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Quando Draghi scende a Cosenza e risolve la crisi.

L’ironia della sorte vuole che sia la Banca Centrale Europea a pubblicare i lavori che indicano come uscire dalla crisi ora e subito.

La politica monetaria, lo ripeto, è la morfina che lenisce il dolore. Le riforme (ma quelle giuste!) sono la terapia di riabilitazione del malato, quelle a lungo termine. La morfina è inutile come la terapia se prima non rimettiamo in piedi il malato, ora e subito. Ci vuole la medicina. La medicina.

E per guarire da questa recessione c’è solo un mezzo. Quello indicato anche dalla Banca Centrale Europea nell’ultimo tema di discussione pubblicato (ovviamente con tanto di preavviso in prima pagina che la BCE non condivide necessariamente le opinioni contenute nel lavoro!) da tre ricercatori (due dei quali della BCE) di spessore, lavoro anche pubblicato su una delle riviste scientifiche di economia più importanti al mondo, l’American Economic Review.

Cosa dicono questi 3 ricercatori con dovizia di dati ed analisi statistiche? Che la crisi del 2007-2010 nell’area dell’euro sarebbe stata molto peggiore se non ci fosse stata, a ridurne l’impatto negativo, la politica fiscale fatta di maggiore spesa pubblica e minori tasse. Leggiamo il riassunto del lavoro, più chiaro di così:

Quanto ha contribuito la politica fiscale nell’area dell’euro al tasso di crescita del PIL durante la Grande Recessione? Noi stimiamo che politiche fiscali discrezionali hanno aumentato il tasso di crescita del PIL trimestrale durante la crisi fino allo 1,6%.

Ho due cose da aggiungere. Primo, sappiate che l’Italia in quel periodo di politiche discrezionali (stimoli fiscali approvati in quegli anni dal Parlamento con scelte mirate, appunto chiamate discrezionali) non le ha fatte, ed è stato uno dei pochi Paesi a non farle. Quindi questo dato fa riferimento a tutti gli altri meno che a noi. Secondo, sia chiaro: in questo studio nemmeno si mette in dubbio di che politiche fiscali si tratta. Non certo dei tagli alla spesa di cui scrivono settimanalmente i miei colleghi Alesina e Giavazzi sostenendo come questi siano espansivi, quando tutto il mondo e tutti i dati (e questo lavoro della BCE è solo l’ultima testimonianza) dicono che solo con più spesa (e meno tasse) la medicina per rimettere in piedi il malato funziona.

Guardiamo più nel dettaglio (nel post sotto in inglese vedrete in blu l’impatto “buono” della spesa nella crisi “rossa” che ci ha attanagliato e che continua a farlo) nel grafico le componenti più rilevanti che hanno aiutato il ciclo a non essere stato ancor più negativo di quanto non sia stato.

E’ un bellissimo arlecchino vero? Guardate quel rettangolo blu scuro con le strisce, assomiglia alle cravatte dell’Inter. Ecco quello è il contributo (quasi sempre positivo) di più spesa per appalti di beni e servizi (spesa corrente). E che ne dite di quel rosa color muro di Roma con angoli retti rosso chiaro? Belli no? Beh, quelli sono le spese per appalti di lavori (spese in conto capitale). Chiaramente i due meccanismi più importanti per bloccare il crollo della produzione e dell’occupazione nell’ultimo orribile triennio fino al 2010. Qualche pignolo noterà che il rettangolo rosa degli investimenti pubblici è marginalmente negativo nel primo trimestre 2009 (2009 Q1)? Bravo! E’ così. Infatti, si legge nel lavoro, ciò è dovuto ad un calo degli appalti nelle costruzioni a causa delle cattive condizioni del tempo nell’inverno 2008. Maledetto tempaccio che riduce il potere della spesa pubblica per appalti.

Insomma, la medicina è una sola. Bisogna spendere di più, spendendo bene. Non solo in lavori ed infrastrutture, ma anche in manutenzione e beni di consumo. E i vantaggi non si limiteranno al PIL, ma genereranno anche maggiore civiltà. Che dici Piga? Dico di leggersi oggi a pagina 27 il Corriere della Sera dove si narra di come i nostri eroi della squadra mobile di Cosenza hanno prima pedinato e poi arrestato Franco Presta, latitante, considerato uno spietato killer della ‘ndrangheta. Leggete, leggete. Leggete di come gli inseguimenti e appostamenti sono stati fatti con le macchine private dei poliziotti quando la Panda (la Panda!) della polizia si è bloccata. Leggete del magistrato che dice “non abbiamo mezzi, ci tolgono anche le scorte” e del procuratore aggiunto: “ci sono rimaste solo 100 risme di carta e 20 cd e non possiamo andare avanti con le ordinanze cautelari. Sino ad oggi è stato possibile lavorare solo perché il sindaco di San Lorenzo del Vallo ci ha fornito la carta”. Altro che Bisin e De Nicola che dalla prima pagina di Repubblica di ieri dicono che il crimine non peggiora con meno Stato.

