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Della follia delle tasse per il terremoto alla bellezza dei giovani al lavoro nelle zone colpite

Sento ora circolare l’idea: “si spende di più per i terremoti, ci sono meno soldi da spendere per il resto” oppure “tassiamo per trovare le risorse per pagare le spese alle zone colpite”.

C’era un signore, un economista. Mica l’ultimo arrivato. Si chiamava Ricardo. E diceva una cosa che è diventata così importante da dargli un nome importante: “l’equivalenza ricardiana”. La insegno con gusto all’università. E’ un teorema intelligente, semplice e raffinato, che dice pressapoco così: “non importa come la compri la camicia, se con la carta di credito o col contante”, conta che sia buona la camicia. Tradotto: non conta come finanzi la spesa pubblica, con debito o con tasse, conta cosa ci fai con la spesa, se la fai di buona o cattiva qualità.

La bellezza del teorema dell’equivalenza è che vale solo sotto certe condizioni. Se queste saltano, allora salta l’equivalenza e conta come ci si finanzia. In particolare, quando le tasse hanno dei costi sociali e riducono l’attività economica, si dimostra che, per assicurarsi un certo gettito a fronte di spese impreste e temporanee, è meglio farlo con piccoli aumenti di tasse prolungati nel tempo piuttosto che in una sola volta. Intuitivo abbastanza. Sapendo che vi devo levare 100 euro dal portafoglio preferite che ve li levi tutti subito o 1 euro al mese per i prossimi 100 mesi? Spesso rispondereste: “la seconda”!

Il che significa anche, per tornare a noi, che quando dovete fare una spesa pubblica transitoria (come quella per fronteggiare i danni del terremoto), tutto il mondo sa che per finanziarla è meglio aumentare le tasse meno di quanto aumenterà la spesa, cioè fare deficit pubblico, e poi continuare a tenere le tasse quel poco più alto di cui c’è bisogno anche dopo che la spesa temporanea è finita, così rientrando nel tempo dal debito creatosi. Non è essere a favore del debito, è essere a favore del benessere dei cittadini tenendo conto dei vincoli finanziari, avrebbe detto Ricardo.

Ecco. E’ assurdo, assurdo, aumentare le tasse oggi per finanziare le spese dei terremoti, o ridurre altre spese, dello stesso ammontare. Fa male all’economia.

Altrimenti come aiutiamo le imprese delle zone terremotate se con una mano le aiutiamo e con l’altra inginocchiamo i loro mercati di sbocco (parlo con ciò non solo dei territori colpiti dal sisma)?

Ha ragione il Ministro Clini quando chiede comprensione alla Commissione europea per permettere l’aumento del deficit in questi momenti. Io non chiederei nemmeno il permesso e la comprensione, appellandomi alle circostanze eccezionali previste dal Trattato europeo.

Se non lo facciamo, non chiediamoci perché l’euro salterà: la stupidità europea non paga, la gente ha bisogno di idee giuste per adeguarvisi e sostenerle.

PS: E, già che ci siamo, metterei subito i giovani disoccupati e scoraggiati del nostro appello a lavorare (pagati) nelle zone colpite per aiutare imprenditori, ospedali, scuole, uffici, chiese ecc. Non solo servono e sono soldi ben spesi, ma cresceranno dentro, più donne, più uomini, esaltando così i loro enormi valori interiori così poco messi a disposizione del Paese. E non torneranno mai più disoccupati. Altro che PIL.

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A parziale errata corrige su Presidente Antitrust

Ricorderete forse il nostro (tanti economisti) appello per un Presidente dell’Antitrust economista e non giurista.

E soprattutto competente.

Ebbe un qualche risalto e fu ripreso da alcuni organi di stampa la nostra perplessità a fronte dell’ennesima nomina di un giurista, il Prof. Pitruzzella.

Ho saputo poche ore fa che lo stesso Presidente ha rimediato ad una arretratezza atavica della nostra Autorità rispetto alle migliori pratiche internazionali, e cioè l’assenza di un Capo Economista, nominando Andrea Pezzoli, che io personalmente considero un valente economista, a coprire tale ruolo.

Ruolo che avrà bisogno di essere potenziato e quel che vi pare. Magari il nostro appello sarà pure servito a rendere il Presidente più sensibile a queste questioni. Sta di fatto che l’ha fatto e gliene va reso merito. Lo faccio (a titolo personale, ma sono certo che molti miei colleghi firmatari sono contenti di questa decisione).

Bravo Presidente Pitruzzella.

