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Articolo 8 della finanziaria Monti: nessuno ne parla, nessuno si preoccupa

Ne avevo già parlato ed il miracolo è che non interessa a nessuno, la questione delle garanzie a lenzuolo offerte alle nostre banche. http://www.gustavopiga.it/2011/manovra-art-8-garantire-le-banche-ok-ma-prima-garantiamo-il-paese/

Forse perché le nostre banche meritano di essere salvate a tutti i costi (anche se val lapena leggere punti di vista diversi: http://www.linkiesta.it/blogs/trenta-denari/mezzo-miliardo-di-ragioni-licenziare-cda-unicredit-fondiaria-ligresti ).

Comunque una novità c’è. E’ uscita, nel Dossier di documentazione della Camera dei Deputati sulla manovra del 14 dicembre, la scheda di lettura che spiega (o pretenderebbe di spiegare) le misure di stabilizzazione del sistema creditizio volte a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane. Beh, non spiega nulla, nelle sue pur dettagliate 8 pagine, dei soli 200 milioni di euro messi ad accantonamento a fronte dei rischi (piuttosto alti) che corriamo come contribuenti in caso di fallimento.

Non dico che non sono d’accordo con il provvedimento. Dico solo che non sapendo quanto si pensi sia in gioco in termini di rischio, pretendo che i miei rappresentanti in Parlamento pretendano dal Governo una spiegazione.

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Ricostruire la scuola. Il magico moltiplicatore di valori e apprendimento

Oggi ho accompagnato mia figlia che frequenta la terza media per una visita in un liceo in una zona residenziale di Roma. Ha una buona reputazione questo liceo. Ci aspettava all’ingresso una docente che, prima di discutere di programmi, ha pensato bene di portarci in giro nella struttura per vedere le aule.

Immagino ci sia una carenza di capacità di marketing nelle scuole italiane, sta di fatto che l’unica aula aperta in cui ci ha fatto accomodare si presentava nel seguente modo. Banchi vecchi di legno piccoli, rovinati e scomodi, intonaco del muro staccato per almeno il 20% della stanza, il restante 80% ricolmo di autografi di varie generazioni di giovani studenti di lì passati, frasi più o meno spiritose ed una svastica nazista tracciata col gesso ma non cancellata, di grandezza media, che direi difficilmente poteva sfuggire agli occhi di qualsiasi genitore (PS: la scuola non ha reputazione di liceo di destra né di forte movimentismo). E una paradossale lavagna multimediale, come un alieno passeggiante, sorridente, nel bel mezzo del medio evo.

Mi sono per caso sentito vecchio e conservatore quando la maestra ridendo ha esclamato come “i ragazzi sono felici di questa scritte perché si sentono legati a coloro che sono venuti prima di loro?”. No. Mi sono arrabbiato. Non sono contro le scritte creative. Sono contro la sciatteria, la mancanza di manutenzione, di organizzazione, di progettazione, di ricostruzione che ci affligge così tanto da rendercene incuranti. La cura. Ecco quello che ci vuole.  La cura da parte dei singoli che passa non solo dalle attenzioni dei docenti ma della nostra cura alla cosa pubblica, che significa pretendere dai nostri governanti RICOSTRUZIONE.

Un mio caro amico e collega mi segnala la prossima uscita di una pubblicazione OCSE sulla rendicontazione del progetto di ricostruzione dei licei portoghesi, avviato nel 2007 e finanziato anche dall’Unione Europea, documento che non ho letto. Ho letto però la scheda fatta nel 2008 e mi pare una cosa meravigliosa.

Il programma portoghese di “ambiziosa ricostruzione, estensione, adattamento e equipaggiamento entro il 2015 di 332 dei 477 licei, con una spesa di 2,45 miliardi di euro, affidati a una società di stato con forte grado di indipendenza per supervisionare e gestire tutti gli aspetti del programma. (mia traduzione)” . 2,45 miliardi di euro sono 1,5% del PIL portoghese. Come se in Italia spendessimo 23 miliardi di euro per le nostre scuole. Che ne pensereste se tutto il gettito dell’IVA (16,4, un po’ meno in percentuale che in Portogallo) previsto dalla manovra Monti fosse stato, invece che utilizzato per ridurre il debito, portato a finanziare queste spese? Quante piccole imprese avrebbero cominciato a lavorare per il nostro benessere e, qui davvero, per quello dei nostri figli? E quanta occupazione sarebbe stata avviata? Il rapporto debito/PIL sarebbe stato ridotto (sì, non aumentato!) e così il deficit/PIL grazie al moltiplicatore della spesa derivante dalla tassazione che avrebbe generato più entrate, non come l’attuale manovra recessiva.

E non mi dite per favore quanta corruzione. Certo ce ne sarebbe stata e ce ne sarà se lo faremo. Ma con un buon coordinamento questi aspetti possono essere minimizzati (un giorno se mai trovo il tempo ne parlo di questo, spero domani).

Ma c’è di più. E’ cosa ormai nota nella letteratura economica che la qualità delle infrastrutture è il più potente antidoto contro l’assenteismo ed alla mancanza di produttività dei dipendenti pubblici, ben più dei salari (basta chiedersi che voglia ci possa essere di andare ogni mattina a lavorare in un ambiente vecchio e cadente e capirete meglio perché è vero). Ed ecco allora il miracolo del moltiplicatore della spesa: studenti che seguono e che non scrivono sui muri, docenti che sorvegliano e pretendono cura da loro stessi e dai ragazzi. Il moltiplicatore dei valori e dell’apprendimento e della produttività. Cosa aspettiamo? Se il Portogallo lo fa, noi perché non possiamo?

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Don’t Wound the Animal: Either Kill it or Caress it. Adieu M. Chirac

Il ne faut pas blesser une bête. On la caresse ou on la tue.

