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Quando Confindustria supplisce a Banca d’Italia e aiuta il Paese

Oggi carissimi non parlo. Faccio parlare altri. Confindustria. Sarò io stavolta in corsivo, le poche volte che ci sarà da aggiungere qualcosa. Tutte le slide ed il rapporto Confindustria li scaricate qui.

“Non siamo in guerra. Ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto e a essere colpite sono state le parti più vitali e preziose del sistema Italia: l’industria manifatturiera e le giovani generazioni. Quelle da cui dipende il futuro del Paese….

Le politiche improntate al solo rigore, invece di stabilizzare il ciclo, stanno facendo avvitare su se stessa l’intera economia europea. Ormai non c’è (quasi) più nessun economista che creda agli effetti espansivi non-keynesiani dei tagli ai bilanci pubblici attuati sincronicamente in più paesi fortemente integrati tra loro, come sono quelli dell’UE e in particolare dell’Eurozona….

Gli esiti dell’esperimento in atto nell’Area euro di diminuzione dei disavanzi pubblici in presenza di un’ampia capacità produttiva inutilizzata (pari in media al 2,6% del PIL nell’Eurozona) dimostrano la validità delle prescrizioni contenute in ogni manuale di politica economica. In depressione economica la restrizione di bilancio abbassa il PIL effettivo e, distruggendo base produttiva, quello potenziale, minando la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo….

Un’importante cartina di tornasole della svolta europea sarebbe la concessione di più tempo alla Grecia per il risanamento dei conti pubblici. Dalla tragedia greca è partita la pessima euro gestione franco-tedesca dell’uscita dagli alti disavanzi pubblici e da essa non può non ripartire la strategia europea. I greci meritano una dilazione temporale perché hanno fatto sforzi enormi nella diminuzione del deficit pubblico (il saldo primario è passato da -10,4% a -1,0% del PIL) e hanno pagato una sanzione inaudita in termini di perdita di benessere (-15,0% il reddito pro-capite dal 2009, quando è iniziata la cura, al 2012). Ciò, ovviamente, non li esime dal mostrare con la condotta di aver appreso la lezione della disciplina nelle finanze pubbliche….

Come detto sopra, l’Eurozona tutta ha bisogno di una maggiore gradualità nell’aggiustamento degli squilibri, pena l’affossamento del progetto stesso dell’Unione europea, sul fronte politico e sociale non meno che su quello economico e finanziario. Adesso e di nuovo spetta alla politica cambiare rotta finalmente. Gli effetti maggiori e più rapidi, nel rinsaldare la fiducia e nel rimuovere l’incertezza e, quindi, nel rilanciare l’economia, si avrebbero se ci fosse un’esplicita ammissione degli errori commessi, condita dal riconoscimento delle cause degli stessi.”

Sin qui Confindustria. Incredibile linguaggio. Ma ecco il perché di questo linguaggio:

 

Ecco, guardate il crollo degli investimenti, come si fa ad investire infatti in un Paese ed in un Continente che mettono al centro delle politiche future l’austerità e non la crescita? E guardate il debito pubblico in rapporto al PIL per favore, guardatelo. Con tutta questa austerità sale, non scende, ovviamente, perché l’economia crollando fa crollare la stabilità dei conti pubblici.

Così poi continua il rapporto ricordandoci che l’unica vera riforma è quella della Pubblica Amministrazione ma che bisogna sfatare i facili sterotipi:

“Secondo le stime della Commissione europea la spesa pubblica italiana in rapporto al PIL, quest’anno, arriverà al 50,4%, contro il 45,6% tedesco e il 48,9% nella media UE. Tuttavia, un’ampia quota, nettamente superiore a quella degli altri principali paesi, è vincolata a destinazioni che sono eredità del passato: interessi sul debito pubblico e pensioni. Se togliamo dalla spesa pubblica complessiva tali due voci, che sono frutto di scelte errate compiute nel passato, restano uscite pari al 31,3% del PIL nel 2009 (ultimo anno disponibile per il confronto internazionale), la quota più bassa tra i paesi dell’Area euro, a parte Malta. E dal 2009 tale spesa è scesa ancora, stando alla contabilità nazionale ISTAT, raggiungendo il 29,4% del PIL nel 2011.”

