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Yes we Can!

Mentre continuiamo a registrare i dati Istat sugli inattivi in crescita, continuiamo a cercare il bandolo della matassa.

Oggi il mio collega Marcello Messori sul Corriere dice tante cose giuste: che “il Def …. non offre … prospettive confortanti sul piano della ripresa. In tale situazione, diversamente da quanto suggerisce l’altro documento (il Piano nazionale di riforme), l’Italia non può limitarsi a un’efficace gestione del debito pubblico, affidando le proprie prospettive di crescita alle iniziative europee.

O statunitensi, come dicevo ieri.

Un Paese come l’Italia, che dispone di efficienti realtà manifatturiere, deve però avere la forza per ritrovare anche da solo un sentiero di crescita“. Come non concordare?

Per crescere, si tratta quindi di sostenere la domanda, nel breve termine, e di estendere le isole manifatturiere di efficienza al resto del settore e ai servizi, nel medio-lungo termine“. Perfetto.

Poi, inevitabile, comincia il grigio che ci impone l’aria europea: “i nostri stringenti vincoli di bilancio ci impediscono di uscire da questa situazione nel modo più diretto, ossia mediante massicci investimenti pubblici e infrastrutture materiali ed immateriali… e riduzione della pressione fiscale. Una strada potrebbe essere però quella di incrementi di produttività aziendali ai quali legare aumenti salariali … (con) l’accordo delle parti sociali“.

Stimolo Marcello alla seguente riflessione: dobbiamo agire nel breve termine, lo dici tu stesso. Accordi che legano produttività ad aumenti salariali sono inevitabilmente di medio-lungo termine. E vedrebbero forse anche l’opposizione europea che chiede di ricostruire competitività via moderazione salariale anche a fronti di aumenti di produttività. E ciò malgrado il fatto che, come dice anche l’economista Artus ,il modello di recuperare (rapidamente) competitività che passa per moderazione salariale in una recessione come questa è ulteriormente recessivo, perché frustra la domanda di consumi.

Meglio sarebbe procedere ad una intensa ed efficace svalutazione dell’euro. Ma ecco che anche qui parte il muro di gomma grigio: oggi il Governatore della Banca d’Italia Visco su Repubblica ci dice che “non sta a un banchiere centrale parlare di cambio” e quindi buonanotte ai sognatori. All’università insegnamo anche che il cambio dipende dalla posizione della politica monetaria  e che quindi la BCE potrebbe, con più convinzione nell’espandere la moneta, deprezzare l’euro, ma sembra che solo negli Stati Uniti e con il dollaro siano consci di ciò.

Insomma, come ti giri, il grigiore del “non si può fare” ti circonda. Totale ammainamento della bandiera della politica economica. Come se questa non esistesse.

Ma dico a Marcello che spendere per le infrastruttire materiali ed immateriali si può e si deve fare. Per quelle materiali, con un enorme piano di manutenzione di scuole ed ospedali che rimetta al lavoro le nostre piccole imprese e dia servizi degni alla cittadinanza. Per quelle immateriali mettendo al lavoro nei tribunali, nei musei, nei pronto soccorsi, i tanti giovani inattivi a rischio di emarginazione. 1% di PIL per le prime, 1% di PIL per le seconde. 30 miliardi di euro in tutto.

Finanziate come? Da tagli agli sprechi immediati. Sprechi ormai documentati, nell’ambito degli acquisti di beni e servizi, l’unico luogo tra l’altro dove possiamo credibilmente tagliare, visto che lì siamo al 9% di PIL ed al quasi 20% di spesa totale. Ma per fare questo va subito resa operativa una immensa task-force di cervelli. Ci vuole poco a farlo, basta volerlo.