Jacques Chirac

Former President Jacques Chirac will not only go down in history as the first French head of state since World War Two to stand trial; he’ll also now be known as first to have been convicted as well. On Dec. 14, Chirac was found guilty of illegal use of taxpayer funds and abuse of public confidence while serving as the mayor of Paris in the early 1990s. … Although the two-year suspended prison sentence handed down with the ruling means the 79 year-old former president will not spend any time in jail—or suffer any other significant legal sanction for his acts … the former French President announced Thursday night he would not seek appeal, saying waning health and energy left him unable to wage another protracted legal battle. In doing so, however, Chirac staunchly reiterated his innocence in the case, and defended his honor in general.”

Shall we praise the leader that submitted his fate to justice or shall we ask History to forget for ever the name of he who broke so evidently the rules of ethical behavior in politics at the highest level? We are sure everyone has a (different) opinion. But, as Chirac himself said, don’t wound an animal: either kill it or caress it. So make your choice, without guilty feelings.

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Siamo in recessione. Firmate l’appello per arrestare l’emorragia?

Siamo in recessione. Raggiungere il bilancio in pareggio nel 2013 – che peggiora la recessione e non ci aiuta con i mercati e con gli spread – non è più necessario ai sensi della normativa europea. Scriviamo a Monti che si appelli alla normativa per negoziare con Bruxelles e con il Consiglio Europeo una politica fiscale meno recessiva. Ecco la motivazione. Saluti. Gustavo Piga

Aderiscono:

ELEONORA ARIENZO, PIER FRANCESCO ASSO, ALBERTO  BAGNAI, GUSTAVO BARATTA, ORAZIO BASSANO, NEREO BENUSSI, LUIGI BERNARDI, GIAN MARIA BERNAREGGI, ALESSANDRO BERTI, MARTA BEZZINI, SALVATORE BIASCO, PIERO BINI, ROBERTO BISCARO, CHIARA BISOGNO, LETIZIA BORGOMEO, SIMONE BORRA, AURELIO BRUZZO, ANTONELLA BUCCI, STEFANO CAIAZZA, MICHELE CANALINI, RICCARDO CAPPELLIN, ALESSANDRO CAPRASECCA, CESARE CARASSITI, ENRICA CARBONE, MARIA ROSARIA CARILLO, RAFFAELE CARUSO, SABRINA CASSAR, MARIO CASSETTI, ANNALISA CASTELLI, MARCO CECCHINI, MARCO CIANFANELLI, ROCCO CICIRETTI, DANIELE CIRAVEGNA, RICCARDO COLANGELO, LILIA COSTABILE, BRUNO COSTI, DOMENICO DA EMPOLI, GIUSEPPE DE ARCANGELIS, SERGIO DE NARDIS, GIORGIO DALLE, FABRIZIO DE FILIPPIS, PASQUALE DE MURO, ROBERTA DE FILIPPIS, SERGIO DE STEFANIS, CARLO DEIDDA, INA DHIMA, GABRIELLA DI CAGNO, CLAUDIO DI LAZZARO ANTONIO DI MAJO, MATTEO DI PAOLO, ANDREA DI PASQUALE, AMBRA DI TOMMASO, NICOLA DIMITRI, GIOVANNI DOSI, MARTA FANA, SALVATORE FANA, NICOLA FAVIA, GIUSEPPE FIORE, DAMIANO FIORILLO, MASSIMO FLORIO, GUGLIELMO FORGES DAVANZATI, MAURIZIO FRANZINI, FABIO FRATERNALI, MICHELE FRATIANNI, GIANCARLO GANDOLFO, PATRIZIA GARDELLA, GIUSEPPE GAROFALO, ANDREA GHISELLINI, ADRIANO GIANNOLA, CARLO GIANNONE, MATTEO GIANOLA CARINI, ERGIO GINEBRI, IGNAZIO GIURDANELLA, PATRIZIO GRAZIOSI, ELENA INNOCENZI, STEFANO INTINI, STEFANIA JACONIS, BRUNO JOSSA, SIMONE LAMBERTINO, RICCARDO LEONI, GABRIELLA LIGGIERI, FRANCO LO SURDO, ERNESTO LONGOBARDI, ANTONIO LOPES, JACOPO LOREDAN, FRANCESCO LUCAT, PATRIZIA MACCARI, ANNA MAFFIOLETTI, ALFREDO MANZO, DARIO MARESCA, MARIA LUISA MARINELLI, VERONICA MAROTTA, LIVAN MARRANZINI, DOMENICO MARRAZZO, PATRIZIA MARTA, ROBERTA MARTA, SIMONE MARTINELLI, ANDREA MARTINO, RAINER MASERA, PIETRO MASINA, SIMONE MERAGLIA, MARIA MESSINA, MARIA AUGUSTA MICELI, MAURIZIO MISTRI, MARIA ROMANA MONGIELLO, GIOVANNI NEGRI, ANTONIO NICITA, FERDINANDO OFRIA, STEFANO OTTOCENTO, FABRIZIO PADUA, PAOLO PAESANI, FRANCESCO PALUMBO, SERGIO PARRINELLO, RICCARDO PATERNO’, ANTONIO PEDONE, GIUSEPPE PENNISI, MAURO PERGOLESI, STEFANO PERRI, PAOLO PESCUCCI, ELISABETTA PETRINI, PAOLO PETTENATI, HELGA PINNA, MATTIA PREZZI, PAOLO PIACENTINI, MASSIMILIANO PIACENZA, ALESSANDRO PIERGALLINI, GIOVANNI PIERSANTI, EMANUELE PIMPINI, ANTONELLA PISANO, GIOVANNI PITTALUGA, MARCO POLIDORI, PIERLUIGI PORTA,  FIORELLA POTENZA, MATTIA PREZZI, PAOLO PREZZI, ROBERTO RACE, FABIO RAVAGNANI, PIERCARLO RAVAZZI, ANGELO REATI, MARA RENZI, ANDREA RESTA, LUIGI RICCI, EVELINA RIZZO, LORENZO ROBOTTI, STEFANO ROCCHI, VIRGILIANA RONDINARA, ENZO ROSSI, VINCENZO RUSSO, LUCA SALVATICI, DOMENICO SARNO, DOMENICO SCALERA, GIOVANNI SCARANO, GIULIO SCARDINI, MARIO SEMINERIO, SERGIO SGARBI, ELIDE SORRENTI, FABIANO SPEDICATO, ARSENIO STABILE, FABIO MASSIMO STORER, VALTER TANZI, RENATA TARGETTI, NOEMI TEMPESTA, DANIELA TESSARO, TEODORO DARIO TOGATI, CHIARA TRANQUILLI, CORRADO TRUFFI, GIOVANNI VAGGI, ALBERTO ZANARDI, GIORGIO ZINTU, NICOLA ZOCCO, MARCO ZUCCONI.