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Consulting Review

Ieri a discutere per rappresentare lo stato della consulenza in Italia per la relazione annuale Assoconsult (presto il video). Tor Vergata (la mia università) partecipa – ricevendo ed elaborando i dati dell’industria della consulenza – tramite l’Osservatorio della Consulenza, gestito in comune tra le due istituzioni.

PS: Potrei avere dunque un conflitto d’interessi in quanto segue, ma è vero che è la nostra passione per questo argomento che ci ha portato a farci trovare da Assoconsult ed a fare ricerca insieme, perché ci crediamo molto. Quindi vado avanti.

A dirvi cosa. A guardare questo grafico. Lo stato di ritardo di questo settore (management consulting) che per noi pesa lo 0,2% di PIL mentre in Europa in media pesa più dello 0,5% e nel Regno Unito più dell’1%. Industria forte che esporta servizi. A chi? Ai paesi forti di manifatturiero ovviamente, come Cina ed India, che non hanno competenze analoghe nella consulenza e ne abbisognano. Una rete di intelligence industriale e ricchezza niente male.

E come mai la grandi potenze secondo voi hanno una grande industria della consulenza? Basta chiederlo al Regno Unito. Il 30% del suo fatturato è generato nel settore pubblico. Si chiama … politica industriale. Li si fa lavorare con la P.A., questi nostri consulenti, imparano il mestiere e poi… vanno a conquistare mercati altrove, nel mondo.

Da noi? Altro che 30%. Meno del 12%, 400 milioni. Una miseria. Che, se aumentata, porterebbe ad aumentare: a) competenze P.A. (e Dio sa se ne abbiamo bisogno per rilanciare la produttività del nostro sistema economico), b) occupazione e reddito in quel settore, c) capacità di competere da pari a pari sul mercato globale, con ulteriore reddito ed occupazione.

Ci vorrebbe poco per portare la macchina della consulenza a pieno regime verso la media europea dello 0,5% di PIL, bastano 4 miliardi di euro, da dedicare a gare per la consulenza su grandi progetti (spending review per assistere Bondi e sussidi per assistere le giovani start-up e le piccole e medie imprese nel migliorare i loro processi interni così da permettergli di internazionalizzarsi più rapidamente).

Ora attenzione. Questo non significa che si debba spendere di più sulla consulenza nel suo complesso. Anche perché le spese di consulenza “nominali” sono molto maggiori. Ieri Assoconsult ha fatto circolare i dati (e sono così pochi, i dati a disposizione, scandalo incredibile) che da anni si impegna a cercare di aggregare, per fare una vera e propria “consulting review” alla Pubblica Amministrazione. Dati 2011 ancora incompleti che non permettono un raffronto con il 2010, ma la musica cambia poco. Guardiamola insieme questa musica.

Notate. Una marea di contratti al di sotto dei 5000 euro, ovviamente ad una singola persona. Se chiudessimo il dato a 200.000 contratti per un valore medio di 2000 euro, parleremo di 400 milioni di euro, tanto quanto spendiamo complessivamente con le società di consulenza. Certo non sono tutti sprechi, ma dà l’idea della incredibile frammentazione dei servizi e della necessità di immaginare contratti quadro che possano spuntare condizioni migliori e risparmi. Molti di questi contratti sono bassi in cifra non perché non di valore, ma per le regole che vietano consulenze maggiori di una certa soglia. E il basso ammontare genera qualità peggiore e peggiore pubblica amministrazione.

La stima della spesa totale fatta da Assoconsult è di circa 1,8 miliardi di euro per questi “incarichi” vari e diversi sottosoglia. L’80,7% degli incarichi fa riferimento a prestazioni medico-sanitarie, consulenze tecniche, docenze e formazione, opere di progettazione e manutenzione, attività di studio e ricerca, consulenza e assistenza legale. Ad essi aggiungiamo gli enti in house della Pubblica Amministrazione che cubano (ma anche qui i dati scarseggiano) 10.000 addetti per le prime 20 Società in Italia.

Insomma spazio per metterci e trovare risorse per creare un nuovo settore strategico della consulenza italiana, che genera occupazione e reddito tramite export, che permette la crescita dimensionale delle nostre tante piccole e medie aziende di consulenza, c’è.

Ci vuole solo una rapidissima Consulting Review, che passi per la disponibilità dei dati e la fantasia di saper affiancare ad una PA che cresce una serie di intelligenze di cui il Paese dispone e che non trovano un mercato oggi. Molti di loro, ovviamente, sarebbero giovanissimi laureati.