Ecco, se mandassimo Draghi ed i suoi ricercatori in Calabria la soluzione l’avrebbero. Con più PIL e meno criminali in giro grazie a più appalti di risme di carta e più Panda. Spesa finanziata dal taglio di sprechi che questo Governo, come tanti prima di questo, si ostina a non mettere al centro della sua azione.

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Prof. Monti, ci dia i Ghostbusters per favore

Haiping Dai. E’ il nome di questo signore che ha inventato la macchinetta cinese per la lotteria anti-evasione. Brevetto richiesto il 28 aprile 1998, approvato dalle autorità cinesi il 21 febbraio 2001. La macchinetta installata in ogni negozio commerciale stampa scontrini con un numero di lotteria estratto casualmente.

Il cittadino cinese con lo scontrino partecipa dunque alla lotteria, quella con la elle minuscola. Richiedendo lo scontrino, tutti i cittadini cinesi partecipano invece all’altra Lotteria, quella con la elle maiuscola che regala un premio enorme a tutti, la riduzione dell’evasione. Nel 2002 le autorità cinesi stimavano che a fronte di premi pagati per 30 milioni di yuan (al tasso odierno, 4 milioni di euro) hanno ottenuto un aumento di entrate di 900 milioni di yuan, rapporto 1 a 30.
Insomma, un piccolo marchingegno di processo, non invasivo, genera grandi rendimenti sociali.

Il governo britannico ha di recente avviato un programma con un gruppo di Ghostbusters economici (così li chiamo io, perché acchiappano davvero i fantasmi che sfuggono al fisco, ma sono economisti di grande valore che studiano un campo dall’economia in rapidissima crescita, l’economia comportamentale) per individuare tecniche per ridurre frodi, errori, multe e debiti non pagati, stimati annualmente attorno a 20 miliardi di sterline. Il vantaggio? Più entrate complessive e dunque la possibilità di ridurre il peso fiscale medio sui cittadini o aumentare i servizi sociali.
Si va dallo scrivere le lettere ai cittadini inadempienti con colori che attraggono l’attenzione, ad aggiungere post-it firmati a mano, a far firmare in alto piuttosto che in basso così da sentire maggiormente la responsabilità di dire bugie.
Ancora più interessanti le tecniche per far emergere con delicatezza i rischi della disonestà nel rispondere alla pubblica amministrazione. La gente infatti mente meno:
- se le si ricorda chiaramente l’impatto negativo per altre persone di tali bugie e tanto più quanto queste persone sono vicine nella nostra vita (“sei rimasto solo tu del tuo quartiere a non aver pagato” oppure “ecco perché non possiamo pulire la strada del tuo quartiere così frequentemente”);
- se le si ricorda di alcuni arresti specifici di persone che hanno frodato (qualche evasore noto o locale che è stato condannato);
- se gli si dice la probabilità con cui verranno controllati (molto spesso le persone tendono a sovrastimare la probabilità di un evento – il controllo, per esempio – se questo gli viene comunicato con precisione) o se gli si fa capire che si può controllare bene la sua situazione anche senza la sua collaborazione (con un riferimento a specifici controlli incrociati, per esempio).

Il progetto sta funzionando, con un approccio che richiede tanti esperimenti per verificare cosa è che funziona e cosa no (quello che funziona nel Regno Unito probabilmente non funziona nello stesso modo da noi), e sta portando a buoni e a volte ottimi risultati.

Penso a quanta fantasia ci vorrebbe al potere in Italia per lavorare con questi Ghostbusters invece di scrivere leggi anti-corruzione che, come giustamente solleva Bianconi oggi a pagina 15 sul Corriere, a fronte di un innalzamento delle pene, prevedono un tempo di prescrizione del reato che ancora non è compatibile con i tempi lenti della giustizia. E che, comunque sia, non pongono fine alla questione, essenziale per la lotta alla corruzione, del processo immediato.

Basta sfogliare il giornale a pagina 19 per leggere di un dirigente del Ministro dello Sviluppo apparentemente beccato con le mani nel sacco per una mazzetta di 2000 euro. Ebbene, cosa ci vorrebbe a giudicare immediatamente questo impiegato e se del caso condannarlo con sentenza definitiva nel giro di 1 mese allontanandolo dalla Pubblica Amministrazione per sempre?

Per 2000 euro, direte voi. Sbagliato. I Ghostbusters vi direbbero che usando intelligentemente la comunicazione sul caso di questo poveretto mettereste sull’avviso gli altri milioni di dipendenti pubblici. Un valore enorme. Con la credibilità della pena così assicurata, dopo un po’ non avreste più bisogno di giudici per questi reati perché nessuno ci proverebbe più. Cosa ci vorrebbe a creare un tribunale speciale che giudichi in un mese per tutte le mazzette inferiori a, diciamo, 100.000 euro?