Alla parte terza – POLITICHE DELL’UNIONE E AZIONI INTERNE – TITOLO VIII: POLITICA ECONOMICA E MONETARIA – Capo 1: Politica economica, l’Articolo 126 (ex articolo 104 del TCE)  del Trattato dell’Unione Europea specifica (paragrafo 1)  che gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. Al paragrafo 2, si ricorda che “la Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti:

a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che

- il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento oppure, in alternativa,

- il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento”.

b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.

Il Regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, poi modificato dal Regolamento (CE) n. 1056/2005 del Consiglio, del 27 giugno 2005,  specifica come (art. 1 par. 1) “il superamento del valore di riferimento per il disavanzo pubblico è considerato eccezionale e temporaneo, ai sensi dell’articolo 104 C, paragrafo 2, lettera a), secondo trattino, qualora sia determinato da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro interessato ed abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure nel caso sia determinato da una grave recessione economica. Inoltre il superamento del valore di riferimento è considerato temporaneo se le proiezioni di bilancio elaborate dalla Commissione indicano che il disavanzo diminuirà al di sotto del valore di riferimento dopo che siano cessati l’evento inconsueto o la grave recessione economica.

All’articolo 2 del Regolamento si ricorda che  la Commissione e il Consiglio, nel valutare e decidere sull’esistenza di un disavanzo eccessivo, a norma dei paragrafi da 3 a 6 dell’articolo 104 del trattato, possono considerare eccezionale, ai sensi dell’articolo 104, paragrafo 2, lettera a), secondo trattino, un superamento del valore di riferimento determinato da una grave recessione economica se tale superamento è dovuto a un tasso di crescita negativo del volume annuo del PIL o a una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale.

chiediamo dunque che il Governo italiano si attivi, ai sensi della normativa indicata, presso la Commissione Europea ed il Consiglio Europeo al fine di:

riconoscere all’Italia, a causa di una grave recessione  economica,  la possibilità di superare il valore di riferimento del rapporto disavanzo pubblico-PIL in via  eccezionale e temporanea, restando il rapporto vicino al valore di riferimento.

Adesioni a questa lettera al Governo italiano possono essere inviate a: gustavo.piga@uniroma2.it

specificando nome e cognome. Grazie,

Gustavo Piga

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Ludwig Erhard’s lesson for Mrs. Merkel and Dr. Draghi

“Ludwig Erhard’s legacy in shaping Germany’s post-war recovery stretches far beyond his own country and far beyond his own times. His conception of the social market economy was visionary. And he even held cherished views about central bankers, stressing the importance of price stability: “Die soziale Marktwirtschaft ist ohne eine konsequente Politik der Preisstabilität nicht denkbar.” I think we cannot formulate this idea any better today.”  Mario Draghi, today, Ludwig Erhard (LE) Lecture, Berlin.

PS: unofficial translation of LE statement in English: “The social market economy without a consistent policy of price stability is not possible.”

True enough, Dr. Draghi, we all agree you can’t have a market economy without price stability. But the problem today is that we do have price stability but it is our our social market economy that seems to have disappeared.

It turns out that it is Ludwig Erhard (LE) himself, the father of the German post-WWII economic miracle, who had the solution for that problem. LE, we here add, was never a Keynesian. He believed the engine of growth came from reforms that opened markets. In his “Prosperity through competition” he confirms this view. But, as an intellectual leader that understood that each period of history has its specific situations and that orthodoxy is the enemy of effective solutions, he viewed recessions – just like Keynes- as special beasts that needed a different treatment.

In the “Medicine against recession” part of his book, LE recalls how the Germany of 1948 was saved through an array of economic policy measures from its recession, confirming – we quote – “that a modern market economy is without doubt in a position to meet a recession effectively without endangering the stability of the currency”. Now that is quite a complement to Dr. Draghi’s statement isn’t it?

Very interesting to note what were these measures used by Germany in the recession. Again, we use LE’s part of the book:

a) lower reserve requirements;

b) cut of the discount rate;

c) credit expansion of banks to firms.

Wow, quite interesting right? The same measures discussed by Dr. Draghi today for the euro area in his speech! But there is a difference with today: things did not end there, with expansive monetary policy! No, LE says that “the pressure of mass unemployment forced a further strengthening of expansionary policies”. And …. guess what these were of all things?

You would never guess. Maybe because it was Germany. Maybe because we never mention this anymore in the European debate, it is forbidden. Yes, now you might get it: expansionary fiscal policy. In the shape and form of:

a) “creation of public works programmes as well as help for building”,

b) “lower taxes … in order to step up consumption”.

Now, Mrs. Merkel: why have you forgotten Dr. Erhard’s lesson? Why?

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Le nazioni, come gli uomini, hanno il loro destino. Qual è il nostro?

“Le nazioni, come gli uomini, hanno il loro destino.” L’ultimo samurai, stasera su rete 4.

Uno dei problemi del criticare l’approccio Monti alla politica economica (più tasse, meno spese, più riforme, ci porteranno al pareggio di bilancio ed alla crescita economica) è esporsi al rischio di non essere nel giusto. Un modo per evitare questo rischio è quello di aspettare che la manovra esplichi i suoi effetti. Ma anche ciò non è senza rischio: aspettare potrebbe significare giungere troppo tardi al capezzale del malato Italia.