E ancora:

E dunque che direte ora? Che non abbiamo ragione quando col nostro appello chiediamo una Pubblica Amministrazione giovane, che acquista beni e servizi in questa fase ciclica in cui nessuno domanda e che sia riformata verso la professionalità dei suoi dipendenti? Di nuovo Confindustria:

“Il vero nodo da sciogliere riguarda il comportamento dei dipendenti pubblici: il funzionario competente, che privilegia la qualità del servizio e trova i modi per superare correttamente possibili ostacoli formali, è una risorsa preziosa che va valorizzata.”

Incredibile. E’ così. E’ così.

Lavoro da 10 anni presso Confindustria dirigendo la rivista scientifica Rivista di Politica Economica e dunque sono in conflitto d’interessi. Ma lasciatemi dire grazie alla Confindustria. Sparita la Banca d’Italia che ha ormai perso la sua storica ed indipendente spinta propulsiva all’analisi critica dell’azione di governo (e così facendo, non aiutandolo) questa crisi ci restituisce un Centro Studi che ha una sua tradizione e che dice la verità ai cittadini, permettendoci con i suoi dati di capire la realtà, discuterne con maggiore precisione, richiedere alla politica le azioni più appropriate senza beneficio d’inventario. Che sia Confindustria a farlo, in questo momento così grave per il Paese, a me importa poco. Importa che ci aiuti a mobilitarci per salvare dallo spreco di cui parlava Stiglitz, la sparizione delle nostre imprese e dei nostri occupati. Importa che si possa stimolare il nostro Governo a fare meglio nell’interesse di tutti.

Tutto qui.

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L’Italia si è desta. Dedicato a

Marino Diomedi (contrada Accattapane) , emigrato in Germania, alla prima nevicata del lungo inverno tedesco, non esita a scrivere sul parabrezza della sua auto il nome ITALIA.

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L’Italia s’è desta?

Ho letto l’ultimo lavoro di due economisti che cercano di comprendere la relazione tra disuguaglianza economica, capacità di tassare e spread.

Partendo dall’assunto che maggiore disuguaglianza in un paese rende più difficile tassare (per l’inevitabile contrapposizione che si crea all’interno della società tra diversi gruppi sociali), gli autori speculano che in paesi più diseguali, che non riescono a generare maggiore pressione fiscale per l’opposizione che si crea a questa, dovremmo aspettarci maggiori spread in momenti di crisi finanziaria (come quella che stiamo vivendo in questi anni nell’area dell’euro) a causa del timore da parte dei mercati che lo Stato non riesca a trovare i fondi per ripagare il debito.

La loro analisi sui dati di svariati paesi conferma la bontà della loro previsione. Nella media dei paesi. Ma non per l’Italia.

In che senso? Che l’Italia spicca come anomalia. Data la nostra disuguaglianza, l’Italia dovrebbe essere capace di tassare molto meno di quanto non riesca a fare. Detta in un altro modo, tassiamo quasi quanto gli scandinavi ma siamo molto più diseguali, come distribuzione del reddito, di loro. La stessa cosa avviene con la corruzione, intesa come indicatore di bontà della spesa: per quanto siamo percepiti come corrotti i nostri cittadini dovrebbero rifiutarsi di pagare le tasse molto di più di quanto non facciano effettivamente.

C’è di più. Gli autori notano come dal 1999 al 2009 la disuguaglianza in Italia è cresciuta ma così anche la tassazione. E, come sappiamo, la governance a protezione della qualità della spesa pubblica è calata in questo decennio. Strano, gli autori si aspettavano il contrario: perché le tasse in Italia riescono ad aumentare senza opposizione, per di più di fronte ad un peggioramento della qualità della spesa, quando ci dovrebbe essere invece addirittura più opposizione a causa della maggiore disuguaglianza? Pare come se i cittadini italiani non riuscissero a essere rappresentati democraticamente come negli altri Paesi, e dunque ad opporsi con efficacia a maggiori tasse e peggiori spese.

