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Altro che Rai. Pensate alla Ragioneria Generale dello Stato

Decreto “Bondi” per la spending review approvato, con modificazioni dall’Aula del Senato della Repubblica in prima lettura: il provvedimento passerà ora all’esame della Camera dei deputati.

Mi sento un po’ tornare al passato quando ero Presidente Consip nel leggere i cambiamenti apportati dalla Camera: ora Consip accentra tutte le gare per le amministrazioni centrali e non più solo alcune; ora le Regioni che non hanno le loro Consip regionali dovranno passare, per la spesa sanitaria delle asl, per la Consip nazionale. Ecco il testo chiave come modificato.

449. Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, [con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono individuati, entro il mese di gennaio di ogni anno, tenuto conto delle caratteristiche del mercato e del grado di standardizzazione dei prodotti, le tipologie di beni e servizi per le quali] tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A. (nuovo il corsivo)”.

Cosa cambia? Non so se cambi molto. Chiaramente l’incapacità di controllare la bontà della spesa dal basso porta Bondi ad accentrare le gare per avere sotto mano più dati. Una sconfitta, tecnologica, quella di rinunciare ad accentrare le gare su una singola piattaforma lasciando ognuno libero di farsi le sue gare mostrando la propria professionalità. Avremmo avuto i dati a disposizione senza limitare la “buona” discrezionalità, che esiste eccome, dei migliori acquirenti pubblici sparsi negli uffici della Pubblica Amministrazione.

Una sconfitta perché non sempre centralizzare le gare è una buona idea. Gli errori che abbiamo fatto nel 2002 non si ripeteranno certo, Consip ha molto imparato da allora quando ero Presidente, ma il modello proposto da questo disegno di legge è lontano da uno di professionalizzazione, responsabilizzazione e riconoscimento del merito – stile anglosassone - degli acquirenti pubblici.

Ma il problema non è nemmeno qui. La sfida vera non è centralizzare ma verificare poi che chi è obbligato a comprare in Consip lo faccia davvero e non svicoli per farsi i suoi acquisti presso amici e compari. E la Ragioneria Generale dello Stato non ha mai controllato nulla in 10 anni. Lo farà adesso?

Il Presidente Monti che difende il Ragioniere Generale dello Stato lo farà a ragion veduta: forse quest’ultimo avrà garantito un’altra musica per gli anni a venire. Io ne dubito e penso che sarebbe stato utile dare un segnale forte di cambiamento, mettendo a capo della Ragioneria un giovane di 40 anni interno ai ranghi di una struttura che ha comunque grandissime professionalità. Il ricambio generazionale poteva partire da lì. Altro che Rai.

Comunque sia, continuo a pensare che il miglior alleato di Bondi non sia la Ragioneria ma il popolo dei consulenti esperti che potrebbero affiancare la Consip, che ha risorse limitate. Comunque sia, certo è che qualcuno deve verificare se gli ispettori della Ragioneria faranno i loro controlli o meno: lo so che è triste entrare nella logica di chi controlla i controllori ma la Ragioneria tanto si merita per tutto quello che non ha fatto in questi anni.

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Moretti 2 e quella Sacher torta sconosciuta al Tesoro italiano

Scusate ma veramente scherziamo. Leggo sulla Stampa che facciamo fatica a trovare 100 milioni per il piano di Passera. 100 milioni, che generano circa 200 milioni di PIL, lo 0,01% di PIL. 0,01% di PIL. 0,01% di PIL. Le briciole.

Ecco perché lo spread sale. Siamo al ridicolo. Ridicolo. Meglio non farli, caro Ministro, 100 milioni, meglio non farli.

Ribadisco, come ieri: 12 miliardi annui di spesa forse aiutano a salvare i nostri conti pubblici dal disastro e con loro le tante imprese ed i tanti occupati che rischiano di sparire. Sparire. Sparire!

Eccolo il DEF, leggetelo:

Grazie ad Emanuele che mi ha insegnato come incollare questo grafico che il pdf riservato del Tesoro non mi faceva copiare normalmente (Piga ha problemi di stampa).

Guardate le linee 10 ed 11: la linea 11 sono i tagli di spesa (in % del PIL) che ci chiede l’Europa. Alla linea 10 quelli che masochisticamente facciamo noi. Per quale motivo? Per far vedere che siamo belli e masochisti?

Se soltanto producessimo dei rientri di spesa pari a quelli richiesti dall’Europa abbiamo 12 miliardi in più a disposizione ogni anno. Certo il deficit sarà un po’ più alto, ma il deficit su PIL più BASSO!

Non so se Nanni Moretti lo sapeva, io no, ma pare che il termine masochismo deriva dall’austriaco Leopold Von Sacher-Masoch. Ecco la Sacher torta, il Tesoro italiano e noi: continuiamo così

 


facciamoci del male.
 