Come faccio a convincervi che il rischio di aspettare non vale la candela e che siamo nel giusto? Semplice. Sperare che qualcun altro si sia sacrificato prima di noi in condizioni molto simili alle nostre, adottando politiche simili a quelle che intendiamo adottare, e vedere l’effetto che queste hanno avuto.

Esatto. Basta vedere cosa ha fatto la Grecia del piano di Austerità che tanto assomiglia al nostro approccio: tasse, meno spesa, riforme. Sorvegliata speciale, la Grecia,  in particolare dal Fondo Monetario Internazionale che assieme all’Europa eroga fondi al Governo greco a condizione che vengano eseguite le misure imposte/suggerite di, appunto, austerità. Come sta andando?

Male , malissimo, anzi peggio. E’  il Fondo Monetario Internazionale a dirlo, nel suo quinto Rapporto,  con schiettezza e un po’ di ingenua sorpresa.  Un po’ di citazioni tratte dal Rapporto non farà male tentare di tradurle:

Nel frattempo, dal quarto Rapporto, la situazione economica in Grecia ha cominciato a volgere al peggio, con l’economia che sta sempre più aggiustandosi tramite una recessione e via spirale salari-prezzi, invece che via aumenti di produttività causati da riforme…  Le riforme strutturali non hanno ancora  prodotto i risultati attesi, in parte a causa di uno scollamento tra legislazione ed attuazione.”

Quanto volge al peggio? Tanto. “Per quanto riguarda la crescita del PIL, gli aggiornamenti dei dati mostrano come la recessione cumulata alla fine del 2010 è stata più profonda e la crescita nel primo trimestre  2011 più debole di quanto non avevamo compreso quando scrivemmo il quarto rapporto.  Gli indicatori dell’attività economica (commercio al dettaglio, costruzioni, produzione industriale) suggeriscono come il declino della domanda interna è continuato incessante durante il terzo trimestre.

Le condizioni del mercato del lavoro si sono deteriorate notevolmente, con il tasso di disoccupazione che ha raggiunto il 16.5 per cento questo Luglio 2011” (vedi grafico, in blu l’aggiornamento delle stime della disoccupazione).

Ma, mi direte, almeno le condizioni di bilancio sono migliorate? No, spiacenti: “dopo l’ampia manovra di consolidamento effettuata nel 2010, la posizione fiscale ha preso la strada sbagliata durante il 2011, mentre la recessione si aggravava e l’attuazione delle politiche sfuggiva di mano”.

E come mai sfuggiva di mano? “La mancanza di entrate nel bilancio statale ha toccato lo 0,75% di PIL, con un  calo dell’IVA che segnalava anche problemi di evasione. Significative riduzione nei contributi sociali – ben al di là degli sviluppi della massa salariale nell’economia –  suggeriscono anche un ridotto tasso di rispetto contributivo da parte delle imprese, dovuto probabilmente a vincoli di liquidità”

Forse le riforme hanno funzionato meglio? No. “Dopo un lentissimo miglioramento delle riforme …  e con una crescente evidenza dell’impatto macroeconomico negativo, le autorità del Fondo, della BCE e della Commissione Europea tutte insieme sono concordi nel ritenere sia necessaria una significativa revisione delle previsioni del contesto e dell’approccio di politica economica”.

Sì ma in quale direzione andrà questa revisione? In una che ci possa far sperare in un ripensamento? Purtroppo no: “la Grecia ha raggiunto alcuni risultati veramente significativi. Durante il biennio 2010-2011 il deficit fiscale è stato ridotto del 5%, malgrado una contrazione del PIL di quasi il 10% in questi due ultimi anni.” Peccato non leggere piuttosto qualcosa del tipo: “la Grecia ha raggiunto alcuni risultati veramente significativi. Grazie al suo stimolo al PIL tramite maggiore spesa pubblica finanziata da tasse il deficit fiscale è sparito” (questo è Piga, non FMI, NdR). No, non avverrà. Anche se il documento del Fondo continua dicendo: “la crescita notevolmente inferiore alle attese dell’economia greca e la concomitante contrazione nella base imponibile è una ragione chiave del perché le autorità stanno facendo grande fatica a raggiungere i loro target fiscali e necessitano di effettuare nuove misure significative”. Qualcosa non vi torna? Già. Se sappiamo che una crescita economica minore genera deficit pubblici maggiori e che la minore crescita deriva da austerità fiscale, cosa ci impedisce di effettuare invece politiche fiscali espansive che creano crescita e riducono i deficit pubblici? Perché questa mancanza di logica? Perché stiamo creando recessioni che aumento il debito pubblico verso livelli che, nelle parole dello stesso documento, non possono essere considerati sostenibili?

E’ ovvio che stiamo parlando in quanto sopra della nostra Italia. E quindi vale la pena chiedersi: che destino attende l’Italia? Siamo predestinati al fato greco? O possiamo ancora batterci contro di esso?

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Quel che Draghi non ricorda di Erhard e che la Merkel non fa

L’eredità di Ludwig Erhard nel disegnare la Germania della ricostruzione post-bellica va ben al di là del suo paese e ben al di là del suo tempo. La sua concezione di economia sociale di mercato era visionaria. Egli nutriva anche forti opinioni sui banchieri centrali, sottolineando l’importanza della stabilità dei prezzi: “Die soziale Marktwirtschaft ist ohne eine konsequente Politik der Preisstabilität nicht denkbar.” Non penso oggi si possa dirlo in modo migliore di questo.” Mario Draghi, oggi, Ludwig Erhard (LE) Lecture, Berlino, traduzione mia.

PS: traduzione non ufficiale della citazione fatta da Draghi di LE: “L’economia sociale di mercato non è possibile senza una costante politica della stabilità dei prezzi.”

Vero. Siamo tutti d’accordo: senza stabilità dei prezzi non esiste un’economia di mercato. Ma il problema oggi è un altro, visto che la stabilità dei prezzi ce l’abbiamo, eccome. Il problema è che l’economia sociale di mercato pare svanire sotto i colpi della recessione.

