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L’intervista su dove siamo e dove stiamo andando.

«Caro Monti, siamo come la Spagna: gli obiettivi di deficit vanno rivisti».

 

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La poesia del pecorino e del futuro aperto

A Macerata la scorsa sera a parlare – due economisti ed un filosofo – ai e con i giovani imprenditori del luogo. Parlare di “futuro aperto” dove tutto dipende da noi, tutto è nelle nostre mani. Si legge sul cartoncino dell’invito Karl Popper: “Il futuro è molto aperto. E dipende da noi, da noi tutti. Il futuro è molto aperto. E dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori, dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”.

Bello questo ottimismo, sottolineato dall’assenza di punti interrogativi. Parliamo di giovani in questo momento particolare: giovani lavoratori, giovani imprenditori, facile finire per parlare anche di piccole imprese.

In questo bel clima di volontà di fare non passa benissimo il mio messaggio che non è vero che tutto dipende da noi, specie se riferito, appunto, ai giovani ed alle giovani imprese. Troppo è fuori dalle loro mani ed è chiedergli troppo di lanciarsi nel mondo, di sfidarlo con convinzione, di aprire la porta del loro futuro, se non aiutati.

Sono piccoli, vanno aiutati. Come dei bambini, cosa fareste: gli fareste attraversare quella strada trafficata da soli o li prendereste per mano attraversando con loro fino a quando non saranno capaci di farlo e lo saranno, capaci, perché gli avrete insegnato a diventare grandi da soli? Non c’è nulla di brutto nel proteggerli, c’è qualcosa di immorale nel considerarli già come dei grandi.

Nell’arrivare a Macerata passo con la mia vecchia VW per una strada che ho percorso mille volte quando insegnavo lì, a cavallo dei secoli, 5 anni meravigliosi di una provincia italiana bellissima e piena di fiera dignità del proprio modo di vivere e di fare impresa. Mi lascio Spoleto alle spalle e con emozione attraverso la galleria che mi porterà nella Valnerina. So che di nuovo sto per entrare in un mondo di fiabe; come per magia al termine del tunnel so che mi accoglierà un tempo diverso. I colori, la luce delle cose bagnate dal Nera magicamente chiedono alla meteorologia per una volta di adeguarsi a dei voleri diversi. Sono in un altro mondo.

Ognuno ha degli angoli di mondo segreti dove ritrova la pace. Il mio è lungo una curva dove la strada bacia il fiume, a Borgo Cerreto, sotto la dominanza saggia e paterna di Cerreto di Spoleto incastonata lassù sulle rocce. Lì c’è un salumiere del luogo. Non siamo lontani da Norcia. E’ antipatico come nessun altro. Aspetta sulla strada seduto di fronte al suo negozio il cliente e lo segue malvolentieri dentro quando ci infiliamo per chiedere come sempre da 15 anni a questa parte un panino al ciauscolo (“il salame tipico delle Marche”, dice Wikipedia). Malvolentieri taglia il pane caldo, malvolentieri ci infila tantissime fette di ciauscolo, malvolentieri ti parla. Esco felice col mio panino e la mia coca cola, dopo avere acquistato (sembrava gli facessi un favore) una mezza forma di pecorino dolce di Norcia. Felice di averlo rivisto.

Attraverso la strada e entro in un giardino magico, un pezzo di terra privata donata a tutti, dove alberi ritti come soldati sorvegliano che nulla faccia del male al piccolo Nera che scorre da migliaia di anni, pulito, accompagnando le sue trote. Il silenzio è perfetto e così convinto che nessuna macchina, nessun TIR te ne distrae.

Penso al pecorino che tengo nella busta. Penso a quegli imprenditori del vicino e meraviglioso Abbruzzo, così diverso dalle Marche eppure così simile, così nobilmente montagnoso.  Penso a Nunzio Marcelli, 58 anni, che dice di voler “appendere il pecorino al chiodo”, quel pecorino che vende a Obama. Intervistato dal Corriere sorrido quando lo leggo dire al giornalista: “il mio formaggio piacerà pure ad Obama  ma già adesso riesco a malapena a pagare i miei dodici dipendenti.” Sorrido perché ne vedo la faccia dignitosa e seria quando sorride.

Continua l’articolo: “con l’ arrivo dell’ Imu rischio di andare perennemente sotto”. Da qui l’ idea di abbandonare quelle stalle, 2.500 metri quadri che secondo i suoi calcoli gli verrebbero a costare sui 4 mila euro l’ anno. «Sto pensando di abbandonarle, di abbatterle pur di non pagare. O addirittura di chiudere l’ attività e non se ne parla più. Sarebbe la fine di una tradizione familiare, generazione dopo generazione: «Io non posso lavorare in perdita. Ma lasciare quelle stalle segnerebbe un altro passo verso l’ abbandono della montagna». Fino agli anni ‘ 90 nella Valle del Sagittario erano dieci le aziende che producevano formaggio. Adesso è rimasto solo lui: «E se la montagna si spopola è un problema anche per chi vive giù in città. Anche se ve ne ricordate solo quando ci sono le frane e le alluvioni.”