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Enjoy Lord Skidelsky who defends beautifully and elegantly the obvious

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Monti, Passera ed i Comuni assetati: la lezione di Salgari

Sbaglia Javier Cercas a dire che i capitani coraggiosi c’erano in Salgari e non ci sono più nell’Europa condotta dagli Schettino. Sbaglia perché gli Schettino c’erano anche ai tempi di Sandokan come mostra questo passo del “Re del Mare”:

– Dunque, si va avanti sì o no? Corpo di Giove! È impossibile che noi siamo caduti come tanti stupidi su un banco.

 – È impossibile avanzare, signor Yanez.

 – Che cos’è dunque che ci ha fermati?

 – Non lo sappiamo ancora.

 – Per Giove! Era ubriaco il pilota? Bella fama che si acquistano i malesi! Ed io che li avevo creduti, fino a stamane, i migliori marinai dei due mondi!

 – Sambigliong, fa’ spiegare dell’altra tela. Il vento è buono e chissà che non riusciamo a passare.

 – Non faremo nulla, signor Yanez, perché la marea cala rapidamente.

 – Che il diavolo si porti all’inferno quell’imbecille di pilota!

Ma ha ragione Cercas: c’era Yanez, nei libri di Salgari, ed era europeo. Non ci sono più gli Yanez oggidì in Europa. Senza coraggio, questi nostri governanti, dice Cercas.

*

Altri 100 miliardi sono andati. Andati a salvare banche spagnole che chissà perché non sono state appropriatamente supervisionate né dall’autorità di vigilanza spagnola, né dalla BCE, né dalle nuove Autorità di supervisione europea. In realtà il Governatore della Banca centrale spagnola è stato or ora sostituito, 3 mesi prima della fine naturale del suo mandato, ma, fa notare la stampa, senza nemmeno essere stato audito dal Parlamento spagnolo.

Nessuna di queste entità pagherà nulla per non avere bene supervisionato. Nessun giornale oggi le mette sotto accusa.

100 miliardi che non potranno andare a sostenere la crescita. 100 miliardi che non andranno a prestiti verso le imprese. 100 miliardi che non andranno verso la ricostruzione di territori con ritardi economici, sociali e di contesto ambientale.

Questi sono i fatti.

Ricordiamocelo quando a Passera si dice che non ci sono fondi per fare sviluppo: un legame c’è. Lo sa Obama, che ha perso tante delle risorse disponibili dategli dai contribuenti per salvare banche piuttosto che farci domanda aggregata diretta. Oggi forse lo rimpiange.

Non è vero che non ci sono risorse, ovviamente. Come vedete, per salvare le banche ci sono, senza condizionalità addirittura.

Che le risorse ci siano ci porta a fare un passo più in là, nel futuro, e a chiederci che mosse adotterebbe Yanez se gli permettessimo di consigliare il nostro Presidente del Consiglio italiano sul da farsi (tra l’altro data la sua micidiale freddezza Yanez la spunterebbe in ogni negoziato o combattimento che fosse).

Direbbe, il nostro fratellino bianco che, visto che anche la SPD tedesca sta negoziando con la Merkel il suo appoggio al Fiscal Compact in Germania in cambio di una serie di misure gradite al partito di sinistra (Tobin tax sulle transazioni finanziarie, project bonds ecc.), è il momento adatto anche per il Governo italiano per chiedere concessioni dall’Europa. La posizione negoziale italiana è forte: c’è la ratifica del Fiscal Compact in Parlamento e condizionarne il passaggio ad una serie di concessioni tedesche sarebbe facile ed intelligente, nonché coraggioso, da farsi. E c’è un partner, quello italiano, che Dio sa se di sforzi ne ha fatti per non essere le Grecia o la Spagna. O no?

La domanda chiave allora diventa: quale è la cosa più importante da chiedere oggi in cambio, per l’economia italiana?

Ovviamente quella che ha più possibilità di dare ossigeno ed acqua alla ansimante e assetata economia italiana. Quale è?

Ma semplice. Basta leggersi la relazione del Governatore Visco sullo stato della Finanza pubblica per capire dove sta la domanda mancante che fa chiudere per sempre imprese e genera disoccupazione ed alienazione di coloro che escono dalla forza lavoro:

Gli investimenti dei Comuni, che costituiscono oltre la metà della spesa per investimenti delle Amministrazioni locali (e circa il 40 per cento di quella delle Amministrazioni pubbliche), si sono ridotti di circa un quarto tra il 2004 e il 2010.

Grafico impressionante.