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May 31st 2012, Dublin, Europe. Democracy no Matter What.

By a lonely prison wall, I heard a young girl calling Michael, they have taken you away, For you stole Trevelyan’s corn, So the young might see the morn. Now a prison ship lies waiting in the bay.

(Ritornello) Low lie the fields of Athenry Where once we watched the small free birds fly Our love was on the wing We had dreams and songs to sing It’s so lonely round the fields of Athenry.

By a lonely prison wall, I heard a young man calling Nothing matters, Mary, when you’re free Against the famine and the crown, I rebelled, they cut me down. Now you must raise our child with dignity.

(Ritornello)

By a lonely harbor wall, she watched the last star falling As the prison ship sailed out against the sky Sure she’ll wait and hope and pray, for her love in Botany Bay It’s so lonely round the fields of Athenry.

Traduzione Vicino a un solitario muro di una prigione Ho sentito una giovane ragazza chiamare: “Michael, ti hanno portato via, perché hai rubato il granoturco di Trevelyn Perché i bambini potessero vedere l’alba Adesso una nave prigione attende nella baia”

(Rit) Sono lontani i campi di Athenry Dove una volta guardammo gli uccellini volare Il nostro amore era “sull’ala” Avevamo sogni e canzoni da cantare È così solitario attorno ai campi di Athenry.

Vicino a un solitario muro di una prigione Ho sentito un giovane uomo chiamare: “Non importa, Mary, quando tu sei libera Contro la tirannia e la corona Mi sono ribellato, mi hanno fermato. Adesso devi crescere i nostri bambini con dignità”

Rit

Vicino a un solitario muro di un porto Guardava l’ultima stella cadere Quando la nave prigione partì verso il cielo Così visse sperando e pregando Per il suo amore in Botany Bay (il posto dove portavano i prigionieri) È così solitario attorno ai campi di Athenry.

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No ai tagli recessivi, sì al reinvestimento degli sprechi

Per coloro tra di voi che per fortuna non hanno familiarità con gli economisti, ecco di cosa parlano nei loro lavori scientifici.

Eh già. E pensate un po’, questo grafico è tratto da un articolo appena uscito di 3 bravi economisti di spessore internazionale. E sapete che vi dico? Che il loro articolo è interessante (ricordate sempre: non ancora pubblicato su rivista e quindi da sottomettere alla valutazione della comunità scientifica in maniera sistematica) e anzi quasi appassionante.

Oggi che siamo tutti così esaltati che tagliamo 4,2 miliardi di spesa senza pensare di re-immetterli (migliori e con meno sprechi) nell’economia e quindi causando un disastro di PIL che peggiorerà, altre piccole imprese che chiuderanno, maggiore disoccupazione, giovanile e non, oggi che siamo così poco lungimiranti, mi sono letto con gusto e con attenzione le loro considerazioni.

Che sono all’incirca le seguenti.

Quando un’economia è bloccata in una trappola recessiva dove i bassi tassi d’interessi della politica monetaria non aiutano a sollevare i consumatori da una situazione di pessimismo e dalla deflazione che mette in ginocchio l’economia: che fate?

Chi chiamate in soccorso? L’austerità o i maggiori acquisti di beni e servizi da parte dello Stato?

Dipende, dicono gli autori. Dal grado di pessimismo prevalente nell’economia: tenue, medio, ampio, estremo. E dalla durata dello stimolo fiscale positivo (Proposta Piga!!) o negativo (Proposta partito austerità!!).

Se fate politica espansiva con maggiore spesa pubblica per tirare fuori l’economia dalle secche della crisi, tanto maggiore è il pessimismo prevalente tanto maggiore è la maggiore spesa pubblica necessaria da effettuare per un certo periodo di tempo. Se poi il periodo di maggiore spesa pubblica è più breve allora si deve compensare con un maggior ammontare dello stimolo. E ci si riesce, a uscire dalla crisi.

L’austerità? Al contrario dell’espansione ha comunque bisogno di maggiore tempo per funzionare. Come se avessimo a disposizione… E comunque se le aspettative dei consumatori sono molto pessimiste … non funziona mai per risollevarci dalla crisi. Come volevasi dimostrare.

Auguri dunque al partito dell’austerità? No, perché ci perdiamo tutti. Tagliare di 4,2 miliardi la spesa pubblica, come vuol fare il Governo, del circa 0,25% di PIL, senza reinvestirla in maggiore e migliore spesa pubblica, ora che nessuno domanda nell’economia, è una ricetta per il disastro.