L’Imu sui capannoni usati per la produzione è un urlo di dolore di tanti imprenditori marchigiani la sera all’incontro. Imprenditori non solo di pecorino, non solo agricoltori, ma di sana industria manifatturiera.

A Roma le proteste di chi si vede tassato e vede altri prodotti non locali, fatti all’estero da imprese italiane, sussidiati dallo Stato in egual modo. Grandi imprese, come al solito, che diventando grandi perché è più facile diventare grandi se si abbandona quel mix di qualità ed unicità che proviene da queste magiche terre e si va altrove abbassando la qualità. Eppure aiutiamo in maniera eguale le due aziende, quella grande capace di fare da sola e quella piccola che è più sola.

Ecco mi dico, non dipende da loro. Dipende da noi. Dipende dal Governo che deve capire che esiste un mondo che non ce la fa a queste condizioni e che quel mondo sparisce se non lo proteggiamo, e con lui un po’ di bellezza. Non possiamo chiedere ai giovani di affermarsi ed aprire un futuro se noi, dall’alto della nostre torre, gettiamo su di loro qualche obolo e chiudiamo il portone con enormi chiavistelli, rendendo impenetrabile il loro futuro per garantirci un triste presente senza innovazione, idee nuove e tradizione.

Nasca subito un Ministero per le Giovani Imprese, come negli Stati Uniti. Nasca per proteggere e coltivare il bello che è in ognuna delle loro giovani e forti idee. Nasca per non spezzare oggi per sempre il germoglio che domani diverrà quercia.

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Derivati del Tesoro: la palla passa a Monti.

Qualcosa si muove nella storia dei derivati del Governo italiano e della spesa di 0,15% di PIL, di spesa per perdita sugli stessi derivati con la banca Morgan Stanley.

Fa bene Alessandro Penati a rimarcare su Repubblica come il Sole 24 Ore “non si sia accorto” della questione e della cripticità con la quale il Corriere della Sera abbia coperto una storia di questa rilevanza. “Voglia di minimizzare?” si chiede Penati. Basta con una stampa di questo tipo. Basta.

Parla di “punta dell’iceberg” Penati, chiedendo che sia data informazione di tutti i contratti e delle controparti coinvolte. Concordiamo. E che poi siano liquidate tutte le posizioni e che il Tesoro italiano smetta di fare derivati, astenendosi come fanno alcuni Governi tra cui quello statunitense. Non siamo certi che questa sia necessariamente la giusta scelta: molti Governi usano con intelligenza questi strumenti e ne traggono vantaggi per la collettività, senza specularvi ma gestendo meglio il rischio. Ma lo fanno con trasparenza.

Un miracolo è comunque avvenuto giovedì. In audizione alla Camera il Sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria ha chiarito alcuni aspetti della questione a fronte dell’interrogazione parlamentare di alcuni onorevoli che riportiamo in calce. Un raggio di sole flebile nella cantina più scura d’Italia. Fa sorridere che sia un Sottosegretario all’Istruzione ad istruire il popolo italiano al riguardo leggendo una nota scritta con tutta probabilità dal Ministero del’economia e delle finanze. Cosa avrebbe detto se fossero proseguite le domande dei parlamentari, trovandosi sprovvisto di altri testi da leggere?

Ma riportiamo qui i passaggi chiave della risposta all’interrogazione:

“Signor Presidente, con l’interpellanza urgente l’onorevole Borghesi ed altri pongono quesiti in ordine alla reale composizione del debito pubblico italiano…  Ad oggi il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. Quindi, il nozionale ammonta, per rispondere alla domanda, a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione. Degli strumenti derivati in essere circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex ISPA. I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap corrispondono alla quasi totalità dei titoli emessi nel corso degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni estere sono state coperte dal rischio valutario.

Al lettore parrà irrilevante questo passo o tecnicamente noioso, ma sappia che è la prima volta che possiamo venire a conoscenza di questa situazione dei derivati del Governo italiano.  Immaginate Indiana Jones davanti all’Arca, così rimangono gli esperti che da anni chiedono luce, quando leggono di questi dati.

160 miliardi di euro non devono tuttavia essere i numeri a cui il contribuente italiano si dovrà interessare: sono ammontari di riferimento che non vengono (generalmente) scambiati tra le controparti all’inizio del contratto derivato. Gli scambi rilevanti sono quelli che avvengono durante la vita del contratto o, appunto, ad eventuale chiusura anticipata del contratto, come è avvenuto nel caso particolare di Morgan Stanley, quando si scambia il valore di mercato del derivato dalla controparte “perdente” (in questo caso l’Italia) a quella “vincente” (in questo caso MS).

