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Nessun Fiorito, ma 1000 viaggiatori per dare speranza a questo bellissimo Paese

Due le fonti di forte dibattito oggi a Tor Vergata con Alberto Bisin o Michele Boldrin.

La prima, l’esistenza o meno di qualcosa chiamato “congiuntura” o “ciclo economico” che loro ritengono”relativamente irrilevante” combattere, focalizzando il cuore del problema sulle riforme, ed io che ritengo invece centrale per poter sperare in un futuro per l’Europa per combattere la recessione.

E’ essenzialmente una divisione difficilmente colmabile: lo è in parte se consideriamo la spending review (che è taglio degli sprechi e dunque riforma) su cui tutti concordiamo. Loro i soldi credo li userebbero per abbattere la tassazione (spero non per ridurre il debito), io per aumentare la spesa. Ma l’accordo finisce lì.

*

Ma il succo è altrove. E’ sulla maggiore spesa pubblica.

Ci sono 4 argomenti per dire no alla maggiore spesa pubblica:

1) Son tutti come Fiorito-Batman. Ovviamente non è vero. Per 1 Fiorito ci sono 9 fiori nella pubblica amministrazione, che lavorano con dedizione, coraggio, competenza. Sono fallibili, certo. Ma sono. Lasciano una traccia bella per il prossimo. Tagliare la spesa di 10 perché 1 è marcio, è follia. Ci sono altri strumenti per cacciare quell’ 1, per esempio  una buona lotta alla corruzione. In Brasile, dove sono in piena espansione fiscale, la riforma anti -corruzione che da anni domina l’azione governativa (anche grazie alla trasparenza sugli appalti) sta per la prima volta dando i suoi frutti, portando a giudizio per la prima volta degli importanti politici del governo Lula.

2) Non l’abbiamo fatta prima, la riduzione della spesa, quando potevamo, la dobbiamo fare ora quando fa male. Rimediare ad un errore con un altro errore? No grazie. Certo, esiste un problema di garantire alla cittadinanza che quando l’economia tornerà a crescere la spesa pubblica scenderà. Ed ha ragione Bisin a preoccuparsi di questo perché finora non possiamo dirci rassicurati dai nostri politici (né da quelli francesi o tedeschi che hanno fatto saltare il patto di stabilità un decennio fa). Christina Romer suggerisce che un problema simile lo ha anche la politica economica americana. Ma questo è la politica: eleggere qualcuno che lo sappia fare (ringrazio Alberto per avere detto che se ci fossi io al Governo non dubiterebbe che questo avverebbe ma che non sarò mai eletto e dunque  ;-) ….) spetta ai cittadini.

3) La spesa pubblica fa male. Falso. Germania, Francia, Cina, Regno Unito, Stati Uniti hanno solide economie private perché hanno solide pubbliche amministrazioni.

4) Non sappiamo avere una solida pubblica amministrazione. Vero. E dunque? Si butta il bambino dalla finestra? Certo che no, si riqualifica. E si vince la battaglia.

Il lavoro per uno Stato migliore non è ancora cominciato. La lotta alla recessione nemmeno. Siamo qua per questo. Per questo abbiamo creato iviaggiatorinmovimento.it . Per dire che bisogna essere fieri di questo Paese e della sua storia, che non tolleriamo che esso sia lasciato solo, senza combattere la battaglia per il suo Rinascimento. Ma anche per scendere in campo con tutte le forze della società civile, i mille e mille viaggiatori, che credono che si debba e si possa vincere tutti insieme, dando spazio ad ognuno per contribuire con il bello che ha dentro.

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Partecipa anche tu alla consultazione europea per le PMI

Una iniziativa importante in Europa.

Voi sapete bene che 1 euro di costi per una grande impresa è molto diverso da 1 euro di costi per una piccola. E che le regolazioni amministrative hanno spesso costi fissi: costi dunque maggiori, per unità di prodotto, per le piccole. Ciò distrugge la loro competitivtà e rende impari la lotta per i mercati.

Negli Stati Uniti studi della Small Business Authority a livello aggregato mostrano come il costo per lavoratore della regolazione e compliance è di almeno “il 36% più alto nelle piccole imprese che in quelle medie e grandi”.