Con la scusa che bisogna fare leggi che accontentino destra o sinistra per non mettere in difficoltà qualche grande politico, si perde l’occasione per fare cose ovvie che beneficerebbero tutto il paese senza che la politica avesse nulla (o quasi) da obiettare.

Prof. Monti, ci dia i Ghostbusters per favore.

PS: ah ovviamente, come la macchinetta di Haiping Dai, assumere quei consulenti è costato a Sua Maestà La Regina probabilmente un bel po’ di quattrini, magari qualche milione. Chissà se la nostra Corte dei Conti lascerebbe passare un contratto di questo tipo se gli si dimostrasse che genera benefici per centinaia di milioni. Forse no.

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The Undefeated. Public Consumption and Public Investment.

Sorry to my foreign readers for being so lazy about writing in English. These are hectic times in Italy and I have unlawfully neglected you.

Just thought I would let you know that whoever says that the difference between this side and that side of the Atlantic is our central banks – the Fed and the ECB - is from now on proven plain wrong. We are used to say that the ECB is a temple of conservative anti-inflationary hawks while the Fed cares about employment and growth.There is a new ECB working paper here to disprove it.

Because this ECB working paper was written jointly by 2 ECB researchers and one from the US Federal Reserve System, even though on the first page you can read a disclaimer that takes away part of the fun (This Working Paper should not be reported as representing the views of the European Central Bank (ECB). The views expressed are those of the authors and do not  necessarily reflect those of the ECB, the Board of Governors of the Federal Reserve System or of any other person associated with the Federal Reserve System), it gives joy to see that everyone agrees: expansionary fiscal policy works like wonder to reduce the impact of a recession.

It does. We knew that. But we thought in Frankfurt they didn’t.

Let’s dutifully quote their work (which also appeared in the American Economic Review Papers and Proceedings):

“How much did fiscal policy contribute to euro area real GDP growth during the Great Recession? We estimate that discretionary fiscal measures have increased annualized quarterly real GDP  growth during the crisis by up to 1.6 percentage points. We obtain our result by using an extended version of the European Central Bank’s New Area-Wide Model with a rich specification of the fiscal sector.”

Yes, that’s right. Or else look at the graph.

You see, the blue bars are the good guys: more public spending and/or less taxes chosen explicitly by governments (discretionary, that is). They fight the bad guys, the red bars: all the recessions’ shocks that hit Europe bewteen 2007 and 2010. Thanks to the good blue guys, the economy evolved (the black line) better than what it would have done without it (the red bars).

Who were the most important blue troopers? Government spending on consumption and investment, John Wayne and Rock Hudson, always them, the Undefeated. They explain most of the compensation to the negative shocks.

Now there is only thing left to do. Have Mario Draghi, the ECB Governor, read that paper published in his Bank. He might finally be convinced of who are the bad guys that want the euro destroyed and side with John Wayne and Rock Hudson, allowing stupid austerity to be banned.

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Un imprenditore ci scrive

Da un lettore riceviamo e pubblichiamo.

Buon giorno a tutti. Come piccolo imprenditore agricolo,  finalmente sento una voce che indica, nella assenza di qualità e capacità di spesa della PA, uno dei fattori determinanti della carenza di crescita e di freno allo sviluppo. Credo che possiamo fare altre finanziarie, triplicare le tasse, ma otterremmo solo di triplicare lo spreco. Se non si incide concretamente su questi fattori il nostro paese resta in profonda crisi. L’impresa, le attività professionali, il vivere civile hanno delle continue e sostanziali difficoltà causate dal mal funzionamento dell’ apparato amministrativo. E non banalizziamo, non è una questione di licenziamenti, ma si devono creare e usare meccanismi innovativi che premino responsabilità e competenza in modo da far camminare e qualificare l’attività amministrativa dello stato. Come piccolissima impresa,  non credo che le regole del mercato del lavoro determineranno chi sa quale risultato in termini di crescita e di occupazione. Le difficoltà principali non sono lo statuto dei lavoratori  ma gli attriti le difficoltà,  le assurdità procedurali della PA, i dipendenti ti costano ma se l’impresa o il professionista deve occupare il 70% della propria forza e tempo lavorativo in procedure burocratiche  non mirate al raggiungimento di un obiettivo utile; quando si confonde la procedura con l’obiettivo che una legge si prefigge, allora i costi e le attività divengono insostenibili. Determinando una motivata sfiducia nel sistema. Vero freno alla crescita. Germania, Francia hanno una amministrazione forte e presente, ma produttiva e  capace di incidere e sostenere lo sviluppo. La mancanza di crescita e di sviluppo, trovano come causa principale, lo spreco oltre che la cattiva spesa,  l’incapacità progettuale e di realizzazione,  l’incapacità di produrre un risultato dall’utilizzo di risorse pubbliche e private. Non sto parlando di elargire finanziamenti ma di regole e meccanismi che favoriscano e non ostacolino i sistemi produttivi.