Conoscere quotidianamente il valore di mercato di quei 160 miliardi significa conoscere il rischio che corrono i cittadini contribuenti e dunque permette di valutare l’operato del Governo e del Ministero dell’Economia e la sua competenza. Significa anche avere la possibilità di prendere decisioni oculate su cosa permettere e cosa non permettere al Governo italiano di fare con i nostri soldi. Penati, citando l’agenzia di stampa Bloomberg, parla di 24 miliardi di euro. 1 punto e mezzo di PIL. Se fosse vero ci sarebbe da chiamare la Finanza e scoprire esattamente cosa è successo in questi anni nella gestione del debito pubblico italiano. Cifre simili fanno rabbrividire e è a mio avviso impensabile che il Tesoro  si sia esposto a tali livelli. Ma va fatta chiarezza proprio per questo.

Imbarazzante per pochezza tecnica a questo proposito quanto dice Rossi Doria: “In merito al valore di mercato del «portafoglio derivati» della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata.” Immaginate voi se una banca vi dicesse che non vi dice il valore di mercato dei vostri investimenti perché “variano di giorno in giorno”. Non chiamereste la polizia? E non vorreste forse sapere questa informazione anche per sapere la bravura del vostro gestore di fondi?

Ma continuiamo. C’è dell’altro di più specifico.

Per quanto riguarda, in particolare, la vicenda relativa alla Morgan Stanley, riportata da alcuni organi di stampa e richiamata nell’interpellanza, si fa presente che alla fine del 2011 e con regolamento il Ministero dell’economia e delle finanze, in data 3 gennaio 2012, ha proceduto alla chiusura di alcuni derivati in essere con Morgan Stanley (due interest rate swap e due swaption) in conseguenza di una clausola di «Additional Termination Event» presente nel contratto quadro (ISDA Master Agreement) che regolava i rapporti tra la Repubblica Italiana e la banca in questione. Tale clausola, risalente alla data di stipula del contratto, nel 1994, era unica e non presente in nessun altro contratto quadro vigente tra il Ministero e le sue controparti, e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni, rinegoziare la stessa. In virtù di tale clausola, si è proceduto alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley, regolandone il controvalore in 2,567 miliardi senza il coinvolgimento di terze parti.”

Bene. Anzi male. Sembra tanto ma è poco. Possiamo conoscere che tipo di operazioni hanno portato a questa perdita così da capire per quale motivo il Tesoro vi entrò a suo tempo? Non sempre perdite sono da addebitare al gestore: a volte i mercati girano male, si chiama rischio. Ma è importante capire in che tipo di rischio ci siamo infilati per sapere se un buon padre di famiglia avrebbe fatto lo stesso e, in caso negativo, prendere le opportune decisioni contro coloro che effettuarono questa operazione e soprattutto prendere le giuste contromisure affinché questi rischi non siano più assunti.  Una cosa comunque già la sappiamo: un errore fu fatto nel firmare il derivato con una clausola di chiusura che non è stata più inserita in nessun contratto successivo: come mai fu apposta in quel contratto? Chi fu il responsabile?

E’ falso dire che chiusure di contratti come questa non potranno più avvenire perché quella clausola non è stata più inserita. Le ragioni per le chiusure di un contratto possono essere svariate e possono avere a che fare anche con la forza contrattuale di una controparte. Essendo la Repubblica italiana in questo momento particolarmente in difficoltà a causa del suo debito pubblico non è da escludersi che controparti bancarie che abbiano forza contrattuale chiedano di essere ripagate, tanto più che ora una controparte (Morgan Stanley) lo è stata, per qualsiasi motivo lo sia stata.

Ma magari le questioni finissero qui. E’ stato fatto notare su altri siti con un qualche elemento di veridicità che:

a)      Come le garanzie date alle banche e di cui ci siamo occupati a suo tempo e suo cui la stampa ha calato un silenzio indicativo, queste perdite potenziali non sono messe a bilancio fino a quando non avvengono.  Il paradosso è che Morgan Stanley in questo affare le perdite potenziali (dovute al mancato pagamento che si paventava da parte del Governo italiano) a riserva le aveva messe. Il nostro Governo no.  O vogliamo aspettare di fare dell’Italia un’altra Grecia perché tanto noi…. “non siamo le Grecia” che è andata sotto a cause dei derivati?

b)      Cosa ha fatto Morgan Stanley con questo rischio Italia a parte mettere dei soldi a riserva? Non avrà forse acquistato assicurazioni contro il default italiano (si chiamano Credit Default Swap, CDS) contribuendo all’allargamento dei nostri spread? E se così fosse a chi chiederemo di restituirci i soldi della maggiore spesa per interessi causata da questo abbraccio mortale? E non è forse possibile – si interroga il sito – che con la liquidazione da parte del Governo italiano della somma dovuta a Morgan Stanley questa abbia liquidato in questi giorni anche le posizioni nei CDS, spiegando il perché del calo degli spread a cui stiamo assistendo in questi giorni?