La caduta … può essere analizzata in dettaglio a partire dai dati di bilancio diffusi dal Ministero dell’Interno che, per un aggregato confrontabile (la spesa di cassa in conto capitale al netto delle partite finanziarie), presentano una flessione del 28,1 per cento fra il 2004 e il 2010 (ancora più accentuata in termini di impegni). Tale dinamica è riconducibile principalmente alla minore disponibilità di risorse (complessivamente diminuite del 31,7 per cento nel periodo considerato), soprattutto da trasferimenti. La flessione delle erogazioni e delle risorse disponibili è stata particolarmente pronunciata per i Comuni soggetti al Patto di stabilità interno, che dal 2005 ha stabilito vincoli anche alla spesa per investimenti. Tra il 2004 e il 2010 la spesa per investimenti dei Comuni con oltre 5.000 abitanti sottoposti alla disciplina nazionale del Patto (che rappresenta circa il 70 per cento del totale) si è pressoché dimezzata, a fronte di una contrazione del 21,4 per cento per i Comuni di minori   dimensioni. Per gli enti soggetti al Patto le risorse finanziarie si sono ridotte del 37,1 per cento nel periodo considerato, oltre il doppio della riduzione osservata per quelli non soggetti al Patto. Il calo del ricorso al debito è stato particolarmente intenso (-76,1 per cento, a fronte del -18,5 per i Comuni di minori dimensioni): la disciplina più recente del Patto, non computando nel saldo utile le entrate da indebitamento e comprendendovi, invece, le spese con esse finanziate, ha disincentivato l’utilizzo di tale canale di finanziamento.

Complesso riaprire i rubinetti degli investimenti dei Comuni? Macché. Da tempo, mi segnala l’amico Ronaldo Bagnoli da Empoli, e lui sì che se ne intende di gestione degli enti locali,  una lungimirante gestione del patto porterebbe a 7 miliardi in più.

E su questo non avremmo nemmeno bisogno della Merkel. Poi certo, non dovremmo finirla qui, direbbe Yanez. Dovremmo andare dal Cancelliere a Berlino e richiedere un allentamento extra per gli investimenti pubblici locali.

Difficile? Macché, è fattibile  rimanendo all’interno di quanto richiesto dalle norme europee. Se leggete il DEF alle pagine 20 e 21 vedrete che l’Italia si è impegnata per il periodo 2011-2014 ad una riduzione della spesa pubblica reale superiore del 2,9% di PIL in 4 anni a quanto richiestoci dall’Europa. I nostri conti pubblici sarebbero dunque coerenti con la normativa europea sulla riduzione della spesa anche se dedicassimo 0,7% di PIL l’anno per 4 anni (circa 12 miliardi annui) a maggiore spesa.

Ecco, quei 12 miliardi, dedicati a spese per investimento degli enti locali per 4 anni, anche giustificate dall’esigenza di mettere in sicurezza anti-sismica i territori italiani con il loro inestimabile patrimonio culturale europeo,  certamente non ristabilirebbero il trend decrescente che vedete nei grafici ma sarebbero l’acqua e ossigeno che possono ridare forza all’economia e migliorare i nostri conti pubblici con maggiori entrare grazie allo sviluppo indotto sul territorio.

Passera potrebbe pretendere questo? Ma è ovvio. E fossi in lui mi dimetterei subito (senza minacciarle, le dimissioni) se non gielo concedono. Che ci sta a fare sennò?

E non è vero che Monti è solo un Presidente del Consiglio di una piccola nazione e non si può permettere queste battaglie. Ricordo bene cosa diceva Yanez, il tigrotto bianco di Mompracem quando Sandokan gli fece notare: “ Dunque tu non sei piú Maharajah, mio povero amico?”. L’orgoglio del portoghese si riassunse nella sua bellissima risposta: “- Adagio, Sandokan – rispose Yanez. – Ho sempre un piede nell’impero ed ho i montanari sempre fedeli”.

Ecco. I suoi montanari sono con lei Presidente Monti, procediamo sicuri, con l’orgoglio di chi la Storia la sa fare. L’Italia ha tanto da insegnare all’Europa, per il nostro bene comune.

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Buon Governo e Autorità: la forza della Rete e dell’istruzione

La questione della qualità delle nomine dei componenti delle Autorità o delle società pubbliche controllate mi pare questione altamente rilevante. E difficile da risolvere. Se lasciata alla politica è altamente politicizzata, se lasciata ai tecnici politici è altamente individualizzata (che Monti per la Rai nomini 2 persone di qualità ma legate ad un ambiente a lui vicino è altamente significativo al riguardo).

E’ una questione complessa, da risolvere per il bene della collettività. Le Autorità furono create per essere indipendenti ed ho sempre trovato questa una contraddizione in termini piuttosto buffa e pericolosa. Buffa perché è impossibile che qualcosa in una società sia “indipendente” e la questione è piuttosto come renderle le più dipendenti possibile da una forma accettabile seppur vaga di “perseguimentoo dell’interesse generale”. Pericolosa perché concentrando il potere decisionale fuori dalle stanze della politica rendea il rischio di cattura da parte di interessi particolari più evidente e spiccato.

