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Germany and Italy: Pedal together against Corruption

A program implemented by a nongovernment organization called ICS Africa in Kenya suggests that when headmasters implement incentives, the incentives might lose their power. ICS Africa introduced an incentive program for preprimary school teachers. The headmaster was entrusted with monitoring the presence of the preprimary school teacher. At the end of the term, a prize (a bicycle) was offered to teachers with a good attendance record. If a teacher did not have a good attendance record, the money would remain with the school and could be used on whatever the headmaster and the school committee preferred. Kremer and Chen (2001) report on the results of this experiment. In all treatment schools, the headmasters marked the preschool teachers present a sufficient number of times for them to receive the prize (and they therefore all got it). However, when the research team independently verified absence through unannounced visits in both treatment and comparison schools, they found that the absence rate was actually at exactly the same high level in treatment and in comparison schools. Either to avoid the unpleasantness of a personal confrontation, or out of compassion for the preschool teachers, headmasters apparently cheated to make sure that the preschool teachers could get the prizes.

From: Addressing Absence, Abhijit Banerjee and Esther Duflo (2006)

While the whole of our European leadership is engaged in talking about centralizing banking supervision without worrying about the risks of increased regulatory capture if such supervision is built without a strong accountability framework, I am thinking that corruption works in a different way.

Corruption in Europe is more fragmented than banking. But it is more concetrated locally. Mafia is strong in Italy, weaker in Europe taken as a whole. Corruption is also on the rise in Southern Europe vs. Northern Europe (see below), affecting heavily the competitive divide and the euro crisis.

So now I propose to you the following. Forget about centralizing banking supervision, dangerous and rather secondary compared to a reform that leads to better accountability of the current supervisory structure. Focus on something else.

Focus on centralizing the anti-corruption fight. Italy will never be able to fight corruption on its own, too high are the riks of the new national anti-corruption authority being captuted by local interests. Create a European Anti Corruption Agency and fund it well, very well. Economies of scale can be large.

And then send German inspectors in Italy. Now that would work. That would make Germans beloved in our country. That would make the Italian industry able to compete again on a fair ground with German firms. That would unite Europe.

In Italy we have a say that says something of the kind: “you wanted the bike? now pedal.” It is time Germany and Italy start pedaling in tandem with the euro bike.

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Scuola 2: i soldi, il metodo, l’azione per il pari accesso allo studio

Giustamente mi fate notare che, “va bene il tuo pezzo per la scuola, ma tu cosa proponi”?

Non sono un super esperto, ammetto. ma ammetto anche che la soluzione adottata dal rettore di Scienze Politiche a Parigi ha un grande senso. Lui lo faceva sui numeri piccoli, noi potremmo mettere in moto la macchina sui numeri grandi, su tutte le scuole, specie le tarde elementari e le medie inferiori.

Un maestro di sostegno non per i più meritevoli, ma per coloro che dimostrano un potenziale di attitudine allo studio che rischia di essere vanificato da circostanze esterne difficili, ambientali ed economiche. E vero supporto per questi ragazzi. Abbiamo dei maestri di sostegno bravissimi per i meno abili, inseriamone uno nelle scuole anche per questi talenti a rischio. Con ore suppletive sia in aula che fuori per concretizzarne il potenziale.

Va fatto prima del liceo. Mi ricordo di un bell’articolo di Paola Giuliano che non so se ho già citato su questo blog ma che merita di essere ricordato in questo contesto. Dicevo sul Corriere della Sera di più di 2 anni fa:

“Paola Giuliano, economista, ha di recente mostrato come le famiglie “povere” italiane non investono in istruzione perché loro stesse poco istruite e dunque non a conoscenza del suo valore per i figli. I padri, in questo caso, tendono a non indirizzare i figli verso il liceo reputando le scuole tecniche e professionali un miglioramento rispetto all’istruzione da loro stessi ricevuta. A parità di talento (voto alle medie) dei ragazzi, un padre con uno scarso livello d’istruzione riduce di oltre il 50% la probabilità che il figlio frequenti il liceo, anche se questo – mostra l’autrice – pregiudica le chance di successo e di completamento degli studi universitari, legate al tipo di istruzione superiore conseguita: “una volta che ragazzi di talento di famiglie non abbienti scelgono la scuola superiore “giusta”, il liceo, le loro possibilità di terminare l’università sono poco diverse da quelle di ragazzi provenienti da famiglie abbienti”…. Per risolvere questo “circolo vizioso dell’istruzione” è necessario dunque agire prima: per esempio, una capillare campagna di informazione, prima del termine della scuola dell’obbligo, sul valore dell’istruzione. Senza mai dimenticare di arricchire di sostanza il messaggio: ovvero garantire studi superiori di grande livello.”