E poi, Marcello, subito a supporto delle imprese meno produttive, come dici tu. Assegnando tutti gli appalti pubblici sotto soglia solo alle piccole imprese. Così impareranno a lavorare meglio e a migliorarsi. Ma non finisce qui. Assegnando alle piccole imprese vincitrici squadre di consulenti che migliorino i loro processi. Per ogni gara vinta, io Amministrazione pubblica ti restituisco a te piccola impresa un ammontare congruo con cui ci pagherai dei consulenti di qualità che ti aiutano a farmi bene il lavoro previsto dall’appalto.

Così da domani in poi quella piccola azienda saprà diventare molto più competitiva di prima nel mercato globale e vincere la sfida della produttività una volta per tutte.

Si può fare. Senza aumentare il debito, facendo salire il PIL, abbattendo quel rapporto debito-PIL che continua a crescere grazie alla stupida austerità.

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We are all Irish, till May 31st. Siamo tutti irlandesi, fino al 31 maggio.

May 31st, our hearts will stop for a second, the time to come to know the results of the Irish referendum as to whether Irish citizens have accepted the new European Stability Treaty. Actually, I take it back. It will be the day in which Europe will decide on its future.

Il 31 maggio qualche economista penserà, sbagliando, che l’evento del giorno sarà la relazione del Governatore della Banca d’Italia a Via Nazionale. No, sarà il grande giorno in cui l’Europa, tramite il coraggioso referendum irlandese, avrà forse l’ultima occasione di pronunciarsi sulla bontà del nuovo Patto fiscale imposto ai cittadini dei rimanenti paesi europei (tranne Regno Unito e Repubblica Ceca) senza che potessero esprimere la loro opinione.

On the website prepared by the Irish Goverment you will find preliminary (and biased for a yes vote) information on the meaning of the vote. But we should not criticize the Irish government: its biased information is much more in terms of transparency than the sum of what the other 24 countries have done so far with respect to informing their citizens. Below is the generic video.

Sul sito preparato dal Governo irlandese possiamo trovare il materiale informativo per i cittadini. E’ chiaramente distorto verso l’approvazione del Trattato ma è più di quanto abbiano fatto tutti gli altri Paesi messi insieme sinora, compreso il nostro. Onore al merito. Sotto potete vedere il breve video informativo.

You know my thoughts on the evident stupidity of this Pact, but this is not the issue at stake here. What is at stake here is the “real decline of Europe’s commitment to democracy”, like Nobel Prize Amartya Sen said a few days ago, mentioning the ban on Greek citizens to vote on their future.

Voi sapete come la penso sullo stupido Patto, ma non è questo il problema ora. La questione è, come Amartya Sen ha detto qualche giorno fa a Berlino, del “vero declino dell’impegno europeo verso la democrazia”, ricordando anche come al popolo greco è stato di fatto impedito di votare per il proprio futuro.

And so Long live Ireland, that fights its battle on the turf, that in the scrum pushes Europe in defense mode, toward democracy. Whatever the final outcome.

E quindi, viva l’Irlanda, l’Irlanda che vota. L’Irlanda che punta i piedi sul terreno e spinge forte, nel pacchetto di mischia, spinge il team europeo a difendersi, ad arretrare, sì, verso la democrazia. Comunque vada.

 

 

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Quell’Italia sorda che non sente Beethoven

Ad ogni venticello sui mercati americani, l’Europa trema come una foglia autunnale sull’albero. Naturale conseguenza di una grande economia che nelle sue componenti più deboli e febbricitanti, quelle del Sud, ha rinunciato a trovare soluzioni per generare crescita e che dunque è nelle mani del ciclo americano e cinese per sperare di vedere arrestarsi l’emorragia delle proprie imprese tramite la ripresa dell’export.

Una logica simile si applica al nostro settore pubblico, che ha rinunciato da tempo a contribuire alla ripresa dell’economia e con essa alla messa in sicurezza dei nostri conti pubblici.