Ecco perché vi invito caldamente a partecipare o a far partecipare i vostri amici imprenditori e  coloro che conoscono le piccole imprese ed i loro problemi a questa nuova consultazione pubblica della Commissione europea:

Siamo lieti di informarla che la Commissione Europea ha lanciato la  consultazione pubblica “Quali sono i 10 atti legislativi dell’UE più gravosi per le PMI”, dedicata alle piccole e medie imprese e alla necessità di semplificare le procedure burocratiche che le riguardano in diversi settori:

http://ec.europa.eu/governance/better_regulation/index_it.htm

Entro il 21 dicembre sarà possibile fornire il proprio contributo tramite: http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/public-consultation-new/index_en.htm

La consultazione si inserisce nell’ambito della revisione dello Small Business Act (2011), finalizzata alla semplificazione del contesto normativo e amministrativo in cui operano le PMI, in ossequio al principio “Innanzitutto pensare in piccolo”. 

http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/small-business-act/sme-test/index_en.htm

Grazie Annalisa.

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Calma piatta a Via Nazionale

Se qualcuno si aspettava dall’or ora uscito bollettino della Banca d’Italia una voce critica all’attuale politica economica italiana, beh sarà rimasto deluso.

La Banca d’Italia ammette di fatto che nel giro di 3 mesi la sua stima interna di (de)crescita del -2% nel 2012 è andata a farsi benedire. E’ oggi del -2,4%.

Le ragioni di questo errore non piccolo di previsione sono da rintracciarsi in due fattori: la crescente descrescita mondiale e dell’area dell’euro (fa paura la stima FMI per il 2013, aggiornata dal +0,7% al +0,2% in un solo trimestre per il PIL euro) e la tendenza a sposare le stime dei tassi di crescita dei governi “amici”, come lo è per la Banca d’Italia il governo Monti. Stime per definizione politiche, quelle del Governo, e non tecniche come dovrebbero essere quelle della Banca.

Che conferma la sua ortodossia montiana quando afferma, politicamente, che “occorre procedere con decisione e a tutti i livelli nel riequilibrio di bilancio e nelle riforme strutturali laddove necessario, nonché nella riforma dell’architettura europea.”

Mandando a farsi benedire le mille pubblicazioni anche Banca d’Italia-BCE che sostengono come meno spesa pubblica e più tasse sono un cocktail micidiale per stabilità e crescita. E dunque per l’euro.

Se e quando l’euro salterà, sapremo ricordare chi mancò di fungere da essenziale voce critica per spingere i Governi a fare la cosa giusta. Specie quelle istituzioni che hanno al loro interno le migliori menti del Paese e la sufficiente indipendenza formale per esprimersi liberamente usando il rigore dell’analisi scientifica e la qualità dei ricercatori a disposizione.

Il danno sarà stato però irreparabile e ci sarà poco da gioire.

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Arriverà il giorno del moltiplicatore

“Ti ho sentito da Barisoni su Radio 24, bravo. Ma su una cosa non sono d’accordo con te.”

L’altro ieri, al telefono, mi dice un collega che stimo.

Ma quante volte ricevo quest’osservazione! “Dici bene, ci vuole espansione fiscale per tirarci fuori da questa idiota austerità, ma non con maggiore spesa pubblica, con minori tasse”.

Perché no? Certo non siamo nell’illogico mondo di Alesina e Giavazzi che ancora oggi continuano a parlare di ”manovre che hanno …  minori effetti recessivi“, come se non fosse esattamente il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno. No, qui si parla seriamente, di tirare fuori dalla stupida recessione Europa ed Italia, con maggiore domanda.

Che può venire sia da minori tasse che da maggiore spesa pubblica e, nota bene, con un impatto positivo non solo sul PIL ma anche sui conti pubblici.

Eppure la paura di Fiorito-Batman è tale che maggiore spesa pubblica fa venire la pelle d’oca anche ai più avveduti. Senza capire che per 10 euro di Fiorito ci sono 90 euro di appalti pubblici alle imprese che danno lavoro, creano reddito e occupazione, benessere. Sono lavori per riempire le buche delle strade percorse dai TIR che trasportano all’estero le nostre esportazioni, così da consegnarle più rapidamente. Sono ospedali rimessi a nuovo con apparecchiature in maggior numero e di migliore qualità, così da mandare prima a casa i nostri operai così che possano aiutare l’impresa a produrre nello stesso tempo più beni.