Ernesto Buondonno

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Na nuci ‘nta nu saccu non faci scrusciu


“Volevo ringraziare molto coloro che mi stanno proteggendo quindi… l’arma dei carabinieri soprattutto”.
Dedicato a chi si permette di dire in prima pagina di Repubblica oggi che “l’andamento della criminalità in Italia è anelastico rispetto al numero di uniformi” e che bisogna ridurre le forze dell’ordine.
Dedicato a questi sindaci meravigliosi, di destra o di sinistra che siano, che ci provano.
Dedicato a Maria Carmela Lanzetta, anche se mollasse “perché ho dei figli”, per questo mese in più in cui rimane.
Dedicato alla Locride che non ha più Stato – senza più treni né scuole – e dove lo Stato che tassa e non spende rende deboli, sì deboli, i sindaci come Maria Carmela Lanzetta.

Una noce in un sacco non risuona da sola. Riempiamo di noci il sacco della Locride. Se è vero che l’unione fa la forza, allora spendiamo di più per la Locride. Forze dell’ordine, scuole, cultura, ora.

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L’Orso Stiglitz the Pooh e quel miele italiano

Torno da Milano e sul treno leggo i giornali. Corriere e Repubblica. Forse mi sbaglio, continuo a girare le pagine. Giro. Nessuna notizia. Sul bilancio in pareggio in Costituzione che doveva votare ieri il Senato.

La legge che cambierà le nostre vite in peggio, la legge che va contro ogni regola della macroeconomia, la legge che gli Stati Uniti ed il Regno Unito non si sognerebbero mai di adottare, quella che nelle recessioni obbligherà i nostri deputati a dibattere per ore e ore come truccare i conti per fare l’unica cosa che sappiamo serve nei momenti di difficoltà economica, e cioè lasciare andare il deficit pubblico espandendo spesa e riducendo tasse,  NULLA. Leggo poi su Internet che è stata rinviata alla settimana prossima, una ultima settimana di speranza, prima che l’idiozia prevalga nella Costituzione economica del paese. Eppure nessuno ne parla. Nessuno.

Per fortuna mi consolo con Fubini sul Corriere che ci ricorda che il Tesoro tace totalmente sui derivati che ha in pancia. Abbiamo un Direttore del Tesoro nuovo, Vincenzo La Via, bravo, che conosce bene la situazione perché ai tempi della espansione del loro utilizzo è stato anche responsabile della gestione del debito pubblico: spetta a lui dire al popolo italiano quali sono i rischi a cui andiamo incontro nel pagamento di possibili extra spese con questi contratti in essere, sono soldi nostri. Il Presidente Monti, che è anche il suo Ministro, può certamente convincerlo di questo.

Ma è su Repubblica che trasecolo. Leggo articolo di Bisin e De Nicola, due bravi economisti, con il solito approccio “Bocconi-style” alla questione della spesa pubblica, ma in peggio. Ridurre le forze dell’ordine, guardie penitenziarie (ma lo sanno come stanno le nostre carceri? Hanno mai ascoltato Radio Radicale?), polizia, carabinieri, guardia di finanza (chissà come la combattiamo l’evasione): “sfoltire, sfoltire: senza le pietose scuse dell’ordine pubblico che ne soffrirebbe. L’andamento della criminalità in Italia è anelastico rispetto al numero di uniformi”, che vuol dire che Riina e Provenzano li si cattura noi a mani nude.

Parlano di servizi “pubblici molto peggiori in quantità e qualità su tutta la linea (scuola, sanità, giustizia, trasporti)” e poi dicono “O si taglia la spesa pubblica e si abbassano le tasse o si accelera il declino”.  Tertium datur: magari riqualifichiamo invece la spesa? Magari coi soldi dei tagli agli sprechi diamo le auto che funzionano ai poliziotti, le scuole a norma di sicurezza ai ragazzi, le strutture appropriate ai nostri giudici che lavorano in situazioni emergenziali in territori con contesti durissimi, che dubito i nostri eroi economisti abbiano mai frequentato, le carceri decenti ai nostri detenuti?

Magari. Ma nell’articolo, che parla di spending review, nessun accenno, dico NESSUNO, all’unica parte del bilancio dello Stato e delle PA toccabile subito, quella degli appalti di beni, servizi, lavori, che pesa il 12% e più di PIL, il 30% della nostra spesa. Zero assoluto. Forse non sanno che esiste.

La parola recessione non appare mai, come se non esistesse. Già perché in Europa pensiamo ormai che gli Stati non possano combattere la recessione, contro tutto quello che insegnamo in aula. Negli Stati Uniti, sì, da noi no. A conferma di ciò…

… ecco la magia, pagina 17. Col suo faccione da orso, simpatico e pieno di sé, vedo che Repubblica intervista il Nobel Joseph Stiglitz. E mi riconcilio con il mio caffè. E con questo meraviglioso Paese che scorre davanti a me seduto nel bellissimo treno che mi porta veloce a casa, a Roma, a dimostrazione che se vogliamo farle bene le cose, le sappiamo fare, bene. Leggiamolo l’Orso Joseph, leggiamolo:

“Cosa dovrebbero fare i governi europei?