La storia è solo iniziata. Che continui la richiesta di chiarimenti, su tutti i contratti. Che il Governo Monti faccia chiarezza sul passato ed indichi la nuova via per il futuro. Tanto ci aspettiamo da lui, niente di più né di meno.

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Informazioni circa l’incidenza degli strumenti finanziari derivati nell’ambito della complessiva esposizione debitoria dello Stato italiano – 2-01385

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

un interessante articolo è stato pubblicato il 4 febbraio 2012 sull’autorevole International Financing Review (si veda il sito ifre.com) e ripreso sul sito linkiesta dal giornalista economico Nicolò Cavalli, articolo che getta luce su un importante aspetto della composizione del debito pubblico del nostro Paese e, quindi, sulla sua sostenibilità. Si tratta di capire, infatti, quanti derivati possiede il Ministero dell’economia e delle finanze italiano nel suo portafoglio;

come riportato quasi un anno fa dal Wall Street Italia, il New York Times ha sostenuto che, a partire dal 1996, l’Italia avrebbe «truccato» i propri conti utilizzando derivati grazie all’aiuto di JP Morgan;

su questo argomento tutti i Governi succedutisi nel tempo hanno mantenuto uno scrupoloso silenzio, anche quando, il 19 dicembre del 2009, il Fatto Quotidiano aveva segnalato uno strano fenomeno: i tassi di interesse scendevano, ma lo Stato continuava a pagare sempre lo stesso tasso sullo stock di debito;

i dati Eurostat rivelano che il Ministero dell’economia e delle finanze italiano ha utilizzato massicciamente i derivati, in particolare dal 1998 al 2008, utilizzando cross currency swap e interest rate swap, ma anche cartolarizzazioni. Ciò che si sa dai dati Eurostat è che l’Italia ha guadagnato su questi strumenti almeno fino al 2006, anno in cui la tendenza ha iniziato ad invertirsi e le perdite hanno iniziato a materializzarsi. Per gli anni successivi non esistono dati accertati, a causa dell’assenza di informazioni provenienti da fonti ufficiali;

la maggior parte delle stime sostiene che i derivati del Ministero dell’economia e delle finanze abbiano un valore di circa 30 miliardi di euro, e molti banchieri sostengono che l’Italia sia il più grande utilizzatore sovrano di strumenti derivati. Ciò non sarebbe un problema in sé, se non fosse che l’opacità informativa rischia di alimentare dubbi circa la sostenibilità di questo stock di contratti, in particolare in un momento in cui nessun Paese è bersagliato come l’Italia, con 29 miliardi di dollari di scommesse contrarie su oltre 7500 contratti di solidarietà;

la questione è tutt’altro che irrilevante: l’articolo di Ifre prende l’esempio di Morgan Stanley, che ha recentemente ridotto la sua esposizione in swap verso l’Italia di circa 3,4 miliardi di dollari. Se questo interest rate swap fosse stato ristrutturato e assegnato a un’altra banca, allora l’Italia non sarebbe stata particolarmente toccata dalla vicenda. Ma se lo swap fosse stato chiuso, allora l’Italia avrebbe dovuto pagare almeno 2 miliardi di euro;

l’European Bank Authority riporta che l’Italia è esposta per 5,1 miliardi di euro in swap verso le banche europee e ciò non include quelle statunitensi, quelle svizzere né quelle inglesi. Se gli investitori decidessero di chiudere queste posizioni, che sono peraltro più costose con il nuovo regime regolatorio, l’Italia si troverebbe d’improvviso a dover pagare svariati miliardi di euro -:

quale sia la reale esposizione italiana al rischio sopra indicato e come possa incidere sulla tenuta dei conti pubblici italiani.

(2-01385) «Borghesi, Donadi, Mura, Messina, Barbato».

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Will Italy Fight for Greece Self-Determination?

Today at the School of Law of the University of Nottingham takes place the second Greek Public Policy Forum.

Τhe “Greek Public Policy Forum” is an initiative led by a number of university scholars and more generally by people who actively participate in public debate, the society and the markets. Their ambition is to establish a tribune for quality dialogue about the challenges that Greece and the EU are facing. They aim is to convene regular meetings and workshops in Greece and abroad. The purpose of these meetings will be to offer a well-organised basis for dialogue on Greek and EU politics. I will ask if possible my colleague Aris Georgopoulos in the next few days to tell us a bit more of how the meeting went.