Il maestro di sostegno potrebbe dunque anche avere anche quella funzione di tutor che aiuterebbe a segnalare ai genitori ed al Ministero i tanti casi di talenti che si perdono nei rivoli dell’indifferenza. E mobilitare le risorse a suo favore.

Ecco, siccome un altro lettore mi ricordava dei grandi sprechi negli acquisti di beni e servizi che avvengono nella scuola, suggerisco vivamente di trovare le risorse per questo progetto nel taglio agli sprechi proprio nelle scuole.

Ma di farlo.

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Lettera aperta a Ferruccio De Bortoli: apra il Corriere al partito dell’anti austerità

Oggi ho letto con una qualche emozione il Direttore del Corriere, che stimo, schierarsi contro la fine dell’euro. Bello leggerlo.

Solo una domanda Direttore: come non far finire l’euro?

Mi pare che la soluzione che lei offre sia questa: “la politica chiarisse con atti concreti che la moneta unica non ha alternative, costi quel che costi, (e) la Bce si sentirebbe autorizzata a intervenire riducendo spread che, come ha ricordato Visco, non riflettono più la reale salute delle economie europee.”

Come si chiarisce che la “moneta unica non ha alternative” all’interno di un progetto altamente democratico come quello europeo che deve, per vivere, godere mecessariamente di un forte consenso? Come?

Con altre sovrastrutture improbabili come una unione federale di stati totalmente dissimili culturalmente? Gli Stati Uniti non a caso vi hanno impiegato più di 150 anni a divenire veramente “federali”: accelerazioni brusche avrebbero frantumato il variegato tessuto sociale degli States e con esso il loro progetto comune.

Con una Unione bancaria che può salvare 2 o 3 banche a costo del contribuente? Lo sa bene anche lei che sarebbe l’ennesima dose di morfina per prendere tempo.

No, lo sappiamo bene, Dott. De Bortoli, l’unica soluzione è la crescita economica. Sporca, maledetta e subito, questa crescita. Solo questa rimette a posto i conti pubblici e da certezze contemporaneamente ai mercati ed ai cittadini, salvando l’euro.

Ma come generare crescita subito visto che le riforme servono a farlo tra 5-10 anni?

Pochi giorni fa Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia, alla London School of Economics ha detto qualcosa tipo “poche cose sappiamo noi economisti di questi tempi, ma una cosa la sappiamo di sicuro, perché abbiamo fatto il più clamoroso esperimento su cavie che probabilmente sia stato portato a termine nel campo dell’economia.” Esatto.

L’austerità.

E, ha aggiunto, una cosa la sappiamo, ora: l’austerità non funziona. E distrugge i conti pubblici.

Lo conferma la Relazione della Banca d’Italia. Sì, anche in Italia è stato fatto l’esperimento. Guardiamo ai suoi esiti per il 2011: per mantenere intatto il vincolo del deficit al misterioso 3,9% del PIl (colonna viola, colore verde stabile)  nel corso del tempo, abbiamo distrutto la crescita (colonna blu, colore crollato dal verde al rosso). E fatto crescere dunque il rapporto debito PIL (colonna marrone) e la percezione di instabilità nei conti pubblici.

Nessuno domanda in questa crisi da domanda. Non i privati, terrorizzati e pessimisti consumatori, imprenditori e banchieri.

E nessuno domanderà nel 2012 e nel 2013. E sa perché? Basta leggersi la Relazione della Banca d’Italia del Governatore Visco:

Per il 2012, pur nel contesto di una marcata contrazione del PIL, … l’incidenza delle entrate sul PIL salirebbe di 2,6 punti, al 49,2 per cento, massimo storico. Per il 2013 … l’incidenza delle entrate sul PIL salirebbe ancora, al 49,5 per cento. Nelle previsioni la spesa (pubblica) primaria scende in termini reali nell’anno in corso e nel prossimo biennio.

Lei pensa che in questo clima qualcuno se la senta di fare investimenti? di prestare? di consumare?

Come dice di nuovo Krugman, l’unico esperimento che non abbiamo provato è l’unico che Keynes raccomandava in queste tempeste perfette chiamate recessioni da domanda: più spesa per acquisti di beni e servizi. E se 10% di questa spesa sarà spreco, lasciate che sia, gli sprechi non si cancellano in 2 mesi, ma l’euro sì!

Assieme ad essa una BCE più espansiva e mirante alla crescita economica.

Direttore, lei ebbe la voglia ed il coraggio nell’ottobre del 2008 di pubblicare un mio articolo sul “suo” Sole 24 ore, l’ho ritrovato stasera su di un sito e lo possono leggere tutti.

