Pubblicato anche nel Foglio di oggi.
Cresce l’esigenza di servizi sanitari. Cresce con la demografia e con le aspettative di persone che toccano con mano, all’interno dell’Unione europea, che sanità e settore pubblico non sono un binomio impossibile per garantire qualità nelle prestazioni. Cresce la capacità tecnologica dei media televisivi ed informatici di documentare disservizi e carenze. L’offerta deve adeguarsi a questi nuovi trend e colmare un distacco che, facendosi troppo ampio, deturpa il Paese e rende più attraente, specie per i più giovani (e forse per una fascia di anziani), spostarsi per vivere in paesi limitrofi con maggiore qualità della vita.
C’è chi parla di default nella sanità italiana. L’immagine, se pur incisiva, è altamente ingannevole della realtà attuale e rischia di mandare i messaggi sbagliati di policy, perché default significa “mancanza di mezzi ” mentre tutti i dati che abbiamo sulla spesa nella sanità in questi ultimi anni raccontano una storia molto diversa. Al 2009 infatti i consumi intermedi (acquisti di beni e servizi) mostrano come a fronte dei 27 miliardi attribuiti alle Amministrazioni Centrali-Stato, 77 miliardi sono attribuiti a livello regionale al settore della Sanità. Gli aumenti della spesa nell’ultimo quinquennio sono del 50% nella sanità a fronte di meno del 20% nello Stato. Uno studio ormai noto ai più di tre ricercatori italiani di Tor Vergata e della London School of Economics mostra come lo spreco negli acquisti di beni e servizi della Pubblica Amministrazione è pari al 20%: lo stesso giorno lo stesso bene viene acquistato a prezzi molto diversi e il mancato monitoraggio di questa situazione ci fa perdere l’opportunità per ogni 100 euro stanziati di risparmiarne 20. Applicato a tutta la spesa per acquisti di beni e servizi ciò implica il 2% di PIL di spesa, 32 miliardi di euro in meno, senza intaccare né la quantità né la qualità dei beni acquistati. Applicato alla sanità, quasi la metà di quella cifra.
Ma non è solo dalle siringhe acquistate a prezzi troppo alti che derivano risparmi. Un monitoraggio attento evidenzierebbe come, a parità di pazienti in ogni unità ospedaliera, il numero di siringhe per paziente varia drammaticamente di ospedale in ospedale. Risparmi aggiuntivi deriverebbero dall’acquisto del giusto numero di siringhe, evidenziando sprechi, furti, disattenzioni.
E che fare con queste risorse? Portarle a riduzione del debito? Assolutamente no. Esse possono essere utilizzate per acquistare beni di maggiore qualità per la sanità italiana e maggiori unità di beni della stessa qualità: barelle, TAC, ecotomografi … per dare al paese la sanità che si merita una società che invecchia e che entra nel XXI° secolo.
Tutto ciò richiede l’organizzazione di un nuovo meccanismo di governance della spesa. Ciò necessita ovviamente di tecnologie e organizzazione per l’identificazione degli sprechi. Oggi l’Autorità dei Contratti Pubblici italiana riceve i dati su cosa viene comprato e a che prezzo con circa in media 3 anni di ritardo. In Corea e Messico (come in tantissimi altri paesi) questi dati arrivano in tempo reale. Sarebbe semplice legare la validità legale del contratto di acquisto col fornitore all’invio di tutti i dati rilevanti, così da permettere l’identificazione immediata di anomalie da verificare tramite ispezioni e disincentivare comportamenti inappropriati o ridurre i rischi derivanti dai frequenti errori nella stesura dei capitolati di gara.
Di progetti organizzativi tramite l’informatica ne sono stati fatti e sono stati tutti bloccati. Il più noto è quello ligure dell’inizio del secolo dove si distribuirono alle stazioni appaltanti applicativi in modalità ASP (Application Service Provider) così che in ogni amministrazione si disponesse degli strumenti informatici necessari per gestire l’intero ciclo d’appalto, dal bando a fine contratto alimentando in tempo reale l’archivio centrale accessibile ad ogni altro responsabile di procedimento. La Regione forniva assistenza alle stazioni appaltanti locali. In un paio di mesi, non appena i servizi furono disponibili, aderirono volontariamente circa 300 amministrazioni su 550, meglio di ogni più ottimistica previsione. Stupì tutti l’esiguità del numero di risorse necessarie per gestire l’intero sistema .
Quel progetto mirabile fu chiuso in un battibaleno dalla politica appena mostrò tutto il suo potenziale. Oggi, dalla politica e dal Governo aspettiamo dunque segnali di vera riforma.