However, I should warn us and them that an Italian active blog has interviewed just today a not better specified European Commission source (in Italian), which argued that Germay will be pushing in the next few days the Eurogroup and  the European Council to create 2 escrow accounts managed by the EU:

a) the first where the bail-out funds that have just been approved for Greece will be handled and, more importantly

b) a second account that will manage the revenues from taxation to Greeks before redistributing them.

“È una soluzione dolorosa, ma necessaria. Ci siamo resi conto che  i greci semplicemente non sono in grado di autogestirsi, spiace dirlo, ma è così”. Which translated in English looks like: “it is a painful solution, but necessary. We realized the Greeks are simply not capable to manage themselves. It is sad to say, but it is the truth”.

Stunned. No taxation without representation, we were always told. Greece – if this move were to be approved – would by any standard be considered a colony by Europe, and Germany especially. We hope Italy will fight and oppose with all its energy this decision.

Because …

Because there will be never a Europe made of inferior countries and superior countries. Never. If this is the Europe we have in mind, I sadly hope Greece will first exit the euro.

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Le magiche riforme che non servono a salvarci

Lo spread Italia- Spagna è tornato ai livelli di luglio 2011, circa 33 punti base a nostro favore. Indice che la che il Governo Rajoy non convince troppo i mercati e che Monti da garanzie.

Francesco Giavazzi, che sostiene altrettanto, si preoccupa che non si debba abbassare la guardia. Concordiamo.

Il decreto liberalizzazioni a lui appare sgonfiato nel suo potenziale. Concordiamo, anche se probabilmente rispetto a lui non abbiamo mai pensato che anche al massimo del suo potenziale avrebbe fatto gran che. Ed il fatto che i mercati poco si preoccupino dei rallentamenti e dell’annacquamento del testo avvenuti pare confermare tutto ciò.

Finalmente poi parliamo di numeri. Francesco ci dice che “il governo continua a costruire i propri programmi sull’ipotesi che l’economia nel 2012 si contragga dell’1 per cento”: a noi risulta che la manovra Monti si sia basata su una crescita dello 0,5%, sarebbe interessante capire da dove trae queste notizie.

Ma soprattutto fa bene a ricordare che “il Fondo monetario internazionale prevede un -2,2% e i maggiori investitori internazionali una forchetta fra -2%, nell’ipotesi più favorevole, e -4% in quella meno favorevole, con una mediana di -3%. Con questi numeri il deficit rimarrà sopra il 4% del Pil e il debito ricomincerà a crescere”. P.S.: e chissà da dove vengono questi numeri, peccato che non ce lo dica: forse da manovre fiscali assurde in recessione?

Comunque sia, da qui, come al solito succede, si dividono le nostre strade sul da farsi.

“Come lo spieghiamo a quegli stessi investitori e ai nostri partner tedeschi, ai quali abbiamo ripetutamente promesso il pareggio di bilancio nel 2013?”. Beh, risposta, i mercati già lo sanno, ovviamente, sanno che non si raggiungeranno quegli obiettivi ma vi si tenderà più lentamente e che ciò è un’ottima cosa visto che con i numeri peggiori di crescita che deriverebbero da una ulteriore folle manovra (magari anche per recuperare il costo dei derivati chiusi ieri con Morgan Stanley) l’economia si allontanerebbe ancora di più dalla stabilità di bilancio. Eh già, funziona così l’economia: senza crescita non c’è stabilità.

Francesco sembra (meglio rimanere dubbiosi) comunque condividere questa idea quando poi chiede maggiore crescita: “c’è un solo modo per uscire da questo guaio. Convincerli che la recessione del 2012, per quanto grave, è un fatto transitorio e che le norme che stiamo approvando segneranno davvero un cambio di passo. Bruciata, purtroppo, la carta delle liberalizzazioni, rimane solo la riforma del mercato del lavoro.”

Ha ragione da vendere Giavazzi quando dice che il punto chiave è far sì che questa crisi sia TRANSITORIA e non si allunghi, perché se si allunga, diciamo noi da tempo, salta l’euro. Ma come pretendere di rendere transitoria una crisi con una riforma strutturale 1) di lungo termine e 2) che renderebbe i licenziamenti più facili? Come?

