la Bundesbank, senza alleati forti accanto, Draghi deve fare concessioni che non gli spettano, che spettano ad altri. Mi sia concesso di spiegare perché.
Orgogliosamente Draghi rivendica indipendenza per la BCE.
P.S. sull’indipendenza: Forse eccessivo è stato il suo sorriso e diniego quando alla conferenza stampa un giornalista gli ha chiesto se prevedeva di presentare la sua politica monetaria ai Capi di stato nazionali: presentare la politica ai Capi di Stato non è dipendenza come Draghi sembra temere ma accountability, è onorare cioè la propria indipendenza con informazione trasparente ad ogni Stato che ha situazioni diverse e dunque esigenze di ascoltare per capire meglio cosa fa Francoforte, quanto ha fatto e quanto intende fare. Lo so, è fantascienza oggi ma dovrebbe essere nell’agenda di riforma della BCE di domani.
Ma torniamo a noi. Orgogliosamente Draghi rivendica indipendenza per la BCE. Ma chi rivendica orgogliosamente il mandato a stabilizzare l’economia in recessione da domanda che certamente non spetta a Draghi?
Il problema è serio, perché, in absentia, Draghi e la BCE se ne stanno occupando. Draghi sostiene (minuto 55) che la politica monetaria è necessaria ma non sufficiente. Primo perché servono austerità e riforme, come ha sempre sostenuto. Secondo, ed ecco la novità o la frase chiave: “Conditionality is essential”. Da ora in poi la BCE condiziona la sua politica alle riforme ed alla austerità dei governi. In assenza di austerità e riforme non si muove più. E la mia controparte (“counterpart” è la parola che Draghi usa) in ciò, con cui dialogherò, non saranno i governi (ciò minaccerebbe la mia indipendenza) ma “saranno i fondi EFSF ed EFM” che certificheranno se le politiche economiche dei governi vanno bene e dunque se posso attivarmi con la politica monetaria a sostegno.
Siamo dunque ad un passo dal commissariamento delle politiche economiche (fiscali) degli Stati nazionali. La prossima mossa, la prossima crisi dello spread porterà certamente alcuni governi a ricorrere al finanziamento condizionato all’austerità, abbandonando la loro sovranità sulle politiche fiscali.
C’è un problema legale di rispetto della Costituzione italiana ed europea in questo che lascio ai miei amici giuristi.
A me preme sottolineare come le condizionalità che ci imporranno i fondi europei saranno esattamente identiche a quelle che sinora hanno fallito miseramente in Spagna ed anche in Italia. Anzi peggio, saranno come quelle dove effettivamente sono state attuate, in Grecia, generando enorme instabilità politica, sociale ed un forte (ma per fortuna ancora minoritario) movimento anti-europeo. Nessuna crescita, nessuna stabilità dei conti pubblici, sia chiaro. Recessione e debiti pubblici impazziti.
Sono le condizionalità che generano recessione ed instabilità dei conti pubblici. Sono le politiche fiscali espansive che salvano i conti pubblici, l’occupazione, l’Europa, in un momento di crisi da domanda aggregata. Ripeto, lo insegniamo da trent’anni all’università proprio in attesa di questo momento, come a un esperto di protezione civile si insegna in tempi calmi cosa fare in quei rari momenti chiamati tsunami.
Draghi sa che cedere la politica monetaria ai politici è dannoso. Ma non sa che cedere all’austerità tecnica la politica fiscale è altrettanto micidiale.
Come Draghi affronta la Bundesbank, così Monti, Rajoy e Hollande dovrebbero affrontare la Merkel. Solo dal confronto e dallo scontro può emergere l’Europa. Ma se questo confronto è evitato, l’Europa muore. Il Consiglio europeo, i primi ministri dell’area dell’euro, dovrebbero dire a Draghi: alle politiche fiscali che servono per restaurare la crescita ci pensiamo noi, nella nostra piena indipendenza, stai tranquillo. E poi agire di conseguenza. Con le politiche fiscali espansive come quelle di cui ha bisogno l’area euro.
Se la politica, che rappresenta le persone, cede le sue prerogative, muore l’Europa politica, muore l’Europa.