Che le soluzioni non siano semplici lo dimostra il caos occorso attorno alla questione dei curricula, da molti invocato come toccasana, soluzione che si è dimostrata assolutamente incapace di dominare il contesto di cattura delle nomine da parte della politica.

E poi non scordiamo che non sempre è detto che leader esperti e competenti nelle Autorità sappiano generare buoni risultati se pressati dalla politica o se circondati da funzionari incompetenti o catturati a loro volta. A chi rispondono del loro operato se non è stato a vantaggio dell’interesse generale?

Penso a tutto ciò mentre leggo un lavoro di 3 bravi economisti negli Stati Uniti che guardano al rapporto tra istruzione dei cittadini e “buon governo”.

Se c’è una cosa che sappiamo per certo è che il Buon Governo cresce invariabilmente con una maggiore “alfabetizzazione dei cittadini” (vedi grafico) e, importante, questo sia nelle democrazie che nelle dittature. Dunque votare serve, ma qualcosa altro fa sì che l’istruzione dei cittadini rende migliore l’azione del Governo. Cosa?

La loro opinione è che cittadini più istruiti “protestano di più”. Lo fanno o perché sanno farlo meglio, o perché hanno acquisito più sensibilità per il bene comune, o perché temono meno le possibili minacce dei burocrati. Un’altra possibilità è che i burocrati stessi con più istruzione migliorino.

Non credono molto all’idea che sia il maggiore reddito e non la maggiore istruzione a portare a protestare maggiormente per avere questo migliore Governo: più soldi, migliori avvocati, ecc… Ma mettono alla prova anche questa possibilità.

Con una ampia batteria di dati, si divertono infatti ad esaminare quali sono, nel mondo, le caratteristiche dei cittadini che protestano e che si esprimono più ampiamente e con più facilità.

Se 13,6 cittadini su 100 in media al mondo si lamentano dei servizi ricevuti dal Governo, per cittadini laureati la probabilità è del 4,5% più alta: un valore molto più alto.

Il risultato interessante è che questo effetto positivo della maggiore istruzione è più forte nei paesi a bassa istruzione che non nei paesi ad alta istruzione. In questi ultimi tutti “sanno o son capaci” di lamentarsi e protestare, aumentando la qualità complessiva del servizio pubblico. Nei paesi a più bassa istruzione, sembrano dire i dati, “solo l’élite istruita protesta”: e forse diminuisce con ciò (perché son pochi?) la probabilità di ottenere il Buon Governo.

Altri elementi dal loro studio. Il dato che i cittadini si lamentano in  Paesi con ampia istruzione è indipendente dal fatto che il paese sia una dittatura o una democrazia. E’ un risultato importante, che suggerisce come il meccanismo vincente sia quello della “protesta dal basso”.

Come è altresì importante che le lamentele, scoprono gli autori, non dipendono dal reddito ma dall’istruzione. Se proprio qualche altro fattore spiega la capacità di lamentarsi maggiormente con un Cattivo Governo, oltre appunto all’istruzione, è … il possesso di un cellulare!

Mi direte, ma allora con i cellulari noi italiani siamo posizionati bene per ottenere un buon Governo, comprese delle buone Autorità? Purtroppo no: il livello d’istruzione italiano è così basso (24° su 27 nell’Unione europea quanto a laureati) che spiega benissimo perché non riusciamo a pretendere ed ottenere un buon Governo come gli altri Paesi.

Abbiamo dunque una ragione in più per spingere sull’acceleratore di una migliore e soprattutto più pervasiva istruzione superiore. Ma nel frattempo che fare per le nostre Autorità? Perché vengano assicurate le giuste nomine ed una loro efficacia nel dominare materie tecniche e complesse resistendo a pressioni politiche?

Ci vuole pressione sul Governo. Pressione di tanti, non di pochi, di persone istruite, capaci di individuare quando un candidato proposto non è all’altezza, capaci di individuare, selezionare, proporre, sostenere un candidato all’altezza, sorvegliandolo e aiutandolo durante il suo mandato una volta eletto.

Se è vero che è la domanda dal basso e la lamentela che ottiene il risultato del Buon Governo, allora credo che ci sia una sola strada obbligata. Quella percorsa da Stefano Quintarelli, candidato recente(e sconfitto) della Rete per la potente Autorità delle Comunicazioni. Appoggiato da tanti che credevano nella sua competenza e passione (io non lo conosco). Tanti a cui poi il Quintarelli avrebbe dovuto rispondere della bontà del suo operato con i fatti.

Se così sarà, se buone candidature nel futuro verranno sottoposte da tanti individui anche grazie alla forza della Rete, la politica dovrà ascoltare. Dovrà ascoltare quando arrivano dei curriculum non a casaccio dalla società civile, da tantissimi individui istruiti che avranno valutato e scelto un potenziale candidato.