Chiudeva così quel pezzo:

E l’Europa? Tutto qui congiura invece per un orizzonte di potenziale disastro. Il Trattato europeo di cui ci siamo dotati è infatti figlio di un’epoca diversa, puramente anti-inflattiva, che non è capace di permettere la mobilitazione appropriata davanti allo scenario delineatosi. Alla Banca Centrale è fatto divieto di occuparsi dell’output e di abbandonare una politica che soffoca il tasso di cambio. Ai singoli Stati è proibita una politica fiscale in deficit, fatta di basse tasse  e – momentaneamente  – alta spesa. Non c’è un Presidente ma addirittura 27, che certo non trovano facile al loro interno concordare per trovare un leader che influenzi le aspettative della nazione europea.

E’ necessario dunque immediatamente una nuova Maastricht, che dia mandato alla BCE di dare peso all’attività economica e non solo all’inflazione, che dia il permesso di superare tranquillamente il limite di deficit del 3%, possibilmente con spesa pubblica produttiva come quella in contro capitale. E’ infine necessario dare all’Unione Europea meccanismi decisionali agili in funzione del “peso” economico dei singoli Paesi membri, escludendo veti da parte di questa o quella nazione. E’ possibile che emerga allora un leader europeo per l’Europa delle nazioni.

Il tempo è ancora dalla nostra parte. Vale la pena imparare dal passato ed agire subito. Meccanismi che semplicemente forniscano supporto alle banche con garanzie sono fiscalmente irresponsabili e, quando gli Stati non avranno più tasse da far crescere per finanziare la spesa per far fronte a tali garanzie, si rischia di dover ricorrere a stampa di carta moneta, inflazionando l’economia europea. A rischio, più che mai, c’è paradossalmente l’unità della costruzione europea e poi, a quel punto, chissà che altro.

3 anni e mezzo fa. Si chiamava, l’articolo, ”Subito il via a Maastricht 2″. Purtroppo Maastricht 2 c’è stata, il Fiscal Compact, l’esatto opposto di quanto proponevo allora.

Direttore, lei dice: “Uno scatto d’orgoglio e di responsabilità da parte delle leadership europee è urgente. E non solo dei governi.”

Sono d’accordo. Direttore, la responsabilità immensa è anche nelle vostre mani, dei grandi media, del quarto e quinto potere. Avvii sul suo giornale, subito, un dibattito quotidiano aperto, apra il suo prestigioso giornale a voci diverse da quelle dell’austerità e delle rifome. Se l’obiettivo è comune, salvare l’euro, deve concordare che non se ne uscirà ascoltando le stesse cose che provengono sempre dalle stesse persone che hanno fallito nel suggerire il loro esperimento.

Guidi Dott. De Bortoli, lei per primo, la battaglia per l’euro, chiedendo idee nuove alla gente e non ai soliti che hanno un peso sproporzionato sulle pagine del suo giornale. Tante, tante, persone hanno una visione diversa spesso profonda e intelligente e forse a questo punto è tempo di dargli la parola.

Il suo giornale potrà influenzare l’azione di Governo e dunque l’esito finale di questa partita incredibilmente delicata per il futuro dei nostri figli.

Con stima,

Gustavo Piga

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Per la scuola e la università, istituzioni senza pari opportunità


Articolo 34

La scuola è aperta a tutti.

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

 


Tadeusz Kantor, La classe morta 

Mi impiccio di un tema che mi cattura di questi tempi bui, la questione del merito, delle pari opportunità e di come, sostiene il sociologo Wright che ho ascoltato su audio in un suo intervento alla London School of Economics, del pari accesso.

Pari accesso a cosa? Ai mezzi materiali e sociali necessari per vivere una vita “flourishing”, fiorente. Pari accesso che secondo lui è necessario oltre alle pari opportunità. Perché le pari opportunità non riparano gli individui dalle sfortune che accadono nella vita e non per questo bisogna lasciarli soli solo perché un vaso gli è cascato in testa durante una passeggiata o prima di nascere.

Lo faccio dopo avere avuto modo di esaminare una prima bozza di un disegno legge del Governo che tratta – nella sua prima parte – di “capacità e merito nell’istruzione” (la seconda parte tratta dell’università, specie dei meccanismi concorsuali).

E penso alla Costituzione, da cui chiaramente sono state prese queste 2 parole. Che bell’articolo, il 34. Complesso e semplice assieme.

I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti di studi.

Frase complessa.

I gradi più alti di studi.

Rifletto che quando fu scritto non si pensava certo all’università come grado più alto degli studi. Oggi probabilmente sì. In coerenza con Europa 2020 che ci chiede il 40% di laureati quando oggi siamo a poco meno del 20%, 24° su 27 nell’Unione europea. Quindi siamo fuori dalla Costituzione. Illegalità totale, evasione dall’art. 34.

Anche se privi di mezzi.