Ecco. Ripetiamolo. L’Italia del mercato del lavoro già flessibile secondo tutti i dati Ocse secondo Giavazzi uscirà dalla crisi TRANSITORIA con la riforma del mercato del lavoro che rende più facile tagliare i posti di lavoro per i giovani nuovi assunti. A parte che lui sembra avere una versione della legge Fornero su articolo 18 che a noi cittadini manca ["Il ministro Fornero ha pronto un testo incisivo, che prevede da subito interventi volti a eliminare la segmentazione tra precari e lavoratori a tempo indeterminato, e che modifica immediatamente l’articolo 18 per i nuovi assunti"] e saremmo grati se ci facesse sapere dove è scaricabile on-line, viene da sorridere al pensiero che questa crisi di questa gravità, così dominata da una crisi di domanda aggregata di famiglie ed imprese e mancanza di credito, venga risolta da un piccolo codicillo di cambiamento strutturale sul come assumono le imprese. Provate a chiedere ad un’impresa oggi quante persone assumerebbe con un tale (a noi ignoto) provvedimento. Noccioline. Se poi si pensa che questa riforma abbia effetti di lungo termine rivoluzionari, cosa che può pur essere ma cosa a cui noi non crediamo, rimane il punto che a nulla serve per farci uscire OGGI e subito da questa crisi e non distruggere per sempre piccole imprese, giovani che cercano lavoro, il FUTURO del nostro paese, risorse che non tornerebbero più. Perché così il primo a saltare con loro sarebbe l’euro, accusato come in Grecia di generare sofferenza, sacrifici, dolore e non speranza, prosperità, pace e felicità, i motivi per il quale l’abbiamo creato.

L’Italia deve rendere subito più facile produrre e occupare, non licenziare. Ecco l’unico modo per rendere transitoria questa crisi. Per fare ciò la soluzione è ovvia: 1) come ha fatto Obama, spendere di più con lo Stato con un piano straordinario di appalti pubblici che coinvolga solo le PMI – come chiede Sarkozy – e volto a ristrutturare tutte le nostre scuole ed ospedali su tutto il territorio; 2) spendere ancora di più e tassare (specie le piccole imprese) meno con l’identificazione degli sprechi della spesa pubblica, funzione affidata subito ad un’Autorità Anti Corruzione a cui inviare tutti i dati in tempo reale sugli appalti pubblici effettuati in Italia e con potere immediato di sospensione degli effetti della gara e verifica ispettiva; 3) assunzione a tempo determinato di un milione di giovani a servizio della Pubblica Amministrazione nei luoghi strategici che hanno bisogno di aiuto per supportare meglio cittadini ed imprese: tribunali, ospedali, scuole, musei, luoghi di turismo culturale; 4) battaglia vera e seria all’evasione con contestuale riduzione del costo del lavoro per le imprese.

Il debito pubblico su PIL crollerà e saremo usciti fuori dalla crisi. Se vogliamo parlare di altro, come abbiamo parlato per mesi delle magiche liberalizzazioni, facciamolo, tanto siamo professori e ci piace parlare. Parliamo della magica riforma del lavoro che nulla cambierà. Ma il paese ha bisogno di ben altro.

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The (New) Dutch Disease

In the second half of 2011 the Dutch economy experienced a sharp downturn, recording negative q-o-q growth of 0.4% in the third quarter and 0.7% in the fourth quarter, in and implying that the Netherlands is now in a recession. Both quarterly growth rates are significantly lower than the corresponding projections of 0.1% and 0.0% in the autumn 2011 forecast. This reflects a pronounced weakening of both internal and external demand. Consumer confidence, which was already markedly negative in the summer, deteriorated  further at the end of 2011 and was at its lowest level since 2003 in January 2012. For 2012, the outlook for growth remains subdued. Real GDP is projected to decrease by 0.9%, a marked deterioration compared to the autumn 2011 forecast, which projected modest positive growth of 0.5%. The growth rate of private consumption – already negative for four consecutive quarters in 2011 – is expected to remain negative in 2012, as a result of government consolidation measures, mainly affecting households, and negative wealth effects. The latter mainly emanate from falling prices in the housing market. On top of this, announced pension cuts as of 2013, along with the expectation of additional consolidation measures, may give rise to anticipatory behaviour by households in the form of precautionary savings. Investment is likely to remain weak, on the back of the weak growth.

From the European Commission Interim Report

The term Dutch disease was coined in 1977 by The Economist to describe the decline of the manufacturing sector in the Netherlands after the discovery of a large natural gas field in 1959. The mechanism is that an increase in revenues from natural resources (or inflows of foreign aid) will make a given nation’s currency stronger compared to that of other nations (manifest in an exchange rate), resulting in the nation’s other exports becoming more expensive for other countries to buy, making the manufacturing sector less competitive. Wikipedia.

There is today a new version of Dutch disease circling around, beware. The new version of the Dutch disease explains a decline in economic activity after the discovery of a new field of austerity in 2012. Welcome to the Club, the Netherlands.

Now, allying with the socialists – that favor less austerity and a Spain-like approach to the budget deficit, that implies not reaching the goal of 3% of GDP for this year – implies for the current conservative government escaping the mortal embrace of the far-right wing party Geert Wilders’, Party for Freedom (PVV – 14 per cent),  which in the past 2 years has climbed in the polls also thanks to the bad handling of this recession by the EU. In Wilder’s party website you can read statements like: “Do you have problems with people from Central and Eastern Europe? Have you lost your job to a Pole, Bulgarian, Romanian or other Eastern European? We want to know”.

