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La guerra civile del Continente Vecchio, Francoforte come Gettysburg e quel Lincoln che ci manca

Ho ascoltato il Premio Nobel James Mirrless al Festival di Trento via web. L’ho ascoltato confermare, come credo anche io fortemente, che la migliore soluzione per uscire dalla crisi dell’area euro sia quella di stimolare la domanda interna di tutti i Paesi europei, spingendo in Germania ancora di più di quanto non si possa fare nell’area euro Sud. Domanda via spesa pubblica, si intende, anche di beni e servizi.

Ma l’ho anche ascoltato parlare di una guerra civile europea in corso, non più tra Nord e Sud, come quella che divise gli Stati Uniti, ma tra giovani e vecchi (slide 14).

Con i primi che chiedono più inflazione per generare quell’occupazione sul mercato del lavoro che non hanno ed i secondi che vi si oppongono per proteggere quella ricchezza nominale in titoli che possiedono.

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E mi è venuto in mente che di questa guerra me ne ero occupato una quindicina di anni fa, quando studiavo con il mio amico Lorenzo Pecchi le determinanti politiche dell’inflazione e combattevo la follia delle teorie dominanti di allora, quelle sulla bontà di un banchiere centrale indipendente. Ero in buona compagnia, con Milton Friedman, anche lui (ben prima di me…) conscio dei pericoli immensi di una tale soluzione istituzionale, poco democratica e poco efficiente.

Sono andato a rileggermi, dopo aver ascoltato Mirrlees, i miei lavori in quella parte in cui menzionavo il tema dell’invecchiamento delle società e il livello dell’inflazione. Ritrovando spunti interessanti. L’idea iniziale era del grande Franco Modigliani che assieme a Stanley Fischer spiegava appunto come il tasso d’inflazione era destinato ad essere tanto più alto quanto più la popolazione fosse composta da giovani non detentori di titoli.

Un altro economista allora noto, Faust, richiamava come popolazioni con una maggioranza di giovani (vecchi) avrebbero spinto per più (meno) inflazione e come tale rischio avrebbe potuto essere smorzato dalla nomina di un comitato della Banca centrale fatto di anziani (giovani).

Una soluzione per vincere la guerra civile europea a favore dell’occupazione sarebbe dunque quella di fare entrare i giovani nei  gangli decisionali della politica economica, Banca Centrale inclusa, da cui oggi sono esclusi?

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Vi è anche una connotazione geografica del problema.

Certo gli Stati Uniti hanno una popolazione over-65 minore in proporzione di quella europea: forse questo può spiegare in parte le politiche economiche più espansive americane rispetto a quelle europee?

La frase sopra la volevo scrivere da qualche ora, ma poi pensavo al “vecchio” Giappone e mi dicevo: “e poi come faccio a spiegare che Abe ed i nipponici, così protesi verso una società in forte invecchiamento, sono oggi invece al comando della lotta per crescita ed occupazione?”. Non torna, lascia perdere.

Ma poi, perché le cose succedono sempre magicamente, il mio amico Carlo Clericetti qualche minuto fa mi segnala via mail quest’articolo su Repubblica sul Giappone dove si legge che il Ministro dell’Economia Akira Amari ha pronunciato queste parole:

Tra un paio di decenni un quarto della popolazione giapponese avrà un’età superiore ai 65 anni. Aumenteranno le spese sanitarie e previdenziali e diminuirà la forza lavoro, potrebbe essere una tragedia. Ma se invece fosse possibile una soluzione a questo problema, grazie allo sviluppo tecnologico o mediante la riforma del sistema previdenziale, creando cioè una società nella quale le persone rimangano attive per tutta la vita, questa soluzione potrebbe essere esportata in tutto il mondo“.

Bingo. Ecco dunque che se il Giappone è intenzionato ad eliminare il pensionamento degli anziani e introduce il concetto di lavoro eterno torna a comprendersi come il partito dell’inflazione, reflazione, occupazione possa imporsi anche in una società che invecchia come quella nipponica, ma che tuttavia potrebbe dover risparmiare di meno e lavorare di più.

