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Spendere meno è possibile, purtroppo.

A me spiace tornare sempre sull’argomento dei corsivi (“spendere meno non è impossibile”) di colleghi bravi come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, ma siccome ci divide un oceano credo sia al tempo stesso simbolico ed utile contrapporsi.

Riconoscono, finalmente, che politiche fiscali restrittive (meno spese più tasse) fanno salire il debito-PIL. Ottimo.

E che lezione ne traggono? Che correzioni attuate con meno spesa sono “meno recessive” di correzioni attuate con l’aumento delle tasse.

Ecco, immaginatevi una persona sul cornicione che disperato pensa di suicidarsi. Abbiamo tre alternative. Aiutarlo a salvarsi. Oppure dargli due possibilità per suicidarsi, una più gentile (sparati prima con una pistola) ed una più dura (buttati dal cornicione). Il loro argomento: prego ecco la pistola. Il mio e quello di un numero crescente di persone è semplice: siamo in crisi di spesa, spendiamo di più. Ma non in deficit, non ce n’è bisogno. Così salveremo il malato.

E meno male che infatti l’alternativa c’è. La menzionano proprio i miei due colleghi quando ricordano che il candidato socialista Hollande in Francia  ”promette aumenti (non tagli!) di spesa per 20 miliardi di euro accompagnati da maggiori imposte per 26 miliardi … basterebbe il suo programma per far togliere tutte le A al debito francese”.

Per ora le A le hanno tolte a chi ha fatto quanto chiesto da Alberto e Francesco, rigore e austerità. Quanto propone Hollande lo insegniamo da 30 anni nelle aule universitarie, si chiama moltiplicatore keynesiano del bilancio in pareggio, aumenti (non tagli!) di spesa pubblica e pari aumenti di tasse, zero deficit, crescita (se siamo in recessione). E cioè l’unico modo per ottenere l’abbattimento del rapporto debito-PIL, come confessano senza dirlo gli stessi miei colleghi.

Il mondo è bello perché vario.

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The Daughter of the Shopkeeper

A nation of shopkeepers. Small firms. Some people meant that as an insult, my father thought differently. Small firms like the ones of my father.”

I liked the Iron Lady movie. Not only because something has always fascinated me about Thatcher. And because I have always loved Meryl Streep. No, there was a true surprise in this movie. There was (almost) no Iron Lady, but an Old, traditional, lady that cleans dishes, shops for milk, cleans her husband’s jacket. The Iron Lady is somewhere else, left in the books of history, the autobiographies, the tv archives, and in all the corners of a country that was for ever changed by a Prime minister that “refused to change course” because she was taught to leave a trace in history.

The Iron Lady and the Old Lady cross rarely in this movie, a divide that creates both a sense of history and humanity. However when they cross each other, like in this wonderful scene, you see the divine sparkle in all humans, you see the Achilles’ and Ulysses’ that is in us, the flame that might burn to become a wild fire in a tragic but noble attempt to be, at least for a moment, larger than life.

“Watch your thoughts, for they become words. Watch your words, for they become actions. Watch your actions, for they become…habits. Watch your habits, for they become your character. And watch your character, for it becomes your destiny! What we think we become. My father always said that, and I think I am fine.”

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110 e lode e 105: uguale il numero, diverso lo studente

Bel duetto sul Corriere tra pro (Giavazzi) e contro (Fabiani) dell’abolizione del valore legale del titolo di laurea.

Si ritrovano però d’accordo, i miei due colleghi, sull’abolire la valenza del voto di laurea per i concorsi pubblici. Non nel senso di abolirlo ma di farlo diventare condizione necessaria per l’accesso ai concorsi pubblici ma nella più. Non mi pare una cattiva idea. Prendere un buon voto di laurea all’università (specie alla triennale!) non è facile ed è indice di potenziale bravura. Richiederlo per la partecipazione ai concorsi pubblici stimola i ragazzi a studiare meglio. Ma non farlo divenire condizione sufficiente o quasi (se hai preso 110 e lode alla Università X ti do più punti che se hai preso 105 all’Università Y) per vincere i concorsi mi pare altrettanto giusto: Y può essere università molto più difficile dove studiare che X.