Ora, aggiungiamo noi, dopo il 2009 lo spread che i mercati caricano per l’insicurezza di vedersi ripagato il debito (in euro) dell’Italia è salito, malgrado la nostra capacità di tassare sembra non perder colpi e la nostra spesa pubblica non pare migliorata quanto a qualità. Perché?

Forse  perché i mercati hanno capito che non c’è più margine per tassare ulteriormente e peggiorare ulteriormente la qualità della spesa. E se ne preoccupano: come ripagherà il Governo il debito pubblico se i cittadini dicono “basta al malgoverno e basta a tasse in cambio di nulla”?

E questo forse perché in Italia  si è “finalmente” toccato il punto limite quanto a distribuzione del carico fiscale (evasori vs. non evasori) e qualità della spesa pubblica. Anche una democrazia carente di rappresentanza alla fine sa ribellarsi e i mercati ne tengono conto, rivedendo le loro aspettative. L’Italia s’è desta?

Ecco perché la madre di tutte le riforme, come ho sempre detto, quella che farebbe crollare gli spread italiani senza proposte che coinvolgono eurobond o BCE, dovrebbe essere il nuovo patto tra cittadini e Pubblica Amministrazione: mai più corruzione, mai più sprechi. Lotta senza quartiere a corruzione. Lotta senza quartiere a sprechi. Dopo 2 anni di questi sforzi, dopo aver convinto i cittadini che si fa sul serio, lotta senza quartiere all’evasione. Perché non cominciare con l’evasione? Perché una battaglia che dovesse cominciare subito dall’evasione non avrebbe il supporto necessario da parte di una maggioranza stabile di elettori capace di evitare la caduta del Governo sulla base delle proteste degli evasori.

In un Paese dove la spesa è fatta bene, la gente paga le tasse. E ne paga pure meno perché gli spread crollano.

Non festeggiate la riforma del lavoro che non serve a nulla. Pretendete e appoggiate la migliore spending review possibile. Pretendete che i vostri politici vi rappresentino di più. E il circolo virtuoso che parte da lì si materializzerà.

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Quell’abisso di politica economica che non c’è

“Siamo nell’abisso”, sottolinea il capoeconomista di Confindustria, Luca Paolazzi, illustrando le stime di via dell’Astronomia sul Pil tagliate rispetto alle precedenti previsioni: per il 2012 al -2,4% (dal -1,6%). Secondo il Centro studi di Confindustria il deficit pubblico nel 2012 si assesterà a -2,6%, in peggioramento di 1,1 punti a causa della crisi.

Il Documento di Economia e Finanza del Tesoro uscito poco più di 2 mesi fa prevedeva per il 2012 una (de)crescita del -1,2%: la decrescita secondo Confindustria è ora raddoppiata. Nel giro di 2 mesi. Raddoppiata.

L’indebitamento netto del settore pubblico, previsto ad 1,7% di PIL nello stesso Documento, peggiora secondo Confindustria fino a 2,6%. E, per fortuna, almeno non si parla nei circoli governativi di riportarlo con manovre fiscali restrittive all’1,7%. Sarebbe demenziale.

Ma torniamo a noi. Guardateli questi dati, hanno dell’incredibile. Sono pazzeschi, nel giro di solo 2 mesi.

Eccola servita per voi, l’austerità che distrugge lavoro, imprese, PIL e con esse anche la stabilità dei conti pubblici. E che nessuna riforma sa curare. Altro che tassisti.

Ma cosa aspetta il Governo a sostenere la domanda aggregata con spesa pubblica? Solo in questo modo arresterà l’emorragia dei conti pubblici tramite la crescita!! Quali altri esperimenti dobbiamo fare sulla pelle di tutti noi per capirlo?