Senza per questo rinunciare a combattere, ma seriamente non con l’irrilevante legge anti corruzione in attesa di approvazione, i Batman che impoveriscono il Paese.

Ora, tuttavia, la questione chiave qui è un’altra. Superato il mal riposto timore dei Fiorito, cosa possiamo dire sull’effetto che prevale? Meglio minori tasse o maggiore spesa pubblica in questa fase del ciclo?

Per rispondere basta guardare ai moltiplicatori di spesa pubblica e tasse e cioè quanto 1 euro di spesa pubblica in più o di tasse in meno riesce a generare di PIL in più.

E per rispondere non lo chiediamo a Piga. Per carità, troppo poco obiettivo. Né ad A&G, anche loro troppo poco affidabili. Ma no, chiediamolo alla istituzione in cui tutti noi crediamo ciecamente, la Banca Centrale Europea.

Che è appena uscita con l’ennesimo studio che conferma il contrario di quello che la BCE stessa auspica, e cioè che le austerità fanno male e le espansioni fiscali fanno bene.

I tre ricercatori mostrano non solo che nell’area dell’euro in recessione i moltiplicatori esistono e sono positivi (meno tasse e più spesa pubblica fanno salire il PIL) ma anche che il componente della politica fiscale che funziona meglio sono, medaglia d’argento, gli investimenti pubblici e, medaglia d’oro, la spesa pubblica per consumi di beni e servizi (ecotomografi, ambulanze, gazzelle della polizia, ecc.), ambedue in verde.

Come è noto in realtà da tempo (un eccellente economista di fama internazionale come Riccardo Fiorito si sgola invano da anni nel dirlo).

E le minori tasse (in rosso)? Sì fanno bene, ma molto meno della spesa pubblica. Ovvio assai: in una recessione come questa, quando tagli le tasse, la gente e le imprese non domandano di più, risparmiano, cautelandosi di fronte ad un futuro che appare grigio sul nero andante. Solo lo Stato, supplendo all’assenza momentanea del settore privato facendo appalti, può evitare quella recessione che uccide per sempre piccole imprese e deprime per sempre tanti giovani, tanto più a lungo essa si protrae. Solo lo Stato può evitare che le piazze di Lisbona si riempiano di protestanti che soffrono, facendo tornare l’escudo portoghese e crollare il sogno europeo.

E che questo sia vero lo conferma il paradossale studio della BCE che analizza la manovra “debolmente” espansiva, ma comunque espansiva che caratterizzò l’area dell’euro nel reagire alla prima crisi (2009-2010). La tavola qui sotto mostra chiaramente  come gli strumenti fiscali più utilizzati furono quelli, come le tasse, con un moltiplicatore minore. Si rinunciò a usare con più coraggio lo strumento migliore, quello della spesa pubblica per domanda di beni e servizi.

Ciò porta i nostri autori a concludere: in altre parole, se tutte le risorse del programma europeo (EERP) fossero state utilizzate nella spesa per consumi pubblici, l’impatto dell’EERP sul PIL sarebbe stato da 2 a 3 volte maggiore di quanto non mostra la nostra simulazione“.

Eh già.

E questo avveniva nel 2009-2010 quando ancora un minimo di coraggio europeo l’avevamo mostrato. Ora, che siamo preda stordita della stupida austerità, i rimpianti per non avere fatto la cosa giusta crescono a dismisura.

Ma non chiudiamo con una nota negativa: se la BCE lo dice, se il Fondo Monetario Internazionale comincia a pretenderlo, arriverà il giorno del moltiplicatore. E quel giorno io ci sarò, a vedermi lo spettacolo di un’Europa che riprende fiato e potrà finalmente, in condizioni favorevoli, avviare tutte quelle riforme che sono impossibili oggi e che nessun economista ha mai chiesto prima della crisi, nei primi anni del secolo, quando si chiedeva solo e stupidamente di rispettare (anche con trucchi contabili, non importava) la irrilevante soglia del 3% del deficit-PIL.