How far do we want to take stupidity in Europe? Is it not clear that the Austere Fiscal Pact destroys the European social tissue and favors extremist parties? Really not clear?

Picture by Van Gogh, the Wood cutter.

Thank you Ale.

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Per chi non legge i libri di storia ed economia

Cresce il numero di Paesi che, rifiutandosi di allinearsi ai diktat dello stupido Patto Fiscale, dicono no alle richieste di deflazionare l’economia in questo momento di difficoltà. E rendono sempre meno credibile il Patto stesso, che ripete gli errori dell’inizio del secolo con il patto di stabilità e crescita, allora definito stupido da Prodi.

Addirittura tocca ora alla conservatrice Olanda, vicina culturalmente ai tedeschi.

Che nella seconda metà del 2011 è entrata (secondo la Commissione Europea … a sorpresa) in recessione. Fiducia dei consumatori ai livelli più bassi dal 2003 e domanda interna che crolla a seguito del consolidamento fiscale.

Oggi si vota per il leader del partito socialista olandese. Partito che si oppone al raggiungimento del previsto deficit di bilancio per il 2012, come ha fatto Rajoy in Spagna.

L’alternativa per l’attuale governo conservatore? Semplice. Allearsi con il partito per la libertà, in crescita nei sondaggi nazionali grazie alle magnifiche conseguenze della stupida recessione che avremmo potuto evitare. Peccato infatti che il partito è xenofobo e punta alla distruzione dell’Unione europea, specie rifiutando l’ingresso a cittadini dell’Europa dell’est.

Non mi capacito. Stiamo, per la pervicacia tecnica di chi pare non avere letto un libro che è uno di quella economia politica che insegniamo agli studenti del primo anno, introducendo una dimensione sociale di intolleranza e estremismo in Europa che pare provenire da chi non si sia letto un libro che è uno di storia che insegnano (gli storici) al primo anno di Università. Fermate la corsa del folle treno.

Grazie Ale.

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Il muro di gomma dei derivati dei Governi europei

Sono passati 12 anni da quando scrissi il libro sull’uso improprio (ma non illegale) che alcuni Governi dell’Unione europea (il cui nome mai feci e mai mi interessò di fare) fecero degli strumenti derivati per entrare nell’area dell’euro riducendo in maniera poco trasparente la loro spesa per interessi.

Il libro fu rapidamente coperto dalla polvere del disinteresse mediatico. Il Consiglio europeo di Parigi mi convocò quasi 10 anni dopo alla luce dei trucchi greci ed ebbi modo di dare, per le prima volta in 10 anni, la mia opinione che potete leggere qui: discussion.

La transazione di cui si parla oggi, in cui il Governo italiano apparentemente avrebbe pagato circa 3,4 miliardi di dollari alla banca Morgan Stanley (3,4  miliardi di dollari, circa 2,5 miliardi di euro, circa 0,2% del PIL, mio Dio, un pezzo di manovra che va in fumo, è una cifra pazzesca, ce ne sono altre?) non è detto che faccia parte di quelle transazioni di cui parlavo allora.

Ma è proprio questo il problema: che ancora, a distanza di quasi 20 anni dalla firma di quei contratti nulla sappiamo. Perché? Perché?

Perché?

Smetto di torturarmi e mi limito a sottolineare la scandalosa servitù della stampa di allora e ancora di oggi che non ebbe/ha il coraggio, la voglia, la curiosità, il senso del dovere di vederci più chiaro. Altro che Quarto e Quinto Potere. Quarta e Quinta Servitù. Responsabilità morale enorme quella della stampa, quasi uguale a quella di chi quelle operazioni firmò e condusse nel silenzio e nell’oscurità.

Ma a poco serve indignarsi oggi. Basta lamentarsi. E’ tempo solo di porre fine a questa commedia tragica che così tanto è costata ai contribuenti europei ed alla costruzione europea. Una volta per tutte:

a) La Banca Centrale Europea di Mario Draghi faccia quello che non ha fatto la Banca Centrale Europea di Jean-Claude Trichet in questi anni e risponda all’interrogazione dell’agenzia di stampa Bloomberg sui contenuti dello/degli swap greco. Non vi è nessuna ragione al mondo per mantenere il segreto su quanto avvenne allora. Vi sono una buona decina di ragioni per essere trasparenti al riguardo.

b) La Commissione europea pubblichi tutti i dati dei derivati dei paesi dell’Unione europea dal 1990 ad oggi e renda obbligatorio da ora in poi la pubblicazione sui siti europei e nazionali delle nuove operazioni di derivati.

c) Il Governo Monti anticipi la Commissione europea e rimuova ogni ambiguità rivelando tutte le posizioni aperte in derivati ed il loro valore di mercato da parte del Governo italiano.

d) La stampa europea dia un segno di esistenza non supina e richieda a gran voce che i punti a) e b) siano assolti. Ogni giornalista italiano inviato a qualsiasi conferenza stampa del Presidente  del Consiglio o di esponenti del Ministero di Economia e delle Finanze da ora in poi ponga come prima domanda la domanda c). Ogni quotidiano tenga in prima pagina questo quesito fino a che ad esso non sia data risposta.

