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Quis custodiet ipsos custodes? Il tema difficile della vigilanza ai tempi di MPS

Avrete letto nel caso Monte Paschi di Siena la difesa del regolatore Banca d’Italia: abbiamo bisogno di più poteri.

Difesa che per certi versi mi è piaciuta, perché era cosa chiesta dai vertici dell’istituzione già da tempo, prima che si materializzassero i problemi, non fatta dopo che questi si sono materializzati. Ma siamo sicuri che più poteri sono necessari? O sufficienti?

Si dà il caso che sia uscita proprio negli stessi giorni dell’affermazione di Bankitalia un lavoro defatigante di tre noti esperti del tema della supervisione: “Bank Regulation and Supervision in 180 Countries from 1999 to 2011” di James R. Barth, Gerard Caprio, Jr. e Ross Levine. Che studiano come è cambiata nel mondo negli ultimi 10 anni, prima e dopo la crisi finanziaria, la supervisione bancaria. Affidandosi anche alla costruzione di indicatori sintetici di bontà dell’attività dei supervisori.

Ho letto questo lavoro guardando a cosa aveva da dire sull’Italia e dunque anche sulla Banca d’Italia. E i risultati sono interessanti, anche per capirci di più sul tema MPS. Ne consiglio al lettore curioso la lettura. Di seguito elenco alcuni punti che ho ritenuto più rilevanti ai nostri fini:

1)    Tra il 1999 ed il 2011 l’Italia è il paese sviluppato che ha più aumentato il suo grado di concentrazione bancaria misurato dal tasso di attività bancarie detenuta dalle 5 più grandi banche: dal 25% al 65% circa, raggiungendo la Svizzera. Se uno crede, come io credo, che i regolatori diventano più deboli e meno efficaci al crescere della dimensione dei regolati, che hanno più potere e più possibilità di catturare i regolatori, beh, eccovi un indizio di un problema. E chi ha autorizzato una crescita della concentrazione bancaria in un mero decennio di questa ampiezza?

2)    Gli autori costruiscono poi un indicatore dei poteri di supervisione e di come questi sono cambiati nell’ultimo decennio. Interessante è che Italia e Islanda siano i paesi che hanno più aumentato questi poteri di supervisione così come misurati dall’indice. Quasi altrettanto è cresciuto l’indice formale di controlli esterni. Malgrado il lavoro non indichi il valore di partenza degli indici, è plausibile pensare che l’Italia non partisse da valori molto bassi nel 1999.

3)    Impressionante è l’aumento avvenuto dell’indicatore di governance esterna (possibilità di auditing a banche ecc.): l’Italia spicca come primo Paese tra i 180.

4)    Se guardiamo al numero di dipendenti dedicati alla supervisione bancaria in rapporto al numero di banche, otteniamo lo 0,9%. Il numero massimo tra paesi è 25, quello mediano 2,7. E’ di 0,3 negli Usa e di 0,8 nel Regno Unito, di 6,1 in Grecia. Gli autori sono bravi a  ricordare come questo sia spesso un indicatore fallace, o meglio un indicatore di qualcos’altro: “in paesi con istituzioni democratiche deboli maggiore potere di supervisione viene associato con maggiore corruzione nel processo di prestiti senza miglioramenti in termini di stabilità”. I 25,3 massimi di dipendente per banche sono in Colombia.

Insomma, non parrebbe proprio che le cose siano state così terribili per i nostri supervisori in questi ultimi anni in termini di maggiori poteri.

Come conciliare questo maggiore potere con il fiasco regolatorio di MPS?

Ci potrebbero essere 1000 risposte. Tra cui quella che se qualche banca vuole nascondere qualcosa è facile farlo, anche al miglior regolatore. Per esempio, nell’indicatore di governance esterna su cui siamo migliorati così tanto trova spazio anche la domanda chiave “operazioni fuori bilancio (off-balance sheet items) sono rivelate al pubblico?”. Ebbene la risposta per l’Italia è sì, e dunque prendiamo tanti punti come Paese, ma se poi queste operazioni vengono delinquenzialmente nascoste, a cosa serve quest’indice?

Eppure vi propongo un’altra possibile risposta, che vale tanto quanto quella sopra. Dato un certo livello di poteri, ampi quanto vi pare, alla fine quello che conta è se questi vengono esercitati. E vengono esercitati se il supervisore è veramente al servizio della collettività e non dei regolati. Ovviamente la Banca d’Italia è istituzione prestigiosa che fa onore al nostro Paese. Ma che sia controllata da banche private, anche se solo formalmente, e che, nella sostanza, come dicevamo sopra, le grandi banche siano divenute più grandi nell’ultimo decennio, fa sorgere alcuni dubbi. Dubbi sul fatto che quello di cui abbiamo bisogno oggi forse non sono maggiori poteri alla Banca d’Italia, ma una Banca d’Italia più indipendente e meno vicina, anche solo formalmente, ai regolati.

Un argomento, ovviamente, che varrebbe anche per la Banca Centrale Europea nel momento in cui decidessimo (a mio avviso miopicamente) di concentrare presso di essa e non di una nuova istituzione indipendente la vigilanza europea.

3 comments

  1. Alessandro Allegri

    07/02/2013 @ 09:10

    Carissimo Prof. Piga,

    sono stato suo allievo nel lontano 1995-1996 (corso avanzato di economia, quando lei insegnava insieme al prof. Baldassarri) e leggo sempre con molto interesse il suo magnifico blog.

    Sebbene la mia opinione possa essere “di parte”, in quanto sono in Banca d’Italia dal 2004, l’argomentazione sulla presunta influenza delle banche “proprietarie” dell’Istituto sulla conduzione dell’attività di vigilanza è priva di fondamento. La Banca d’Italia ha regole di governance che impediscono ogni influenza dei “partecipanti” (così si chiamano i nostri proprietari) sulla gestione della Banca stessa (dalle nomine dei vertici a tutte le attività svolte, tra le quali vi è la vigilanza).
    Da tempo si parla della proprietà della Banca. Se la politica volesse riformare questa materia occorrerà la massima prudenza, specie se si vorrà attribuire la proprietà della Banca d’Italia al Tesoro. Se non si disegneranno bene i meccanismi di governance per garantire l’indipendenza della Banca, allora sì che rischieremmo di perdere l’integrità di una delle poche istituzioni ancora funzionanti e meritocratiche del nostro paese.

    La saluto cordialmente.

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    • Grazie Alessandro per l’utile commento e ben ritrovato (ricordo il nome anche se non ora il viso). Il mio parere è che i conflitti d’interesse, che non sono un reato, diventano un problema nel momento in cui non sono gestiti. A questa categoria appartengono anche quelli c.d. “potenziali”. Sulla seconda parte auspico anche io prudenza, maggiore di quella che si è esercitata in questi anni quando si è deciso di rimandare e non affrontare la situazione. Spero di incontrarla presto.

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  2. Rapisarda Salvatore

    12/02/2013 @ 10:50

    Una prima osservazione l’abolizione delle tutele al lavoratore leggi art.18 quanto costerà a tutti noi?
    Se già adesso tutti sono”allineati e coperti” e chi parla e denuncia (ma non chi non vede,non sente e non parla) viene allontanato e licenziato?
    Perchè non prevedere i danni punitivi all’americana in questi casi?
    E poi perchè in una prospettiva europea non creare una pluralità di controllori in concorrenza tra di loro invece di pensare a semplici trasferimenti di competenze?

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