0,25% di spesa pubblica di meno con stime normali del moltiplicatore significa dallo 0,25 a 0,5% di PIL in meno. Calo di PIL che genera anche un calo del gettito tributario (meno domanda, meno occupazione, meno reddito, ricordatevi!) dello 0,25% di PIL circa. Quindi, con questa spesa pubblica in meno avremo diminuito la spesa di tanto quanto diminuiranno le entrate, lasciando deficit e debito invariati, ma, attenzione, con meno PIL, dunque con un rapporto debito su PIL che continuerà a crescere, lasciando lo spread invariato dove sta.

Reimmettendo questi 4,2 miliardi nell’economia con maggiore spesa per ridipingere scuole, ospedali, università, carceri, musei, rovesciando la logica, avremo più crescita e più stabilità e minori spread.

Cosa aspettiamo per salvare la nostra economia? Cosa?

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Madame Lagarde et la Grèce

For those who think that the worse the IMF can do to Greece is what Madame Lagarde said yesterday (“I think more of the little kids from a school in a little village in Niger who get teaching two hours a day, sharing one chair for three of them, and who are very keen to get an education,” she said in an interview with the U.K.’s Guardian newspaper published Saturday.  “I have them in my mind all the time. Because I think they need even more help than the people in Athens. So, you know what? As far as Athens is concerned, I also think about all those people who are trying to escape tax all the time“) think again.

There is much worse than that. Like, consistently forecasting the wrong impact of IMF and EC-led austerity policies on Greece for at least the last 3 years.

From Dani Rodrik’s blog, here are the constant updates over these years of the Greek economy tendencies, always based on an overestimate of economic growth following austerity recommendations by various institutions, the IMF included.

These estimates had a strong political content: they have been used over and over again to minimize the impact of austerity. To be fair with the IMF, it has also recognized its mistakes on dealing with Greek policy , but the recommended stance has remained austerity-based all along.

Why have these mistakes occurred? Partly because it is hard to disintangle exogenous events that can always affect estimates. But there can be another source for these mistakes: political pressure on the IMF.

These political pressures were mentioned by the IMF itself. Indeed, the IMF had been here before, during the 2008 crisis, when it asked itself, in one of the few relevant self-examinations of its past mistakes (IMF Performance in the Run-Up to the Financial and Economic Crisis: IMF Surveillance in 2004-07 ) whether it had done all it could to live up to the standards of the IMF mission, and the answer was a “maybe” at best:

The IMF’s ability to correctly identify the mounting risks was hindered by a high degree of groupthink, intellectual capture, a general mindset that a major financial crisis in large advanced economies was unlikely, and inadequate analytical approaches. Weak internal governance, lack of incentives to work across units and raise contrarian views, and a review process that did not “connect the dots” or ensure follow-up  also played an important role, while political constraints may have also had some impact.

One might think that, in the case of Greece, political pressure would come from Greek politicians to “window-dress” accounts. Laughable. Nothing would be more distant from the true source of dangerous pressures. The IMF should have instead been capable of defending itself from pressure from the banking sector and governments that had an interest in the reimbursement of Greek debt no matter what. A selected group of institutions to which the IMF can hardly resist to listen, unlike to a weak Greek government.

Key question: what steps has the IMF adopted to resist such pressures that can affect forecasts and in turn the right recommendations of economic policy?

The same 2008 report claimed in its conclusions:

On issues of systemic importance, the Fund should be ready to err more often in the direction of emphasizing risks and vulnerabilities, rather than focusing on possible benign scenarios. This change in approach would need to be discussed and agreed by the membership at large.”

Well, take a look at the above scenarios and their updates: it does certainly not look like an institution, the IMF; that has erred on the size of emphasizing risks and vulnerabilities.

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Sì all’Europa sovrana, no alla sovra-Europa

Ho sempre pensato che vi fosse qualcosa di significativo quando personaggi rilevanti appartenenti ad istituzioni di una qualche altrettanto significativa rilevanza, nel corso di un loro discorso ufficiale, deviano dal sentiero prescritto dallle pagine bianche con caratteri neri e parlano a braccio, aggiungendo dettagli che tradiscono una voglia di dire di più senza lasciarne troppe tracce ufficiali.