Certo poi siccome i candidati saranno tanti, tutti scelti da vasti gruppi di cittadini, spetterà alla politica fare la scelta finale: ma la rosa finale sarà fantasticamente varia, competente e responsabile.

E’ andata male questa volta? Non bisogna mollare. Bisogna partecipare come cittadini, selezionando accuratamente i candidati, esperti e volenterosi. La strada è tracciata, basta lamentarsi, si può fare: usate i cellulari e organizzatevi!

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Fate entrare i bravi nell’università. Non usciranno i sorrisi.

Ho appena finito con i miei collaboratori la bellezza di 90 esami orali in 3 giorni di studenti del primo anno. Dopo gli scritti.

Siamo stanchi ed è tardi, il solito caldo estivo, ma siamo felici. E’ una strana sensazione da spiegare, quella della felicità dell’esamificio. In parte è riflesso innato degli esaminatori, un rito che si ripete, il ricordo degli anni passati insieme a collaborare, valutare, mangiare a pranzo insieme, come dei commilitoni.

Ma in realtà è ben altro. Sono i sorrisi a malapena trattenuti di chi prende la lode, la felicità esplicita di chi si è levato un peso, la gioia di chi ha superato il suo primo esame dopo tante bocciature, la commozione che esplode di chi era teso come un arco di violino, la simpatia di chi si sente di avere preso un voto più alto di quello che pensava meritare e non trattiene la sorpresa.

Siamo sempre felici. Gli vogliamo bene noi alla nostra università. Ci piace trattarla bene perché ci tratta benissimo, sappiamo di essere dei fortunati. Chi lavora coi giovani ed è pagato per pensare e insegnare è un fortunato, non credete?

Questi fortunati dovrebbero dunque meritarsi questo ingresso in questo posto meraviglioso. Sono tanti a volerlo proprio per questo motivo. Vorremmo che vi entrino i più bravi: a insegnare, a ricercare, a insegnare e ricercare.

Dunque è importante come li selezioniamo. E non è mai facile, errori possono capitare, si giudica oggi un qualcosa che darà frutti nel domani, così complicato.

Quindi vi dico cosa penso della prima bozza uscita della legge di riforma dei concorsi universitari, sperando che venga rapidamente modificata (ci riferiamo al testo attualmente in circolazione) e che non modifica i difetti peggiori della legge Gelmini, pensando invece di porvi rimedio.

Intanto vi dico come la penso io. Come l’ho sempre pensata io. Piga Gustavo ha un nipote di 21 anni non laureato che insiste per che venga reclutato senza competenza alcuna come professore ordinario (il più alto grado) strapagato? Bene, lo si faccia. Nessun concorso, niente? Assolutamente. Con un ma. Che quella Università paghi un prezzo molto ma molto alto in termini di finanziamenti negati se così avvenisse. Ovviamente, molti saranno i fondi che affluiranno invece a quelle università che liberamente scegliessero di assumere giovani ricercatori competenti ed appassionati maestri in aula. Certamente è fondamentale che una buona parte dei soldi alle Università che hanno fatto bene arrivino nelle tasche dei docenti che hanno permesso alla stessa Università di fare bene (sennò addio incentivo a fare bene). Un sistema simile (con dei suoi difetti a cui si cerca nel tempo di porre rimedio) è quello britannico.

Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la filosofia che sottosta al disegno di legge (non ufficiale) del Governo Monti quando restituisce agli Atenei locali il potere di farsi le proprie selezioni (addirittura rispetto a prima le Commissioni sono al 50% interne, membri nominati dal Rettore!) e addirittura penalizza di 3 volte il costo della chiamata quelle università che reclutano un docente che verrà poi ritenuto non degno! Cioè se io faccio diventare ricercatore mio nipote con uno stipendio di 30.000 euro la legge penalizza l’Ateneo di 90.000 euro. Wow. Briciole. Soldi che paga tutto l’Ateneo e dunque non il responsabile della cattiva chiamata.

Ora mettetevi nei panni di un circolo ristretto di docenti (potenti) che hanno interesse – perché miei amici – ad assumere mio nipote. Il guadagno per loro è enorme: hanno un credito con me, e a quel ragazzo incompetente hanno regalato non 30.000 euro ma 30.000 euro l’anno per il resto della sua vita e chissà quali altri favori otterranno in futuro da mio nipote con i loro nipoti quando toccherà fare entrare loro all’Università.

Mi direte, ma no, c’è chi protesterà. Oh sì, Gianfranco. Gianfranco protesta sempre perché è un idealista, un puro. Uno sfigato secondo alcuni, un rompiscatole secondo altri. Ma Gianfranco conta poco. Gli altri professori? Beh, facciamoci un po’ di conti. Ci perdono 90.000 euro di finanziamenti. Procapite saranno 90 euro per un Ateneo con 1000 docenti. Pensate che urlino e starnazzino? Con il rischio di mettersi contro i grandi baroni?