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Dobbiamo dunque sperare in una riforma pensionistica in Europa che allunghi ulteriormente l’età pensionabile affinché il … Continente Vecchio la smetta finalmente di combattere come Don Chisciotte l’inflazione che non c’è e si concentri su politiche della domanda che stimolino l’occupazione, come in Giappone?

No, perché sappiamo bene che in Italia la riforma pensionistica ha ucciso occupazione, specie giovanile, altro che stimolare politiche espansive.  Meglio concentrarci su qualcosa di più ambizioso: il pensionamento di una classe politica che non rappresenta in alcun modo i giovani, le piccole imprese, il nuovo e che difende oramai da troppo tempo gli interessi dei detentori (anziani) di attività finanziarie.

Non è un caso che i giovani si siano scatenati davanti alla BCE a Francoforte; forse sarà lì che un giorno ci sarà la Gettysburg dell’austerità. Ma chi sarà il Lincoln che guiderà le truppe dei giovani verso la vittoria?

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Penelope Draghi, Visco, Monti, Caffè e la Bankitalia che non c’è piu’

Quando è che la Banca d’Italia ha smesso di essere pungolo critico all’azione di Governo? Quando abbiamo perso per strada quel suo importante ruolo istituzionale? Non è solo questione di avere un caro amico come Ministro dell’Economia, ringraziato nei primissimi minuti dell’intervento del Governatore, a stridere e a evidenziare la totale mancanza di autonomia di Via Nazionale dall’azione di Governo, a sua volta mai autonomo dalla Commissione europea.

E’ anche e soprattutto una inevitabile sudditanza rispetto al modello economico perorato dalla BCE di Francoforte.

Se non modifichiamo il ruolo della BCE in Europa, attribuendole il compito di stimolare anche l’occupazione e non solo combattere l’inflazione, è inutile sperare che la Banca d’Italia si attrezzi per dire altro che quello che abbiamo sentito ieri alla Relazione Annuale di Banca d’Italia.

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Il passaggio chiave.

“I provvedimenti adottati, in particolare l’annuncio delle Operazioni Monetarie Definitive (OMT), favoriscono quelle riforme, nazionali ed europee, che sole possono eliminare alla radice il rischio di denominazione (dall’euro alla lira, NdR) … La procedura per l’attivazione delle Operazioni Monetarie Definitive (OMT) (da parte della BCE, NdR) presuppone il manifestarsi di gravi tensioni, può riguardare solo paesi che abbiano precedentemente richiesto, anche a scopo precauzionale, un programma di aiuto finanziario europeo ed è subordinato al rispetto delle condizioni a esso collegate. Queste condizioni riflettono la consapevolezza che i timori sulla reversibilità dell’euro non sono indipendenti da quelli sulla sostenibilità dei debiti pubblici e sulle prospettive di crescita dei singoli paesi“.

Detta in altro modo: la BCE non aiuta i Paesi in difficoltà, li aiuta se adottano i programmi di austerità che si obbligano a rispettare nel chiedere l’aiuto.

Aiuto che Monti non chiese mai. Si è chiesto Visco perché? Perché Monti è ancora così risentito con Draghi come è emerso chiaramente dalla trasmissione televisiva Omnibus? Non perché l’Italia non ne avesse bisogno, dell’aiuto, ma perché capì che la tela che Penelope Draghi di giorno avrebbe tessuto con gli aiuti in asta dei titoli di Stato, la notte avrebbe smontato con l’austerità che faceva crollare PIL, occupazione, entrate fiscali, maggiore disavanzo, maggiore debito.

Austerità che, secondo Visco (vedi corsivo), si rende necessaria perché gli spread dovuti ad uscita dall’euro dipendono anche dall’andamento del debito pubblico e della crescita.

Certo! Appunto! Ma non abbiamo evidenza completa e cristallina che l’austerità distrugge crescita e innalza il debito? Non l’abbiamo tale evidenza? Quale altra dimostrazione richiede Bankitalia per concordare che l’austerità è il veleno e non la medicina in questa fase del ciclo?

Come fa Visco a dire che l’austerità è espansiva e fiscalmente responsabile? Vuole forse concordare col pensiero vintage di Alesina e Giavazzi, da essi stessi ormai rinnegato? Come fa Visco, allievo di Caffè come Draghi, a rinunciare ai due cannoni di politica economica chiamati politica monetaria e fiscale?