Ma la cosa interessante, raccogliendo lo spunto di Draghi, avviene quando si va a rileggere il pensiero di LE, il grande cancelliere germanico, che molti ricordano come il padre della ricostruzione tedesca e del miracolo economico post-bellico. Perché nelle pagine del suo libro “Wohlstand für Alle” (“Prosperità per tutti”, che bel titolo!) il non-keynesiano Erhard (che più di tutto nella sua vita perorò la causa riformista delle riforme per il mercato) ebbe modo di ribadire come fece l’economia tedesca ad uscire dalla recessione del dopo guerra. E la risposta (molto attuale) ci insegna qualcos’altro: come è solo dal pragmatismo non ideologico che nascono le soluzioni vincenti per annientare quella bestia mostruosa chiamata recessione. Una recessione, ci sembra capire rileggendo Erhard, merita medicine particolari, straordinarie. In questo concordando lui con Keynes.

La Germania del 1948, dice Erhard, fu salvata da un mix di misure di politica economica, confermando come, e citiamo traducendo dalla versione inglese, “una moderna economia di mercato è senza dubbio in grado di affrontare con successo una recessione senza mettere a repentaglio la stabilità della sua moneta”. Una citazione che fa da perfetto complemento a quella usata da Draghi, non trovate?

Ma è altrettanto interessante ai nostri fini, o forse di più, evidenziare quali furono queste misure adottate dalla Germania per uscire dalla recessione. Di nuovo, estratto dal suo libro (nella parte “Una medicina contro la recessione”):

a) abbassamento dei coefficienti di riserva minima delle banche;

b) taglio del tasso di sconto;

c) espansione del credito bancario alle imprese.

Wow, interessante non trovate? Le stesse, identiche, misure di politica monetaria per l’area dell’euro di cui ha parlato oggi Mario Draghi a Berlino nel suo discorso. Però, in realtà, una differenza – e non tanto piccola – c’è tra la politica menzionata da Draghi oggi e la politica ricordata da Erhard del 1948. In effetti allora la politica non si limitò ad usare il cannone della politica monetaria ma anche quello ben più efficace della politica fiscale!

Cito verbatim: “le pressioni derivanti dalla disoccupazione di massa forzarono un’ulteriore spinta di politica economica” nella forma di una a) “creazione di un programma di lavori pubblici e di costruzioni” e b) di “minori tasse … per stimolare i consumi”.

Appalti pubblici e minore tassazione. E la recessione sparì e partirono la ricostruzione ed il miracolo economico tedesco.

Allora Dottoressa Merkel, come la mettiamo? Perché ha dimenticato la lezione di Ludwig Erhard? Perché? Cosa aspetta?

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La formica tedesca, la cicala italiana e la salvezza dell’euro

OK, un po’ lungo ma molto sentito questo post che segue.

Allora. Dicono che non parlo a sufficienza dell’euro. E in fondo sta tutto lì, lo spread ed il resto, giusto? Non si muove per la manovra Monti, si muove se succede qualcosa a livello europeo che convinca i mercati che l’euro “resta” e non si spacca. In questo momento si prezza non il default della Spagna, dell’Italia, della Francia, dell’Austria (tutti governi con alti differenziali rispetto ai Bund tedeschi) ma la loro (diversa per ogni singolo Paese) probabilità di seguire o non seguire la Germania nell’altrettanto possibile morte della valuta unica. La probabilità di morte della valuta unica è un evento con probabilità uguale per tutti (bassa o alta che sia): Germania o Italia o altri. La probabilità di quanto si svaluterà o apprezzerà quella singola  valuta varia a seconda delle valutazioni dei mercati e delle loro situazioni macroeconomiche specifiche.

Perché si parla di rottura dell’area dell’euro? Un passo indietro. Quando creammo l’Unione Europea, i popoli che vi aderirono decisero di fatto di “conoscersi meglio” abbattendo barriere allo scambio ed alla mobilità delle persone e delle loro ricchezze. Fu un momento fondamentale, funzionale all’abbattimento dei sospetti reciproci susseguenti alla seconda guerra mondiale, quelli che invece non furono rimossi in tempo a seguito della prima guerra. Poi venne … Ryan Air a completare il quadro, assieme ad Internet – a riprova che le tecnologie ed i mercati possono essere messi a disposizione del progresso, eccome – e oggi possiamo dire che questa conoscenza reciproca è un bene fondamentale per ridurre il ricostituirsi di focolai di odio ed incomprensione.

Poi però abbiamo rilanciato, con un qualche grado di ambizione, costruendo l’area dell’euro dentro l’area dell’Unione Europea. I paesi che vi aderirono non lo fecero per risparmiare i costi di cambiare le banconote, come all’epoca cercarono di dimostrare alcuni economisti poco sensibili ai grandi scenari su cui si staglia la politica economica mondiale. No, lo fecero, una volta conosciutisi meglio, per diventare più simili. I tedeschi per divenire più italiani e gli italiani più tedeschi? Esatto.  E come, Sig. Piga, lei pensa che la mera adozione di una valuta, un pezzo di carta qualsiasi per quanto nobile, possa fare quello che la storia non è mai riuscito a fare se non in epoche lontane sotto imperi ben più centralizzati?