P.S.: G&A oggi sono sul Corriere e dicono di tagliare i sussidi alle imprese. Può darsi che questa sia una buona idea. Ma nulla mi toglie il sospetto che quando dicono che “Stato e amministrazioni locali spendono ogni anno (dati del 2010 e senza contare gli interessi sul debito) circa 720 miliardi. Togliamo i 310 miliardi che vanno in pensioni e spesa sociale: ne restano 410. Una riduzione del 20 per cento di queste spese, senza alcun taglio alla spesa sociale, consentirebbe di risparmiare 80 miliardi e di ridurre la pressione fiscale di 10 punti“, stiano parlando di tagli non a sussidi, che spesa pubblica non sono ma meri trasferimenti da un contribuente ad un’azienda, ma soprattutto di tagliare proprio quella domanda pubblica che genera occupazione e ripresa, come dimostrato dalla BCE. No grazie, arriverà il giorno del moltiplicatore.

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Distribuzione, stupide recessioni e banchieri centrali illuminati

“Saldo nullo, saldo nullo”. Ministro Barca, Piazza Pulita.

1. Che cosa ci sia di speciale nell’avere un saldo nullo nella manovra non mi è chiaro. Al di là della carenza di strategia comunicativa (“saldo nullo” dà idea di nullità dell’azione di governo), non credo comunque sia vero perché, in attesa della relazione tecnica, la manovra messa in allegato del testo di legge riporta una diminuzione di 0,3% PIL (6 miliardi di euro) dei saldi netti da finanziare. Se complessivamente variazioni di spesa pubblica e tasse riducono il deficit, il loro impatto quantitativo è recessivo, specie se basato su tagli di spesa, fortemente recessivi. Quindi, benvenuto 2013, con un altro bel meno in più sulla crescita 2013: con 0,3% di PIL circa di manovra, beh, con un moltiplicatore cauto di “1″, una ulteriore decelerazione (nel bel mezzo della recessione!) 2013 di 0,3 di PIL non ce la toglie nessuno. Aspettatevi tra 1 anno qualche aggiornamento ritardato del Governo sulle aspettative di crescita in “sorprendente” calo. E, ovviamente, col PIL che scende, aggiungiamoci con la matita rossa, l’ennesimo crollo successivo delle finanze pubbliche e causa della peggiore recessione. Incredibile ripetizione tafazziana di masochismo sulla pelle del Paese.

2. Se la manovra fiscale meno irpef più iva viene definita complicata del Ministro Grilli allora va certamente guardata nel dettaglio delle singole situazioni. Cosa che tenta di fare meritoriamente il Sole 24 ore, facendo emergere una eterogeneità, appunto, ma restrittiva per la maggior parte delle famiglie (specie quelle meno ricche):

Faccio parlare gli articolisti:

In molti casi l’effetto reale del menu fiscale servito dalla legge di stabilità, se uscirà confermato dai passaggi parlamentari, potrà essere ancora più duro di quello indicato nelle tabelle, soprattutto per i redditi bassi. Per due ragioni: quando il reddito lordo non si allontana troppo da quota 10-15mila euro, basta un carico di famiglia o una detrazione per lavoro dipendente (non calcolate negli esempi perché non modificate dalla legge di stabilità) per azzerare a monte l’imposta, vanificando qualsiasi effetto della limatura assestata alle due aliquote inferiori. Nei calcoli rappresentati nei grafici, poi, l’aumento Iva è stato applicato direttamente in modo proporzionale ai consumi ma l’appesantimento delle imposte indirette rischia di alimentare una dinamica inflattiva che può far alzare alcuni più di quanto sia dovuto al solo incremento dell’Iva.

 

Questo blog si occupa poco dell’aspetto redistributivo delle manovre finananziarie, è vero. E’ preoccupato dell’effetto complessivo della crisi su occupazione e progetto europeo. Eppure non c’è dubbio che la stupida recessione, specie se protratta, finisce per avere effetti redistributivi che accelerano la crisi politica europea.

Qualcuno lo notò, tanti anni fa, nel bel mezzo di un’altra tempesta perfetta.