Fu scritto per giustificare il passo successivo: con borse di studio, per rendere effettivo il diritto agli studi più alti. Borse di studio chiaramente intese non per i capaci, non per i meritevoli, ma per chi tra essi non avesse i mezzi per effettivamente raggiungere il diritto spettantegli per Costituzione.

I capaci e meritevoli.

Quindi chi tutela la Costituzione? Coloro che hanno mezzi, che sono capaci e meritevoli, e a cui per qualche altro motivo si impedisce di studiare. Giusto tutelarli.

Poi tutela appunto coloro che non hanno i mezzi, come visto.

Ma soprattutto, con o senza mezzi, tutela “capaci e meritevoli”. Sembrerebbe, la Costituzione, fare riferimento ad ambedue le caratteristiche per essere tutelati.

Il mio amico e collega filosofo Stefano Semplici dice infatti:

Il “merito” non coincide semplicemente con la “capacità” e la riduzione del primo a semplice misura dei risultati e delle prestazioni è una concezione angusta, figlia di una cultura che si è orientata in modo purtroppo sempre più marcato ad un individualismo senza responsabilità. Non è, in ogni caso, la concezione della nostra Costituzione, per la quale si può essere capaci e immeritevoli in due modi: certo per mancanza di impegno, ma anche per mancanza di quel senso del dovere e di partecipazione che, come si diceva una volta, rende i cittadini benemeriti, cioè costruttori di progresso, di bene comuni. Lo dice l’articolo 4 parlando del dovere del lavoro. Lo ribadisce l’articolo 42 parlando della funzione sociale della proprietà privata.

Credo abbia ragione Stefano a pensare all’immeritevole, ma a me preoccupano più del non includere l’immeritevole, due altre questioni. E mi preoccupano perché vedo un pericolo immediato nel disegno di legge governativo. O meglio, una opportunità persa.

Preoccupa “l’incapace”. E l’”immeritevole”. Che non sono, a rigor di logica interpretativa della Costituzione, tutelati di diritto: se vogliono una istruzione se la facciano, ma un po’ da cittadini di serie B, senza aiuto.

Parlo dell’incapace perché ne parla Wright quando chiede che ogni individuo abbia pari accesso ad una vita fiorente. Come può un incapace, se non tutelato nel diritto allo studio, avere accesso ad una vita fiorente come i suoi coetanei? Non penso solo ai ragazzi con una disabilità, voglio essere chiaro.

Oggi c’è una bella accoppiata su Repubblica con l’articolo di Recalcati affiancato da un analogo buon articolo di Asor Rosa. Sulla bellezza ed importanza della scuola italiana, e della bontà dell’obbligo, parola fuori di moda. Che tutto è, la nostra classe, meno che morta.

Recalcati: “L’obbligo della Scuola è benefico perché si sostiene su di una  promessa di fondo. È la promessa che esiste un godimento più forte, più potente, più grande di quello promesso dal consumo immediato e dalla dipendenza dall’oggetto. Questo altro godimento si può raggiungere solo per la via della parola: è godimento della lettura, della scrittura, della cultura, dell’azione collettiva, del lavoro, dell’amore, dell’erotismo, dell’incontro, del gioco. La promessa che la Scuola oggi sostiene controvento è che il desiderio umano per dispiegarsi, per divenire capace di realizzazione ha bisogno, di qualcosa che sappia incarnare la Legge della parola, perché, sappiamo, senza questa legge non c’è desiderio, ma solo disumanizzazione della vita.”

Posso aggiungere che, malgrado le critiche, analoga gioia può sperimentare un qualsiasi giovane che si iscriva all’Università. Al di là del suo voto finale. Al di là della maggiore o minore qualità dei docenti. Sì, al di là di questo.

Ecco, se ai giovani va dato diritto all’accesso ad una vita fiorente, nel XXI° secolo dovremmo essere capaci di non perdere per strada gli incapaci e accompagnarli verso uno mondo dove la parola, se lo desiderano, gli sia vicina e gli dia gioia. Anche perché, capaci di godere anche solo il soffio leggero di quanto dice Recalcati, lo sono, lo sono tutti i nostri giovani. Ecco perché è scuola dell’obbligo: perché sono tutti capaci e il diritto è tutelato con l’obbligo.

E allora attenti a parlare d’incapaci, non esistono. E così di parlare di capaci in opposizione ad essi.

Ma mi preme ancor più parlare degli immeritevoli. Sì, lo sapete perché. Perché aborro la meritocrazia. Perché, come diceva Sen, la meritocrazia premia  coloro che sono in grado di influenzare la definizione di merito e perché essere meritevole è ben più facile per i più abbienti.