Semplice. O meglio, non così semplice. Porcediamo per passi successivi. Risposta: fissando tassi di cambio irrevocabilmente fissi tra i Paesi. Fissando un valore di scambio tra marchi e lire, tra franchi e pesetas e così via, nel 1998, si individuarono dei rapporti di conversione tra monete che all’epoca parevano garantire una qualche equilibrata competizione tra le imprese dei diversi Paesi membri. Non era certo una promessa di pari competitività futura: ciò sarebbe dipeso dalla capacità dei  singoli paesi di mantenere dinamiche egualmente virtuose quanto a … Quanto a cosa? Beh,  immaginate che nel 1998 Germania ed Italia potessero vendere una lavatrice nel mondo allo stesso prezzo, suddividendosi equamente il mercato mondiale. Ora fate passare il tempo e … che succede al prezzo della lavatrice in Italia ed in Germania? Beh, la lavatrice la costruiamo con tanti lavoratori. Quanto costano ogni ora lavoro quei lavoratori alle imprese? Dipende dalla dinamica salariale dunque. Si dà il caso che in contemporanea con l’adesione all’area dell’euro e con la comprensione delle dinamiche di penetrazione mondiale dei mercati da parte di alcuni grandi paesi emergenti,  il Sistema Paese Germania (politici, imprese, sindacati, cittadini) decisero che la loro economia sarebbe sopravvissuta solo con una forte moderazione salariale, a cui si attennero. Le formiche tedesche pensavano al futuro. Questa eguale moderazione salariale mancò in Italia, dove il Sistema Paese non si mobilitò con eguale attenzione al futuro. La cicala italiana aveva altre priorità. Eppure non tutto era perduto. Certo un salario orario troppo alto ci metteva in difficoltà con le imprese tedesche, ma sarebbe stato tollerabile se le imprese italiane fossero riuscite a fare la lavatrice in meno tempo: salari più alti sì, ma compensati (e forse dovuti a) maggiore produttività del fattore lavoro? Mi spiace, ma anche su questo le formiche tedesche si rivelarono superiori alle cicale italiane. Ma molto. E dunque cosa è successo nel tempo? Esatto. La lavatrice italiana ha cominciato a costare sempre di più, e le imprese italiane hanno perso quote di mercato, lasciandole alle formiche tedesche. Ecco perché il Pil tedesco in questo decennio è cresciuto più del nostro. Siccome le cicale italiane non hanno adeguato il loro tenore di vita alla minore ricchezza hanno cominciato ad indebitarsi (con lo Stato soprattutto). Siccome le formiche tedesche sono formiche anche come famiglie, i loro crescenti redditi li risparmiano. E come fecero le cicale italiane ad indebitarsi? Esatto, grazie alle formiche tedesche. Fino al 2008. Quando le banche germaniche cominciano ad impaurirsi, si allontanano pian pianino e vengono rimpiazzate, nel finanziare le cicale, da aiuti ufficiali. Oggi stentano ad arrivare anche quelli. Mentre la nostra competitività continua a peggiorare e con essa la nostra bilancia commerciale.

Ora l’euro è dunque giunto ad un bivio e ad esso anche i paesi che ne fanno parte. Che non sono diventati simili mentre l’euro glielo chiedeva: le formiche sono rimaste formiche e le cicale sono rimaste tali. Che fare? 4 sono le opzioni. Ma poche sono realisticamente percorribili.

Opzione 1: Weimar 2

La BCE sommerge di euro l’area fino a quando non si tramuti in cotanta inflazione che ne deriva da far sparire il valore reale dei debiti. Non è opzione folle, questo default mascherato. Negli anni Trenta con l’amministrazione Roosevelt da una deflazione del 26% si passò ad un’inflazione del 13%.

Perdenti: la Germania creditrice e più in generale il sistema bancario europeo.

Vincenti: i contribuenti europei che non devono più pagare tasse per gli interessi.

Efficacia: scarsa. Il problema della competitività rimane aperto e a breve rimetterebbe pressione sul sistema della moneta unica.

Fattibilità: 5%. Non siamo più ai tempi di Roosevelt quando le banche non erano la lobby più importante dell’Occidente (allora era forte il manifatturiero) e l’occupazione nei servizi bancari non così significativa. E la Germania-Draghi non accetterebbero un intollerabile ritorno al passato di
Weimar.

Opzione 2: Euro blu, euro giallo 

C’è un modo molto semplice affinché le aziende italiane possano riprendere a vendere lavatrici al mondo senza timore della competizione tedesca, almeno per un po’ riossigenandosi e frenando l’emorragia di imprese ed occupazione che stiamo sperimentando.  Esatto: uscendo dall’area dell’euro (magari assieme a Portogallo, Spagna, Grecia…) e deprezzandosi rispetto all’euro tedesco.

Perdenti:  il progetto euro. Le imprese tedesche (a breve finché non recuperano la competitività). Non è chiaro se la Germania si sentirebbe sconfitta da questa opzione che la vede però come (di nuovo) una isolata e rigida grande potenza che suscita timori e tensioni.

Vincenti: le imprese italiane (per un po’). I contribuenti italiani che invece di essere tassati vedono, grazie alla maggiore crescita, un momento di sollievo.

Efficacia: alta o bassa? Il grande rischio è che il progetto europeo, compreso quello dell’Unione Europea, si interrompa per le tensioni e l’acrimonia che si creerebbe tra separati in casa. E’ un rischio che probabilmente non vogliamo correre.

Fattibilità: 25%.  Tutto sta a capire se la Germania ha intenzione di correre questo rischio. O meglio, se la Merkel, che certamente non vuole questo esito, riesce a resistere alla foga della piazza e delle non troppo lontane elezioni.

Opzione 3: Il Piano di Austerità (di Marsiglia)

Questa è l’opzione proposta a Marsiglia e che sembra la più probabile, visto il forte momentum che essa ha sviluppato. Richiede che la cicala adatti il suo tenore di vita alle sue (minori) disponibilità con forti contrazioni della domanda delle famiglie e del governo italiani. Alla deflazione che seguirà, i sindacati devono aderire a riduzione dei salari nominali per evitare l’aumento dei salari reali che creerebbe addizionale disoccupazione e gravissima recessione. La formica va avanti come se nulla fosse, certa delle sue virtù.

Perdenti:  l’Italia e (forse) il progetto euro.  Gli abbassamenti dei salari nominali sono difficilissimi da accettare, psicologicamente, in ogni parte del mondo (Keynes lo sapeva bene, ecco perché temeva così tanto la deflazione).   Volete conoscere le conseguenze? Basta guardare quello che sta avvenendo oggi in Grecia. -6% oggi, -3% nel 2012 e con conti pubblici che non raggiungono mai la parità a causa della crisi.  E’ probabile dunque che rapidamente il progetto 3 divenga il progetto 2 e si sfasci l’euro. O no?