Quando si attraversano momenti difficili, i governi non dovrebbero contrarre la spesa dello Stato, ma aumentarla. Il deficit di bilancio non si espande necessariamente se al tempo stesso si aumentano le tasse. In questo modo l’economia può moltiplicarsi rispetto alle risorse allocate.”

E l’Orso Stiglitz non sa che noi non dobbiamo nemmeno alzarle le tasse perché 1) lo abbiamo già fatto (per ripagare il debito) e dunque basta riorientarle alla spesa e non al debito e 2) perché abbiamo circa 2-3% di PIL da spendere con il taglio degli sprechi nella spesa. Se lo sapesse si butterebbe nel vaso di miele come Winnie the Pooh, incredulo di questo meraviglioso pasto gratis, che offre questo strano Paese chiamato Italia, e che ci ostiniamo a negarci.

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Quell’unica carta da giocarsi

Credo sia assurdo farsi dominare così tanto dall’andamento dello spread. Oggi A&G sul Corriere parlano di “unica carta che rimane da giocare (che) è quella della «spending review»”, come se il mondo crollasse se non la attuassimo subito, come se la strategia di rilancio di un paese passasse per singole mosse, per di più emergenziali. Ma no, dai. Il paese ha bisogno di 2-3 anni per rimettersi in piedi con una serie di provvedimenti seri: università diffusa di mille atenei, scuola agganciata al servizio civile nella Pubblica Amministrazione (vedi appello), manutenzione di scuole ed ospedali, turismo e patrimonio artistico, fine dei ritardati pagamenti, giustizia più celere, corruzione intaccata, prigioni nuove e prigioni restaurate, meno contributi a carico delle imprese, lotta all’evasione credibile, sindacati maturi e collaborativi nella P.A., ordine pubblico nel Sud assieme a campi da sport per i giovani, protezione delle piccole imprese nella regolazione, appalti riservati a piccole imprese e, infine, appalti la cui informazione e monitoraggio siano centralizzati per tagliare gli sprechi così da finanziare tutto quanto sopra. Vedi dove crolla lo spread la mattina dopo che annunci credibilmente tutto ciò.

Ecco, questa, è l’unica carta da giocare.

Per il resto, prendiamo atto che A&G timidamente accennano che forse era la crescita che andava stimolata e che le liberalizzazioni e le riforme di lavoro devono far spazio alla spending review.

Pervicacemente si ostinano a non capire cosa sia però la spending review. Forse annuendo all’intervista di Giarda di ieri sulla Stampa, sostengono come non debba essere che si “finisca per concludere che ogni spesa è necessaria perché c’è una lobby che la difende” e poi vanno addosso al Financial Times (onesti sono stati a menzionarlo) perché dice, toh, che va fatta più spesa pubblica.

C’è un doppio errore in questo modo di pensare. Primo, una spending review ben fatta (non credo sia quella che abbia in mente Giarda) non può finire per concludere che ogni spesa è necessaria perché per definizione deve individuare gli sprechi e se li individua nessuna lobby può protestare: se quell’ecotomografo costa 100 a Palermo e 200 a Bolzano, si blocca l’appalto di Bolzano fino a quando non converge a quello di Palermo, basta. Il punto fondamentale che la triade Alesina, Giavazzi e Giarda pare non capire è che se non si hanno i dati e se non si obbligano le Amministrazioni pubbliche a comunicarli pena la non validità del contratto, tutto è assolutamente “aria”, “fuffa”.

Secondo, perché tagliare gli sprechi una volta individuati non significa tagliare la spesa pubblica: sempre due ecotomografi si comprano, a Palermo e a Bolzano, spendendo 200 invece di 300. Quello che il Financial Times dice è che, risparmiati 100 euro, si compra il terzo ecotomografo. Si da più lavoro alle aziende che lo producono e si danno più servizi ai cittadini, e si esce dalla crisi.

Se si volessero usare quei 100 euro per ridurre le tasse, ci si accomodi. Ma in questo momento la gente non spende: le imprese non occuperanno ed il PIL non salirà.

La spending review non vuol dire tagliare la spesa, ma riqualificarla. Per fare questo ci vogliono dati, autorità centrale e visione di cosa serve al paese per migliorare il benessere dei cittadini (l’ecotomografo). Per tutto il resto da farsi, mettiamoci a giocare al tavolo nazionale ed europeo, abbiamo tante carte da giocarci (come detto sopra) con politiche intelligenti ed importanti.

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L’università nella Germania del 400 modello per l’Italia del duemila

L’Unione europea ci chiede di portare la percentuale di laureati nella popolazione dei 30-35enni al 40% entro il 2020. Oggi siamo terz’ultimi nell’Europa a 27 con poco più del 15%. Avete sentito bene, terz’ultimi. L’Italia.