Questa è macroeconomia da primo anno di università, e dovremmo pretendere che, a fronte di ricette fallimentari che distruggono la vita delle persone, si tentino almeno ricette alternative. Questo è anche il senso del Manifesto che ho appena firmato, ideato da alcuni economisti di fama mondiale. Firmatelo anche voi se volete, ma soprattutto, dite basta a ricette sbagliate. Chiedete che almeno si provino ricette alternative. Chiedete! Fate vedere questi dati sconvolgenti, discutetene tra di voi, prendete posizione, dite basta a queste politiche economiche assurde.

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Lettera aperta ad Alberto Alesina: di Europa, topi, leoni, del Mississippi e di Robert Kennedy

Ha ragione Alberto Alesina a difendere i tedeschi. Se difendiamo i tedeschi e gli sforzi eccezionali che hanno fatto in maniera lungimirante in questi anni per rimettere in piedi la loro economia, difendiamo l’Europa.

Se il progetto Euro dovesse fallire non sarà certo una responsabilità dei tedeschi”.

E di chi Alberto? Dei francesi? Dei greci? Degli italiani?

Strana contraddizione questa del tuo articolo di oggi sul Corriere, dove inizi parlando dei nostri padri fondatori che volevano evitare conflitti,ti infervori giustamente per far cessare le accuse ai tedeschi perché mettono a  repentaglio l’armonia europea. Senza renderti conto che accusando gli altri fai la stessa cosa che fanno coloro che tu accusi.

Il problema sta a monte Alberto. L’Europa che vogliamo, come diceva Jean Monnet, è l’Europa della libertà (concetto un po’ in disuso rispetto agli anni cinquanta, ma che dobbiamo sempre ricordare ai nostri giovani perché nulla mai è un dato acquisito) e della diversità.

La libertà è messa a rischio quando i processi democratici vengono mano a mano accentrati nelle mani di pochi senza che i molti possano dibatterne e incidere sulle decisioni. Questa Europa che accelera, come dici tu, e che ci chiede una “perdita di sovranità”, addirittura rispetto alla Germania, non può essere decisa in poche settimane né liquidata come fai tu con un “così sia. Dovevamo pensarci prima”: pensi forse di parlare ad un bambino un po’ monello o a una comunità di milioni di cittadini europei? Non pensi che questo modo di procedere esautorando addirittura il Parlamento europeo sia il parassita che sta facendo seccare la bellissima pianta europea?

E poi la diversità. La diversità, quella che fa la forza degli Stati Uniti di America del Mississippi e della California, non chiede come fai tu “riforme strutturali decise, incisive e veloci” per germanizzare i greci. Mai sentito chiedere al Mississippi nulla di simile. Anche nel momento di peggiore scontro sul cambiamento via dal razzismo Robert Kennedy portò risorse risorse risorse per gli afroamericani più poveri ed umiliati di quello Stato, lasciando al movimento civile interno gran parte della lotta per migliorarsi.

Non lo si fa, chiedere di cambiare subito, non solo perché è eugenetica del quasi peggior tipo, non solo perché è impossibile ma anche perché è un disvalore, l’omogeneità delle culture e delle strutture economiche e sociali. Ci sono strutture istituzionali, tradizioni, culture che non vogliamo e non dobbiamo perdere se pensiamo di volere con questo progetto conquistare il mondo con la nostra cultura europea, affascinando e dialogando con Cinesi, Giapponesi, Sudamericani, Statunitensi, Indiani, fieri del nostro passato e certi che in esso loro riconoscano la nostra grandiosità come noi la loro.

Ogni federazione si regge sulla generosità altrui, perché ogni Unione, da quella tra un padre ed un figlio, a quello tra persone che si amano, a quella di Stati che vogliono progettare insieme un futuro di pace e prosperità, si regge sul supporto dei più forti ai più deboli, a quelli momentaneamente o permanentemente in difficoltà, dei leoni ai topolini.

Certi che un giorno, come disse Jean La Fontaine, i topolini salveranno i leoni. E che, sempre nello stesso poema, “pazienza e lungo tempo fanno di più che la forza e la rabbia”.

Le Lion et le Rat

Il faut, autant qu’on peut, obliger tout le monde :

On a souvent besoin d’un plus petit que soi.