E come dunque valutare quanto pesare un voto di laurea una volta superato il voto minimo per accedere al concorso (per esempio 100)? Probabilmente una buona idea è non provarci proprio. Evitiamo la folle burocrazia e lo scontro politico tra università di dire: quella università è meglio di quell’altra e dunque il suo 105 vale come il suo 110 ecc. “Chiediamo all’ANVUR (arbitro della valutazione della ricerca nelle università) di fare la classifica delle università” ecc. è proprio un’idea stupida, hanno ben altre cose importanti da fare. Anche perché dentro la singola università vi sono Facoltà migliori e peggiori e dentro ogni Facoltà corsi di laurea … e dentro corsi di laurea professori ecc….

La soluzione? Agli ammessi si facciano gli scritti, gli orali, si guardi alle esperienze aggiuntive di lavoro e di studio ecc.

Ottima anche l’idea di non restringere per il Ministero dell’Economia (ad esempio) i concorsi a laureati in Economia (ad esempio): ci sono tante competenze non di Economia che servirebbero ottimamente i desiderata del Ministero (Laureati in filosofia o in storia? Ulla, se ce n’è bisogno al Ministero di Via XX Settembre ed al suo approccio all’Europa…), e ci sono tanti laureati non in Economia che potrebbero avere anche loro conoscenze essenziali in economia (e che non sempre hanno tutti i laureati in Economia hanno): non si vede perché non dovremmo verificarne la conoscenza escludendoli a priori. Sarebbe bene ammettere tutti ai concorsi (sopra la soglia del voto minimo) e giudicare, appunto, da CV e prove scritte e orali tarate sui bisogni degli studenti.

Insomma non premiare il numero ma il carattere, l’inventiva, la conoscenza, la maturità di chi si nasconde dietro quel numero. Riformando anche le commissioni ed i commissari che agli aspetti umani così poco rilievo tendono a dare in sede di colloquio (inserire nelle commissioni esperti di risorse umane, ma va?).

Ma i miei bravissimi colleghi purtroppo prendono spunto da una (buona) piccola riforma per allargare il campo ad altre (sbagliatissime) grandi riforme. Non citando nemmeno i loro potenziali conflitti d’interesse in materia. Ci torniamo.

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Il popolo italiano

“Non è necessario essere socialisti per amare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.” Indro Montanelli (da Storia d’Italia, volume l’Italia degli anni di fango)

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Bloccare lo Stupido Patto: una buona proposta per un cicala non così cicala

La nostra proposta è che i Paesi con una ricchezza finanziaria netta delle famiglie in percentuale del Pil superiore alla media dell’Eurozona dovrebbero poter dedurre fino a 25 punti di Pil di tale ricchezza eccedente dall’ammontare del debito pubblico che va ridotto. In tal caso, assumendo che la ricchezza privata si mantenga ai livelli del 2010, i Paesi europei più ricchi a livello privato nel 2014 sarebbero obbligati a diminuire il proprio debito pubblico di un ammontare inferiore a quello attualmente previsto: l’Italia dell’1,7% (anziché del 2,9%), Marco Fortis – Il Sole 24 Ore.

Dobbiamo tutti essere molto preoccupati di quello che sta per avvenire con l’approvazione eventuale del Fiscal Compact dove la riduzione del debito pubblico PIL del 60% in 20 anni ucciderà l’economia italiana.

L’articolo di Fortis sul Sole, segnalato da Gaffeo che ringrazio, ha una sua logica forte. Fortis dice: una cosa è avere un debito pubblico alto sul PIL in un Paese con scarsa accumulazione di risparmio e dunque di ricchezza, una cosa è avere lo stesso debito PIL con un paese che ha invece un forte risparmio e ricchezza privata.