L’Italia che inventò l’università, a Bologna, nell’XI° secolo, per studiare il Codice Giustiniano.

Dobbiamo creare dunque l’università di massa.

Massificare l’università vuol dire aumentare drasticamente il numero di atenei pubblici e privati, tecnici, umanistici e scientifici. Massificare l’università vuol dire dunque anche accettare una riduzione della sua qualità media, mantenendo ovviamente la focalizzazione sull’eccellenza sia orizzontalmente (alcune università migliori di altre tra tutte le università) che verticalmente (in ogni università che lo desideri, le lauree magistrali, i Master e i dottorati garantiranno la scrematura dei migliori).

Aprire il tappo e consentire l’accesso ai meno abbienti che oggi si fermano (se tutto va bene) alla scuola dell’obbligo aiuterà le imprese a dotarsi, senza sostenere troppi costi, di personale preparato per lavorare in azienda e sfidare imprese di altri Paesi. Per aprire il tappo ci vuole, per usare un termine di moda oggi, flessibilità in uscita: nessuno si iscrive in una università se ciò non permette di ottenere lavoro meglio remunerato di quello che si otterrebbe senza studiare ulteriormente. E’ questa la sfida di aumentare lo sviluppo nel Paese di cui parlavamo oggi nel precedente blog, tramite le riforme, quelle importanti. Ma ci vuole anche flessibilità in entrata. L’università dovrà riuscire a avvicinare questi giovani poco abbienti con bassi costi d’entrata. I loro vincoli di liquidità sono tali che non ce la farebbero mai altrimenti.

Il problema si è già posto in tempi e luoghi poco sospettabili.

Germania, 1386.

Non vi erano università in Germania prima dello Scisma. Gli studenti dovevano recarsi in Francia a studiare, lontano. Erano probabilmente “giovani e abbienti nobili o ecclesiastici ben remunerati”. Troppo costoso spostarsi così lontano per gli altri meno abbienti. Pochi “germanici” dunque si laureavano. Lo Scisma fece sì che le Università francesi si chiudessero a coloro che provenivano dal Sacro Impero schieratosi col Papa romano. E che l’Impero dunque decidesse di stabilire le sue università: entro il 1392 nascono le prime tre: Heidelberg, Colonia ed Erfurt. Passo rivoluzionario. Un caso della storia, lo Scisma, iniziò una rivoluzione economica, senza prevederlo. Finalmente le università si avvicinavano agli artigiani ed ai commercianti germanici. Finalmente le università divenivano a loro portata: “difficilmente Martin Lutero avrebbe potuto godere di una istruzione universitaria se fosse dovuto andare a Parigi per riceverla” scrive Rashdall nel 1895.

Rashdall viene citato da due ricercatori, dell’Università di Monaco di Baviera e di Berkeley, che hanno studiato, riuscendo ad emozionarmi, il cataclisma economico che derivò da quel singolo momento di spaccatura religiosa per lo sviluppo economico delle città “tedesche”, anche se di vera e propria Germania non si poteva ancora parlare. Studiano lo stabilimento di 2256 città ed il momento in cui in queste viene permesso (dall’Imperatore o dal nobile locale) il commercio con fiere e mercati, permesso che innalza senza dubbio i livelli di scambio e benessere. Il privilegio di stabilire un mercato dava diritto al nobile di tassarne il commercio e di utilizzare il proprio conio per le transazioni ma prometteva in cambio la protezione dei mercanti sulle strade e durante la fiera, compresa la disponibilità di tribunali e di certezza delle misure (bilance comprese).

Quali città videro con maggiore probabilità fiorire le autorizzazioni di mercati e fiere? Sorpresa sorpresa, scoprono i 2 ricercatori, quelle più vicine a dove vennero a stabilirsi le nuove università. Le Università finalmente vicine ai più furono cioè il motore – secondo gli autori – che diede vita al fiorire dell’economia imperiale del quattrocento.

E perché mai? Cosa si studiava di così magico in queste università? Trivio (logica, grammatica, retorica) e quadrivio (aritmetica, geometria, musica ed astronomia), certo, e poterono anche loro aiutare nei commerci, senza dimenticare che le università furono specialmente utili nella creazione “di network di individui disposti a viaggiare, che parlavano il latino e che si istruirono su temi simili usando libri simili”. Utile per i commerci, certo, il networking, il conoscersi. Ma non fu solo questo. Queste università “formarono avvocati, che divennero amministratori, codificarono leggi e regolamenti, e furono risorse di staff e di consulenza per altri sul sistema legale che essi stessi avevano aiutato a svilupparsi”. All’epoca la conoscenza del diritto canonico e civile romano permise di sviluppare una garanzia di santità dei contratti e dunque dello scambio, proteggendo il commercio – con regole, oneri, diritti e penalità certe – dal rischio di espropriazione.