De cette vérité deux Fables feront foi,

Tant la chose en preuves abonde.

Entre les pattes d’un Lion

Un Rat sortit de terre assez à l’étourdie.

Le Roi des animaux, en cette occasion,

Montra ce qu’il était, et lui donna la vie.

Ce bienfait ne fut pas perdu.

Quelqu’un aurait-il jamais cru

Qu’un Lion d’un Rat eût affaire ?

Cependant il advint qu’au sortir des forêts

Ce Lion fut pris dans des rets,

Dont ses rugissements ne le purent défaire.

Sire Rat accourut, et fit tant par ses dents

Qu’une maille rongée emporta tout l’ouvrage.

Patience et longueur de temps

Font plus que force ni que rage.

(PS: l’autre Fable, l’altra favola, è la Colomba e la Formica”).

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Risponde la Presidenza del Consiglio dei Ministri all’appello sui giovani

Abbiamo or ora ricevuto una lettera (vedi in basso) da parte del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  il Consigliere Dott. Manlio Strano, che risponde all’invio del testo dell’appello seguito dalle firme dei sottoscrittori dello stesso al Presidente del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza al Presidente della Repubblica.

Siamo come firmatari grati alla Presidenza per questa importante risposta e confidiamo nella valutazione in corso da parte del nostro Presidente del Consiglio Prof. Monti.

 

 

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Mai alla BCE che nasconde la transazione Goldman-Grecia la supervisione bancaria

L’Italia ha un ruolo importante da giocare in questa discussione. Deve giocarlo. Dobbiamo dire chiaramente che tipo di Europa vogliamo e partecipare a pieno titolo alla definizione del progetto. Quale è la posizione dell’Italia sulla proposta di supervisione bancaria comune? … Questo vertice non produrrà una soluzione immediata alla crisi del debito, ma, se avrà successo, delineerà le tappe per una unione non solo monetaria, ma anche bancaria, fiscale e politica. È su questo terreno che dobbiamo confrontarci. Tutti: governo e forze politiche.”

Lucrezia Reichlin, Corriere della Sera di oggi

Eccoci qui, Lucrezia, non siamo governo, non siamo forze politiche. Siamo quei cittadini a cui da tempo viene negato in Europa di esprimere la loro. Per negligenza dei nostri rappresentanti, i parlamentari europei? Anche, ma non solo. Anche perché a guardarli, a conoscerli, i nostri parlamentari europei, molti di loro non sono solo brave persone, sono proprio bravi.

E’ che proprio non toccano palla. Non gliela fanno toccare.

Nulla hanno potuto dire a Jean Claude Trichet né a Mario Draghi che obbligasse questi ultimi a  diffondere a tutti, mercati compresi, i dettagli sulla transazione irregolare in derivati tra Goldman Sachs e il governo Greco di allora, quella transazione che così tanto li spaventa da obbligarli a porre il veto alla sua pubblicazione di fronte alle richieste pressanti in tribunale dell’Agenzia di Stampa Bloomberg. Certo, come dici giustamente Lucrezia, che sei stata alla BCE (e forse andrebbe detto nell’articolo), ”mettere pressione sulla Banca centrale europea affinché compri titoli di Stato è pericoloso perché misconosce la indipendenza di questa istituzione“, ma sono d’accordo che anche tu condivideresti questa mia affermazione che “mettere pressione sulla Banca centrale europea affinché riveli le informazioni in suo possesso che riguardano transazioni irregolari tra banche e governi a distanza di 10 anni è essenziale perché riconosce la accountability (responsabilizzazione) di questa istituzione” di fronte a fatti di enorme gravità. Giusto?

Ma tant’è, i nostri parlamentari non hanno il potere o la forza di chiedere alla BCE quello che gli chiede con insistenza un’agenzia di stampa.