Erano altri tempi. Sempre tempi di crisi, nera, 1934-1938, ma altri tempi come banchieri centrali. L’allora capo della Fed, la banca centrale Usa, Marriner Eccles, ricorda lo storico economico Skidelsky in un suo bel post,  così parlava, linguaggio inaudito ai tempi odierni (da me tradotto):

Una economia di produzione di massa deve essere accompagnata da consumi di massa. Consumo di massa a sua volta implica una distribuzione della ricchezza per fornire alle persone il potere d’acquisto. Invece che raggiungere un tale tipo di distribuzione una enorme pompa aspirante aveva, al 1929, preso e dato nelle mani di pochi una proporzione crescente della ricchezza prodotta contestualmente.
Ciò era utile ai fini dell’accumulazione di capitale. Ma sottraendo il potere d’acquisto alla massa dei consumatori, i risparmiatori si sono negati quella domanda effettiva per i loro prodotti che avrebbe giustificato un maggiore investimento per accrescere i loro impianti. Di conseguenza, come in una mano di poker quando il chip è concentrato nelle mani di in un numero sempre minore di giocatori, gli altri possono solo partecipare indebitandosi sempre più. E quando il credito finisce, finisce il gioco.”  (Marriner Eccles, Beckoning Frontiers: Public and Personel Recollections p.79)
Bella semantica, ai tempi in cui era la politica a nominare il banchiere centrale che alla politica rispondeva. Tempi moderni erano quelli.
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Costruendo un ponte tra generazioni

12 ottobre, Roma, grazie a Patricia Thomas

Da Giuseppe ricevo sul blog e credo meriti di essere più largamente condiviso.

Gentile Professore, gradirei molto se Lei proseguisse senza tregua il progetto d’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro occupandoli in tutti quei progetti, servizi e iniziative utili alla manutenzione, recupero e scoperta di tutte le infinite risorse ambientali, artistiche e culturali del patrimonio Italia. 

Ritengo che l’Italia non abbia bisogno di copiare da altre nazioni ma di coinvolgerle nel suggerire e partecipare con idee nuove che non appartengano al sistema dell’omologazione del capitalismo selvaggio.

La nazione Italia è un laboratorio immenso in cui ogni realtà è una scoperta che rompe la logica della “catena di montaggio” ed esalta la creatività del giovane e la sua voglia di esprimerla: valere, volere, volare.

I giovani non hanno bisogno di carità ma sentirsi parte attiva e propositiva di una comunità. Con una sola e concreta iniziativa si ottengono infiniti risultati proprio perché il giovane per sua natura è l’espressione del futuro:

1) si presidia il territorio da un sistema fatto di governanti padroni e connivenze 2) si valorizzano le risorse umane più vitali e meno strutturate della nazione 3) si allontanano le paure di crescere come scarti e schiavi di una società disumana 4) si creano le condizioni per la ricerca continua di opportunità di lavoro sempre nuove 5) si alleggerisce la famiglia dal peso della disoccupazione e della discordia 6) si valorizzano le ricchezze della nazione Italia, sia quelle visibili che quelle infinite nascoste 7) si da un messaggio esplosivo al mondo chiamandolo a collaborare e partecipare 8 ) si autofinanzia riprendendosi subito il primato nell’economia turistica, e alla grande 9) si rinforzano le fondamenta di una nazione su basi nuove e durature 10) ecc………………………………….

Solo se si raggiungessero subito questi obiettivi potremmo continuare con l’euro e ringraziare chi ha voluto che si realizzasse la “comunità europea” per averci dato l’opportunità di ricostruirci da soli. Diversamente, se dobbiamo essere consegnati all’euro e diventare succubi di un sistema che invece vuol renderci schiavi comprandoci con quattro soldi, gentile professore, all’età di 65 anni mi è rimasto poco per decidere, se attende la morte o andare incontro alla morte.

La carità è l’istituzione della schiavitù.

Grazie, Giuseppe

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Pompei, dove non si ferma il declino italiano

Della trasmissione di Piazza Pulita di questa settimana terrò a mente due atteggiamenti del Ministro Barca: il primo il suo convinto sbracciarsi per dire che la manovra di stabilità ha effetti nulli (su questo vedi prossimo post), il secondo – facendo seguito al solito (utilissimo e meritorio) servizio a telecamere nascoste sulla disgustosa Pompei che non c’è (vedi video), in mano, prima ancora che alla Camorra, al disservizio ed al disinteresse pubblico – di ottima analisi socio-economica: “tremendo … questo patrimonio usato in questo modo… ci vuole concorrenza”.

?

Ministro lei appartiene a questo Governo. Non è un analista delle cose come me. E su Pompei ha anche una responsabilità diretta. Lei era presente quel giorno in cui fu lanciato il piano Pompei in pompa magna.  Lei, come io, siamo ancora in attesa dell’aggiudicazione degli appalti non trasparenti al pubblico banditi da questo Governo. Ma il problema non è questo, è ben peggiore. E’ il tenore (distaccato) del suo intervento.