1000 studenti l’anno, il 15% del totale, studiavano legge in Germania nella seconda metà del Quattrocento. In tutto il XIII° secolo a Bologna si recarono (per tutte le materie) 489 studenti tedeschi, 1650 nel XIV°. Una crescita immensa, quella del 400, per quei tempi. Queste migliaia di laureati, documentano gli autori, furono assunti in tutte le amministrazioni, compresa la Corte Imperiale, dando vita ad una enorme crescita dell’uniformità dei contratti e delle norme di riferimento. Da qui la crescita, sostenuta dall’università.

Con uno schiocco delle dita usciamo da questa magia dei tempi passati e torniamo ad oggi. Abbiamo bisogno meno di leggi oggi, è vero, ma il mondo anela per nuove idee. Le idee nascono dal colloquio e dallo studio e dal colloquio ancora. Dobbiamo creare questi luoghi dove colloquiare e diffondere la conoscenza tra giovani, come fecero le città tedesche del quattrocento. Dobbiamo far sì che i nostri ragazzi si ritrovino in luoghi preziosi, dove si manifatturino idee che sostengano scambi e crescita di opportunità e ricchezza.

Oggi come allora, oggi più di allora, ridurre le distanza dai luoghi dove si studia e si discute è la migliore opera di elevazione dei giovani che possiamo immaginare, aprendogli accessi che altrimenti non avrebbero. Per farlo, ogni chilometro quadrato del nostro paese dovrà costruire una università. I ragazzi si sveglieranno la mattina e, trasportati da macchine velocissime che loro avranno inventato, prenderanno corsi la mattina a Napoli ed il pomeriggio a Gorizia per poi preparare coi loro colleghi tedeschi di Colonia, eredi di quella bellissima tradizione del 400, la sera, una tesi di laurea piena di nuove idee che aiuterà a generare, applicata sul mercato o riportata sui libri, la vera ed unica Europa che vogliamo, quella della cultura, della conoscenza e della pace.

Al lavoro, Ministro Profumo.

P.S. E se non saranno ogni chilometro quadrato, ricordiamoci che basta supportarli con borse di studio, da restituire in caso di successo nella vita.

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Quando si sbaglia una (sola) parola

Bello l’articolo oggi di Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera sulle cause della crisi, europea ed italiana. Ben strutturato e pensato. Da leggere.

Peccato che proprio sul più bello … si perda.

La soluzione ai problemi italici così profondi e strutturali? La tesi di Lucrezia è che lo spiazzamento dovuto al debito pubblico è la causa dei nostri mali. E dunque la soluzione è una sola: “eliminare la dipendenza strutturale del debito pubblico che è stato veicolo di un consenso costruito su un dualismo tra Nord e Sud che dall’unità d’Italia ad oggi ha continuato ad aggravarsi. Ed è qui che bisogna partire.”

Spiazzamento in economia è un termine che usiamo spesso. Per dire che il settore pubblico spiazza il settore privato, lo taglia fuori dall’economia. Peccato che le attività produttive del privato vengono spiazzate non tanto da come lo Stato compra (se pagando in contante con le tasse o con … la carta di credito del debito) ma da quanto e cosa lo Stato compra, ovvero da quanta spesa pubblica effettua. Come in guerra,  quando lo Stato spendendo di più per armamenti chiede alle imprese di riorientare la loro produzione via da beni di consumo. O quando lo Stato chiede di costruire ponti inutili che s’interrompono a metà e non vanno da nessuna parte, risorse che sarebbero state meglio impiegate altrove, e che non danno felicità. Oppure quando lo Stato chiede alle imprese di costruire ponti che invece ci permettono di andare in luoghi magici e che senza di esso non avremmo mai conosciuto.

Ha ragione la Reichlin a parlare di consenso costruito sul dualismo dall’Unità di Italia in poi, ma certamente era un consenso basato sulla spesa pubblica e non sul debito! Se abbiamo un problema al Sud è proprio quello della cattiva spesa, non del cattivo debito. Lo ha detto Cirino Pomicino qualche mese fa al Messaggero e lo riprendemmo sul blog: “ci riunimmo, col Pci, negli anni Ottanta, e decidemmo di aumentare la spesa pubblica al Sud (banalizzo, NdR) per salvare l’Italia dal terrorismo”. La crescita del debito fu la conseguenza di quella decisione, non la causa.

Mi direte. Cosa importa, è la stessa cosa debito pubblico o spesa pubblica. Ma assolutamente no! Il debito ci parla di come comprare, la spesa di cosa e quanto comprare. E capirete che quando andate al negozio sì, è abbastanza importante sapere se comprerete in contanti o con la carta di credito, ma molto più importante per la vostra felicità è sapere cosa e quanto comprerete!

E abbiamo comprato male. Molto male, specie in questi ultimi 30 anni. Abbiamo speso male quando avevamo bisogno invece di spendere, come fanno Francia e Germania per sostenere il proprio settore privato nella sfida globale, di spendere bene. Abbiamo comprato ponti costruiti a metà che non vanno da nessuna parte invece dei ponti magici.