Vincenti:  Nessuno.

Efficacia: Nulla. Il grande rischio è che il progetto europeo, compreso quello dell’Unione Europea, si interrompa per le tensioni e l’acrimonia che si creerebbe tra separati in casa. Le riforme non partiranno mai in un clima recessivo e se partissero, sarebbe la fine anticipata. E’ un rischio che probabilmente non vogliamo correre.

Fattibilità: 50%. Tutti paiono credere nel miracolo del Patto di Austerità. Sarà la nostra nemesi.

Opzione 4: Il nuovo Piano Marshall

Questa è l’opzione che non è stata proposta a Marsiglia e che sembra la meno  probabile, visto il momentum che essa stenta a sviluppare.

Richiede che la formica tedesca adatti il suo tenore di vita alle sue (maggiori) disponibilità con forti espansioni della domanda delle famiglie e del governo tedeschi: diminuzioni di imposizione fiscale e spesa pubblica in Germania implicano espansione del PIL nell’area dell’euro tutta, senza grandi rischi di inflazione; espansione basata su export non tedesco (compreso il turismo!). Di fatto qui si chiede alla Germania di fare quello che fece negli anni ’90 per i suoi fratelli tedeschi dell’Est, loro con problemi di competitività mostruosamente più grandi di quelli della cicala italiana di oggi. E’ vero non siamo fratelli, né cugini di primo grado, né forse di secondo grado. Ma la bellezza del sogno europeo è questo: che al contrario di quello che avviene con le famiglie, con il passare delle generazioni i cugini di secondo grado diventano di primo e poi diventano fratelli. E dunque dobbiamo, come fanno spesso i tedeschi, meglio di noi, guardare più in là del giardino del contingente e sognare ad occhi aperti.

Perdenti:  Nessuno.

Vincenti:  Tutti. Soprattutto la Germania che avrà per sempre mostrato di avere dimenticato la vendetta rispetto ai francesi che le negarono aiuti in un momento di gravissima difficoltà dopo la I° guerra mondiale quando si trattava di cancellare le riparazioni di guerra dovute. Ciò non avvenne e da lì partì l’inflazione che portò al potere Hitler. Nella stessa situazione, oggi, la Germania farà l’opposto di quel che fecero allora i francesi.

Efficacia: Massima. Con questo piano Marshall la Germania darà vita ad una vera Unione Fiscale. Perché si parla di Unione Fiscale non solo quando comuni sono le regole dell’agire dei governi e degli Stati ma quando questi ultimi danno vita ad un accordo di “risk-sharing”, che altro non è un accordo di solidarietà e supporto in caso di bisogno. Anche l’eurobond fa parte di questo piano. Alla fine avremo preservato l’euro  e convinto i mercati della solidità del nostro credibile accordo. Sempre che ….

Fattibilità: 20%. Solo ad una condizione, l’unica che può smuovere le formiche tedesche. Che la cicala si impegni sin da subito a … no, sbagliato. Non a un pareggio di bilancio ma a riforme per la crescita. Italiani, greci, spagnoli, portoghesi, grati alla formica per essere stati salvati, metteranno subito in atto queste riforme e, in un clima di crescita, sarà più semplice ancora approvarle. Avremo delle formiche più cicale e delle cicale più formiche, ovvero l’Europa che si conosce e si assomiglia. Da qui la via in discesa è segnata.

 

Post Format

Greece – Bulletin of War

Welcome to the land of the blunders of economic policy, Greece. The International Monetary Fund just released its  Fifth Review of Greece Under the Stand-By Arrangement and it does not look good, not even to the usually bullish Austerity- providers located in Washington DC.

So, where has the dogma of spending cuts and tax hikes plus reforms led us? In Greece, like most often it does, into a vicious circle of a recession with no achievement whatsoever in terms of fiscal balance and reforms.

Listen to the IMF and ponder carefully: “Meanwhile, since the fourth review, the economic situation in Greece has taken a turn for the worse, with the economy increasingly adjusting through recession and related wage-price channels, rather than through structural reform-driven increases in productivity…. Structural reforms have not yet delivered expected results, in part due to a disconnect between legislation and implementation.

How much worse? “Concerning GDP growth, data revisions show that the cumulative recession by end-2010 was deeper and first quarter 2011 growth weaker than understood at the time of the fourth review. Indicators of economic activity (e.g. retail trade, construction, and industrial production) suggest that the decline of domestic demand continued unabated during the third quarter. Labor market conditions have deteriorated sharply, with unemployment reaching 16.5 percent in July 2011”.

Oh, but maybe the fiscal balance at least has done better. Try again: “after the large consolidation realized during 2010, the fiscal position has taken a turn for the worse during 2011, as the recession deepened and policy implementation slipped.”

 

And why would that be?The revenue shortfall in the state budget has reached some €1.7 billion (¾ percent of GDP), with a drop in VAT efficiency signaling compliance problems. Significant shortfalls in social security contributions—well beyond developments in the economy-wide wage bill—also suggest deteriorating compliance by firms (likely due to liquidity constraints).”

Maybe reforms have worked for the better? No. “After continued slow progress with reforms for a third straight review cycle and with growing evidence of deepening macro adjustment, the authorities and IMF/EC/ECB staff all recognized that a significant revision of the outlook and some changes in the policy framework would be needed.”