E allora, torno a bomba cara Lucrezia al mio argomento iniziale: siccome siamo cittadini non rappresentati di questa Europa che adoriamo e che si sfascia non per i deficit pubblici ma per i suoi deficit di democrazia, eccoci qui a dirti la nostra posizione sull’Autorità bancaria europea. Pare sia urgente visto l’articolo di ieri sulla Stampa di Marco Zatterin che annuncia  come il Presidente del Consiglio UE van Rompuy abbia detto che “possiamo procedere svelti anche sull’attribuzione del controllo della BCE nel quadro di questa unione bancaria”. Svelti? Svelti?

Ecco Lucrezia la mia opinione su questa ennesima follia. La BCE non dovrebbe mai essere la nuova Autorità Bancaria Europea. Né la European Banking Authority se è per questo dovrebbe esserlo. Ambedue sono saldamente nelle mani delle banche centrali nazionali, a loro volta nelle mani del sistema bancario privato che dovrebbero regolare. Come pensare che possano fermare lo scempio finanziario che hanno lasciato avvenire in questo ultimo decennio?

Abbiamo già avuto modo di apprezzare come lo scandalo bancario spagnolo sia avvenuto senza che le nuove autorità bancarie europee create nel 2010 (ed in mano anch’esse nel loro Consiglio alla BCE ed alla banche centrali senza presenza di parlamentari europei a controllare) abbiano fatto nulla per fermarlo: da quando chi fallisce viene promosso? E che dire dei silenzi della BCE sulle transazioni di Goldman Sachs? Come pensare che sia possibile che la BCE tratti con la mano di ferro queste banche quando non osa esporre alla gogna neppure i loro macroscopici errori a distanza di 10 anni?

Se creiamo un’Autorità bancaria centrale dentro la BCE commettiamo l’ennesimo errore strategico volto a distruggere l’Unione dei popoli europei.

L’Autorità bancaria europea, necessaria per tenere conto della crescente dimnensione del sistema finanziario e delle sue articolazioni internazionali,  dovrebbe essere una Autorità indipendente i cui membri, tutti nominati dal Parlamento europeo, sono di fronte ad esso responsabili, rimuovibili, e non rinnovabili.

Serracchiani, Dominici e tutti gli altri bravissimi parlamentari europei: alzate la voce potentemente per la nostra Europa prima che sia troppo tardi!

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Milton Friedman Calling the European Parliament: can you Hear me Major Tom?

Here am I sitting in my tin can far above the Moon Planet

Earth is blue and there’s nothing I can do

David Bowie, Space Oddity

 

For my friends on the other side of the Ocean, here is Planet Europe.

Strange Planet indeed.

Where it appears that the European Central Bank is the leading candidate to receive the mandate to become the new Banking Authority in Europe.

Centralizing supervision in the banking sector is a necessity, so as to be able to regulate an industry whose activity has become so global to defy easily national controls.

But it is only a necessary condition. Not a sufficient one.

To obtain good banking regulation in Europe it is not enough to have it centralized; it needs to be strongly independent from the banking industry and the from risk of capture by the same sector. It needs furthermore to be accountable, so as to demonstrate that indeed its independence from the banking sector has worked all right.

The ECB has shown to be independent, yes, but not from banks. From the public. How to understand otherwise its incapacity over the past years to publish the key derivative transaction in its hands, the infamous one between Goldman Sachs and the Greek government  which it does not want to release for fear it would roll the markets! How can we give the huge power of banking regulation to an institution that has proven (in fairness, like most Central banks always have) to care more about protecting banks than the larger public?

Milton Friedman, not a radical economist, used to say:

The power to determine the quantity of money… is too important, too pervasive, to be exercised by a few people, however public-spirited, if there is any feasible alternative. There is no need for such arbitrary power… Any system which gives so much power and so much discretion to a few men, [so] that mistakes – excusable or not – can have such far reaching effects, is a bad system. It is a bad system to believers in freedom just because it gives a few men such power without any effective check by the body politic – this is the key political argument against an independent central bank.

So now wonder whether these few lines aren’t even more relevant for the issue of a banking regulation role in the hands of the ECB.

It is time the European Parliament showed some pride and took the matter into its own hands. Only an independent and accountable European Banking Authority whose members are named, monitored and replaced by the Parliament can minimize the chances that Europe, once more, will be captured by financial interests.