Sapete perché io do poco peso al debito pubblico su PIL (cosa che mi viene spesso rinfacciata)? Perché credo tantissimo nella c.d. “equivalenza ricardiana” (nome che proviene dall’economista David Ricardo) che diceva pressapoco: in circostanze ben precise (che non sempre valgono) non conta se un paese finanzia la sua spesa con tasse o con debito pubblico, conta come spende quei soldi che riceve (spesa pubblica buona o cattiva). Un po’ come se voi compraste pagando contanti o con carta di credito: poco conta, quello che ci interessa è cosa comprate (scarpe di buona o pessima qualità?).

Perché non conterebbe come finanziamo la spesa? Immaginate che vi dicano: tra 10 anni ti taglio la tua pensione – di quel solo anno – del 50%. Ulla. Brutta botta. Come reagireste, a parte protestare? Beh, non mi stupirebbe se diceste “risparmio di più” per far fronte alla mio minore reddito futuro. Insomma consumereste meno oggi per non abbattere troppo draticamente il vostro consumo futuro.

Che fareste invece se quel taglio di trasferimenti fosse fatto oggi e non tra 10 anni? Probabilmente ridurreste il vostro “montarozzo” di ricchezza messa da parte, per non ridurre tutto il consumo oggi ma scaricare una parte della vostra maggiore povertà sul futuro.

Alla fine dei conti stareste messo uguale in ambedue i casi: peggio, certamente (consumate di meno), ma circa uguale tra le due situazioni.

Ecco la stessa cosa vale per il finanziamento della spesa pubblica oggi con tasse contestuali (oggi) o tasse tra 10 anni (cosa che avviene quando lo Stato fa debito oggi che deve rimborsare alzando le tasse nel futuro). Se vi tassano oggi, abbassate i risparmi oggi per non ridurre di colpo i vostri consumi odierni. Se lo Stato fa debito e vi tassano domani, beh, che fate? Mettete da parte, risparmiate di più, per pagare le tasse domani e non farvi trovare impreparati (perché se lo foste, impreparati, è una brutta sorpresa, ci sarà da ridurre “troppo” il consumo).

Come state come cittadini? Con tasse oggi o tasse domani (cioè finanziamento della spesa senza debito o con debito), sempre peggio perché siete più poveri. Ma poveri uguale. Poi certo, quel che conta è cosa ci fa lo Stato con quei soldi, ma questa è un’altra storia.

Dunque, sperando di non avervi tediato, torniamo alla Germania ed al Patto stupido che vi vogliono imporre. L’Italia ha un risparmio privato delle famiglie alto rispetto ad altri Paesi anche perché la gente ha risparmiato in vista delle future tasse. Il suo debito pubblico non è così  terrorizzante come sembra. Né è terrorizzante come quello della (vera) cicala greca che risparmiato non ha così tanto.

Ecco perché la propostra Fortis non è poi così male come (va riconosciuto, e non sono un fan di Tremonti) lo fu allora la proposta del precedente Ministro dell’Economia.

Monti la potrà utilizzare per bloccare la Merkel con la forza di chi porta un’idea che si basa su solide fondazioni economiche. E non sulla stupida e disastrosa austerità.

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Yes we Can. Think Pink. Think Italy.

 

We are the Champions of Europe. Women waterpolo, 2012. Yes we can. Grandi ragazze.

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I ponti invisibili

Di nuovo dalla bella conferenza su infrastrutture, estraggo due slides significative di Daniele Franco, Banca d’Italia.

 

 

 

 

 

 

 

Il titolo si commenta da solo.  L’Italia spende (rettangolo rosso) come Francia, Germania e Regno Unito per le infrastrutture ma …

ma la dotazione infrastrutturale che da quella spesa sorge (rettangolo blu) è molto minore.

Dove vanno a finire tutti quei soldi?

Guardiamo ora alla situazione regionale italiana.

Come vedete, spesa (blu scuro) molto maggiore al Sud e dotazioni (turchese) decisamente superiori al Nord (dove tra l’altro non sempre è più facile costruire strade, come sappiamo!).

Quindi sprechi. Per corruzione o incompetenza, non attribuite tutto alla corruzione per favore.

Sono risultati che da tempo e su archi temporali ben più lunghi il grande Prof. Picci di Bologna aveva esaminato, preannunciando quanto poi i grafici Banca d’Italia confermano.