But, unfortunately, there is no hope this perverse logic will change. Read for yourself: “Greece has some impressive program achievements to its credit. During 2010–11 the fiscal deficit has been reduced by 5 percentage points, despite a contraction in GDP of almost 10 percent during these two years.” Wow. How would you like to read something of the following: “Greece has some impressive results to show. Thanks to its stimulus to GDP through public spending financed by taxes, the fiscal deficit has disappeared”. No, not this time, not on this planet. Even though “… the notably weaker-than-expected economy and the attendant contraction in the revenue base is a key reason why the authorities are struggling to meet their fiscal targets and face a need for significant new measures.” What am I missing here? If we know that weaker growth generates worse deficits and weaker growth comes from fiscal consolidation, what stops us from doing fiscal expansion that generates growth and lowers deficits?  Why so much lack of logic? Why are we creating recessions that raise the debt to GDP to levels that “cannot be considered sustainable”?

Italy is next. Do we really want this?

Post Format

Un lettore chiede ma in realtà dice tante cose interessanti

Così lo ri-pubblico, ma non come commento. Poi ci torniamo.

Da Sergio Polini:

Grazie! Sento parlare così poco di quest’aspetto in Italia (unica eccezione, finora, il blog del prof. Alberto Bagnai) che temevo di ragionare male. Vorrei proporle un altro ragionamento, su cui i miei dubbi sono ancora più forti. Ci sono gli “ottimisti” come Alesina & C., ma i “pessimisti” sembrano in numero nettamente maggiore, tanto che l’elenco sarebbe troppo  lungo. Ne scelgo due:
a) secondo Nouriel Roubini l’Italia dovrebbe ristrutturare il suo debito, tagliandolo del 25%, e poi dovrebbe uscire dall’euro per recuperare competitività [1];
b) secondo Joseph Stiglitz (che non è certo uno qualunque), è la Germania che dovrebbe uscire dall’euro [2].
Due esiti che, mi pare, avrebbero effetti ben diversi. Mi limito “per semplicità” (cioè per incompentenza…) a Italia e Germania. Tutti dicono che un’uscita dell’Italia dall’euro sarebbe una catastrofe, ma, che io sappia, nessuno ha ancora provato davvero a ragionare in termini concreti, cioè a quantificare la “catastrofe” (spero ovviamente di essere smentito).
Mi riesce più facile trovare conti per la Germania [3]. Secondo Dirk Meyer, economista dell’Università Helmut Schmidt di Amburgo, l’uscita dall’euro costerebbe alla Germania dal 10% al 14% del PIL; secondo Stephane Deo, economista di UBS, il costo sarebbe maggiore: dal 20% al 25% del PIL. Deo calcola anche un costo pro capite per i tedeschi tra 6000 e 8000 euro per il primo  anno, tra 3500 e 4500 per gli anni successivi, mentre invece una ristrutturazione al 50% dei debiti di Grecia Portogallo e Irlanda costerebbe solo 1000 euro pro capite, e una tantum. Le stime di Deo mi sembrano esagerate, perché basate su un’ipotesi di rivalutazione del marco del 40%, che è ben oltre la misura della divergenza tra i tassi di cambio reali indotta dai differenziali di inflazione [4]. E’ comunque interessante che calcoli anche il minor costo di ristrutturazioni altrui.
Provo a tradurre: chi compie la prima mossa paga il prezzo più alto. Dico questo anche perché Dirk Meyer prevede una rivalutazione del 25% per il “nuovo marco” [5], che mi pare più credibile. Se  ntendo bene, in caso di uscita della Germania dall’euro il nuovo marco si rivaluterebbe rispetto al sud-euro e anche rispetto ad altre valute, mentre il sud-euro non subirebbe forti scossoni, in quanto l’Italia ha un tasso d’inflazione paragonabile a quello della Cina, inferiore a quello di Russia e Brasile, di poco superiore a quello USA. L’Italia vedrebbe quindi migliorare i saldi commerciali negli scambi con la Germania e rimarrebbe più o meno come è ora rispetto al resto del mondo (import di gas e petrolio compresi).
Se invece fosse l’Italia a uscire dall’euro, la “nuova lira” si svaluterebbe del 20-25% rispetto all’euro e, con ciò, rispetto ad altre valute; una sorta di 1992 bis. Anche da questo punto di vista chi compie la prima mossa paga il prezzo più alto.

E giungo così (sperando di non averne sparate troppo grosse) alla domanda cruciale.
Sono tante, e così autorevoli, le voci secondo cui le manovre greche e italiane e una più rigorosa disciplina fiscale comune non servono assolutamente a nulla, e anzi non possono che indurre ulteriori deterioramenti, che verrebbe da credere alla «congiura degli imbecilli» di cui parlava Jean-Paul Fitoussi un anno fa [6]. Anche Helmut Schmidt non è stato molto tenero con la Merkel [7].
E se invece ci fosse maggiore lucidità nell’operato della Germania? Se si fossero ormai convinti che aveva ragione Dominick Salvatore quando diceva che l’euro sarebbe crollato al primo shock importante [8]? Se stessero semplicemente aspettando la fine dell’euro, ma la preferissero nella forma “escono gli altri”?
In questo caso, infatti, i costi sarebbero minori dal punto di vista economico e, dal punto di vista politico, potrebbero essere presentati agli elettori come colpa degli “altri”.

Va da sé che, se fosse così, preoccuperebbe alquanto la mancata concreta elaborazione, in Italia, di scenari alternativi a “decreti salva-Italia” che, in realtà, inducono recessione deprimendo sia la domanda interna che quella estera.

Quanto l’ho sparata grossa? Grazie.

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[1] Nouriel Roubini, Italy’s debt must be restructured, Financial Times, 29/11/2011, http://blogs.ft.com/the-a-list/2011/11/29/italys-debt-must-be-restructured/#axzz1f6nNZAkD
[2] http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/04/stiglitz-germania-fuori-dalleuro-o-il-continente-sprofonda/67733/
[3] http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,800700-3,00.html
[4] http://goofynomics.blogspot.com/2011/11/i-compiti-casa-della-famiglia-nucleare.html
[5] http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,800285-3,00.html
[6] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/03/contro-chi-giocano-mercati.html
[7] http://www.selpress.com/confapi/immagini/091210A/2010120929640.pdf
[8] Cfr. http://goofynomics.blogspot.com/2011/12/euro-una-catastrofe-annunciata.html