Mi diceva Jean Tirole l’altro giorno che era a Roma che era scomparso (tragicamente e misteriosamente) il Rettore di Scienze Politiche di Parigi, università assai elitaria e oggi di ottima reputazione. E che lui era adorato in Francia perché si era dato da fare come non mai per identificare nelle varie scuole francesi giovani meno abbienti potenzialmente bravi e accostargli maestri addizionali durante la scuola per portarli ai livelli di giovani capaci ed abbienti e farli entrare a Science Po.

Ecco, cosa si dovrebbe fare. Come lui, moltiplicato per 100.

Ecco, quando merito_scan_ leggo nel disegno di legge che si faranno le Master class estive per i primi 3 classificati alle Olimpiadi e che verrà eletto in ogni scuola lo studente dell’anno a cui spetterà di pagare il 30% in meno di tasse universitarie (anche se è figlio di un super ricco e anche se le tasse universitarie sono briciole nel mare magnum della tentazione di un giovane capace ma povero di lavorare subito “perché i soldi – quelli veri, non lo sconto - non ci sono”), penso che non abbiamo capito che, come lo chiama Asor Rosa, “il colossale dibattito per la difesa ed il rilancio della scuola pubblica italiana” ha partorito un risibile topolino.

Che non cura, oh no, il vulnus che, non da questo Governo, è inferto da decenni alla nostra Scuola ed alla nostra Università, istituzioni senza pari opportunità e pari accesso all’essere onorate, tutelate, aiutate.

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Supervisione bancaria europea? No supervisione europea dei supervisori

Uffa, oggi vorrei avere il tempo di scrivere e pensare su di una cosa importante, sulla scuola italiana, eppure mi distraggono i giornali dominati da altre tematiche che mi lasciano alquanto basito.

L’ho scritto ieri in inglese, lo scrivo oggi in italiano a fronte del “tam-tam” mediatico, per esempio su Repubblica, dove ben 2 autori, due bei cervelli, si schierano per la maggiore supervisione bancaria in Europa, Alberto Bisin  e Alessandro Penati.

Non so quanto i due ne abbiano scritto prima dell’intervento di Mario Draghi al Parlamento europeo, sulla necessità di ulteriore maggiore supervisione bancaria. Ma non mi paiono molto al corrente di un bel po’ di cose.

Bisin dice che la colpa è dei governi: “purtroppo se il sistema politico europeo è apparso ad oggi assolutamente incapace di gestire efficacemente la crisi del debito sovrano esso appare ancora meno in grado di di gestire una crisi bancaria di cui è in larga parte responsabile“ Più moderato Penati: “una vigilanza europea (oggi spetta alle autorità nazionali) implicherebbe però una perdita di sovranità: è una decisione politica, che i governi hanno già bocciato“.

Uh? Eh? Come? Ma non abbiamo a fine 2010 approvato una riforma europea che accentrava drammaticamente la supervisione bancaria in Europa, escludendo clamorosamente governi e Parlamenti (Europeo incluso) dai board delle nuove autorità, dotate di più indipendenza e di più mancanza di accountability di quanta non ne abbia mai avuta la BCE?

E possiamo chiedere per favore a Bisin se è a conoscenza di cosa abbiano fatto queste autorità in questi due anni per accorgersi che qualcosa non stava andando tanto bene in Spagna? Si è chiesto se non fosse il caso di interrogare queste Autorità e chiedergli di spiegare perché non hanno visto in anticipo e bloccato sul nascere i problemi spagnoli?

Forse prima di prendersela come al solito coi governi dovremmo chiederci perché la vigilanza non funziona? Pensa proprio Bisin che gli unici problemi bancari nascono quando le banche sono di proprietà pubblica o regionale? Suvvia. Non ci ha insegnato nulla la crisi del 2008 che gli stessi grandi interessi bancari privati sono alla base della cattura della regolazione e che questa cattura non può che essere magnificata se lasciamo la supervisione a Autorità indipendenti che al loro interno (come quelle di nuova creazione in Europa) hanno membri del Consiglio composti solo da componenti delle Banche Centrali nazionali? Si è chiesto Bisin, dopo la relazione del Governatore Visco che molti giornali hanno trattato di “troppo gentile” con le banche, se le banche centrali sono proprio il supervisore adatto per un sistema bancario così potente? Si è mai chiesto come mai la legislazione europea ha potentemente escluso il Parlamento europeo da qualsiasi presenza nei Board di queste Autorità?

L’unico modo di risolvere la questione di una giusta Autorità di supervisione bancaria europea è cominciare dal levare quella che c’è dalle mani delle banche centrali - che non dovrebbero sedere nel board di questa, BCE compresa - e dare al Parlamento europeo molto più potere per ottenere che tali Autorità rispondano dei loro errori di fronte ad esso. Più governo e politica europea, altro che meno politica. Poi, e solo poi, vediamo se accentrare ancora di più o no.

