Come siamo stati felici ieri. A inaugurare il nostro nuovo Dipartimento interdisciplinare di Studi d’impresa governo filosofia a Tor Vergata. Filosofi, aziendalisti, economisti, giuristi, statistici. Nati dalla crisi per capire meglio che risposte dare e darci. Pochi come noi hanno rischiato in Italia nel ricostruire il loro Dipartimento. Solo il tempo dirà se abbiamo visto giusto. Intanto mi tengo stretto il nostro primo convegno su Istruzione come antidoto contro la corruzione.
E’ stato un bellissimo evento, interdisciplinare eppure coerente, serio eppure gioioso, rigoroso eppure divulgativo, universitario eppure aperto mondo del lavoro e a quello delle associazioni, laico e religioso. Molti giovani erano presenti. Molti giovani sono rimasti seduti per ore sulle poltrone. Molti giovani vogliono continuare a contribuire al dibattito. Ce l’hanno detto, dopo.
Abbiamo cominciato col parlare di istruzione come antidoto alla corruzione, per scoprire che in fondo l’antidoto deve essere ancorato sull’istruzione ed andare al di là di essa.
Bellissimi tutti i discorsi, davvero. Profondi ed emozionanti. Dal “corvo” per noi invece “eroe” Raphael Rossi che ha raccontato la sua storia di testimone di corruzione al Cardinale Cottier, già teologo di papa Giovanni Paolo II.
Io però volevo condividere con voi un estratto del discorso di Francesco Sperandini, direttore Area Reti di Acea S.p.A. Perché raramente sento parlare un uomo di azienda così, ed era bello ascoltarne il fluire dei pensieri.
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… Il comportamento, quello corretto, quello aderente alle attese dell’organizzazione, quello auspicato non può essere frutto del contesto, indotto dall’ambiente, promulgato o stimolato dai tanti conclamati e reclamizzati Codici Etici.
No, nel mio tipo di impresa neanche questi funzionano.
Vedete, è un elenco forse datato ma se aggiornato andrebbe integrato e non ridotto. La mia Società, forse anche perché quotata, forse anche perché fortemente impegnata sul versante della Corporate Social Responsibility, ha:
1) il Collegio Sindacale
2) la Società di Revisione
3) i Consiglieri di Amministrazione Indipendenti
4) i programmi di autovalutazione del Consiglio (board review)
5) il Comitato di Controllo Interno
6) il Preposto al Sistema di Controllo Interno
7) il Comitato per la Remunerazione (Compensation Committee)
8) la Carta dei Valori
9) l’Internal Audit
10) il Codice di Autodisciplina
11) il Codice di comportamento in materia di Internal Dealing
12) il Codice Etico
13) il Garante del Codice Etico
14) Il Team di promozione del Codice Etico
15) il Comitato Etico
16) il Regolamento per la Gestione dell’Informazione Societaria
17) il Risk Management
18) il Dirigente Preposto ex L. 262/05
19) il Modello Organizzativo ex L. 231/01
20) l’Organismo di Vigilanza
21) il Responsabile della Sicurezza Integrata
22) il Regolamento per la gestione e registro delle informazioni privilegiate
23) il Gestore Indipendente
24) ecc ecc
e aspettiamo il Responsabile della Prevenzione della Corruzione
Ma non viene in mente Tacito con il suo corruptissima republica, plurimae leges?
Ma non viene in mente Cartesio con la moltitudine delle leggi che fornisce spesso delle scuse ai vizi?
Quello descritto è, a mio avviso, il frutto di una delle modalità di approccio al comportamento corretto, quello che lo vuole figlio della “attrazione” (pull), dell’adattamento della persona al contesto, concentrandosi quindi sulla responsabilità dell’impresa, come contesto in cui il manager è chiamato ad operare.
Per l’approccio della “attrazione”, il comportamento etico, il comportamento corretto, è estratto, tirato fuori, trainato, indotto dal contesto, dalle regole, dalle istituzioni, dall’ordinamento (non solo giuridico ma anche deontologico).
