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Riforma 1: Al (nuovo) Ministro dell’Università, please

Ecco l’articolo sul Corriere della Sera che appoggia la politica “anti-inglese” nelle Università dell’Accademia della Crusca (che comunque ha una home page anche in inglese, bravissimi).

Nella parte che riguarda l’inglese nelle università, l’articolo dipinge una crescente dominanza di corsi di laurea in inglese che rende difficile l’accesso all’università di coloro che parlano solo l’italiano e che non da a quegli stranieri che vengono a studiare dall’estero la possibilità di apprendere la lingua italiana utile per lavorare nel nostro Paese.

E’ una visione molto limitante e inevitabilmente sulla difensiva. I dati raccontano una storia diversa: malgrado in Italia stiano crescendo le lauree in lingua inglese, sono ancora pochissime in valore assoluto (meno di 100) e anche relativamente poche rispetto a quante ve ne sono in altri Paesi europei dove l’inglese non è la lingua ufficiale.

Inoltre, se anche fosse vero che nelle nostre imprese si parla poco inglese, non sarebbe il caso di porre rimedio a tutto ciò, aiutando nel contempo la sensibilità aziendale verso una maggiore internazionalizzazione?

Più di tutto tuttavia spicca l’assoluta mancanza, in quanto argomentato, dei vantaggi che deriverebbero per il nostro Paese dall’espandere l’offerta formativa in lingua inglese (senza tuttavia farla divenire dominante rispetto a quella in italiano):

a)     Aiutare l’avvicinamento tra studenti italiani e giovani di altri paesi, costruendo un mondo più unito, un’Italia più aperta al resto del mondo, e, tra europei, una vera Unione Europea;

b)     Aiutare le imprese italiane ad assumere laureati stranieri che si riveleranno strategici per approcciare meglio i mercati esteri, e dunque aumentando competitività ed export italiano;

c)      Permettere l’accesso nel nostro Paese a studenti stranieri  che non sarebbero mai
venuti altrimenti in Italia e che avranno la possibilità di conoscere il nostro Paese, le sue tradizioni e la sua cultura, consolidando un legame di affetto ed attenzione che resterà nel tempo;

d)     Last but not least, tassando di più gli studenti che frequentano queste lauree in lingua inglese (per le quali gli studenti hanno una disponibilità a pagare più alta) le nostre Università otterranno quei fondi addizionali abbondanti che gli permetteranno di migliorare ricerca, didattica e  infrastrutture. Una delle fonti di export di maggiore successo di Stati Uniti e Regno Unito deriva proprio dai servizi all’istruzione sul proprio territorio a studenti stranieri.

Ecco cosa ci aspettiamo dal prossimo Ministro dell’Università: una spinta forte verso la crescita di  programmi in lingua inglese, mantenendo una solida base di corsi in lingua italiana, specie dove sono più necessarie.

3 comments

  1. E’ una questione importante e concordo con il post. Ma posta nei suoi termini pare la prima strada da percorrere. No!
    L’università italiana ha bisogno di una profonda riforma dei piani didattici, in inglese e in italiano. Una riforma che inizi dalla scuola secondaria.(Aprire seriamente il dibattito sui trienni professionali e accademici, come in germania).
    Noi studenti abbiamo bisogno di strutture simili a quelle degli altri paesi. Noi studenti abbiamo bisogno di servizi: studentati, mense, biblioteche. Noi studenti abbiamo bisogno di diritti sugli affitti, troppo spesso in nero, che vessano terribilmente le possibilità di spostarsi sul territorio nazionale per frequentare i corsi di laurea che maggiormente rispondono alle nostre aspirazioni e competenze. Sono misure trasversali: possiamo lottare l’evasione fiscale e recuperare fondi per l’istruzione e parte delle sue esigenze. Infine, mi auguro vivamente che il nuovo Minsitro dell’Istruzione riconosca il divario tra l’università pubblica italiana e quella straniera, dovuto anche alla carente laicità della nostra scuola, che potrebbe liberare risorse e tempo per studiare e approfondire altre culture, se è vero che vogliamo un mondo unito, bisogna che questo mondo lo conosciamo senza dogmi ma cno la curiosità dell’arte e della scienza.

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  2. Grazie. Esistono comunque delle iniziative (a me molto a cuore) ma di cui, ammetto, non ero a conoscenza. Oggi su Repubblica (http://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/11/18/news/denuncia_l_affitto_pagato_in_nero_canone_abbattuto_a_un_quinto-25205847/) leggo che esiste una legge che prevede la possibilità di denunciare gli affitti in nero e di aver in cambio un contratto di affitto garantito con prezzi fissati in base alle rendite catastali. Tuttavia, è una misura ancora poco utilizzata dagli studenti fuori sede, che invece sono spesso vessati da affitti irregolari e a prezzi esorbitanti.
    Quindi suggerisco, non solo al Ministro, ma anche alle associazioni studentesche di prendere atto degli strumenti di cui abbiamo bisogno e di portare avanti questa piccola battaglia di legalità. Poi chi di diritto ha il compito di reinvestire questi soldi recuperati in modo trasparente nella scuola.

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