Andy Warhol, Beethoven

Leggendo il catastrofico DEF, Documento di Economia e Finanza  (o perlomeno la bozza che ho trovato) si nota subito che al mondo delle imprese il messaggio inviato dal Governo è chiarissimo: “la spesa pubblica nelle sue componenti che sono nelle nostre mani, dice il Governo, scenderà del 5% in termini reali in questi 4 anni dal 2011 al 2014. Se non ci riusciremo, sappiate che saremo costretti dall’Europa a farlo via aumento delle tasse”.

Oh, tra parentesi, il taglio della spesa sarà superiore a quello che l’Europa ci chiede di fare come minimo entro il 2014, che è del meno 2,1% e non del meno 5% [il tutto comunque tramite un convoluto meccanismo che nessun altro paese al mondo era riuscito finora ad inventarsi, chiamato pomposamente la "regola della spesa", a pagina 26 del documento linkato sopra]. Insomma, non ci neghiamo mai un bel po’ di sana austerità, tanto per far vedere che a masochismo non siamo secondi a nessuno.

Mettetevi ora nei panni di un’impresa o di una famiglia che legga questo documento: con questa bella promessa di austerità ridurranno ulteriormente la loro voglia di scommettere sul futuro di una economia che non sarà sostenuta dall’unico attore che può farlo in questo momento. Quindi scordatevi investimenti, consumi e crescita.

A meno che ….

A meno che nuovamente non ci salvi il resto del mondo, trainando il nostro export e dunque ridando ottimismo anche a imprese e famiglie.

In effetti uno si potrebbe chiedere -  in uno scenario così cupo di spesa pubblica ed austerità - come fanno gli estensori del DEF ad ottenere, nel lontano 2014, un ritorno alla crescita del PIL con l’incredibile (sto scherzando) ritmo del +1%.

Semplice: con delle ottimistiche visioni sulla crescita non italiana. Per esempio, scommettendo su di una Unione Europea che nel 2014 tornerà a crescere a ritmi dello 1,9% rispetto allo 0% del 2012 (assunzione a pagina 14 del DEF). Scordandosi che l’Unione europea nel 2012 cresce allo 0% (contro l’1,8% degli Stati Uniti) proprio perché si ostina a non fare quelle politiche che fanno gli Usa, fatte di supporto all’economia con deficit e maggiore spesa pubblica.

DEF, quando lo dite a un investitore che parla inglese, capirebbe DEAF, sordo. Ecco, l’Italia, come l’Europa, è sorda, incapace di sentire nulla di quello che proviene dal territorio e dalla cittadinanza in difficoltà.

Ironia della sorte, il quarto movimento della nona di Beethoven (l’ode alla gioia) è l’inno ufficiale dell’Unione europea, composto dal grande compositore tedesco quando ormai completamente sordo. Ma l’Europa di cui vediamo oggi la sempre maggiore fragilità e mediocrità non è capace di generare nulla di così bello e grandioso.

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A Leader for the World Bank?

Many friends and colleagues are asking me to comment on the World Bank President’s election of Jim Young Kim. Only fair since I spoke about it before the games were over and gave my opinion.

A bit unfair since, while having worked at the World Bank (WB) (but not for the World Bank, I was there working for the Italian government on WB’s public procurement), I am in a far distant position from these themes than others more expert who have spoken about it.

Just a few thoughts.

1. Symbolism matters beyond CVs in nominations at this level. And while no woman with an Indian-only passport  was chosen as I was wishing for, the choice diverged from the traditional one of a Caucasian-only political based choice. Changes can happen more slowly than desired, but it is better to have change than no change at all, so 1 point for Obama on this.

2. The most interesting comments so far that I read were in the Economist and by JFK Harvard School of Government’s Professor Pritchett. Far from the criticism that was pointed out at the beginning of the selection process when candidatures were communicated (“Mr. Kim is pro-growth but not pro-markets”) now the issue sems to be “Mr. Kim will concentrate on micro-interventions” (the humane development model) rather than the (by some people needed) “large-scale  approach” (the national development model). I don’t subscribe to that view.

