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Fare la review della spending review

Ho letto il decreto legge che riguarda, dice la premessa, le “disposizioni  per  la  razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi, migliorando  la  qualità delle  procedure  di  acquisto centralizzato   ed   incrementandone significativamente l’utilizzo”.

Strana premessa per una legge che parrebbe dunque centralizzare gli appalti mentre poi, per fortuna, nel suo testo sembra volere più centralizzare il comando (è da lì che nasce la nomina a Bondi) che non le gare. E per fortuna! Ci mancava solo che andassimo a rendere, in un momento come questo, impossibile la vita alle piccole imprese anche nelle commesse pubbliche.

Cosa mi piace di questa legge? L’idea che si debba cominciare a (e si cerchi di) prendere in mano con una qualche organizzazione strategica la questione della spesa pubblica per acquisti ed appalti.

Ma ci sono tanti buchi. Che andrebbero corretti se vogliamo che il progetto si tenga in piedi.

Primo. C’è un  Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica  (art. 1), inevitabile, che indirizza e coordina,  “in  particolare,  in  materia  di revisione dei programmi di  spesa  e  dei  trasferimenti  a  imprese, razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti, ridimensionamento delle strutture, riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, ottimizzazione dell’uso  degli  immobili” ecc.  Ecco il primo problema. La frase “riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi” (mentre nell’incipit si parla correttamente di “razionalizzazione”)si chiama stupida austerità. Nessun Paese con queste decreti riduce la spesa, ma la riqualifica. Vi pare semantica? No, è sostanza. Ridurre e basta, oggi, invece di ridurre gli sprechi ed aumentare con le risorse liberate la domanda pubblica alle imprese, è una ulteriore riduzione della domanda aggregata in una economia che non domanda. Se è questo che faremo, se faremo il contrario di quel che ha fatto Obama negli Stati Uniti, addio Italia, addio Europa, la recessione ci mangerà.

Secondo. Mi stupisce grandemente la mancanza di riferimenti alla spesa per i lavori pubblici. Non è essa materia da affrontare con la stessa intensità dei beni e servizi? Come mai ce la siamo dimenticata? Non dobbiamo anche qui identificare sprechi, corruzione e usare le risorse risparmiate per ricostruire l’Italia? Lo stesso mandato a Bondi è solo sulla “spesa corrente”. Come mai?

Terzo. A Bondi “spetta il compito di  definire il livello di spesa per acquisti di  beni  e  servizi,  per  voci  di costo, delle amministrazioni pubbliche.” Definire ok, ma vincolare? Qui si crea un altro problema perché gli organi che sprecano di più, nella sanità, sono probabilmente le regioni. Potranno il Commissario o Monti ordinargli cosa fare? Pare di no: “il  Commissario,  nel rispetto del principio di sussidiarietà e di  leale  collaborazione, formula   proposte   al   Presidente   della   regione   interessata, comunicandole al Ministero dell’economia e delle finanze”. Una pistola spuntata? E perché non condizionare i trasferimenti statali alla buona spesa? Capisco i problemi politici del farlo, ma sarebbe valsa la pena provarci e non so se sia stato fatto.

La parte certamente più impressionante della norma è quella che conferisce poteri notevoli a Bondi: “Il  Commissario  ha  diritto  di  corrispondere  con  tutte  le pubbliche amministrazioni e con gli enti di  diritto  pubblico  e  di chiedere ad essi, oltre a notizie ed informazioni, la  collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni. In particolare, il  Commissario ha il potere  di  chiedere  informazioni  e  documenti  alle  singole amministrazioni … nonché di disporre che vengano svolte, nei confronti  delle  stesse, ispezioni a cura dell’Ispettorato per  la  funzione  pubblica  e  del Dipartimento   della   Ragioneria   generale    dello    Stato.   Il Commissario segnala al Consiglio dei Ministri e al  Consiglio regionale interessato  le  norme  di  legge  o  di  regolamento  o  i provvedimenti amministrativi di carattere generale,  che  determinano spese o voci di costo  delle  singole  amministrazioni,  che  possono essere oggetto  di  soppressione,  riduzione  o  razionalizzazione  e propone  a  tale  fine  i  necessari  provvedimenti   amministrativi, regolamentari e legislativi.  Il Commissario esprime parere circa le iniziative necessarie per rimuovere o prevenire gli eccessi di spesa e può pubblicare i pareri nei modi più congrui in relazione alla natura e all’importanza delle situazioni distorsive.”

Bene. Speriamo solo che la Ragioneria Generale si mostri più attiva di quanto non sia stata negli ultimi 10 anni nel supportare il progetto di razionalizzazione della spesa, quasi mai avendo essa verificato (a nostra conoscenza) che i parametri prezzi-qualità fossero rispettati ed uniformi tra amministrazioni. E soprattutto notiamo che l’efficacia di questi poteri si regge sulla disponibilità di dati. Aspetto che viene affrontato più avanti e su cui vi dirò i miei dubbi.

“Il  Commissario  segnala  alle  amministrazioni  le  misure  di razionalizzazione  della  spesa   e   fissa   un   termine   per   il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Alla scadenza del  termine il  Consiglio   dei   Ministri   può   autorizzare,   nel   rispetto dell’articolo  120  della   Costituzione,   l’esercizio   di   poteri sostitutivi dei vertici delle amministrazioni inadempienti.” E’ certamente un approccio che delude quanto a spinta all’autovalutazione ed al miglioramento interno delle singole amministrazioni, l’unico che motiva veramente i dipendenti pubblici. Se è vero come è vero (studi importanti mostrano) che l’83% degli sprechi non sono dovuti a corruzione ma a mancanza di competenza, non è evidente come questo decreto spinga, come invece avviene negli Usa e nel Regno Unito, verso una maggiore professionalizzazione e maggiori riconoscimenti e responsabilità per i più bravi. Ma tant’è.