Tanto meritano i cittadini italiani. Nulla di più nulla di meno. Trasparenza e verità.

Post Format

Golden Nation

Pubblicato oggi sul Foglio.

C’è un paradosso nell’attuale discussione sulla disciplina della golden share in Italia, sorta per venire incontro ad una minaccia di deferimento alla Corte di Giustizia europea da parte della Commissione Europea, che vede in essa un ostacolo alla libera circolazione dei capitali.

Un paradosso che ha a che vedere con il rischio di andare controcorrente rispetto ad un trend chiaramente nazionalista che percorre e scuote in queste settimane tutta l’Europa. Sono questi i giorni in cui il Presidente Sarkozy chiede sia di rimettere mano alla costruzione europea con un Buy European Act negli appalti pubblici che la revisione degli accordi di Schengen. Sono i giorni in cui il governo della Cancelliera Merkel riduce la libera mobilità del lavoro nell’Unione europea eliminando i sussidi di disoccupazione per i lavoratori provenienti da altri paesi dell’Unione. In cui il Primo Ministro Rajoy mostra un qualche orgoglio e rinvia il rientro dei deficit pubblici al 2013 vista la grave recessione in cui versa il suo Paese. Sono anche i giorni in cui l’Irlanda se la prende comoda sulla data del necessario referendum sul Fiscal Compact, in attesa che – così sostengono gli esperti locali – le elezioni francesi, nel caso in cui venisse eletto Hollande, rimettano in discussione l’intera nuova costituzione fiscale recentemente approvata ma ancora da ratificare a livello dei singoli Stati.

Insomma sono giorni in cui i leader nazionali vogliono e possono discutere e imporre agende nell’interesse nazionale piuttosto che quello continentale e comunitario. Interesse che, nello specifico della golden share, molti hanno già avuto modo di rappresentare: la Germania con il caso Volkswagen, ma anche Spagna, Belgio, Francia, sinora debolmente contrastati dalla Commissione Europea.

Il ddl Moavero abbandona la protezione di aziende specifiche per concentrarsi su settori strategici (difesa, Tlc, trasporti, energia) , limita (se così dovesse ritenere di stabilire l’esecutivo allora in carica) il possesso azionario di queste società a quota 3%, concentra la sua attenzione su particolari attività rilevanti dell’impresa (approvvigionamento, sicurezza delle informazioni, fusioni, acquisizioni extra Ue) su cui esercitare un potenziale veto. Insomma, una proposta che mostra un certo attivismo non supino verso Bruxelles.

Eppure resta una perplessità. Una volta identificati i settori strategici, perché legarsi così tanto le mani limitando il numero di situazioni rilevanti su cui porre il veto, che in realtà potranno essere diverse, complesse e poco prevedibili? Perché non lasciare, come negli Stati Uniti, le decisioni chiave ad una Commissione (Cfius) che verifichi lo specifico di qualsiasi proposta di acquisizione in tali settori? E perché legarci le mani vietando le acquisizioni delle nostre aziende strategiche da parte della galassia extra UE mentre si autorizzano quelle all’interno dell’Unione, quando spesso i nostri partner europei hanno mostrato una chiusura nazionalista convinta e senza timori ed altri paesi non UE invece una disponibilità a reciprocare nostre aperture con la contendibilità delle loro aziende? Tanto più che la nazionalità dei singoli acquirenti è questione quanto mai complicata da stabilire, visto che investitori extra Ue possono “euro-vestirsi” con felicità tramite intermediari e fondi.

Finché le nazioni dell’Europa non si saranno mosse decisamente via da un’unione di Stati verso uno Stato Federale con obiettivi strategici europei condivisi, il Governo Monti avrebbe tutte le ragioni per mantenersi le mani pienamente libere sulla golden share, senza precostituirsi in un atteggiamento protezionistico ma senza neppure cedere a priori su decisioni che potremmo poi al dunque rimpiangere di non aver potuto valutarle fino a fondo nella loro specificità.

Il paradosso attuale di un’Europa delle nazioni sempre più forte e di una Nazione europea sempre più debole ci deve far capire che solo in un’Europa in cui ogni Stato si sente a suo agio, vedendo rappresentato il suo interesse, vi sarà la possibilità di arrivare un giorno alla costruzione di una casa comune basata su fondamenta solide e condivise. Insomma, la partita della golden share può essere il segnale forte e non solo simbolico che l’Italia è rientrata definitivamente al tavolo europeo come attore di primo piano nelle decisioni che contano.