Many persons I have met, when discussing how the Bank should work, were asking not about grandiose visions from the top but effectiveness in ensuring that contracts are awarded to the right firms and that the final quality in projects financed by the Bank was delivered as promised. One of the most important debates right now in the world of aid relates to “Country systems”, among which the rules of how to do procurement well with the money coming from WB: making procurement better is one of those micro-reforms that would have a huge impact on the aid effectiveness of the WB.

I fear that a manager in charge of a global ambitious pro-growth agenda rather than one focusing on the quality of intervention might not help aid effectiveness. Which is what is truly needed right now.

I understand Dr. Easterly’s (a former WB employee turned critic of it) point of view in his beautiful book “The Elusive Quest for Growth” that WB aid should be given on the basis of policy performance of a given country, but I dont agree with it. Measuring performance of a country creates stress across countries, infuriates local governments ranked worse, is hardly capable of considering the history of a country and its contingent needs, might lead to tricks in measurement of past performance and might even make geopolitical preferences of rich countries easier to be imposed, lowering WB independence.

We will see if Dr. Kim will be the right leader at the right time for the WB. As of now, my hunch is an optimistic one. But only time and opportunity will prove me right or wrong.

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2011: Un anno vissuto stupidamente

Bollettino Economico della Banca d’Italia appena uscito.

Istruttivo leggere il confronto tra gli obiettivi che il Governo si poneva per il 2011 nel maggio del 2010 e i risultati a consuntivo raggiunti per il 2011.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indebitamento netto sul PIL era previsto al 3,9% e così è stato; l’avanzo primario sul Pil era previsto allo 1% e così è stato; mentre il debito sul PIL da 118,7% è salito a 120,1%.

Festeggiamo? Ora vi spiego perché io stasera non festeggio.

Breve storia di 1 anno trascorso invano: il masochistico desiderio di conformarsi ai diktat europei sul deficit ha permesso di mantenere la barra dritta sull’obiettivo dello stesso. Ma la coperta è corta e per farlo i sacrifici sono stati immensi.

Già, perché mi ero scordato di un dettaglio: la crescita economica del PIL prevista per il 2011 – nella primavera del 2010 – era del +1,5%. E’ stata invece del + 0,4%. A forza di aumentare le tasse per raggiungere il ridicolo obiettivo di deficit abbiamo ucciso l’economia.

Gli stessi risultati – compresi quelli di deficit su PIL e dunque di stabilità - li avremmo dunque potuti raggiungere con una sana crescita del 2%, spinta da maggiore spesa pubblica. Già, perché la maggiore spesa pubblica avrebbe generato tanto maggiore PIL e tante entrate addizionali da far sì che il deficit in rapporto al PIL sarebbe sempre stato del 3,9%. Ma con tanti disoccupati in meno.

Poi c’è sempre l’interpretazione che di questi dati dà la Banca d’Italia che da quando il Prof. Monti è Presidente del Consiglio è diventata il difensore d’ufficio dell’azione governativa, rinunciando al suo essenziale stimolo propulsivo che aveva sempre avuto, quando forniva analisi  e spunti critici ma precisi e costruttivi a qualsiasi governo in carica, fosse esso di destra o sinistra. Così dobbiamo leggere frasi come questa:

Nel 2011 l’indebitamento delle Amministrazioni pubbliche è sceso di sette decimi di punto rispetto al 2010, al 3,9 per cento del PIL. Al netto della spesa per interessi si è registrato un avanzo di un punto percentuale del PIL. Questi progressi hanno limitato a 1,5 punti percentuali l’aumento del rapporto tra debito e  prodotto, che ha raggiunto il 120,1 per cento. Per effetto delle misure correttive decise nella seconda metà del 2011, il rapporto tra debito e PIL dovrebbe cominciare a ridursi nel 2013; per l’anno in corso si prevede un ampio miglioramento dei conti pubblici, nonostante la caduta attesa del prodotto.

e prendere atto della pochezza di analisi economica che la sottintende.