Ma immagino che Bisin sia poco interessato a questi dettagli di cui i Nobel Milton Friedman e George Stigler parlarono 50 anni fa. E io voglio parlare di altro, non ne posso più di chi dimentica tutto anche a distanza di soli quattro anni.

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Ireland, Referendum on EU Fiscal Pact. Democracy spoke.

A lesson has been taught today by Ireland to all those countries (Italy included) that feared democracy and voting on the subject of the Fiscal Pact, a step which I strongly believe, personally, to represent a serious mistake in terms of economic policy.

The Pact has has been approved by the Irish people. Hail to Ireland. It might have done just about the only thing in these last few months that has truly helped pushing forward Europe and saving the euro: allowing participated democracy to be resuscitated, even if for so brief a moment. Hail to the Irish people.

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Europe: More or Better Banking Authority Supervision?

Quick follow-up on Dr. Draghi’s hearing of yesterday at the European parliament level, where it was proposed  to concentrate even more the banking supervision powers.

I wonder.

I wonder about the new European supervisory structure that was created at the end of 2010:

- The ESRB, the European Systemic Risk Board, chiared by Draghi which is part of the European System of Financial Supervision (ESFS), the purpose of which is to ensure supervision of the Union’s financial system.

Besides the ESRB, the ESFS comprises:

  • the European Banking Authority (EBA) (Download [1.56 MB] the EU regulation);
  • the European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA) (Download [1.58 MB] the EU regulation);
  • the European Securities and Markets Authority (ESMA) (Download [1.57 MB] the EU regulation);
  • the Joint Committee of the European Supervisory Authorities (ESAs);
  • the competent or supervisory authorities in the Member States as specified in the legislation establishing the three ESAs.

So I wonder. How did the Spanish banking mess come about under this new governance? How come it was not spotted in advance and prevented by these authorities? The first minutes of the EU Parliament Committeee do not allow me to establish if questions were asked by MPs on this, but it does not look like it.

When we established those financial Authorities some of us complained of the little accountability these institutions had been mandated to abide to. The role for EU Parliament supervision was reduced to a bare minimum. Independence was set to an extremely high level, greater than the one of the ECB itself.

Rather than talking about greater power and centralization of banking supervision authority shouldn’t we talk of more supervision on these authorities?

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La vera Autorità europea di cui abbiamo bisogno

Cito spesso il caso, per combattere l’assenteismo nelle scuole, dell’esperimento fatto in Kenya (vedi Banerjee e Duflo, “Addressing Absence”, Journal of Economic Perspectives, Winter 2006) con i Presidi delle scuole che ricevono l’incarico di monitorare le assenze dei maestri, con regalo di bicicletta al maestro in caso di presenza.

Tutti l’hanno ricevuta, la bicicletta. Controlli casuali hanno mostrato tuttavia l’assenza di calo del tasso di assenteismo.

I Presidi, troppo vicini ai maestri, vengono da questi “catturati”.

Bisogna allontanare controllore e controllato, non c’è dubbio. Non è tanto che il controllore è disonesto (può anche esserlo ma non è necessario), è che troppo forte è la pressione ambientale, intesa come pressione derivante dal condividere lo stesso ambiente.

Penso a questo quando nel leggere la nuova legge anti-corruzione che prende forma alla Camera vedo che la CIVIT sarà la nostra nuova autorità anti-corruzione.

Le auguro ogni bene, in questa sua missione. Ma quanto potrà fare, con i suoi pochi dipendenti e la sua vicinanza alle istituzioni che deve monitorare?

Ecco, altro che supervisione bancaria. Se ci fosse una seria e grande Autorità Anti Corruzione europea, ecco che l’Europa si metterebbe al servizio di se stessa. I popoli europei applaudirebbero gli inevitabili successi che questa conseguirebbe grazie al distacco che ha dai controllati ed alla grande dimensione di risorse di cui si potrebbe dotare, eliminando i costi fissi di 27 diverse autorità sparse per l’Europa.

Soprattutto verrebbe a cancellarsi una delle più ovvie cause di diversa produttività tra Nord e Sud di Europa, la diversa governance pubblica che così tanto incide sulle imprese del Sud europeo rendendogli difficile la vita. La madre di tutte le riforme che unirebbe i cittadini europei, felici di avere un progetto vicino alle loro vite ed alle loro esigenze che protegge i piccoli dai soprusi dei grandi e potenti.

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Spinelli 2 e l’euro leggero di Parmenide

Spinelli 2.

