Oggi ho accompagnato mia figlia che frequenta la terza media per una visita in un liceo in una zona residenziale di Roma. Ha una buona reputazione questo liceo. Ci aspettava all’ingresso una docente che, prima di discutere di programmi, ha pensato bene di portarci in giro nella struttura per vedere le aule.
Immagino ci sia una carenza di capacità di marketing nelle scuole italiane, sta di fatto che l’unica aula aperta in cui ci ha fatto accomodare si presentava nel seguente modo. Banchi vecchi di legno piccoli, rovinati e scomodi, intonaco del muro staccato per almeno il 20% della stanza, il restante 80% ricolmo di autografi di varie generazioni di giovani studenti di lì passati, frasi più o meno spiritose ed una svastica nazista tracciata col gesso ma non cancellata, di grandezza media, che direi difficilmente poteva sfuggire agli occhi di qualsiasi genitore (PS: la scuola non ha reputazione di liceo di destra né di forte movimentismo). E una paradossale lavagna multimediale, come un alieno passeggiante, sorridente, nel bel mezzo del medio evo.
Mi sono per caso sentito vecchio e conservatore quando la maestra ridendo ha esclamato come “i ragazzi sono felici di questa scritte perché si sentono legati a coloro che sono venuti prima di loro?”. No. Mi sono arrabbiato. Non sono contro le scritte creative. Sono contro la sciatteria, la mancanza di manutenzione, di organizzazione, di progettazione, di ricostruzione che ci affligge così tanto da rendercene incuranti. La cura. Ecco quello che ci vuole. La cura da parte dei singoli che passa non solo dalle attenzioni dei docenti ma della nostra cura alla cosa pubblica, che significa pretendere dai nostri governanti RICOSTRUZIONE.
Un mio caro amico e collega mi segnala la prossima uscita di una pubblicazione OCSE sulla rendicontazione del progetto di ricostruzione dei licei portoghesi, avviato nel 2007 e finanziato anche dall’Unione Europea, documento che non ho letto. Ho letto però la scheda fatta nel 2008 e mi pare una cosa meravigliosa.
Il programma portoghese di “ambiziosa ricostruzione, estensione, adattamento e equipaggiamento entro il 2015 di 332 dei 477 licei, con una spesa di 2,45 miliardi di euro, affidati a una società di stato con forte grado di indipendenza per supervisionare e gestire tutti gli aspetti del programma. (mia traduzione)” . 2,45 miliardi di euro sono 1,5% del PIL portoghese. Come se in Italia spendessimo 23 miliardi di euro per le nostre scuole. Che ne pensereste se tutto il gettito dell’IVA (16,4, un po’ meno in percentuale che in Portogallo) previsto dalla manovra Monti fosse stato, invece che utilizzato per ridurre il debito, portato a finanziare queste spese? Quante piccole imprese avrebbero cominciato a lavorare per il nostro benessere e, qui davvero, per quello dei nostri figli? E quanta occupazione sarebbe stata avviata? Il rapporto debito/PIL sarebbe stato ridotto (sì, non aumentato!) e così il deficit/PIL grazie al moltiplicatore della spesa derivante dalla tassazione che avrebbe generato più entrate, non come l’attuale manovra recessiva.
E non mi dite per favore quanta corruzione. Certo ce ne sarebbe stata e ce ne sarà se lo faremo. Ma con un buon coordinamento questi aspetti possono essere minimizzati (un giorno se mai trovo il tempo ne parlo di questo, spero domani).
Ma c’è di più. E’ cosa ormai nota nella letteratura economica che la qualità delle infrastrutture è il più potente antidoto contro l’assenteismo ed alla mancanza di produttività dei dipendenti pubblici, ben più dei salari (basta chiedersi che voglia ci possa essere di andare ogni mattina a lavorare in un ambiente vecchio e cadente e capirete meglio perché è vero). Ed ecco allora il miracolo del moltiplicatore della spesa: studenti che seguono e che non scrivono sui muri, docenti che sorvegliano e pretendono cura da loro stessi e dai ragazzi. Il moltiplicatore dei valori e dell’apprendimento e della produttività. Cosa aspettiamo? Se il Portogallo lo fa, noi perché non possiamo?
17/12/2011 @ 17:52
Forse qualcosa si muove??
http://www.repubblica.it/scuola/2011/12/15/news/prime_misure_profumo_scuola-26686162/
17/12/2011 @ 18:04
grazie. E’ un inizio. Ora dobbiamo ventuplicare la somma.
17/12/2011 @ 18:37
Caro Gustavo, non è che non possiamo…non dobbiamo! Dopo l’errore di aver aperto le porte a chiunque ed indiscriminatamente di quel che resta delle nostre Università con i ben noti risultati (di questo se ne puo parlare in altra occasione), non vorrai mica creare future generazioni di giovani con serie pretese?!
Sono un cinico (come sempre perarltro) ma per spirito di sopravvivenza. Pensa che sono 7 anni che sto cercando di far aprire una scuola italiana (internazionale e moderna proprio come quelle che avranno i portoghesi) a Bruxelles (al secolo ma forse ancor per poco Kapitale dell’europa,) senza riuscirvi pur non essendocene una. Sarà forse per mia totale incompetenza, incapacità diffusa e quant’altro, ma temo che non sia cosi dal momento in cui i primi a smontare con scioltezza e serenità il progetto sono proprio state le istituzioni italiane…per non parlare di coloro che dovrebbero essere interessati…i migliori si accontentano di un offerta mediocre – “strutturata e strutturante” – presso le scuole europee; gli altri, integrati oppure felici di potersi permettere scuole internazionali da 25.000 l’anno a figlio di retta…
Quindi, sempre con scioltezza e serenità, suggerisco di non arrabbiarsi troppo perché non essendo previsto null’altro e volendo rinunciare all’apolidia forse non rimane che il tutore a casa…come ai vecchi tempi! Auguri! viva i veri valori come l’iphone e il suv sotto casa!! questo è il vero disastro del nostro Paese; l’aver abdicato di fronte al più importante compito di una nazione nei confronti dei propri figli.
Il dibattito mi interessa molto e sono convinto che sia fondamentale alzare il livello di consapevolezza.
Ciao,
Jacopo
17/12/2011 @ 23:18
Ciao Jacopo, non mollare, sono questioni fondamentali. Grazie per il tuo commento prezioso.
18/12/2011 @ 14:01
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.” (Cent’anni di solitudine. G.Garcia Marquez 1968)