“Quando, nel 1400, i lavori di costruzione del Duomo di Milano s’interruppero, ad esempio gli architetti impegnati nel progetto s’impegnavano in accesi dibattiti pubblici su quale forma di arco fosse più resistente. Entrambe le fazioni misero in chiaro di considerare impossibile uno svolgimento rigoroso di tali discussioni senza ricorrere alla matematica ed alla filosofia naturale aristotelica.” Grafton (2003).
Il collega Nicola Persico si diletta con esperimenti di centralizzazione stile anni cinquanta quando chiede che l’Italia produca più ingegneri e meno filosofi, come Singapore. Le sue conclusioni, certamente motivate da tanta buona volontà, sono pericolose quasi quanto quelle che hanno abbondato, appunto, nel XX° secolo, con esiti mostruosi e disastrosi.
Quanti errori contiene la logica che guida Persico? Non pochi.
1.Presume che si possa orientare una società verso certi obiettivi produttivi anche se questa non ha la tecnologia per raggiungerli. In particolare, se non vi è un mercato di sbocco vibrante per gli ingegneri, produrremmo disoccupati o disadattati. Quanti geniali e infelici matematici ha prodotto la pianificatrice Unione Sovietica? E con che impatto per quell’economia?
2.Presume che la crescita di un paese dipenda dal suo livello di istruzione. E non viceversa. Eppure è probabile che gli individui abbiano voglia di andare a istruirsi se ne raccolgono i frutti. Non è un caso che nessuno in Italia (o quasi) finisca l’università dato che l’economia là fuori non cresce e dunque non premia la (maggiore) conoscenza.
3.Se proprio di un qualche esperimento centralizzato in Italia si può parlare è quello della pervasiva politica, e dell’industria delle lobby, che recluta persone con conoscenze giuridiche. E infatti i dati parlano chiaro: la nostra vera differenza, che spicca, rispetto a Singapore, è quella dei giuristi, ben più presenti che i filosofi nella penisola. Attività, quella dei giuristi, spesso più di redistribuzione della ricchezza che di creazione della stessa.
4.Ma non diamo colpa ai giuristi. Chiediamoci piuttosto: come sarebbe il mondo se tutti i Paesi fossero uguali? Se tutti fossero come Singapore? Con una gigantesca offerta di ingegneri ben presto il loro salario crollerebbe e qualcuno comincerebbe a cercare altri mestieri. Non sarebbe il caso di chiederci se non sia vero che il mondo ha bisogno non solo di ingegneri ma anche di altre professioni? Di avvocati, operai, musicisti, scienziati, architetti, cuochi, agricoltori, matematici, filosofi? Non è che per caso il mondo ha bisogno di varietà e non di grigia uniformità? E non è forse vero che in un mondo globalizzato questa varietà può prevedere una specializzazione differenziata tra paesi, magari basata su un vantaggio competitivo dovuto a fattori storici e altri fattori facilitanti?
5.Dico questo perché non è pensabile che un Paese ricco di storia e cultura – che il mondo ci invidia e che è fattore di export e ricchezza – non investa massicciamente nelle materie classiche, nella conservazione e valorizzazione del suo patrimonio e del bello. Ma dico anche che il mondo occidentale, che sta diventando l’industria dei servizi del mondo manifatturiero spostatosi verso l’Asia, ha bisogno di sapere fornire e produrre servizi di consulenza ad alto contenuto intellettuale, anche per gli studi di ingegneria di Singapore. E i servizi intellettuali che si danno con qualità richiedono capacità di analisi, di logica, la trasmissione di valori, che una laurea in filosofia fatta bene può dare più di qualsiasi altra. Non a caso alla Columbia University di New York i corsi di filosofia sono strapieni di studenti che poi andranno a lavorare nelle imprese, che hanno bisogno di pensiero critico.
6.L’Italia non ha bisogno di più ingegneri o più filosofi. Probabilmente ha bisogno di tutti e due. Di sapere pratico e teorico, dove, speriamo, gli ingegneri si ispirino agli ideali nel costruire ed i filosofi prendano spunto dalla realtà e dalla tecnica per pensare, come nel 1400. Ma il punto chiave è un altro. Il punto è che l’Italia deprime non gli ingegneri, ma le idee. Non premiando i giovani bravi, non aiutando i giovani più poveri ad educarsi ed istruirsi di più, non permettendo alle imprese piccole di svilupparsi, noi non sapremo mai qual è la nostra forza, qual è la scintilla che ci farà tornare a crescere. Potrebbero essere gli ingegneri, o i filosofi, o ambedue, magari lavorando assieme in tante case di consulenza. Non lo sapremo mai perché la loro impresa non vedrà mai la luce, a volte distrutta da uno stato invasivo e burocratico, a volte non protetta da uno stato debole, assente o corrotto.
Prima di svolgere esperimenti sull’Uomo come quelli proposti da Persico, diamo la possibilità all’Uomo di sperimentare i suoi talenti. Diamogli questa libertà. Allora vedremo la bellezza e la felicità.