Ma cosa aspetta a spostare i suoi uffici a Pompei fino a quando quel tetto che crolla sotto la pioggia fracicando i turisti non sia stato rimesso a posto, anche a costo di pagare un 10% in più sul prezzo di mercato perché l’impresa che farà i lavori è un po’ inefficiente? Quanto costerà?

Cosa aspetta a dire al suo collega Ornaghi che è assolutamente impossibile che le mappe di Pompei della sovrintendenza non siano SEMPRE disponibili per i turisti?

Cosa aspetta a far lavorare 100  giovani per un misero ma dignitoso stipendio per sorvegliare le aree a rischio di furto e per far cessare i flash all’interno delle case?

Cosa aspetta a presidiare Pompei come questa merita?

Non ci sono i soldi? Davvero Ministro?

Fino a quando non mostrerete che governare è possibile, che elementari misure di attenzione e buona gestione sono possibili, fino a quando non mostrerete che non siete professori ma governanti, saremo sempre nelle mani di coloro che credono che il modo in cui si ferma il declino è con meno Stato.

Facendoci diventare con ciò ostaggi proprio di quello che queste persone pensano di evitare: il nostro Declino.

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A quando il Nobel per l’economia all’Europa?

L’Unione europea sta attraversando gravi difficoltà economiche e un considerevole livello di protesta sociale. Il Comitato norvegese per il Nobel desidera concentrarsi su quello che considera il risultato più importante raggiunto dall’Unione europea: la lotta di successo per la pace e la riconciliazione e per la democrazia e i diritti umani. Il ruolo stabilizzante giocato dall’Unione europea ha aiutato a trasformarsi gran parte dell’Europa da continente di guerra a continente di pace.

Dal testo del comunicato stampa che assegna il Nobel per la Pace all’Unione europea

Mi scrive mia moglie via sms la notizia del Nobel, aggiungendo, “dovresti essere contento”. Lo sono. Certo che lo sono. E’ importante soprattutto per i giovani, perché capiscano, in questa cacofonia di dichiarazioni e proposizioni, che vi è nella costruzione delle cose, delle istituzioni, delle politiche, un faro che ci deve sempre guidare, ben radicato  nei valori e negli ideali, quelli che caratterizzarono l’avvio dell’Unione.

Abbiamo perso ormai, nel gioco della semantica contabilistica, la bellezza del discorrere dei primi anni dell’Europa oggi premiata, quando Jean Monnet parlava di libertà e diversità. Quindi è bene e bello cercare di aiutare l’Unione ad essere unita, e un bravo va al Comitato Nobel per questa decisione.

E’ tuttavia, questa decisione, anche segno di una evidente debolezza, di una paura: assegnarle un Premio in questo momento all’Europa, è certificare la sua fragilità.

Ed è rilevante quel passaggio del testo sopra dove pare chiaro come si celebra:

- l’Unione europea, e non l’area dell’euro;

- il fallimento delle politiche economiche, che il Comitato esplicitamente non premia e che anzi vede come il fattore di maggiore rischio odierno.

Perché non sono state funzionali all’obiettivo di pace. Perché non sono radicate nei valori fondanti dell’Unione che non erano certo quelli della stabilità o della lotta all’inflazione, che sono meri strumenti, utili a volte, né necessari né sufficienti altre volte, per garantire pace e coesione.

Statene certi, il Premio Nobel per l’economia quest’anno non andrà all’euro. Ma non per sue colpe. L’euro, anzi, mi ricorda correttamente oggi un collega giurista, Mario Patrono, nacque nello spirito giusto di pace europea: in cambio di una Germania più grande e finanziata dal resto d’Europa, si chiese a questa di rinunciare alla sua sovranità monetaria, creando l’euro, per evitare che il nostro Continente tornasse a vedersi dominato da logiche imperiali.

Fu un accordo importante ed intelligente. E lungimirante. Lungimiranza che si è spenta nelle mani dei contabili che non hanno saputo raccogliere il testimone da una generazione di politici, nata nell’Europa occidentale sventrata dalle bombe e dal genocidio, che seppe guardare al di là di ridicoli pallottolieri.