Lo ha fatto ovviamente anche Mario Draghi alla Lezione Federico Caffè ascoltabile su Radio Radicale ma il cui testo ufficiale è stato distribuito nel corso della giornata ai presenti e in cui si legge:

“… la crisi economica e finanziaria ha messo in discussione la convinzione miope che un’unione monetaria potesse rimanere solo tale, senza evolversi verso qualcosa di più stretto, più vincolante dove la sovranità nazionale sulla politica economica fa posto alla decisione economica. INTERRUZIONE N. 1 Occorre che i governi dei paesi membri dell’euro definiscano in modo congiunto ed irreversibile [grande enfasi su questa parola da parte di Draghi nel video, NdR] la loro visione di quale sarà la costruzione politica ed economica che sorregge la moneta unica e quali debbano essere le condizioni che vanno soddisfatte perché si possa insieme arrivare a tale meta. Questa è la risposta più efficace alla domanda che si leva da ogni parte: “cosa sarà dell’euro tra 10 anni“? INTERRUZIONE N. 2″

Questo il testo ufficiale di Draghi. Avete visto due interruzioni. Eccole.

La prima: “Tenete presente che molti avevavno rilevato questo …il Presidente Ciampi aveva parlato di zoppia, … sin dalla firma del Trattato di Maastricht, ma i tempi erano diversi, le cose andavano meglio, e quindi quegli anni, in cui effettivamente si potevano fare molte cose in più, sia dal punto di vista interno sia dal punto di vista internazionale, son passati senza che si facesse molto. Quindi occorre che la sovranità nazionale sulla politica economica faccia ora posto alla decisione comunitaria“.

La seconda: “E questa è essenzialmente una decisione di carattere politico. Bisognerebbe in un certo senso tornare indietro ed applicare lo stesso metodo che fu applicato con la costruzione dell’Unione monetaria: nel 1988 uscì il primo rapporto, si delineava una strada, delle date, e delle condizioni che andavano soddisfatte. Questo dette ai mercati una certezza straordinaria, per cui noi beneficiammo di tassi d’interesse immediatamente molto più bassi. Alcuni di voi ricordano quello che successe nel 1992: ci fu il referendum danese che mise in discussione l’intero tragitto verso l’Unione monetaria. Immediatamente i tassi d’interesse salirono, raddoppiarono nel corso di un’estate.”

Insomma cresce con grande velocità il consenso di alcuni personaggi ai vertici europei e nelle pagine dei giornali per un passaggio a una forma di “Stati Uniti di Europa” basata sulla ulteriore cessione di sovranità di politica economica da parte dei singoli stati. Basta leggersi Pisani-Ferry,  membro del Consiglio di analisi economica del Primo ministro francese ieri sul Sole 24 Ore che con strabiliante somiglianza con il “fuori onda” di Draghi ricorda come: “In quel periodo  [fine anni 80, NdR] i leader politici, soprattutto il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il presidente francese François Mitterrand e il suo successore Jacques Chirac, affrontarono il mare con una nave leggera. Sul fronte economico, trovarono un accordo solo su un’Unione economica e monetaria ridotta all’osso, costruita intorno alla rettitudine monetaria e a una promessa inapplicabile di disciplina fiscale. Sul fronte politico, non trovarono alcun accordo, così che la creazione di un governo europeo morì sul nascere…. Saranno d’accordo nel mettere in comune le entrate fiscali in modo tale che le istituzioni a livello Ue possano verosimilmente farsi carico della stabilità finanziaria? Queste domande sono vitali per il futuro della moneta unica europea. Per quanto contrariati, i leader europei devono rassegnarsi all’idea di dare delle risposte, e senza troppo indugi. L’ironia storica è che un ambiente di crisi sta spingendo gli europei a fare delle scelte che non avrebbero neanche contemplato in tempi più tranquilli. La crisi del debito greco li ha indotti a creare un meccanismo di assistenza. La crisi spagnola potrebbe spingerli a creare un’unione bancaria. E la minaccia dell’uscita della Grecia dall’euro potrebbe indurli a decidere quanto siano disposti ad abbracciare un’unione fiscale radicale. Per molti, i recenti eventi segnano l’inizio della fine per l’ardita creazione degli architetti dell’euro. A seconda di come gli europei risponderanno a queste domande, le crisi odierne potrebbero essere ricordate un giorno come la fine dell’inizio.”

Basta leggersi il tracciato che indica, però in questo caso scetticamente, Martin Wolf dalle colonne del Financial Times quando ricorda che gli Stati Uniti di America dopo la guerra d’Indipendenza, e più precisamente su ordine del suo primo Ministro del Tesoro, il padre fondatore Alexander Hamilton, emisero debito federale, sostituendolo al debito degli Stati, scelta da cui emerse “il moderno stato federale, con vincoli sui bilanci dei singoli stati, una banca centrale e un bilancio federale per stabilizzare l’economia”.