Questo paradigma privilegia quindi l’attenzione per le procedure e per gli strumenti, dai bilanci sociali ai codici etici, da una struttura di regole più ampia di quanto offerto dall’ordinamento giuridico ai diversi Comitati composti da membri indipendenti esterni od interni all’Impresa.
Minore attenzione, a mio parere, è dedicata alla responsabilità del manager, quale attore morale, e quindi rinunciando ad adottare l’altro versante di analisi delle motivazioni alla base del comportamento corretto, quello della “spinta” (push), emergente dall’interno, sospinto dalla struttura dei valori della persona.
Il comportamento corretto non è solo ATTRATTO, non è solo pull ma è anche SPINTO, è anche push.
Non ricordo in quale libro l’immagine evoca più la porta girevole di un hotel piuttosto che un concetto etico. Ma tant’è.
Per l’approccio della “spinta”, il comportamento corretto, è indotto dalla struttura valoriale della persona: viene dal di dentro, non è indotto dall’esterno.
E mentre per l’approccio pull occorre lavorare sulle regole, sulle istituzioni, sull’ordinamento per l’approccio push occorre lavorare sulla persona ed il lavoro sulla persona si chiama formazione, educazione, ISTRUZIONE.
Se si deve sviluppare la Persona, dobbiamo riscoprire nei programmi di formazione quello che da sempre, o almeno da Aristotele, sono state codificate come le vie della Persona di migliorare se stessa: “le virtù”.
Ed allora prorompe con tutta la sua forza come Istruzione ed Integrità sono due facce della stessa medaglia, un aspetto condizionato dall’altro.
Il manager, proprio per la posizione di responsabilità che riveste nella amministrazione della sua organizzazione, è continuamente chiamato a fare delle scelte, a doversi schierare, ad orientarsi verso posizioni che salvaguardino l’azienda e ne favoriscano lo sviluppo, a volte con il rischio che si creino fratture con la propria deontologia professionale o le proprie convinzioni etiche.
In tutto questo, il manager è “visto”, è “guardato”: l’integrità della condotta manageriale costituisce l’esempio che all’interno dell’organizzazione forma e conforma il comportamento dei suoi attori.
E’ dal manager quindi, e non dal codice Etico, che dobbiamo aspettarci il contributo primo per lo sviluppo di una Integrità d’impresa.
Ritengo che qualche esempio, meglio qualche invito che io offro a me stesso, affinché possa acquisire sostanza un giudizio di valore che altrimenti rischia di restare ambiguo.
Alcuni esempi
Più che di esempi parlerei di provocazioni, sollecitazioni sulle quali spendersi personalmente e nell’immediato.
Si tratta in particolare delle seguenti iniziative:
1) eliminare le penali contrattuali
2) rendere trasparenti i processi affidati
3) eliminare la raccolta delle segnalazioni di disservizio dei call center
4) rispettare gli impegni presi
Si tratta, ripeto, di azioni simboliche, necessarie per evidenziare, annunciare il cambio di mentalità. Per favorire i cambi di mentalità sono necessarie misure in parte reali in parte simboliche
Eliminare le penali contrattuali.
La penale è un’autorizzazione anticipata all’inadempimento: nel momento in cui si disciplina, con la penale, l’inadempimento, si consacra il fatto che lo stesso è possibile e, come tale, praticabile, il contraente sa che può rendersi inadempiente ad un certo costo, ad un certo prezzo.
E’ chiaro ed evidente che in un mercato lasciato al libero operare dei comportamenti utilitaristici piuttosto che ai comportamenti responsabili, il fatto di prequantificare il costo di un inadempimento espone a valutazioni di convenienza tipo: “il costo della penale è più basso del costo dell’adempimento, per cui conviene non adempiere”.
Troppe volte si ascoltano frasi del tipo “il costo della penale è più basso del costo dell’adempimento previsto dal contratto, per cui mi conviene venir meno all’impegno preso e non adempiere”.