Ha ragione da vendere Visco quando dice che meri annunci di aiuto non servono ed è necessario adottare riforme, europee e nazionali, che rimuovano alla radice il rischio di ridenominazione. Gliene propongo due di riforme europee, che cancellerebbero gli spread domani mattina: modifica del mandato della BCE verso la lotta anche alla disoccupazione come negli Usa e obbligo durante le recessioni asimmetriche di sostenere il ciclo economico dei paesi in difficoltà da parte dei Paesi non in difficoltà.

Si chiama solidarietà: l’unica riforma che tiene in piedi una Unione che voglia meritarsi questo nome.

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La politica fiscale è la soluzione, ma “non è una opzione”

E così la crescita italiana 2013, nelle stime del’Ocse, nel giro di poche settimane passa dal -1,5% al -1,8%. A salvare la performance è l’export e la nostra competitività, export che cresce del 3% mentre è un bollettino di guerra l’andamento della domanda interna: -2% i consumi, -1,9% la spesa pubblica per consumi, -3,9% l’investimento delle imprese.

Per il 2014 l’Ocse si inventa per l’Italia un PIL che cresce dello 0,5% (corretto in 0,4% dopo sole due settimane), con un fantastico +5,2% dell’export che compensa una domanda interna sempre in calo.

Eppure l’Ocse continua a dire che il problema è la competitività. Pagine e pagine spese a descrivere riforme che in questa recessione non partono, o per fortuna, perché sbagliate, o perché, anche se rilevanti, in un clima di recessione non vi è la forza politica per attuarle.

Mentre è chiarissimo che non ha nessuna voglia di spendersi sulla sola soluzione disponibile. Come dice l’Ocse: “utilizzare la politica fiscale per far ripartire l’economia non è un’opzione nelle attuali condizioni del debito“.

Paradosso fenomenale, dato che l’Ocse stesso stima al 134,2%, inarrestabile, il debito-PIL italiano, ovvia ricaduta dell’austerità.

E’ interessante a questo proposito tornare sul bel dibattito lanciato da Francesco Daveri della Università di Parma contro l’affermazione di Fassina che è l’austerità “ha fatto salire i debiti pubblici in Europa dal 60 al 90 per cento del Pil”. Secondo Francesco, specie nella prima fase della crisi, dal 2008, “non è stata l’austerità fiscale ma la crisi economica a far esplodere il debito pubblico” dell’Europa. Difficile dargli torto, il PIL è crollato nella prima recessione e con ciò ha fatto aumentare da un lato per definizione aumentare il rapporto debito-PIL (è crollato il denominatore) e dall’altro automaticamente aumentare lo stesso visto che il deficit è aumentato a causa delle minori entrate e maggiori spese che partono sempre come stabilizzatori automatici in caso di crisi.

Eppure, guardando al caso italiano, è difficile sostenere che l’austerità non abbia comunque contribuito alla crescita del rapporto debito PIL anche in quei primi anni. Semplicemente perché, è semantica rilevante, quando scende il PIL quello che ci si aspetta da un Governo anti-austerità è di stimolare l’economia non solo “automaticamente” ma “discrezionalmente” con interventi specifici di maggiore domanda pubblica e minori tasse. Come fece proprio in quegli anni, ad esempio, il Presidente Obama.

E l’Italia, come vedete, è stato l’unico Paese (oltre ai pro-ciclici Irlanda ed Islanda) a non fare NESSUN uso di politica discrezionale, Tremonti avendo rinunciato a stimolare l’economia via maggiore domanda pubblica in una fase in cui, come sappiamo, la capacità della politica fiscale di aiutare l’economia (una recessione) è massima con i suoi moltiplicatori.

Che l’abbia fatto, Tremonti, sulla base di un atteggiamento pro-austerità, spiega parte della crescita mancata nel primo triennio di crisi e del maggiore debito su PIL. E, dunque, tra Daveri e Fassina, almeno per l’Italia, la verità sta nel mezzo.

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La multa del risparmio

Immaginatevi Obama che va in tv.

E annuncia.