Speso 100 in ogni regione d’Italia per costruire (per esempio) ponti, in Umbria si ottengono 1,77 ponti ed in Emilia 1,66.

In Basilicata i ponti sono 4 volte meno, 0,39. 3 volte meno in Campania.

Smettiamo di fare ponti o li facciamo meglio? Non ho dubbi al riguardo e mantengo il mio ottimismo: con appropriate regole del gioco i ponti si fanno bene, probabilmente bene come in tutto il resto d’Europa.

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E se il Fondo salva stati non bastasse?

E così una nuova battaglia si profila all’orizzonte tra tedeschi e non tedeschi all’interno dell’Europa.  Quella del fondo salva stati, FSS, oggi ha 500 miliardi di euro ed è pronto a divenire presto operativo, che interverrebbe in caso di crisi di liquidità di un Governo per finanziare il suo debito.

FSS che, secondo il Governo francese (nonché altri paesi come Spagna ed Italia, l’”Alleanza”), “tanto più è ampio, tanto meno verrà utilizzato”. Questo perché i mercati – con davanti agli occhi un FSS enorme – si rassicureranno e accetteranno l’idea che scommettere contro i paesi dell’euro con spread alti è una strategia perdente, visto che qualsiasi problema di liquidità di questi Stati sarà presa in carico dal Fondo salva stati. E dunque, così si ragiona nelle stanze della politica dell’Alleanza, gli spread non faranno che calare e questo renderà auto-realizzate le aspettative di mancanza di crisi, visto che gli Stati stessi non dovranno più affannarsi a trovare risorse per pagare le alte spese per interessi.

Di qui la pressione politica dell’Alleanza per portarlo dagli attuali 500 miliardi a 750 o 1000 miliardi.

Ma i tedeschi, toh, la pensano altrimenti. Sia la Merkel che il ministro delle Finanze Schäuble sostengono infatti che un aumento della dimensione dello FSS ridurrebbe gli incentivi per una disciplina fiscale e per l’accelerazione delle riforme nei singoli stati in difficoltà. “Nessun Fondo funzionerà se i problemi reali non verranno affrontati”.

Chi ha ragione? Non è facile prendere posizione in questo dibattito perché ambedue gli argomenti hanno una loro validità, una volta tanto. Ma hanno anche una, grande, criticità in comune: non fanno i conti con il convitato di pietra, la crescita che non c’è.

I miei problemi sul FSS sono di due tipi. Primo. Non potrebbe essere che quando la crisi arriva ed il FSS si attiva sia troppo tardi? Immaginiamo una possibile situazione. Il Governo (greco? Portoghese?) appena eletto da una popolazione stanca di sacrifici, effettua una nuova manovra di austerità. In Europa si plaude al Governo (non sarebbe la prima volta). Ma la piazza irrompe, la gente sciopera, protesta e nel giro di 3 giorni chiede l’uscita dall’euro. Il Governo accetta. In 3 giorni è tutto finito. Il FSS non è servito a nulla, non c’è stato nemmeno il tempo di convocare la prima riunione per decidere se erogare i fondi. Il paese, nell’euro, non c’è più.

Secondo. Attualmente il FSS recita che esso si attiverà nell’assistere i Paesi condizionatamente al fatto che questi attuino “un severo programma di aggiustamento economico e fiscale, in linea con gli accordi esistenti”. Mmmm. Quindi: ti daremo i soldi, se sei in crisi, se fai politiche fiscali restrittive. Grecia-style insomma. Esperimento, quello greco, che come sappiamo ha portato anche il Fondo Monetario Internazionale a dire “scusate, ci siamo sbagliati!” perché l’austerità in periodi di crisi ha fatto male, non fa bene. Allora mettetevi nei panni dei mercati che vedono annunciato ed approvato il FSS: se il Portogallo entra in crisi e chiede supporto (ed è probabile che se lo fa è perché l’economia stessa, e non solo il suo debito, stanno messi male) – si dice l’operatore di mercato – gli chiederanno di fare altre misure di austerità. Ma, continuerà l’operatore, questa è una ricetta che porterà, come in Grecia, al baratro! Il Paese si ribellerà e, anche in presenza di un ampio FSS, uscirà dall’euro! No, io li spread non li abbasso, concluderà, qui salta lo stesso tutto. Vanificando dunque il ruolo del FSS così come pensato dai paesi dell’Alleanza.