Avranno limitata fortuna i paradigmi decisionali che mettano a raffronto il valore della penale contrattuale con il costo da sostenere per evitarla, al fine, qualora il primo risulti inferiore al secondo, di non adempiere ed esporsi all’applicazione della penale.
In questo settore, anzi, è bene affidarsi a contratti che le penali non le abbiano, affinché non vi siano licenze all’inadempimento, preautorizzazioni al mancato rispetto dell’impegno assunto con la prequantificazione del danno da ristorare.
Occorrono contratti che, una volta firmati, devono vedere il firmatario impegnato in modo maniacale, ossessivo all’adempimento. Ci si deve obbligare a considerare attentamente l’impegno che si va ad assumere per il solo fatto di assumerlo, non come controvalore monetario.
La Società che preferisce pagare le penali piuttosto che adempiere il contratto, adducendo che l’adempimento è più oneroso della penale, farà poca strada.
Il capitale reputazionale di quella Società sul mercato ne risentirà, il suo cliente ne terrà conto nei successivi atti decisionali (nella gestione del contratto od in occasione di futuri affidamenti), ma non solo.
All’interno di quella Società, tra il personale od anche nella classe dirigente, si attiveranno modelli emulativi e si adotteranno comportamenti opportunistici, in quanto l’esempio che calerà dall’alto sarà non quello dell’obbligo, dell’impegno e della RESPONSABILITA’ ma quello della convenienza, che assurgerà a logica di comportamento in tutti gli atti aziendali: al comportamento responsabile si sostituirà il comportamento utilitaristico.
Rendere trasparenti i processi affidati
Il manager deve fare in modo che i processi affidati alla sua responsabilità siano pienamente visibili, ci sia sugli stessi piena trasparenza, a favore di tutti, i clienti, i collaboratori, i fornitori, le Istituzioni.
Così come è apprezzato il ristorante che abbia la cucina a vista, dietro un cristallo, ugualmente ci si deve comportare sui processi, sui sistemi, sulle modalità di erogazione del servizio, affinché ci sia la piena visibilità da parte di chiunque.
Bisogna agevolare e consolidare tale processo di trasparenza. Il tentativo da perseguire con assiduità, perseveranza e determinazione, è quello di semplificare i processi affidati alla propria responsabilità e di fare in modo che si svolgano come se collocati:
a) all’interno di una teca di vetro
b) sotto un fascio di luce illuminante
c) con la vista amplificata da una immensa lente di ingrandimento.
Sono due gli effetti positivi che se ne ottengono.
Il primo è quello di ridurre, per il laico l’occasione che fa l’uomo ladro, per il credente l’induzione in tentazione, in quanto tutti noi evitiamo di metterci le dita nel naso allorché non sfuggiamo alla vista di altri.
I comportamenti di cui vergognarsi sono abilitati dall’opacità. Si sterilizza quindi l’induzione in tentazione.
Il secondo è connesso all’esempio della cucina del ristorante. La trasparenza determina, consolida ed amplifica la fiducia, l’elemento fluidificante per antonomasia dell’economia di mercato. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Occorre arrivare a soluzioni in cui ci si autodenuncia nel caso si incorra in un inadempimento contrattuale.
Dobbiamo provare ad autodenunciarci ad un Cliente, comunicando l’applicazione di una penale per un inadempimento di cui il Cliente stesso non aveva traccia. La reazione sarà estremamente positiva, estremamente conveniente.
L’autodenuncia e l’autodeterminazione della penale ha due esiti formidabili: l’incremento della fiducia da parte del Cliente e la creazione di un contesto di rigore all’interno della propria organizzazione, i cui addetti non potranno più trovare conforto alle loro manchevolezze in atteggiamenti opachi della Società.
Eliminare la raccolta delle segnalazioni di disservizio dei call center
Troppo spesso si ha occasione di sentirsi rispondere alla contestazione di un disservizio il fatto che lo stesso non era stato segnalato.