Che domani l’Alabama, o il Vermont, dovranno versare una multa pari allo 0,2% del loro PIL statale perché per 3 anni consecutivi non hanno raggiunto il deficit su PIL del 3%?

Ma dai. Mai e poi mai.

Perché le unioni di popoli basate sulle punizioni e non sulla solidarietà; le unioni basate sulla contabilità e non su di un progetto ideale … esatto: falliscono. Senza se e senza ma.

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Lo dico perché alle ore 14 il Commissario Rehn annuncerà cosa fare della famosa multa al Belgio che per il terzo anno consecutivo ha superato il rapporto del 3% del deficit-PIL. E chissà mai perché li avrà superati quei limiti: forse per il salvataggio dell’ennesima banca, dal nome Dexia? O forse a causa della recessione auto-imposta dall’Europa?

Una multa di 750 milioni di euro. Che sarebbe messa in un deposito infruttifero, fino a quando il Belgio non si dovesse ravvedere.

Il fior fiore dei giuristi europei sta in questo momento lavorando a costo del contribuente europeo per dimostrare la validità giuridica di una tale decisione.

Bellissimo. In una unione che continua a morire per mancanza di domanda interna ed eccesso di risparmio, si sta considerando di obbligare un intero Paese a risparmiare per punizione.

Se alle ore 14 i tecnici della Commissione Europea comunicheranno una decisione in tal senso un altro pezzo dell’affresco europeo si staccherà, sbriciolandosi a terra. Speriamo bene che tutti i politici, Letta compreso, europei siano in questo momento attaccati al telefono a ricordare a Rehn che è solo un tecnico e che la Politica, quella con la P maiuscola, spetta a chi rappresenta  democraticamente le esigenze delle persone.

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Quando a sognare per il Paese è la Corte dei Conti

Fatto numero 1: Abbiamo un Governo di contabili, non di leader. Ci sono i soldi, ma dall’anno prossimo. “Dobbiamo concentrarci sugli investimenti”, piuttosto che sulla sterilizzazione dell’aumento dell’Iva, anche perché “i margini di manovra si aprono soprattutto con riferimento al 2014“. 1 miliardo? Lo abbiamo? Sig. Contabile di Via XX Settembre: lo abbiamo? 1 miliardo?

Fatto numero 2: Basta con i contabili, lo dice la Corte dei Conti. “Non si tratta quindi di ricorrere a defatiganti trattative per l’ennesima ridefinizione di regole e criteri dell’azione di riequilibrio dei conti pubblici, ma, piuttosto, di ritrovare la ragioni di appartenenza all’Unione europea non nei soli vincoli di bilancio ma nell’adozione di progetti di rilevante interesse  strategico comune.” La Corte dei Conti. La Corte dei Conti sogna. Sa sognare. La Corte dei Conti, che chiede più investimenti pubblici. E il nostro Governo? Sa sognare?

Fatto numero 3: Il settore dell’edilizia muore. Lo dice Squinzi e la gente lo applaude, con sincerità.Specchio del dramma che sta attraversando la società italiana è il mondo dell’edilizia, in una crisi tanto profonda da sottoporre al Governo la richiesta di un intervento speciale di filiera, per salvare un volano fondamentale nell’economia del Paese.”  Monti pensa che Confindustria esageri. Nel sognare? Un Paese migliore? Sogna?

Fatto numero 4: “La Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il ricorso dell’Italia: in base alla sentenza emessa lo scorso 8 gennaio dai giudici di Strasburgo, divenuta oggi definitiva, l’Italia ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime.” Non vi è nulla da aggiungere.

Fatto numero 5: Giace negli armadi dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili, dal 2009, e presso il Ministero di Giustizia, un preciso Piano straordinario di edilizia carceraria, che prevede la necessità di circa 1,6 miliardi di euro di cui 1,2 per la realizzazione di 22 nuovi istituti penitenziari e 400 milioni per la realizzazione di 47 nuovi padiglioni o la ristrutturazione di quelli esistenti.  17129 carcerati, secondo il documento dell’epoca,  che Ance stimava potessero riallocarsi nelle nuove strutture, dando a loro dignità e speranza e dando agli altri cinquantamila più luce, aria e diritti umani.