Ma, aggiunge Wolf, emerse lentamente, non rapidamente, con, aggiungo io, un’altra guerra interna di mezzo per avvicinare le diverse culture del Paese ed unificarlo. Lo Stato centrale di fatto emerse fortemente con Roosevelt e così la preponderanza del debito federale su quello statale. Basta guardarsi i dati del debito locale (rosso), statale (blu) e federale (verde) in percentuale del PIL nel XX° secolo per capirlo:

Nella prima metà della vita degli Stati Uniti la Banca Centrale non c’era, il bilancio federale era minimo, ai problemi di finanza pubblica degli Stati si veniva incontro con il default a carico dei mercati o alla rinegoziazine di esso quando possibile. Cosa che non abbiamo fatto con la Grecia, ahimé, stato piccolo e poco produttivo come un qualunque Tennessee ma che gli Stati Uniti mai e poi mai avrebbero lasciato andare via in caso di crisi.

Certo il mondo globalizzato e le sue tecnologie, come fa presente Bauman, hanno accelerato la dimensione dei poteri privati senza vedere nascere una pari crescita del potere politico per tenerli a freno quando necessario. Sarebbe dunque giusto accelerare, come lui suggerisce, la crescita della politica per combattere le distorsioni degli interessi particolari globali a scapito di quelli collettivi. Con uno Stato più globale.

Vero.

Ma ciò vuol dire dunque passare agli Stati Uniti d’Europa con un processo irreversibile e segnato da rigide tappe come quelle suggerite da Draghi?

Siamo certi che quello che viene proposto da alcuni individui sarà governato dalla politica? Siamo sicuri che il vino rosso buono del processo democratico, ben invecchiato nelle piccole botti adeguatamente stagionate della storia, come è avvenuto probabilmente nei limiti del possibile negli Stati Uniti nel corso di più di 2 secoli, possa dare gli stessi risultati col legno fresco delle grandi botti europee delle sue fragili e nuove istituzioni indipendenti?

Com ha detto in un articolo recente Harold James, “gli europei oggi si sono legati all’idea pratica di Hamilton, che un debito comune possa portare a minor costo del credito, senza avere lavorato a risolvere la questione delle istituzioni politiche né delle virtù pubbliche comuni, che Hamilton riteneva fossero cruciali” per una Unione che potesse sopravvivere con successo.

L’esempio della supervisione bancaria, da molti ormai continuamente sospinto verso l’accentramento presso la BCE, indica un percorso diverso, dove si creano centri di potere indipendenti con poche garanzie di controllo responsabile. Il parlamento europeo, per dirne una, appare dotato di deboli poteri nel sorvegliare le attuali autorità di supervisione bancaria create pochi mesi fa e già secondo alcuni da chiudere in favore di un ulteriore accentramento.

La BCE non è la Fed. La Fed, che la si critichi o meno, risponde con forza alla politica Usa, anche se è vero che molto spesso la seconda è troppo obbediente alla prima. Ma un bilanciamento esiste. Ecco io temo che il percorso tracciato da Draghi sia immaturo e ci destini o al fallimento delle istituzioni europee o al prevaricamento da parte di queste di essenziali bastioni democratici della convivenza civile.

Che non si butti con l’acqua sporca il bambino. Prima di chiederci cosa sarà dell’euro tra 10 anni, chiediamoci cosa sarà delle persone che vivono nell’area dell’euro nei prossimi dieci anni. Se la risposta alla seconda domanda sarà intelligente, con le giuste politiche volte ad aiutare la crescita e lenire le sofferenza dei deboli, la crescente coesione europea permetterà, nei tempi giusti, il sogno europeo radicato nella democrazia e nel rispetto dei valori essenziali dell’uomo.

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Il monito di Stiglitz in video

Eccolo, lo speech del Nobel Joseph Stiglitz (tradotto) nel dibattito con Mario Monti di qualche settimane fa. Meglio lasciarlo su questo blog a perenne monito. Delle conseguenze di non fare quello che può essere fatto per salvare l’euro. Non perdetevi i 5 minuti finali se non avete troppo tempo, dal minuto 27 e 20.

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Of Madison, Lincoln and a European Leader with no Name yet.

I apologize for not posting so often in English. I wish I could be able to do more!

For those of you that have missed the last news from Planet Europe, well, lots is lost and little is lost.