Ground control to major Tom, your circuits dead, there’s something wrong. Can you hear me, major Tom?

Here am I sitting in my tin can far above the Moon Planet Europe is blue and there’s nothing I can do.

 

 

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Fuori dalla tempesta perfetta verso il sole

In ogni tempesta perfetta esiste un pertugio per uscirne fuori. Bisogna avere fortuna. Ma anche il coraggio di saperlo imboccare.

C’è chi ha saputo farlo. La Corea del Sud per esempio.

Ecco come ci si salva da una crisi drammatica da domanda aggregata.

1)    Si guardano i dati e ci si rende conto della drammaticità della situazione per i propri cittadini. Così ha fatto il governo coreano che alla fine del 2008 ed all’inizio del 2009 a causa della crisi mondiale ha visto il suo PIL crollare del quasi 10%.

2)    Si riunisce con urgenza il gabinetto dei Ministri e si mette in atto in pochi giorni l’Unità di Crisi per fronteggiare la tempesta perfetta. Ecco come.

Non c’è bisogno di tradurre. La scansione temporale è di chi comprende l’urgenza del momento e si muove di conseguenza. Bellissimo.

3)    Si decreta un piano di espansione fiscale del 6,5% del PIL, di riduzione delle tasse e di aumento della spesa pubblica e di supporto nei prestiti alle piccole imprese.

4)    Riguardo all’espansione di spesa pubblica, si ritiene essenziale comunicare ai mercati ed ai cittadini che questo progetto di espansione della domanda pubblica sarà:

Rapido: prediligendo progetti di spesa che possono essere implementati subito. Tra l’altro il Governo riduce con decreto da 90 a 30 giorni il tempo per aggiudicare gli appalti.

Mirato: spesa destinata a generare occupazione e stabilizzare le condizioni di vita delle persone.

Temporaneo: progetti di spesa che possono essere completati rapidamente nell’interesse della sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche. Niente ponti o trafori che durano 10 anni.

Leggersi per favore nel rapporto del Ministero dove sono stati spesi questi soldi: agricoltura, energia pulita, scuole, sanità, sport, tecnologia.

5)    Si riesce ad essere l’unico paese ad uscire dalla tempesta perfetta. Ecco i dati che lo dimostrano. E senza aumento del rapporto debito pubblico-PIL grazie alla generazione di crescita economica. Subito, dal 2008 al 2009:

e nel tempo dopo la crisi del 2008:

Come ha detto il Ministero delle Finanze coreano nel suo rapporto:

“un circolo virtuoso si creerà in cui gli investimenti pubblici porteranno a maggiore crescita, aumento delle entrate fiscali e stabilità dei conti pubblici”.

Fuori dalla tempesta perfetta c’è il sole. Che se lo dicano i marinai europei questo 28 giugno quando si incontreranno. Basta infilarsi nel giusto pertugio.

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Non c’è nulla di piu’ solidale oggi nell’area euro dello spread

Paul Krugman si chiede un po’ stupefatto come mai ci sia un rischio di potenziale uscita dall’area dell’euro se Grecia e Portogallo hanno il 76 e 71 per cento del reddito medio pro-capite (produttività) dell’area dell’euro (e la Germania il 112%) come negli Stati Uniti, dove l’Alabama è al 74%, il  Mississippi at 67 mentre gli Stati nordorientali al 118 e quelli del Middle Atlantic al 116% ma dove nessuno Stato sogna o discute di abbandonare il dollaro.

Risponde che non siamo una nazione e non abbiamo avuto una Guerra di Secessione. Non credo sia questione di guerre. Di nazione sì.

Se guardiamo ad un’altra Unione monetaria, quella indiana, anche qui vediamo numeri significativi. Se dividiamo la produzione di reddito tra tre grandi gruppi di stati indiani, quelli ad alto, medio e  basso reddito pro-capite, emerge come gli Stati ricchi (20% della popolazione) producono 1/3 della ricchezza nazionale,  un altro terzo viene prodotto dal 30% della popolazione di stati a medio reddito, ed il rimanente terzo dal 45% della popolazione appartenente agli stati più poveri. Come negli Stati Uniti, gli stati indiani più poveri sono spesso rimasti i più poveri, malgrado si siano arricchiti grazie allo sviluppo economico.