Quella speranza che non c’è nemmeno per le imprese edili, specie quelle piccole, che stanno soffocando nella morsa della recessione e che potrebbero essere coinvolte a pieno ritmo nel 2012 su questo progetto, sostenendo il PIL e la loro sopravvivenza.” Questo lo dicevo io, il 12 gennaio 2012.

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Prendete 5 fatti. Mischiateli quanto vi pare. Tornerete sempre lì; per fare la ricetta giusta per ridare slancio dall’Italia all’Europa ci vogliono i seguenti ingredienti: un po’ di coraggio, molti ideali, alquanta umanità e capacità di ascoltare, zero mediocrità, tanta disponibilità a rischiare di perdere pur di ottenere una grande vittoria.

Ecco. Chiedetevi se vale veramente la pena. Di avere i contabili al posto dei sognatori. I sognatori della Corte dei Conti, certo, e di tutti quegli altri sognatori che vogliono di più da questo loro breve viaggio su questa terra.

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L’umiltà sbagliata di Draghi, Merkel, Saccomanni e quella giusta di Roosevelt

Possiamo dunque tranquillamente affermare che l’Unione monetaria europea è una unione più stabile oggi che un anno fa. E i mercati sono pienamente convinti che l’euro è una valuta forte e stabile. 

Ma le condizioni economiche nell’area euro restano sfidanti. La scelta (che spetta all’Europa)  è tra adattarsi alle nuove condizioni o non fare nulla e rischiare la dissoluzione.

Mario Draghi a Londra.

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Christina Romer, ex-capo economista di Obama, nell’ultimo suo lavoro, ricorda come sia importante la politica espansiva per stimolare la domanda in periodi rari ma drammatici come questi,  e come sia altrettanto importante influenzare le aspettative di imprese e famiglie affinché possa avere pieno effetto il moltiplicatore della spesa avviato da tali politiche, monetarie e fiscali, espansive.

Non a caso cita come esempio positivo l’incredibile assalto comunicativo di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 (vedi lo splendido film del 1933, da lei citato, della casa MGM dal significativo titolo Inflation, postato poco fa sul blog, strumento di propaganda dell’Amministrazione Usa che prende in mano la politica monetaria ordinando alla Fed di aumentare drasticamente la base monetaria del Paese) per influenzare le aspettative d’inflazione, così da incitare alla spesa famiglie ed imprese indebitate.

Con successo: nel giro di tre trimestri, nel 1933, dal -6% atteso di deflazione al +7% di inflazione. E, altra faccia della medaglia dell’uscita da una crisi di domanda interna, un aumento del 57% della produzione industriale!

Simultaneamente, godetevi l’andamento del cambio del dollaro rispetto alla sterlina nel 1933, che si deprezza sostenendo la domanda estera, e la parallela ripresa del prezzo di un bene da export come il cotone, nuovamente ampiamente domandato grazie alla sua ritrovata convenienza.

E’ un grafico, quello del cambio dollaro-sterlina susseguente agli annunci di FDR, straordinariamente simile a quello dell’andamento recente dello yen rispetto all’euro a seguito della rivoluzione di politica economica da parte del Primo Ministro giapponese Abe.  Un altro politico che non ha esitato a comunicare (la stessa politica: più moneta, più spesa pubblica) con forza la volontà di cambiare e rischiare pur di avere successo.

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La Romer se la prende invece con gli ambigui messaggi dei nostri giorni di Bernanke, troppo poco aggressivi e incapaci di influenzare le aspettative: “piccoli passi”, quelli del Governatore della Fed, li chiama. Piccoli, inutili, passi.

E che dire allora noi dei messaggi ambigui di cui sopra di Draghi che da un lato parla di fiducia piena dei mercati e poche righe dopo parla di “rischio di dissoluzione” se non facciamo nulla?

Bene, allora facciamo qualcosa. Facciamo. Facciamo, come dice Christina Romer. Ma spesso non si fa. Perché? Ascoltiamola quando parla dei due tipi di umiltà che possono caratterizzare le scelte dei politici.