The good guys are still fighting against austerity and are held back by the “enemy”, so to speak. Our fellow friends in Greece are entrenched in an  uphill battle, while we await anxiously the result of May 31st Irish referendum on the European fiscal plan that –if approved – is meant to make austerity more austere in the next years to come. The arrival of the new French President seems to have accelerated somewhat the anti-austerity party but not much is clear on the if, how and when of the final victory of our party.

As for the most important piece of news, you Americans should be aware that a growing share of our local élites are raising –in the midst of this perfect recessionary storm – the issue of moving toward a United States of Europe where fiscal policy and debt issuance would be more centralized than today. By which I guess we mean a larger share of revenues and expenditure also being decided at the central level, possibly in the European Parliament.

The benchmark model that the supporters of this solution evoke appears to be United States of America. Yes, the Usa. Details are unclear yet, but behind the fog of a closed-doors debate something of the kind appears to take form. The most often-quoted guy here in Planet Europe is no-one less than … Founding Father Alexander Hamilton (picture). Yes!

The best article I found so far on this issue is by Princeton’s Professor of History Harold James (another article by Ronald McKinnon clarifies the historical US background a bit better but draws imperfect analogies with today). Read it!

But just let me explain what is so interesting about US history that attracts these “new European federalists”. They believe to have found in Hamilton’s decisions at the end of the war a key strategic parallel to move forward in Europe.

What the US did at the end of the Independence war was something of this kind, in McKinnon’s words:  “More or less accidentally on June 20 1790, Thomas Jefferson met a very despondent Hamilton – whom he invited to dinner the next day. This invitation was later extended to a few other notables such as James Madison. The result was the most famous dinner party in American history. The deadlock was miraculously resolved by each side relenting and giving up long-held positions to satisfy the other. The outcome was that Jefferson, with Madison not opposing, agreed to the federal government’s one-time assumption of the states’ debts with no “haircuts” for the speculators. while Hamilton, along with other northerners, agreed to move the capital of the new republic from Philadelphia to the “banks of the Potomac” in 10 years’ time.”

Now, let’s be clear. In reality Europe does not want to do anything of this kind: certainly saving Greece from its debt payments or allowing it to default to grow again is (unfortunately) out of the question. At most it is debating on whether issuing a (large? Small?) share of future bonds (so-called euro bonds) backed by every euro-member.

But, still, the idea would be one of moving the political decision process toward the center, with Portugal and Germany more akin to today’s Tennessee and Massachusetts, both with balanced budgets and transfers decided from the center to support poorer Portugal in a downturn with a bit of Germany’s taxpayers money.

But, the devil is in the details, by quoting Hamilton to justify this move not only do we make an historical blunder but we also embark on a perilous and largely dangerous path if we do proceed forward. Let me explain why.

It is not true that the United States that resulted from that 1790’s dinner was a highly centralized federal construction. States were still dominant bodies and it is only with the New Deal that I suspect that Federal Government became the real player in town. Data on XXth century local (red), state (blue) and Federal (green) public debt over GDP so much at least have to say.

Actually, as an aside, if there is one lesson we should learn from the XIX century US history is that many US states that got indebted and into trouble, for too much public investment in canals and railways and too little revenue to back it up, were allowed to default and the markets to suffer from it. Had we Europeans proceeded in the same direction with Greece when we would have been able to, we would not be in these terrible conditions today where the Greek small fire has become a general and dramatic burning of the whole European forest.

But more importantly, a United States with a Federal Government that united different cultures required time, a war, and time again. It was a lengthy process that took a large amount of patience across generations and which had always the wise background political element of reforming (unifying) the country at a the right pace, without endangering the social fabric and the economy.

What the US did in 2 centuries we Europeans (at least some of us, not me) want to do in two decades.

Why is this relevant? Because if there is one thing European governments  know how to do well, as Robert Musil well-documented in his fantastic 1930s novel of “The Man without Qualities”, is to embark into bureaucratically engineered processes of institutional design that distract us from relevant issues.

Italian PM Mario Monti replied last month to Nobel Prize Stiglitz that Europe, compared to the United States which only (yes, only!) pursues economic well-being, has the additional goal of the growth of European institutions, which could sometimes lead to lower (short-term?) growth. I think Prof. Stiglitz remained quite puzzled at this statement: shouldn’t institutions be built to foster growth and happiness? But.

But be sure of this. If Europe today embarks – just a few years after a cumbersome process that created the new common currency, the euro – in a new decade of institutional reforms toward centralizing debt, revenues and expenditures, Monti will be right: economic growth in Europe will collapse. What Monti and others might not realize is that this might represent the last fatal blow on European unity and the European project.