Ma la brava giornalista se la prende non solo con i politici miopi di questa Europa che non va ma con una razza di economisti ed intellettuali che:

“…giocano con l’Unione come fosse un algoritmo. Paul Krugman dice giustamente che l’euro s’infrangerà, vista la volontà d’impotenza degli Stati, ma subito aggiunge che non sarà il dramma paventato. L’Argentina nel 2001-2002 si sganciò dal dollaro, svalutò il peso, poi formidabilmente si riprese: perché non potrebbe accadere a Atene, e magari a Madrid, Lisbona, Roma? Dov’è scritto che l’Unione crollerebbe, se finisse un euro fatto così male, non sostenuto dalla fusione dei suoi Stati? Si può tornare allo status quo ante. Lo stesso Joschka Fischer, ex ministro degli Esteri, spiega che l’euro non era una necessità economica, ma politica: strategicamente non se ne può fare a meno, ma tecnicamente sì. Affermazioni simili sono un inganno: non dicono le cose come stanno. Proviamo allora a immaginare quel che succederebbe non solo nel medio periodo ma nel breve, se Atene tornasse alla dracma per poi svalutarla massicciamente. Non avremmo uno scenario argentino, perché Atene non dispone più di una moneta nazionale, e perché il mondo industrializzato è oggi in recessione. Un lungo periodo di transizione sarebbe necessario, per passare alla dracma, durante il quale occorrerebbe bloccare le frontiere, la libera circolazione dei capitali e anche delle persone… La chiusura delle frontiere ci cambierebbe antropologicamente: ogni nazione rientrerebbe nel suo misero recinto, gli spiriti si rinazionalizzerebbero, la xenofobia diverrebbe un male banale. La lunga educazione europea alla mescolanza di culture, alla tolleranza, all’apertura al diverso, si prosciugherebbe per decenni…. È il motivo per cui non credo che Atene uscirà dall’euro, e non solo perché i vecchi partiti greci risalgono nei sondaggi.

Sì, anche io mi schiero con Barbara Spinelli quando afferma che l’uscita della Grecia porterà con tutta probabilità alla fine dell’euro e all’inaridimento dell’Europa. E che dunque dovremmo lottare fino in fondo per tenere dentro la Grecia per salvare l’Europa.

Ma è sbagliato, a mio avviso, illudersi che la Grecia possa pensare che starà “peggio” fuori dall’euro che dentro “questo” euro-austero. Non c’è il minimo dubbio che la Grecia starà meglio dopo la massiccia svalutazione della nuova valuta (ed un periodo più o meno lungo di ulteriore crisi dovuta al confuso ritorno alla dracma 2) come lo è stata l’Argentina (leggersi l’articolo dell’economista ed ex-ministro Velasco è rivelatore a questo riguardo). Dopo una prima crescita drogata e benefica del suo export la sua economia si aggiusterà alle sue nuove condizioni, crescendo ad un tasso leggermente maggiore di quello a cui sarebbe stata condannata dentro l’euro-austero.

Esattamente come sono cresciute leggermente di più in questi ultimi anni Danimarca, Regno Unito e Svezia che sono rimaste nell’Unione europea senza scegliere l’euro. Basta guardare rapidamente alle statistiche dell’area euro a 12 e dell’Unione Europea a 15 con questi 3 paesi: dal 1999, anno di adozione dell’euro, esaminando i tassi di crescita del PIL trimestrali e le loro differenze tra queste due aree. Sono 52 trimestri (13 anni). Per 13 volte le economie dell’euro sono cresciute di più (circa dello 0,1% per volta), altre 13 sono cresciute uguale, e 26 volte (la metà) è cresciuta di più l’area a 15, ovvero Regno Unito, Svezia e Danimarca (anche qui, circa dello 0,1%).

No, Dott.ssa Spinelli, un paese europeo non muore fuori dall’euro economicamente, anzi fa leggermente meglio che stando dentro ”questo euro-austero”, forse per l’enfasi meno restrittiva delle politiche monetarie senza BCE, forse per altro.

Negarlo è pericoloso. Significa negare le cause della malattia dell’Europa dell’euro (la politica economica austera in recessione) e dunque non mettere in atto quanto necessario per creare di nuovo le condizioni affinché un Paese abbia voglia di restarvi.

Non solo. Negarlo porta lei, come tanti altri (ma lei è diversa: è motivata da quella Europa della mescolanza di culture, della tolleranza, dell’apertura al diverso che sfugge a tanti) a cercare soluzioni che prolungano l’agonia verso il baratro, come gli Stati Uniti d’Europa freddi e non solidali, senza capire che solo un cambiamento nella politica economica, che la faccia diventare rispettosa di quella mescolanza, tolleranza e apertura al diverso, è necessaria.

Facendolo diventare l’euro-leggero, non austero. L’euro di Parmenide. Parmenide, nato nelle nostre terre, nella Magna Grecia. La Magna Grecia, le nostre terre. Diceva Milan Kundera che Parmenide riteneva la leggerezza un bene e la pesantezza un male.

Sarebbe bene dire addio all’euro della pesantezza e dare il benvenuto all’euro della leggerezza.