C’è l’umiltà dei decisori di politica economica che porta spesso alla paralisi. Se questi sono insicuri sull’efficacia di una politica o temono che possa avere alti costi, finiranno per non fare nulla o muoversi a piccoli passi. Perché assumere dei rischi quando non sappiamo se una politica funzionerà? … Il timore che tali politiche possano non funzionare o possano essere costose portò (nel passato, anche nella Grande Depressione) costoro a concludere che la cosa più prudente da fare era di non far nulla. Eppure c’è ampio consenso oggi che agire allora sarebbe stato efficace”.

Ma c’è anche un altro tipo di umiltà ben più positiva … L’umiltà … di ammettere quando qualcosa non sta funzionando. Questo tipo positivo di umiltà porta a sperimentare. Piuttosto che assumere che non fare nulla sia la cosa migliore da fare, i responsabili delle politiche possono scegliere di agire aggressivamente sulla base della migliore, seppure imperfetta, evidenza disponibile.”

Ecco quando leggo Draghi parlare di rischi di non fare nulla, non vedo quella umiltà positiva che porta a rischiare. Vedo in lui, nella Germania e in tutti i nostri politici che alla Germania nulla dicono, l’umiltà di chi ha paura. Paura di rischiare per il bene del Paese.

Si chiama leadership. La stiamo ancora cercando.

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Draghi and Merkel? Or FDR?

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La staffetta generazionale tra economisti: spazio a Giovannini

Siccome la proposta del Ministro Giovannini sulla staffetta generazionale (“un dipendente accetta di lavorare meno ore, con meno stipendio o di andare in pensione con una qualche penalizzazione, purché la sua azienda assuma un giovane”) ce l’abbiamo anche noi Viaggiatori in Movimento nel nostro programma per l’Italia, pare che debba proprio dire qualcosa sul pensiero di Alberto Alesina al riguardo.

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Posto poi che la «staffetta» funzioni, la disoccupazione giovanile si ridurrebbe sì, ma in modo fittizio: non creando più lavoro quanto redistribuendo quello già esistente tra una generazione e l’altra. Una stessa torta, il Prodotto interno lordo, diviso in parti diverse senza però che questo dia alcun contributo alla crescita. Ma allora a che serve questa redistribuzione tra generazioni? Qualche effetto indiretto potrebbe averlo. Primo: più a lungo un giovane rimane escluso dalla forza lavoro meno diventa «impiegabile» dalle imprese e quindi scoraggiato. La «staffetta» potrebbe per questo aiutare a ridurre il tempo di attesa per l’impiego. Secondo: si potrebbe rendere figli e figlie meno legati al reddito di padri, madri e alla famiglia, quindi più mobili, facilitando il loro inserimento nel mondo del lavoro anche quando questo richiede un cambio di città o luogo di vita. Non sono chiarissime le conseguenze sulle imprese e i loro costi. Da un lato un giovane all’inizio della carriera ha un salario più basso, ma ci sarebbero costi legati all’inserimento del giovane al lavoro. Il saldo, positivo o negativo, dipenderebbe comunque da quanto meno si pagano gli anziani che passano al part time.

Insomma: la staffetta in sé e per sé non aiuterà la crescita. Anzi, sembra quasi un triste riconoscimento che l’unico modo per impiegare i giovani è chiedere ai genitori di scansarsi dal loro lavoro, cosa che suona come un’ammissione di incapacità a far crescere le ore di lavoro totali. Quindi la si venda per quello che è: una misura un po’ disperata per cercare di aiutare una generazione in grave difficoltà in un modo che però non aiuta ad attaccare alla radice i problemi di un Paese fermo da due decenni.

Da Alberto Alesina, Corriere della Sera.

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Ho questo da dire al riguardo:

a) non è esatto dire che la “disoccupazione giovanile si ridurrebbe in modo fittizio” se questo schema funzionasse. La riduzione sarebbe reale e concreta.

b) non è esatto dire che la “staffetta … non aiuterà la crescita”. Non oggi, forse. Ma immaginate due mondi tra 5 anni. Quello di Alesina senza staffetta e quello di Giovannini con. Nel mondo di Alesina i vecchi non lavorano, sono andati finalmente in pensione. I giovani nemmeno, si sono scoraggiati e sono usciti dalla forza lavoro. Nel mondo di Giovannini, come in quello di Alesina, i vecchi sono in pensione. Ma nel mondo di Giovannini i giovani non si sono scoraggiati e lavorano, generando maggiore PIL.