Almeno potevano dire “per l’anno in corso si prevede un ampio miglioramento dei conti pubblici che causerà una caduta, attesa, del prodotto”. Ma di questi tempi, questo è quello che ci passa Via Nazionale.

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Giu’ al Sud. D’Europa.

Ma esiste una Europa del Nord virtuosa ed una Europa del Sud sciagurata?

Wendy Carlin, brava economista dell’University College of London, ha cercato di convincerci di sì.

E, a nostro avviso, ci è riuscita.

Ha diviso l’eurozona in Nord (Germania, Benelux, Austria e Finlandia) e Sud (Italia, Spagna, Grecia e Portogallo), lasciando fuori la Francia (non pienamente nordista) e l’Irlanda (non pienamente sudista). E ha analizzato le performance delle due aree, cercando poi di determinare le cause di eventuali differenze tra queste.

Risultato? Una notevolissima asimmetria di qualità istituzionale tra Nord e Sud.

La prima carenza del Sud (in rosso)? L’incapacità di gestire la sua competitività (fatta di rapporto tra costo del lavoro, a sinistra, e produttività, a destra) con una coesa politica di coordinamento Governo-sindacati-imprese fatta di moderazione sindacale, riorganizzazione delle imprese e visione politica come ha fatto la Germania, oops scusate, il Nord (in blu). E’ così che abbiamo messo a rischio l’euro, visto che la nostra competitività all’interno di un’area a cambio fisso è per questo precipitata.

Dobbiamo disperarci? Siamo irrecuperabili? Non è detto.

Guardate il grafico sotto, è meno noto.

Ci dice che durante gli anni d’oro della nostra tumultuosa crescita sudista degli anni 50-60, il comportamento  del Sud fu ben più virtuoso di quello della nostra generazione. Ce la fecero i nostri padri, i nostri nonni. Grazie a loro per quanto hanno fatto per noi. Davvero.

E’ essenziale e semplice, la soluzione: che la nostra maledetta generazione metta i nostri figli nelle condizioni culturali, nella predisposizione e nel contesto migliori per permettergli di darsi da fare per tornare a quegli splendidi anni del dopoguerra. L’ha fatto il Nord e non siamo secondi a nessuno: basta fare le politiche giuste dialogando in maniera ambiziosa e visionaria con tutte le controparti del sistema produttivo, facendo sistema come si dice, e abbandonando le riforme inutili e perdenti.

Ma ancora di più vorrei che vedeste l’altro grande fallimento istituzionale del Sud di questi maledetti anni. Sono impressionanti questi dati, e brava è stata la ricercatrice  a metterli crudamente davanti ai nostri occhi, uno schiaffo che ci deve far riflettere.

Nel grafico a sinistra il paragone euro Nord (blu)-euro Sud (rosso) di 4 indicatori di governance, per 2 diversi bienni -1998-2000 e 2009-2010,10 anni dopo. Da sinistra a destra: rispetto delle legge, controllo della corruzione, qualità della regolazione, efficacia del governo.

2 i risultati chiave: il Nord è sempre meglio del Sud, in tutti gli anni. Ma, più importante, in tutti gli indicatori siamo, noi del Sud, in questo decennio, peggiorati rispetto al Nord. La forbice, già pesante nel 2000, nella qualità delle istituzioni pubbliche si è allargata.

Ecco perché dico che l’unica riforma che merita di ricevere tutta la nostra attenzione è quella della Pubblica Amministrazione. Come competere con il resto del mondo se le nostre istituzioni pubbliche collassano rispetto a quelle del resto del mondo? Come?

Se vogliamo consegnare come futuro ai nostri figli il passato che ci consegnarono i nostri padri, dobbiamo lavorare sodo e duro per migliorare le nostre istituzioni. Ma è alla nostra portata.