Ma dai.

Questo sistema è perfettamente incapace di combattere l’enorme potere dei potentati locali.

Ci vogliono signori premi per quegli Atenei che chiamano a sé il meglio, signore penalizzazioni per chi chiama a sé il peggio. Così che all’interno gli Atenei sentano il costo delle scelte sbagliate e i suoi componenti si oppongano credibilmente a queste e supportino quelle giuste perché hanno solo da guadagnarvi anche loro.

Se non lo faremo, nella mia università si spegneranno tanti sorrisi, di quei giovani che hanno bisogno di credere che nel loro futuro c’è un Paese dove chi si impegna viene comunque premiato.

Grazie a Lorenzo e Stefano.

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PS ad Alesina e Giavazzi sull’indebitarsi al 6%

PS ad A&G di oggi sul Corriere.

Non sono un Cavaliere della Tavola Rotonda del finanziamento in deficit della essenziale spesa pubblica. Penso che la Germania possa farlo meglio di noi e che a noi spetti di farlo con quell’aumento di tasse già deciso da Berlusconi e confermato da Monti. Mi schiero insomma con l’approccio del Nobel Stiglitz alla questione.

Ma non per le ragioni che sottolineano A & G oggi sul Corriere ovvero che:

senza contare che con tassi sul debito pubblico al 6 per cento non è certo un buon momento per indebitarsi”.

Strana teoria. Indebitarsi oggi al 6%, rispetto ad essere tassati oggi, vuol dire non tassare i cittadini oggi e permettergli di risparmiare quei soldi  al 6% per ripagarci domani le spese per interessi del 6%. Non cambia nulla.

Sono per il finanziamento della spesa in deficit da parte della Germania e non dell’Italia perché capisco che vi è una qualche maggiore credibilità quando questa operazione è posta in essere dalla Germania che non dall’Italia e che dunque gli spread italiani sarebbero leggermente superiori con il deficit che con le tasse. Tutto qui.

E, aggiungo per chi mi legge per la prima volta, sono per una mossa simultanea di aumento di spesa pubblica (finanziata in modo appunto diverso) da parte di ambedue i Paesi. Anche qui, come dice Stiglitz.

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Ubriachi di spesa pubblica? Dateci la fontana di acqua per dissetarci!

The A&G weekly is out. So am I.

A & G (Alesina e Giavazzi, ma come farei senza di loro??) dicono che sono giorni cruciali per l’euro e che le infrastrutture non sono la priorità dell’Italia:

“A un Paese post industriale come l’Italia non servono più infrastrutture fisiche …”.

Non servono infrastrutture fisiche ad un paese post-industriale come l’Italia??

Non so quanto possiamo chiamarci post-industriali con un manifatturiero al 25% con la Francia al 18%, il Regno Unito al 21, gli Stati Uniti al 22, secondi solo alla Germania che ha il 28%. Se Obama si spende e spende per le infrastrutture con convinzione, se non lo facciamo deve essere per un altro motivo che l’essere post-industriali.

Forse ne abbiamo troppe, di infrastrutture? Daniele Franco della Banca d’Italia suggerisce il contrario e ricorda come il problema non sia quante infrastrutture abbiamo (anzi, a conferma, ne abbiamo troppo poche) ma lo spreco che sosteniamo rispetto agli altri partner nello spendere troppo per esse, ottenendone troppo poche.

 

Purtroppo non è ubriacandoci di asfalto e traverse ferroviarie che il Paese ricomincerà a crescere.”  Servono, secondo A&G, riforme.

Ma certo facciamole le riforme, assolutamente. Per esempio una buona riforma dell’università, su cui concordo (anche se temo che differiamo sul cosa costituisca una buona riforma dell’università). Salveremo l’euro con una buona riforma dell’università? Crescerà il Pil del 2012, 2013, 2014, 2015 con una buona riforma dell’Università? Crolleranno gli spread con una buona riforma dell’università?

Ma dai.

Altro che ubriacarsi di asfalto. Qui si muore di sete, c’è bisogno di acqua! Altro che vino, di buona o cattiva e qualità. C’è bisogno di acqua, così basica, essenziale: sono le tantissime manutenzioni, e non i nuovi progetti, di cui hanno bisogno cittadini e imprese e che aiutano l’occupazione, specie delle persone più a rischio disoccupazione, quelle con meno istruzione e che più facilmente sarebbero chiamati dalle imprese a lavorare negli appalti. Di? Di ricostruzione di ospedali, territorio (effetti sisma compresi), patrimonio culturale, scuole da mettere in sicurezza!