Convivono insieme, stati ricchi e stati poveri, con diversa produttività nella stessa Nazione dove viene battuta la stessa moneta.

Quando dunque diciamo correttamente che gli spread in Europa sono alti perché alta è la probabilità che i mercati danno ad una svalutazione della dracma o della lira (e dunque alla morte dell’euro) dobbiamo spiegare meglio perché è alta questa probabilità. Allora aggiungiamo “perché alta è la pressione che il ciclo economico negativo dovuto a scarsa competitività sta mettendo a questi Governi per trovare rimedi estremi”. Ma anche in questo caso, stiamo dicendo solo una mezza verità.

Perché in altre unioni monetarie, malgrado situazioni di competitività molte differenziate non si parla di uscita dall’Unione da parte degli Stati più poveri. Perché? Perché questi ultimi sono aiutati. Costantemente. In India, per esempio, gli Stati più ricchi finanziano più di 2/3 delle loro spese locali con tasse locali. Gli Stati più poveri anche solo il 20%. Il resto delle risorse viene dal centro e cioè dagli stati piùricchi. Come negli Stati Uniti di America.

In Canada, altra unione monetaria di diversi ma uguali, l’art. 36 della Costituzione prevede di rispettare il principio dell’equalizzazione dei pagamenti per assicurare che i governi provinciali abbiano sufficienti entrate per fornire livelli di Servizio pubblico ragionevolmente simili a ragionevolmente paragonabili livelli di tassazione. Non ce l’avremo scritto in Costituzione ma l’Italia del Nord e del Sud sono rimaste unite (con la beneamata Lira) perché un patto simile è rimasto implicito ma reale dal dopoguerra in poi e si è (parzialmente) disunito quando una parte del Paese ha ritenuto “ingiusto” questo accordo perché troppo sbilanciato a favore del Meridione.

Ma torniamo al Canada. Secondo quanto si legge nel Rapporto della Royal Commission dell’epoca: “la giustificazione per tale equalizzazione si basa sul fondamento di cittadinanza di una federazione che dovunque lui/lei decidano di vivere dovrebbero avere accesso a certi diritti economici e sociali …” e, aggiungiamo noi, alla necessità politica di tenere unita una federazione di diversi.

Insomma una federazione di diversi si vuole unita ed eguale e dunque adotta le politiche economiche differenziate per esserlo.

Una federazione non adotta politiche economiche unite ed eguali con l’obiettivo di diventare un giorno unita. Se così facesse, sarebbe destinata ben presto a subire un colpo di Stato, ovvero un abbandono da parte di una delle sue componenti, per esempio la Grecia, che non sentirebbe di ricevere dagli altri Stati la giusta equalizzazione che le spetta per far fronte ai suoi ritardi strutturali e vivere con pari dignità di cittadinanza nella stessa nazione.

La Germania dell’Ovest nemmeno per un minuto ha avuto problemi di credibilità nel creare una unione monetaria con i meno produttivi fratelli orientali. Perché il disegno solidale era forte dall’inizio: mai più ti lasceremo andare via, fratello dall’altra parte del Muro, mai vorrai andare via.

I mercati questo lo sanno. Gli spread sono alti perché non siamo Stati Uniti nei fatti, per quanto poi urliamo al vento di volerlo essere. E non li saremo con una Unione bancaria né con una politica fiscale centralizzata, né con le riforme che eugeneticamente tentano di trasformare in teutonici gli ellenici. Una faccia, una razza. Due facce, due razze. La plastica facciale voluta con violenza è tortura, non è abbellimento.

Gli spread crolleranno quando pagheremo noi per gli errori greci. Strano a dirsi, ma non c’è nulla in questo periodo di più solidale dei mercati nel ricordarci il costo della mancata fratellanza.