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The Lost Decade when Streets got Meaner.

The presentation I liked the most among the many at the recent fantastic Berlin’s INET was “The Future of Europe – North and South” by Prof. Wendy Carlin of UCL (see here her video).

She divides Eurozone countries into North (Germany, the Benelux, Austria and Finland) and South (Italy, Spain, Greece and Portugal), leaving out France (not fully northern) and Ireland (not fully southern).

She makes many points, all falling under heading that (different) institutions matter to explain the current euro crisis due to (different) performances. Most of all I was amazed to see in her presentation what has happened in terms of indicators of governance of the North and the South in this last, lost decade, where the premises of the current crisis were sown in the fertile field of bank irresponsibility. But one needed the seed. And here it is:

So. Not only has the North always dominated the South in terms of rule of law, corruption control, regulatory quality and government effectiveness but, more importantly, the wedge between the two areas has widened over this past decade. Reforms were missed in this critical time.

How exactly can you enter successfully into a global era without properly functioning public institutions that support, protect and encourage markets in prospering and citizens in investing for the future?

As Amartya Sen said about Europe in his Berlin speech (see video in post below), “We need the role for the State” because “the State has something interesting and important to do” and if you cut this out, “streets get meaner and lives get hollower, and markets suffer too”. It is time the Southern countries of the euro area understand this for good if they want their common project with the North to be saved.

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I 3 fallimenti europei secondo il Nobel Amartya Sen

Amartya Sen. Premio Nobel per l’economia. Sposò la figlia di Eugenio Colorni, uno dei promotori del manifesto di Ventotene del 1944 sull’unità europea, ucciso da militanti fascisti nello stesso anno. Manifesto scritto tra gli altri da Altiero Spinelli, padre fondatore dell’Europa unita, che a sua volta sposò la vedova di Colorni nel dopo guerra. Si può capire che abbia a cuore le sorti del nostro Continente.

E a Berlino, nella sua lezione magistrale, ha puntato l’indice verso le colpe (più che verso i colpevoli) europee. I fallimenti, ai suoi occhi evidenti, del Continente. 4 colpe, tra cui quella di avere creato l’euro. Ma di quest’ultima vuole parlare poco: ora che ce l’abbiamo, dice, non è più così ovvio volerne uscire. Ma gli altri 3 fallimenti, dice, sono incomprensibili e vanno rimossi.

Il primo fallimento: politico. Un declino dell’impegno europeo verso processi democratici. Con la forza decisionale passata dal dopoguerra ad oggi dalle istituzioni politiche a quelle finanziarie. Dove oggi, più del referendum negato ai greci, lo colpisce come sparisca l’idea di Governo basata su discussione pubblica ed aperta.

Concordiamo. Profondamente e tristemente, con la stessa tristezza che accompagna il dolce sorriso del Prof. Sen. Questa settimana in Parlamento, si approverà crediamo un obbligo del bilancio in pareggio nel silenzio assoluto della cittadinanza esclusa. Come è avvenuto per lo stupido Patto fiscale europeo. L’Europa culla della democrazia, ed è forse per questo che sorride Sen, triste.

Il secondo fallimento: sociale.  Sen si chiede dove sia finito il rapporto sinergico, complementare, tra Stato e mercato. Riducendo la spesa pubblica in una recessione, si fa più male al mercato, sostiene, uccidendo posti di lavoro e opportunità per sempre per le future generazioni, per i giovani di oggi. Un argomento keynesiano. Ma va al di là di Keynes. Cita Bismarck e la presenza di uno stato sociale (“al solo citare positivamente il nome di Bismarck, dice divertito, ricevetti telefonate urlanti dai miei amici di Banca d’Italia che mi pregavano di ritrattare“, interessante questo “gossip”). Cita Smith, sì Adam, il padre della mano invisibile che ricordava come l’avere un’economia di mercato che funziona bene vuole dire sia maggiore abilità delle persone di vivere una vita felice sia uno Stato che ha le risorse per svolgere meglio quello che sa e deve svolgere.