The historical reality is that for a unified country much more is required than the federal government advocated by the European supporters of Madison. Quoting Harold James: “Abraham Lincoln’s original proposal to end the immoral practice of slavery by compensating slave owners for  manumission was unacceptably expensive, so the Union, according to the slave-holding Confederacy, was determined to expropriate the South. The federal assumption of states’ debts by itself could not guarantee political order. The Civil War revealed the centrality of a common foundation of morality to Hamilton’s approach to debt and public finance. As a result, his approach foundered on the differences between the different states’ conception of morality. Europeans today have latched onto the practical side of Hamilton’s argument – that is, the idea that debt mutualization might be a means to cheaper credit; but they have worked out neither the political institutions, nor the shared public virtue, that Hamilton deemed crucial.”

That is correct, we have yet to work out a few small details like common values, understanding, mission.

Yes, as sociologist Zygmunt Bauman claims, we do need a global government for a global world. So we do need a global state of the size of the United States of Europe.

The issue here is how much time should we take to create such large and powerful entity.

What we should fear is that by proceeding fast in this direction we might end up forgetting the needs of the current populations, exhaust them and revolt them against the European project of Peace and Unity. Furthermore, a fast-track process will run the risk of being governed not by the people and their representatives but by technocrats, putting at risk the necessary pre-conditions for Peace and Unity: Democracy and Accountability. A fast-track process will not be based on common understanding but on a common imposition.

What is required now from European leaders is exactly this: to be leaders. To adopt the right policies that generate enthusiasm for a complex and marvelous project called Europe. If this enthusiasm will be lacking, no cold-blood institutional experiment of common policies based on democratic approval will ever see the light and make Europe possible. If this enthusiasm will be generated, if unemployment will go down and growth will pick up rapidly thanks to expansionary monetary and fiscal policies and a weaker euro, then, little by little, and without any war, we will be able to move at the right pace toward the United States of Europe absorbing the best part of the suggestions that History kindly provides us.

After all Madison had to … work with Lincoln and Roosevelt to have the deal done, right?

Post Format

Ci sono riuscito! Ma perché allora non ci siamo riusciti?

Stamattina leggo sul Corriere della Sera di un twit del Sottosegretario alla Presidenza del Consglio Antonio Catricalà, ex Presidente dell’Antitrust, che riporto nella sua (140)-interezza:

Ci sono riuscito: #Consiglio‬ dei #Ministri‬ finalmente informatizzato! Piccola cosa ma risparmiamo carta.Ecco la foto.

Con la foto dei PC in mostra sul tavolo che devo presumere essere quello delle riunioni della Presidenza.

Ma come? E il taglio degli sprechi?

C’è, è la risposta già postata, si risparmia carta.

In realtà non si risparmia solo carta. Si lavora anche meglio con i PC. La Pubblica Amministrazione lavora meglio. E quando lavora meglio i cittadini vedono i loro soldi spesi meglio: con gli stessi soldi si fanno per loro più cose, o con meno soldi si fanno le stesse cose.

Ma per fare tutto ciò si deve pagare un costo iniziale, chiamiamolo investimento, anche se la contabilità nazionale lo chiama spese corrente (che corrente non è poi comunque perché un PC è un bene durevole). Si spende. In acquisto di beni e servizi.

Con questa spesa utile si è dato lavoro e occupazione ad un rivenditore di PC che affronterà meglio questa recessione.

Si direbbe, in orribile gergo aziendale, una situazione “win-win”: nessuno ci perde.

In realtà qualche sconfitto c’è. Perché se alla Presidenza del Consiglio dei Ministri si fa la cosa giusta, la Presidenza del Consiglio dei Ministri raccomanda ed ordina a tutti di fare la cosa sbagliata.

I tagli famosi, quelli ordinati a Bondi di essere rapidamente effettuati, impediscono ad altre amministrazioni di fare la stessa cosa che ha fatto il Sottosegretario. Gli stessi risparmi di carta, se così li vogliamo chiamare. E chissà che magari altre amministrazioni non avrebbero magari potuto risparmiare addiritttura più carta?

Non è tanto che quello che si chiede a Bondi di fare non viene fatto dalla Presidenza del Consiglio; è piuttosto che quello che fa la Presidenza del Consiglio non possono fare gli altri: e cioè fare buona spesa pubblica che genera PIL e ci salva l’Europa.

Facciamola questa spending review, allora. Ma facciamola come dice il Dott. Catricalà: spendiamo bene e meglio. Ma subito. Non c’è tempo per perdere.