C’è poi la questione chiave sull’informazione. Per fare bene le ispezioni di cui sopra non si può andare a casaccio, bisogna avere i dati, in tempo reale, a disposizione. Ed il decreto se ne occupa. Ma come? “Su proposta del Commissario, il  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri o il Ministro da questi  delegato  o,  per  le  Regioni,  il Presidente della Regione interessata  possono  adottare  le  seguenti misure: a)  sospensione,  revoca  o  annullamento  d’ufficio  di  singole procedure relative all’acquisto di beni e servizi anche  per  ragioni di opportunità; b) introduzione di obblighi informativi a carico delle  pubbliche amministrazioni  finalizzati  alla   trasparenza   ed   all’effettivo esercizio delle funzioni di monitoraggio e supervisione attribuiti al Commissario…”.

Bene! Ma dove sono i dati? Appaiono essere due le fonti, oltre ai non meglio specificati “obblighi informativi” su cui forse qualcosa sapremo più avanti nei prossimi giorni.

Primo. Si obbliga “l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a  lavori,  servizi  e forniture a rendere pubblici, attraverso il proprio portale, i dati e  le informazioni  comunicati   dalle   stazioni   appaltanti, con modalità che consentano  la  ricerca  delle informazioni    anche    aggregate    relative    all’amministrazione aggiudicatrice, all’operatore economico aggiudicatario ed all’oggetto di fornitura.” Notato en passant che rispuntano i lavori pubblici lasciati fuori dal decreto, quanto è utile un tale obbligo? Zero. I dati arrivano all’Osservatorio dalle Regioni con ritardi biblici. Chiudiamo la stalla quando i buoi sono già scappati?

Poi vi è il secondo strumento per la raccolta dati: “Il Ministero dell’economia e delle finanze mette a disposizione, a titolo gratuito, il proprio sistema informatico di negoziazione  in modalità  ASP  (Application  Service   Provider)”. Un’offerta generosa e che sarebbe utile se tutte le amministrazioni fossero obbligate ad esperire le loro gare su una unica piattaforma, così da individuare subito “gli spendaccioni” e bloccarli in tempo reale. Ma di obbligo non si parla, solo di disponibilità. Come farà Bondi a bloccare le gare che non vanno se non sa quali sono quelle che non vanno?

Un’ultima considerazione. Nessun riferimento alla carta di credito per i piccoli acquisti sotto i 2500 euro, che tanto successo ha avuto nel mondo anglosassone, riuscendo a fornire in tempo reale dati  su un numero enorme di transazioni (della Pubblica Amministrazione) di piccolo valore, circa il 70% del totale. E facendo calare gli sprechi.

Insomma un buon primo passo. Non servirà però a tantissimo se lasciato così, e non tanto per una evidente mancanza di attenzione ai dettagli (a cui si potrà forse porre rimedio se Bondi sarà ben consigliato).

Non servirà se non verrà inserito in un sistema di valori e di “politica alta” che sappia dire dove lo Stato vuole spendere per far rinascere questo Paese, come avviene nelle altre grandi democrazie occidentali. Forse è troppo da chiedere ad un tecnico, ma è normale chiederlo ad un Presidente del Consiglio democraticamente eletto.

3 comments

  1. Riccardo Colangelo

    17/05/2012 @ 18:04

    Nel 1987 il governo Goria insediò la Commissione per la “verifica della spesa pubblica”, ne faceva parte Giarda.
    A febbraio 2000 è stato lanciato il progetto per la razionalizzazione della spesa del settore statale, ed affidata a Consip la gestione del sistema di convenzioni ex art 26 L. 488/99.

    Nel 2007 Padoa Schioppa ha dato un tono internazionale chiamando in inglese la razionalizzazionde della spesa “Spending review”.

    Nel 2012 Monti, che ha una statura internazionale, ha affidato prima a Giarda, poi a Bondi, il compito attuare la Spending review.

    Su “Il Fatto” oggi si cita Giarda, che parlando con i suoi collaboratori dei compiti di Bondi avrebbe ammesso onestamente: “Bondi deve fare quei tagli di spesa che se li propongo io come ministro mi sbranano”.

    Ma ci risuscirà Bondi? non sarà forse che dobbiamo tornare a Tommasi di Lampedusa per capire cosa si sta facendo veramente?

    Per trovare il colpevole bisogna chiedersi: “cui prodest?”

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  2. Una mia modestissima proposta per la “spending review”.
    Ridurre tutti gli emolumenti ai dipendenti a qualsiasi titolo della PA e ai pensionati che ricevano più del corrispondente di 2000 € al mese. La riduzione dovrebbe essere pari al 5 % suul’eccedente i 2000 €, 10 % sull’eccedente i 3000 e così via a salire.
    Quasto anche in virtù di un fatto di equità con i dipendenti del settore privato, oggi a parità di livello pagati meno dei dipendenti della PA senza peraltro avere la garanzia del posto di lavoro, e per equità di trattamento tra chi in pensione ci è già andato magari in giovane età e chi, forse, ci potrà andare in tarda età e con assegno sostanzialmente ridotto.
    Tutto il risparmio dovrà essere utilizzato per spesa pubblica produttiva come materiale medico, informatizzazione degli uffici pubblici, banda larga, realizzazione di opere pubbliche varie (strade, ferrovie, etc.).
    Insomma ci sarà qualche impiegato pubblico che dovrà rinunciare alle vacanze a Sharm ma in compenso ci sarà un programmatore o un operaio delle costruzioni che avrà un po’ di soldi in tasca. E inoltre le opere realizzate saranno un volano per la crescita futura

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