L’anno prossimo speriamo di poter premiare l’Unione europea con il Premio Nobel per l’Economia che certo quest’anno non si merita. Se dovessimo aspettare anche un solo anno in più potrebbe essere la fine del progetto dell’euro e, con esso, dei valori e del progetto di pace chiamato Unione europea.

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Facciamo rinascere gli appalti grazie a Province e Regioni come si fa in Europa

Ricapitolo quello che è successo ieri. Ero nella terra del Galles. Dove Re Edoardo pare abbia costruito, dopo avere schiacciato l’orgoglio gallese, castelli a schiera non tanto perché temeva rivolte o per difendersi da nemici esterni, quanto per ribadire simbolicamente che erano gli inglesi ad avere vinto (Conwy Castle a sinistra).

Ottimo esempio di ottima politica del procurement (degli appalti pubblici) che deve spesso avere più di un obiettivo.

Così ieri sera ci siamo messi appunto a discutere – con i gestori delle stazioni appaltanti gallesi – in questa bella sala col camino dell’Università di Bangor (con mia grande sorpresa anche in gallese, con traduzione in inglese, bellissimo) del come tutelare, oltre all’interesse del contribuente con una spesa pubblica efficiente, il territorio e le imprese locali all’interno della normativa europea così rigida rispetto a quella di Usa, Cina, Brasile, India, Sudafrica che prevedono esplicite garanzie per le PMI (tutelare le PMi negli appalti è equivalente a tutelare l’interesse locale, spero sia chiaro: ve l’immaginate voi una PMI italiana che partecipa ad un bando di gara gallese?).

Specie in un momento in cui crescono le stazioni appaltanti centrali, come la Consip in Italia, favorite dallo sviluppo di internet e dei negozi elettronici, che fanno gare troppo grandi per rendere possibile alle piccole di partecipare. Là dove una PMI protetta oggi (come un bambino) diventerà, invece di scomparire, con una qualche probabilità, una impresa di successo che esporta e crea prosperità, grazie alla domanda pubblica che gli ha insegnato a vendere e produrre in modo competitivo.

Il Regno Unito, con Galles compreso, ha poche stazioni appaltanti, abbastanza grandi per sfruttare economie di scala e competenze dei dirigenti, generando risparmi e qualità, ma diffuse sul territorio appunto per soddisfare il secondo obiettivo di fare quel poco di politica industriale che la normativa europea permette.

Da qui la mia proposta per Bondi: passiamo ad un modello a poche stazioni appaltanti, diffuse sul territorio. Le 20 regionali fanno la sanità. La Consip, a livello centrale, fa 21. Ministero degli Interni e Difesa, fanno 23. E poi i 54 comuni con più di 90.000 abitanti, fanno 77.

E gli altri comuni? Niente più. Le loro domande verranno soddisfatte dalle Province, 110 se non sbaglio. 187 stazioni appaltanti contro le 16.000 circa attuali.

Ma ovviamente non finisce qui. In funzione del valore della spesa, viene fissato il numero e le qualifiche dei funzionari di questa stazioni appaltanti. Devono possedere qualifiche interdisciplinari: tecniche, giuridiche, economiche, organizzative, deontologiche. Entrare a far parte della famiglia professionale dell’acquirente pubblico, del procurer, come nel Regno Unito, diverrà onere o onore. Verranno selezionati con concorsi pubblici nazionali durissimi, da svolgersi ogni anno per il numero di posti disponibili, come in magistratura o per il servizio diplomatico, con compensi alti e crescenti al crescere delle responsabilità.

La valutazione della performance di queste stazioni appaltanti, in funzione di un piano triennale di target da raggiungere con risultati oggettivi e confrontabili, determinerà il bonus annuale da corrispondere alle migliori unità distitesi in quell’anno.

La corruzione di uno dei membri di una stazione appaltante comporterà penalità per tutti i dipendenti di quella stazione, e la sospensione immediata degli effetti economici contratto dopo sentenza di primo grado, con espulsione in caso di sentenza definitiva di condanna.

Le promozioni, altrettanto selettive, saranno basate su risultati e competenze raggiunti.

Il costo di questo investimento? Nullo rispetto ai vantaggi che questa struttura generarebbe per il contribuente ed il territorio, comprese le sue PMI.

La proporrò ai grandi Viaggiatorinmovimento, vediamo che dicono.