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Spinelli 1 e Visco e la pietra bianca su cui sedevano i filosofi greci

C’era una volta l’Europa. Dice Barbara Spinelli sul bell’articolo su Repubblica:

Prepararsi a neri scenari è saggezza, in politica, a condizione però che il male sia riconosciuto, detto, e non circoscritto ma proscritto. Altrimenti avremo barriere di carta, come l’esiziale linea Maginot che doveva immunizzare i francesi da assalti nazisti. Tale è l’odierno muro antincendio, e il motivo è chiaro: manca la coscienza che la crisi non è greca ma dell’intera Unione, e per questo il panico che regna ha qualcosa di sinistro. È un panico fatto di leggerezza, di ignoranza storica, di vuoti di memoria colossali. In cuor loro i capi europei sanno di mentire, quando dicono che non ci sarà contagio. Quando esibiscono tranquillità, come se tutto potesse continuare come prima, dopo il crollo greco o il no irlandese. La leggerezza è funesta, perché non è così che l’Europa ritroverà le forze e i cittadini la fiducia.”

Come non condividere questo bel passaggio. Come quando si dice che gli Stati Uniti d’Europa funzioneranno come soluzione all’attuale crisi. Oggi il Governatore della Banca d’Italia ha detto che in Europa “avverte la mancanza di fondamentali caratteristiche di una federazione di Stati”, mancanza che in verità nessuno aveva sentito fino a qualche mese fa e che ora un numero crescente di persone in posizione di “euro-comando” appare vedere come il nuovo toccasana di una situazione che nei mesi ha visto le diverse “barriere di carta” dagli stessi proposte sgretolarsi come gelati al sole.

Anche quella degli Stati Uniti d’Europa è barriera di carta, fragile per motivi che per fortuna sia la Spinelli che altri ben individuano. Ieri sul Wall Street Journal ho letto il migliore paragone sinora (fatto da un economista di riguardo statunitense, l’ex capo – scelto da Obama - del Council of Economic Advisors, il Prof. Austan Goolsbee) con gli Stati Uniti di America federali che cerchiamo di ricopiare:

“…lacking the normal safety valves to keep dangerous imbalances from destroying the monetary union, the euro hardliners are left with the idea of fiscal union. These hawks, however, misunderstand a fundamental strength of the U.S. fiscal union. They seek a union to impose budgetary discipline and structural reforms on laggard countries while the U.S. fiscal union serves mainly as an engine of subsidy.”

“… mancando le tipiche valvole di sicurezza per evitare che pericolosi squilibri distruggano l’unione monetaria, ai duri dell’euro non rimane che l’idea dell’unione fiscale. Questi falchi, tuttavia, non afferrano una fondamentale forza dell’unione fiscale americana. Cercano una Unione per imporre rigore fiscale e riforme strutturali ai paesi più arretrati mentre l’unione fiscale statunitense è di fatto un motore di sussidi”.

Già, sussidi: “su 20 anni, stati come il Minnesota ed il Delaware hanno pagato annualmente più del 10% del loro PIL di quanto non ne abbiano ricevuto in cambio. Dall’altra parte, per gli ultimi 20 anni, stati come il New Mexico, Mississippi e la West Virginia hanno ricevuto sussidi annuali di più del 12% del loro PIL”.

Ecco, quando leggo il Governatore che dice nella sua relazione: “l’azzardo morale di chi fida sull’aiuto altrui per perseverare nelle cattive politiche del passato va evitato con una forte pressione politica e normativa, esigendo il rispetto degli impegni concordati, sulla base di programmi ambiziosi ma allo stesso tempo realistici. Sta ai paesi in difficoltà attuare quelle riforme che permettano di ricuperare competitività e ridurre gli squilibri accumulati, coi tempi e la gradualità appropriati, ma senza sconti di ambizione. Sta ai paesi più forti aiutare questo processo non  ostacolando il riequilibrio, realizzando progressi strutturali che favoriscano la domanda”  vedo tutta l’immensa diversità tra falchi europei e pionieri americani.

Ecco perché la nostra costruzione è un gigante dai piedi di cristallo: perché non è ancorata in una solida e forte volontà culturale di restare assieme, di sentirsi europei allo stesso livello, greci e tedeschi e di riconoscere che la Grecia non sarà mai la Germania, sarà sempre la Germania di 30 anni fa, e che non c’è nulla di male in tutto ciò e che i nostri fratelli greci hanno altro che li rende speciali oltre a sapere fare PIL. Hanno un cuore caldo e pietre bianche su cui si sono seduti i filosofi che hanno ideato i nostri valori, e l’Europa ha bisogno di questo come di PIL.

Caro Visco, non ce la faremo mai così, mai.

Ma su Barbara Spinelli ed il suo articolo ho altro da dire. Ne parlerò stasera, ora scappo.