Troppo spesso ci si sente rispondere “Sui nostri sistemi informativi non risultano pervenute segnalazioni in merito”.
E’ un esempio di deresponsabilizzazione massima del gestore, che la schiva per allocarla addirittura sul Cliente.
Ed ormai siamo talmente presi da questo approccio che – ad esempio – tutte le Società che gestiscono impianti di illuminazione pubblica hanno trovato naturale chiedere ausilio al cliente/cittadino per segnalare il disservizio etichettando ogni singolo palo, numerandolo ed indicando “in caso di lampada spenta o non funzionante chiamare il numero _____”. La consapevolezza del disservizio compete al responsabile del processo, non al cliente. Il “non ho ricevuto segnalazioni!” non può giustificare la presenza di un disservizio. Invece deresponsabilizza.
Rispettare gli impegni presi (caso dei tempi di pagamento delle fatture).
Pratica ormai estesa anche alle Società, purtroppo, come la mia, è quella di veder sacrificato sull’altare della posizione finanziaria netta in bilancio, a favore delle operazioni di window dressing (che un tempo almeno si facevano una volta l’anno; ora con le trimestrali si sono moltiplicate per quattro), l’impegno di rispettare le condizioni di pagamento nei confronti dei fornitori.
Quanto scritto nei contratti circa i termini di pagamento vale la carta su cui sono scritti.
Non è purtroppo un problema di ampiezza dei tempi di pagamento stessi.
Il fornitore ha prima di tutto interesse alla certezza della data del pagamento e poi all’ampiezza della dilazione.
Prima del problema di “quanti giorni”, c’è un problema di “rispetto dell’impegno assunto”.
Se invece, qualsiasi sia la data contrattuale posta come termine di pagamento, il comportamento adottato è quello di non rispettare detto termine e posticipare, il comportamento stesso non è più espressione di una volontà di pagare ad una data per salvaguardare la Posizione Finanziaria Netta, ma quella di esercitare un privilegio, nei fatti un’arroganza, di ribadire di aver diritto a non rispettare gli accordi.
A fronte di un beneficio miope si ha un danno sistemico enorme, con effetto boomerang che torna sull’artefice. I fornitori anticipano il comportamento scorretto del Cliente, inglobano nella quotazione l’alea di rischio di veder non rispettata la clausola dei termini di pagamento, ne amplificano la portata adottando azioni di neutralizzazione del rischio massimo.
Il valore della firma, dell’impegno, è alla base della fiducia, il bene pubblico per eccellenza, indispensabile per far funzionare qualsiasi tipo di sistema economico.
Voi avete idea di quanta competitività perdiamo nel confronto internazionale per il fatto che ogni dieci operativi ci devono essere tre amministrativi che vengono impiegati unicamente per andarsi a far pagare le fatture? E se invece di andare a sollecitare i pagamenti questi arrivassero in automatico al momento debito e le tre persone le mettessimo a lavorare sul processo operativo? Quanta produttività recupereremmo? Quanta competitività guadagneremmo?
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Vorrei chiudere il mio intervento con un articolo di Ermanno Bencivenga tratto dal Domenicale de Il Sole 24 Ore del 4 novembre 2012 “Viva l’impresa aristotelica” come recensione al libro di Leandro Herrero “Homo imitans; the art of social infection”:
Siamo animali sociali;esprimiamo il meglio ed il peggio di noi stessi fra i nostri simili; e a fare la differenza tra quel meglio e quel peggio sono l’esempio e l’ispirazione che reciprocamente ci diamo. Un esempio che vale di più, nel farci agire in un modo o nell’altro, di qualunque prezzo si paghi per i nostri servizi o di qualunque potere ci venga conferito, e che nella fattispecie può fare della nostra azienda un’autentica comunità, e anche mantenere tale sua INTEGRITA’ attraverso il cambiamento.