Nanni Moretti ci dice che “i medici sanno parlare però non sanno ascoltare e di essere stato circondato da medicine inutili prese in un anno”. Forse ci ricorda qualche economista-medico di cui non c’è più tanta voglia di sentire la parola perché non sanno ascoltare il lamento portentoso che proviene dal territorio e dal Paese?

 

Solo questa spesa pubblica, oltre a essere essenziale per tenere in buona salute il corpo del nostro Paese – come dice Nanni Moretti – e dell’euro nel lungo periodo, ci disseta e ci fa sopravvivere oggi, al nostro paese ed all’euro. Dateci una fontana.

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Quel poco di europeo che resta da aggiungere: No More Secrets

Ci siamo. Siamo arrivati in quel particolare momento della Storia dove gli opinionisti non contano più. Dove i suggerimenti ormai risultano inutili. Dove quello che avverrà non dipenderà dalla razionalità o la lungimiranza degli individui, se mai queste siano esistite in questo recente contesto politico europeo.

Lo capisco dalla mia stanchezza. Non trovo più modo di ribadire – come ho fatto per mesi – che una soluzione a questa crisi c’è dopo che i leader spagnoli fanno capire che a questi tassi d’interesse non ce la fanno più a sostenere il finanziamento del loro debito. Frasi pubbliche così poco sagge o così tanto disperate fanno intuire la dimensione del baratro e l’inutilità delle mie opinioni.

Se è inutile suggerire è poco utile anche prevedere. Bello l’articolo dello storico Harold James che ammonisce come le non-linearità della storia fanno sì che se l’Europa salta rischia di non esserci più l’Italia ma l’Italia del Nord, o la Germania del Sud. Possibile? Chissà. Non credo sia rilevante ammonire in tal senso, nessuno ascolta.

Conta solo questo. Nel panico forse si costruirà una nuova Costituzione. Rilevante evento, non concordate?

Mi sono riletto le conclusioni di un libro che toccherà che riprenda, “To Form a More Perfect Union” di Robert Mc Guire, una interpretazione di qualche anno fa di come gli Stati Uniti arrivarono alla loro loro Costituzione. Ecco cosa concludeva:

“… gli interessi di parte di coloro che sono coinvolti in ogni cambiamento costituzionale influenzeranno significativamente le scelte che faranno. Abbiamo mostrato non solo che le nostre (Usa) scelte fondative e costituzionali non furono né disinteressate né non-partigiane ma anche che è altamente improbabile che parti disinteressate … possano avere un ruolo in qualsiasi società nella modifica delle costituzioni… Le costituzioni sono un prodotto degli interessi delle controparti coinvolte nel creare cambiamenti costituzionali. La vera questione per ogni società coinvolta nel disegnare, o riformare, una costituzione, è dunque, se possibile, di strutturare le sue deliberazioni costituzionali così da prevenire che gli individui coinvolti beneficino personalmente da comportamenti partigiani e interessati”.

Sano pragmatismo americano. Ecco, se proprio dobbiamo morire o sopravvivere con una nuova Costituzione (che io disapprovo per i rischi a cui esporrà ulteriormente l’economia europea) dove gli interessi dei singoli saranno rilevanti, facciamo almeno sì che questo dibattito si faccia in pubblico e che le voci di tutti i partiti e di tutte le parti siano ascoltate.

Che non ci siano stanze segrete è una pre-condizione affinché ciò avvenga.

Non è avvenuto con il micidiale Patto Fiscale deliberato nell’oscurità ma per il quale il Parlamento italiano ha ancora in mano l’importante carta della ratifica non ancora concessa. Non deve avvenire a maggiore ragione per qualsiasi mossa di accelerazione nella fase delicatissima di creazione di una Unione fiscale.

Sarebbe un colpo di Stato mortale per la democratica Europa.

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Quanto spreco nel trovare gli sprechi

Oggi sto facendo il trasloco di casa. Non ho mai buttato così tanta roba in vita mia. Pare sia sempre così.

Anche quando cambi fornitore dopo tanto tempo, pare che il nuovo fornitore scopra tantissime cose che si avevano da tempo immemorabile, che non servivano, e per cui comunque si pagava.

Non fosse altro che per questa ragione ogni tanto cambiare fornitore serve.

Penso a ciò quando leggo la succinta ma precisa sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ( sentenza ) che ha accolto la domanda di annullamento da parte di Fastweb (ricorrente) degli atti di affidamento a Telecom Italia SpA – dichiarando inefficace alla data del 31 dicembre 2013 la convenzione quadro datata 31.12.2011 – per la “fornitura di servizi di comunicazione elettronica a favore del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e dell’Arma dei Carabinieri, quali servizi di fonia vocale, fonia mobile, trasmissione dati”.