Ma anche la teoria tedesca fa acqua. “Nessun Fondo funzionerà se i problemi reali non verranno affrontati”, dicono. Bene. Affrontiamo i problemi reali allora! Ma i modo in cui i tedeschi vogliono affrontarli, è noto, sono i seguenti: riforme (bene, ma il PIL sale tra 5-10 anni) ed austerità. Male! Malissimo! Se infatti non c’è crescita subito il rischio enorme è che le società “del Mediterraneo europeo” 1) non attiveranno le riforme se non in maniera blanda (vedi proteste e arrendevolezze governative) e 2) scenderanno in piazza contro l’euro.

Insomma notate bene: c’è il rischio che né le ricette Merkel né il FSS reggeranno l’urto della protesta. E per un motivo comune: l’assenza di contestuale crescita economica. E’ possibile cioè che non ci sia tempo, che la marea che ha già sommerso la Grecia e morde alle ginocchia il Portogallo, cominci a lambire le caviglie spagnole ed italiane.

Come uscirne? E’ ora di salire sulla scialuppa di salvataggio che solo una politica fiscale di più spesa pubblica (in deficit in Germania, in pareggio di bilancio nei paesi cicala come il nostro) può attivare: la crescita oggi che sconfigge la recessione.

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Small is beautiful, but not in Europe

So I got angry once again.

At this beautiful conference I was taking part last night, when one of the speakers said, speaking of the Italian industrial system: “there are way too many small firms (SMEs) in Italy (he is right, see slide); it is time we realize SMALL IS UGLY.”

He backed this accusation by (correctly, again)arguing that large firms produce higher returns on average.

So, why did I get angry? Simple. One thing is to say: growing is beautiful, another one is to say that small is ugly. Because if you say the former, then you act to help. If you say the latter you turn your head away from SMEs and move on.

It is not only semantics. In the US you hear a lot “small is beautiful”. The future of the economy is based on small firms that will grow and win market shares. Knowing that, the US Administration in 1953 passed the Small Business Act (SBA), sort of a Constitution for the SMEs. Read the beauty of the incipit of the SBA:

The essence of the American economic system of private enterprise is free competition. Only through full and free competition can free markets, free entry into business, and opportunities for the expression and growth of personal initiative and individual judgment be assured. The preservation and expansion of such competition is basic not only to the economic well-being but to the security of this Nation. Such security and well-being cannot be realized unless the actual and potential capacity of small business is encouraged and developed. It is the declared policy of the Congress that the Government should aid, counsel, assist, and protect, insofar as is possible, the interests of small-business concerns in order to preserve free competitive enterprise, to insure that a fair proportion of the total purchases and contracts or subcontracts for property and services for the Government (including but not limited to contracts or subcontracts for maintenance, repair, and construction) be placed with small business enterprises, to insure that a fair proportion of the total sales of Government property be made to such enterprises, and to maintain and strengthen the overall economy of the Nation.

Isn’t this powerful? In the name of competition, to generate future participation and the wealth of the Nation, we protect you today. Just as you would protect in his first years a young child so as to send him strong and mature around the world during his teens.

Where is Europe on this? Nowhere! It forbids shares of public contracts for SMEs, it does not impose asymmetric regulation on small firms compared to large ones. So in Europe large firms have it all. After all, they are the ones that can lobby more easily politics to get what they want. Without protection, so dies competition and fairness.

A great man, some 40 years ago, wrote a crazily passionate and deliriously fascinating book.

Among his quotes, I share with you the 3 ones I liked the most:

“Centralization is an idea of order, decentralization, of freedom”.
“Man is small, and, therefore, small is beautiful”.

“What we need from scientists? Methods and equipments that are: a) cheap enough so that they are virtually accessible to everyone b) suitable for small-scale application c) compatible with mans’ need for creativity.”

Time will come when his message will rock the scene again.