Concordiamo. Perché lo Stato democratico, quando funziona, fa funzionare meglio il mercato: proteggendo e aiutando i più deboli aumenta a dismisura le opportunità e gli scambi. C’erano mercati anche sotto Re Giovanni e lo Sceriffo di Nottingham, ma mai sviluppatisi, perché l’esproprio e la sopraffazione erano sempre presenti. E il mercato che cresce restituisce, in una sorta di scambio virtuoso, allo Stato le risorse per costruire una infrastruttura materiale e culturale consona e atta a generare ancora maggiore sviluppo. Ci chiediamo spesso su questo blog dove sia finita l’enfasi sulla crescita in Europa, ma ha ragione Sen, dovremmo chiederci dove sia finita l’enfasi, la ricerca di questo fondamentale patto sinergico tra Stato di qualità e mercato vitale. Dove è finita la ovvia pretesa per uno Stato che funzioni e non sprechi e per un mercato che innovi e non che sopravviva con immeritati e costanti sussidi e prestiti.

Il terzo fallimento: intellettuale. La comprensione intellettuale di quello che sta succedendo che, quando manca, distrugge l’economia. Si preoccupa, Sen, di quegli uomini che hanno abbastanza conoscenza da poter avere potere, ma non abbastanza da saper differenziare il vero dal falso. E quindi capaci di imporre, senza affidarsi al processo illuministico della conoscenza tramite il dibattito pubblico, decisioni sbagliate.

Come quelle imposte oggi dall’Europa, alle prese con un’enorme regressione politica, sociale, intellettuale.

 

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Pompei ed i suoi restauri: trasparenza e Mai Camorra Mai

Vi ricorderete che avevamo applaudito ampiamente all’avvio dei cantieri di Pompei sulla base dei motti “trasparenza” e “mai Camorra”. E che ci eravamo impegnati a segnalarvi con tanto di ricorso a esperti (grazie a Daniele, Angelo e Riccardo) le nostre valutazioni sui bandi di gara.

«L’Europa ci guarda», ammetteva il ministro Cancellieri? Eccoci qua, ci siamo, come cittadini europei. Siamo certi che queste nostre considerazioni, se utili e non errate, saranno utilmente valutate dal Ministro Barca. Speriamo soprattutto che la stampa, quarto e quinto potere e organo di garanzia e di tutela dei cittadini, verifichi direttamente con la Sopraintendenza quanto da noi suggerito e, se utile, richieda che sia inserito nelle prossime gare.

 *

Il 3 aprile, la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei ha indetto cinque procedure ristrette per l’affidamento di 5 unici lotti di lavori di consolidamento e restauro delle strutture della: Casa del Marinaio, Casa dei Dioscuri (restauro architettonico e strutturale, nella foto Persea e Andromeda), Casa delle Pareti Rossi, Casa del Criptoportico e la Casa di Sirico.

I cinque bandi di gara, da aggiudicare al prezzo più basso, scadono tutti e 5 il 24 aprile p.v., tra 9 giorni.

L’importo complessivo a base d’asta è rispettivamente di milioni di euro: 1,012;  1,447;  0,192; 0,563; 1,243, per un totale di 4,457 milioni di euro (oltre a IVA).

I tempi di esecuzione sono rispettivamente di 550,  730,  275, 370, 730 giorni.

Il Responsabile del Procedimento è il Dott. Ernesto De Carolis, contattabile via Posta elettronica certificata al mbac-dg-ant@mailcert.beniculturali.it . A lui indirizziamo le seguenti domande, augurandogli comunque un grande in bocca al lupo perché da lui dipenderà così tanto del nostro benessere, dell’occupazione e crescita delle imprese selezionate e dell’attrattività del nostro patrimonio artistico.