PS: Gustavo Piga non ha contratti di consulenza (o altri) in corso né ha avuto contratti né pensa di ottenere contratti con Fastweb S.p.A.

Una gara della bellezza di 521,5 milioni di euro, affidata con trattativa diretta e senza gara. Leggiamo dallae motivazioni:

… il Collegio ritiene che tali dati di fatto e circostanze non integrino i requisiti e le condizioni fissate dalla legge per disporre l’affidamento mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, perché non integrano quelle specifiche ‘ragioni tecniche’ che inducono a ritenere che vi fosse un solo operatore economico (nella specie, Telecom Italia S.p.A.) in grado di garantire l’esecuzione dei servizi indicati. … La logica insita nella norma, che eccezionalmente deroga al principio della gara, è quella di non imporre una gara il cui esito sia pressoché scontato a priori perché solo un operatore è in grado di assicurare la prestazione richiesta. In casi del genere, l’unicità del fornitore deve essere certa prima di addivenire all’affidamento e l’indagine di mercato può avere il solo scopo di acquisire la certezza di tale unicità o di escluderla …Ebbene, nel caso di specie – proprio per le ragioni sopra evidenziate -, anche alla luce della disponibilità manifestata da Fastweb S.p.A. con nota del 3 maggio 2011 -, non era così scontato a priori che un solo operatore economico (Telecom Italia S.p.A.) era in grado di assicurare la prestazione richiesta, posto che non vi erano né diritti di esclusiva … né ragioni tecniche che impedissero l’espletamento di una procedura selettiva … Sotto altro profilo, va rilevato che alcuni dei servizi rientranti nella procedura contestata hanno costituito oggetto di contratti quadro stipulati all’esito di gare svolte da centrali di committenza nazionali CNIPA (ora Digital-Pa) e Consip, all’esito delle quali sono stati selezionati, rispettivamente, 4 e 2 fornitori, tra i quali Telecom Italia SpA e Fastweb SpA. e, quindi, il Ministero dell’Interno avrebbe potuto valutare la convenienza dell’adesione all’uno o all’altro fornitore, anziché decidere di addivenire alla stipula di un contratto settennale con Telecom Italia SpA mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara. E, comunque, al fine di garantire il massimo rispetto del principio generale di concorrenza, avrebbe dovuto valutare la scorporabilità dei diversi servizi così come hanno fatto – secondo quanto asserito da Fastweb Spa e non smentito dall’Amministrazione resistente e dalla controinteressata – il Ministero della Difesa (che ha aderito alla Convenzione Consip per i servizi di telefonia fissa, ritenendo frazionabile la fornitura dei servizi di telefonia, trasmissione dati e ICT) ed il Ministero della Giustizia (che si è rivolto a diversi partner commerciali per usufruire dei servizi di comunicazioni elettroniche e relativi apparati).

Ci sono tanti modi di fare la spending review. Uno di questi è di lasciarla in mano ai fornitori sconfitti in gara che fanno emergere possibili storture sulle quali si pronuncia la magistratura. E’ raro che avvenga e di solito avviene là dove ce n’è meno bisogno, nei mercati già competitivi, mentre nei mercati dove regnano pochi operatori ti aspetteresti il quieto vivere. Così non è stato questa volta, e a quanto pare è stato un bene: il Ministero dovrà fare la gara (non è dato conoscere cosa abbia fatto l’Ispettorato interno al Ministero per manifestare le proprie perplessità sulla gara in questione).

Ma la sentenza illustra anche che nel mondo degli appalti, anche presso le stazioni appaltanti più qualificate, lo spazio per il miglioramento organizzativo è enorme. Enorme.

E dunque vi è necessità di incidere sulle competenze e i processi. Sulle prime l’attuale decreto “Bondi” non fa nulla, ed è un peccato. Basterebbe condizionare la carriera e la possibilità di bandire gare al superamento di certificazioni professionali, come viene fatto nel Regno Unito. Sui processi, beh, il decreto Bondi potrebbe impattare, evitando che ci si debba affidare ad un contenzioso che ritarda i tempi di reazione dell’autorità e che comunque poi richiede del tempo per rimediare ai danni (nel nostro caso, per esempio, non si potrà fare la gara per tutto il 2013 per assicurare la continuità del servizio).

Ecco dunque tre fatti chiari che emergono da questa gara:

a)    Gli sprechi potenziali ci sono;

b)    La cabina di regia serve;

c)     Ci si deve dotare di strutture per identificare gli sprechi e migliorare l’organizzazione sottostante.

Le 3 cose vanno di pari passo. L’una senza l’altra, è spending review monca.

Diciamolo a Bondi: trovare 4,2 miliardi di sprechi e lasciare tutto come è ammonta a far fare il trasloco e non insegnare a mettere su la nuova casa più bella e funzionale. Valeva la pena? Sì, ma quanto spreco nel trovare gli sprechi.