c) ora immaginate anche due altri mondi. Uno con la riforma delle pensioni Fornero e basta e uno con questa seguita dalla riforma Giovannini. Nel primo mondo i giovani perdono opportunità di posti di lavoro e i vecchi rimangono, insoddisfatti, al lavoro. Nel secondo mondo… Insomma avete capito, nel mondo di Giovannini recuperiamo un po’ dei danni al benessere causati dalla riforma pensionistica della Fornero.

 d) “Un’ammissione di incapacità a far crescere le ore di attività totali”?  A me pare piuttosto un sano tentativo di aumentarle. Ovvero esattamente l’opposto di quanto Alesina propugna da anni sulla prima pagina del Corriere con manovre di taglio di spesa pubblica che, quelle sì, sono capaci di far crollare le ore di attività totali in questa recessione di cui non ha ancora … perfettamente compreso la natura.

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I 400 (milioni) di colpi

Sono un esercito. 2 milioni 250 mila. Il 23,9% dei giovani tra 15 e 29 anni, quasi un quarto di essi. Dall’inizio della crisi, sono aumentati di quasi 400 mila unità.

Sono i NEET, disoccupati, scoraggiati e inattivi. Sono lo spreco principe di un Paese che non riesce a capire come tornare a dare un ruolo ai giovani nella società.

Pare che l’agenda europea ci possa venire incontro, mettendo risorse a disposizione con lo Youth Guarantee. A leggere la storia della costruzione di questo Programma nel tempo si percepisce sia la crescente urgenza che ha dato al problema dei giovani l’arrivo e l’incancrenirsi della crisi ma anche la disperante lentezza delle istituzioni europee nel reagire.

Secondo il Sole 24 Ore di oggi i fondi disponibili da subito per l’Italia quest’anno sarebbero 400 milioni di euro. Briciole, ma è già qualcosa visto che il nostro Governo pare già, dopo solo qualche settimana, considerare impossibile trovare risorse proprie all’interno di un bilancio di 800 miliardi di euro.

Eppure. Come sempre, c’è un ma. Continua il Sole:

“… una volta ottenuto l’ok da Bruxelles allo sblocco delle risorse in tempi brevi, l’attuazione del piano Garanzia Giovani non rappresenta una sfida semplice …   Ogni Paese deve impegnarsi a garantire ai giovani … un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio” entro 4 mesi dall’uscita del sistema di istruzione o dalla perdita di un impiego. Un ruolo centrale in questa operazione è affidata ai servizi per l’impiego che dovranno offrire una concreta proposta di lavoro …”

Immaginate già vero? Il caos organizzativo che seguirà per la spesa di questi 400 milioni, la difficoltà per convincere le imprese a scommettere anche un po’ del loro futuro, quando nel futuro oggi proprio non credono, dando fiducia ad uno scoraggiato da inserire in azienda ….

Meglio molto meglio, adottare sin da ora come progetto pilota il piano previsto dal nostro appello, impiegando per un anno come servizio civile i nostri giovani nei ranghi della Pubblica Amministrazione: a Pompei, nel Colosseo, nei musei, negli ospedali e nei pronti soccorsi, nelle università, nei parchi, nei tribunali. Con l’obbligo di lavorare, bene, per il Paese e la sua immagine, e guadagnare 1000 euro al mese.

12.000 euro l’anno. Che con i 400 milioni di euro a disposizione fanno circa 35.000 posti di lavoro per giovani.

Pochi direte voi, su 2 milioni. Pochi, ma un inizio, un segnale. Pensate voi che fallimento sarebbe piuttosto dire di avere 400 milioni e, come spesso è accaduto specie con iniziative finanziate dall’Europa, non saperle gestire.

Sarebbe ben più facile invece assumerli immediatamente nel pubblico, dandogli una competenza, levandoli dalla strada, dalla depressione, dall’apatia, o da tutto ciò messo insieme. Almeno 1 anno non passerebbe invano. E aiuterebbe forse un settore pubblico spesso stanco, vecchio, depresso a ritrovare energie preziose.

Come sempre, basta volerlo.