Premettiamo che siamo ancora nella fase di pre qualifica: la gara con procedura ristretta prevede infatti la selezione di alcune imprese che esprimono un desiderio di qualificarsi per la gara. Con la lettera d’invito a quelle che si qualificheranno verrà inviato loro il capitolato che noi non possiamo (ancora) leggere. Siamo certi che il Dott. De Carolis, appena inviato alle imprese qualificate, lo metterà a disposizione – il capitolato – sul bellissimo sito dove abbiamo trovato le informazioni http://www.pompeiisites.org/ che ci permettono di esprimere queste opinioni. Così la piena trasparenza richiesta dal Presidente Monti sarà garantita pienamente. Compresi, ovviamente, i riferimenti riguardanti i criteri di verifica, oltre a direzione lavori e penali, elementi essenziali per capire come verrà garantita la qualità finale del lavoro.

Primo commento: i tempi della gara

Il periodo di tempo durante il quale l’offerente è vincolato dalla propria offerta è di 1 anno. Strano. Perché l’art. 11 del Codice degli appalti prevede che “… l’offerta è vincolante per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione. La stazione appaltante può chiedere agli offerenti il differimento di detto termine.” Per quale ragione raddoppiare il termine? Si ipotizza che la gara durerà 1 anno?  Non sembrano gare complesse (quantomeno perché aggiudicate al prezzo più basso). Si accelera sull’avvio delle procedure di affidamento (con la procedura ristretta) ma si formalizza (o si consente) la lentezza potenziale nell’aggiudicare la gara.

Secondo commento: la pre qualificazione

Bene che si proceda rapidamente, ma 21 giorni con di mezzo la Pasqua per chiedere di essere qualificati, non è un po’ troppo stretto? Ce la faranno le imprese a non perdere l’occasione di partecipare? Forse no, forse sì.  Più importante sono forse altre carenze. Perché non si è fornito/allegato un documento standard per la presentazione della domanda con vantaggi per il Committente (minore onere per l’esame delle domande e trasparente comparabilità delle domande) e per le Imprese (minore onere di presentazione della domanda)? Non sarebbe stato male! Il Committente avrebbe potuto standardizzare anche le istruzioni per la presentazione della domanda di partecipazione (il cosiddetto disciplinare di gara), fornendo un documento unico per tutto il programma di gare e allegando una scheda con le informazioni specifiche sulla gara, sempre con vantaggi per le due parti in termini di gestione del processo.

Terzo commento: 5 gare invece di 1.

Perché sono stati fatti 5 bandi di gara per la stessa tipologia di lavori, stessa data di emissione e di presentazione, e non un solo bando con 5 lotti? Al fine di contenere i costi della procedura (tra cui la pubblicazione dei bandi e degli avvisi), era preferibile un’unica gara distinta in lotti eventualmente ponendo dei limiti all’aggiudicazione di più lotti per favorire la concorrenza. Perché dunque?

Infine, complimenti sinceri per avere vietato i raggruppamenti temporanei d’impresa tra imprese “grandi” , al fine di evitare cartelli: è qualcosa che poche stazioni appaltanti fanno, malgrado l’autorità antitrust l’abbia esplicitamente consigliato.

A presto!

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Where does Germany stand in all this? The (different) perspective of 2 (smart) Germans.

Joseph Martin “Joschka” Fischer is a German politician of the Alliance ’90/The Greens. He served as Foreign Minister and Vice Chancellor of Germany in the cabinet of Gerhard Schröder from 1998 to 2005. Fischer has been a leading figure in the West German Greens since the 1970s, and according to opinion polls, he was the most popular politician in Germany for most of the government’s duration. Following the September 2005 election, in which the Schröder government was defeated, he left office on November 22, 2005.

Norbert Walter is a German economist. He was the chief economist of Deutsche Bank from 1990 to 2009.