Dire tagliamo il debito, come fa Lucrezia Reichlin, non rimette a posto in alcun modo il problema strutturale a cui ella fa giustamente riferimento. Anzi lo aggrava ampliando la recessione. Tant’è, tant’è, che in chiusura del suo pezzo a chi augura giustamente “Coraggio” la Reichlin? Al Ministro dell’economia Monti? Al Vice Ministro Grilli? Ma manco per idea. Al responsabile della Coesione Territoriale, Ministro Fabrizio Barca, che tutto fa meno che occuparsi di debito pubblico ma che invece si occupa di spesa, specie per le aree svantaggiate del Sud.

Quindi la questione chiave per questo Paese è ovvia ed è una sola. Come riqualificare, e non ridurre, la spesa. Lo dice in parte oggi nella sua intervista alla Stampa Giarda quando dice che non vi sono programmi di riduzione della spesa perché il tagliabile è già stato ampiamente tagliato. Ma lo dice solo in parte, perché – sempre in attesa di vedere tra poche settimane i contenuti della spending review – le parole del Prof. Giarda sono deprimenti e non lasciano intravedere grandi ambizioni a breve di rilancio del settore pubblico come volano di crescita del Paese.

Sono parole che sanno di già sentito. Parole giuste, ma morte.

Ovviamente il Ministro Giarda è realista, conoscendo bene la macchina della Pubblica Amministrazione ed il suo recente passato di cui dicevamo sopra, non proprio glorioso. Ma forse è proprio questo il problema. C’è bisogno di una visione nuova, che scommetta su una rottura col passato e che ci creda con l’ottimismo, la spensieratezza e la forza di chi crede che si possa rimettere in gioco questo Paese nello scenario mondiale e non semplicemente farlo sopravvivere.

Forse, mi dico, solo un Governo più giovane potrà marciare ai ritmi che gli chiedono i suoi giovani.

Post Format

Why China is a Freer Country Today. And so is the World.

So, now we have it. China has made the big leap forward.

My friend and colleague Fuguo Cao, Professor of Law in Bejing, with whom I am writing these days an article on SME’s Public Procurement Policies in China has just confirmed me what I was waiting with trepidation to be told. That just recently the Chinese Government has come out with a legislation similar to the American one of set-asides in public procurement shares for small and medium firms that participate to tenders of the public sector in China.

30% of procurement to be allotted to those firms (even though uncertainty remains as to whether this includes or not subcontracting), possibly thus a higher share than the 23% recommended in the United States.

Within this 30%, 60% has to go to micro firms, the smallest and most discriminated against.

In those tenders where large firms are allowed  (the remaining 70%), these will have to bid a lower price by 6 to 10% to be awarded the contract, forcing them to bid more aggressively to the advantage of taxpayers’ money.

Why is this so so important?

When in 1953 the United States government started protecting its small firms through public procurement, they knew they were doing it for the sake of future competitiveness of their economic system and the strength of their Nation. Read the beauty of this passage of the American Small Business Act, its incipit:

“The essence of the American economic system of private enterprise is free competition. Only through full and free competition can free markets, free entry into business, and opportunities for the expression and growth of personal initiative and individual judgment be assured. The preservation and expansion of such competition is basic not only to the economic well-being but to the security of this Nation. Such security and well-being cannot be realized unless the actual and potential capacity of small business is encouraged and developed. It is the declared policy of the Congress that the Government should aid, counsel, assist, and protect, insofar as is possible, the interests of small-business concerns in order to preserve free competitive enterprise, to insure that a fair proportion of the total purchases and contracts or subcontracts for property and services for the Government (including but not limited to contracts or subcontracts for maintenance, repair, and construction) be placed with small business enterprises, to insure that a fair proportion of the total sales of Government property be made to such enterprises, and to maintain and strengthen the overall economy of the Nation.”

Ain’t it beautiful?

Now China is at that magic strategic point in time where the United States were in 1953. This is no surprise. In the late 1950s US income per capita in todays value would have been approximately 10.000 US $. Today China’s per capita income is approximately 5000 $, but 8500 $ when corrected for purchasing power, amazingly similar to the one of the 1950′s America.

It is that magic moment in time (after a first wild phase of confused and tumultuous economic development) in which a country decides to take its future into its own hands and builds advanced institutions that nurture one of the most relevant factors that allow for dynamism to sustain itself: the perception of equal opportunity for all, small and big, based on a large provision and maintenance of fairness in society.

When a society is fair, there the youngest and brightest minds will decide to reside, certain to maximize the returns from their ideas and investments.

We should not fear China so much because from now on it will exclude small firms that are non-Chinese from governments contracts (small non Chinese firms are marginal in Chinese procurement) but, rather, we should fear China because, by becoming more open to the concept of fairness and equal opportunity, it is adding to its capitalistic engine the largest amount of horsepower that one could conceive: protection from abuse and enforcement of fairness.

But fear not Western world: in the end a freer China is a freer world.