http://rt.com/news/italy-berlusconi-economy-future-065/
110 punti base. Ecco il livello dell’aumento dello spread tra Francia e Germania tra i primi di luglio e ieri, uno spread che è ai suoi massimi dal 1992, l’anno della crisi di cambio che colpì l’Europa. Metà di questo aumento, esattamente come per l’Italia con la Germania, è avvenuto nell’ultima settimana.
All’inizio di luglio, il differenziale italiano con la Francia era di circa 145 punti base, è di 405 punti base oggi, un aumento di 260 punti base. Dunque, 110 dei 370 punti base nell’aumento dello spread tra Italia e Germania tra luglio e oggi (da circa 180 punti base a 550 punti base) è comune a noi ed ai nostri amici transalpini. In sintesi:
ITA – GER = [ITA – FRA] + [FRA- GER]
AUMENTO DI 370 = AUMENTO DI 260 + AUMENTO DI 110
Un aumento nello spread Francia-Germania non è dovuto ad un’aumentata probabilità di default della Francia, ma all’aumentata probabilità di una rottura dell’area dell’euro che può coinvolgere anche la Francia, per un dato susseguente atteso deprezzamento del franco francese rispetto al marco tedesco o, per una data probabilità di rottura, ad un accresciuto atteso deprezzamento in caso di uscita.
Se i mercati non si aspettano un default né dall’Italia né dalla Francia, l’Italia fronteggia allora (dobbiamo credere ci dicano i dati) una più alta probabilità di abbandonare l’area dell’euro rispetto alla Francia o una maggiore svalutazione nel caso ambedue escano, o un mix dei due.
Continua la tiritera che dobbiamo “abbattere il debito”. E’ un dibattito sbagliato, che fa perdere tempo prezioso verso la soluzione del problema immenso che ci ritroviamo tra le mani e che mette a rischio la costruzione europea dell’euro. Ecco alcune delle ragioni, sbagliate, che vengono addotte spesso sul perché bisogna abbattere il debito:
1) “Le somme impiegate per il pagamento degli interessi sono sottratte all’economia”: falso. Il pagamento degli interessi sul debito è compensato esattamente dagli interessi che il contribuente è messo in condizione di guadagnare grazie al differimento del carico fiscale.
2) Falso anche che “il debito porti via risorse”: lo Stato non consuma denaro per il semplice fatto di chiederlo a prestito; ogni euro che lo Stato ottiene in prestito viene immediatamente reso disponibile in modo che possa essere nuovamente girato ai privati. Lo Stato chiede soldi per spendere.
3) “Il peso del debito rallenta il ritmo di sviluppo dell’economia”: falso. Il ricorso al credito da parte dello Stato non consuma nulla. Ciò che consuma risorse è la spesa pubblica. Se lo Stato acquista, pagando in contanti, un milione di tonnellate di acciaio, sarà disponibile un milione di tonnellate d’acciaio in meno per il settore privato. Ma ciò è altrettanto vero nel caso in cui la spesa venisse finanziata attraverso tasse e senza debito!
Quello che conta è cosa ci compra lo Stato con queste risorse, che vengano dalle tasse o dal debito: se ci compra acciaio per fare ponti utili, l’economia crescerà; se ci compra acciaio che poi butterà nell’oceano l’economia rallenterà. Dal che si deduce che l’obiettivo di ridurre il debito non rappresenta di per sé un imperativo categorico, una conditio sine qua non della prossima manovra. Abbiamo bisogno piuttosto di uno Stato che spenda bene le risorse che ottiene dai cittadini (via tasse oggi o via indebitamento), che tagli tutte quelle spese che sprecano risorse per la comunità così da restituirle veramente in mano ai cittadini, e che tassi con quel grado di efficienza ed equità che gli elettori gli hanno richiesto al momento del voto.
Nel comporre questo equilibrio è fondamentale che i progettisti abbiano chiaro l’obiettivo: non trasferire alle odierne o alle prossime generazioni il costo di debiti o tasse usati per finanziare spese improduttive ma piuttosto il ricavo di debiti o tasse usati per generare investimenti utili allo sviluppo culturale, solidale ed economico del nostro Paese.
Kenneth Orchard signals to me this very interesting piece in the FT.com of Sunday by Gavin Davies. Kenneth made a perfect summary of it, which I quote: “(Davies)argues that one can look at the Eurozone crisis as a balance of payments problem instead of a sovereign debt problem. In aggregate, the Eurozone periphery countries are running current account deficits around the same size as Germany’s current account surplus. As private sector flows from the core to periphery have dried-up, they have been replaced by official flows (bilateral loans, ECB financing, EFSF loans and the like). Correcting this imbalance is difficult with no exchange rate flexibility. The policies being enforced on the periphery countries — fiscal austerity, deleveraging and structural reforms — are deflationary. But the ability of periphery governments and economies to adjust through deflationary policies is highly uncertain. History has shown that wealthy, indebted democracies have limited tolerance for long periods of unemployment and declining real wages. Fiscal and monetary stimulus in the core would ease some of the pain, but this is not politically palatable in Germany.”
Read it, it is a great piece. Clear, sharp and precise view of the global macroeconomic scenario. It skips only two issues, to be mentioned.
First, if Germany must expand, it is not true that Italy and the Periphery of the euro area should stay put. The Periphery can expand public expenditure and boost aggregate demand and growth given that private sector demand there is stuck. How to finance such expenditure without increasing their public debt imbalances? By reducing (by 2% of GDP in Italy) those transfers that are embedded in wasteful documented spending and/or by raising taxes (GDP would go up anyway since part of that taxed income, especially in this recession, is not spent so better to have the government spend it all).
Second, if it were really true that Germany will not help, what will be the destiny of the euro area? Well, the Center will keep the euro and Periphery will exit the euro to adopt either once more their national currencies or create a euro2 with a large devaluation compared to the euro. Welcome back DM, hello again Lira. The best solution for a continent that has found out not be a Union.
Kenneth Orchard mi segnala questo pezzo sul sito del Financial Times di domenica da parte di
Gavin Davies. Lo riassume perfettamente (mia traduzione): “(Davies) sostiene che si può guardare alla crisi dell’eurozona come ad un problema di bilancia dei pagamenti piuttosto che a come un problema di debiti sovrani. Nell’aggregato, i paesi periferici dell’eurozona [inclusa l’Italia, NdR] hanno un deficit di bilancia commerciale [partite correnti, NdR] di circa la stessa dimensione del surplus tedesco. Dal momento che i movimenti di capitale dal centro [Germania, NdR] alla periferia si sono inariditi, questi sono stati rimpiazzati da flussi di capitale ufficiali (prestiti bilaterali, finanziamenti della BCE, prestiti del Fondo EFSF e vari). Correggere questo squilibrio è difficile se non si ha flessibilità [all’interno dell’eurozona, NdR] nei tassi di cambio. Le politiche che stanno attuando i paesi periferici – austerità fiscale, riforme strutturali ecc. – sono deflazionistiche. Ma l’abilità dei governi e delle economie dei paesi periferici di aggiustarsi tramite politiche deflazionistiche è altamente a rischio. La storia ha mostrato che le ricche democrazie indebitate hanno una limitata tolleranza per lunghi periodi di disoccupazione e salari dal potere d’acquisto decrescente. Politiche fiscali e monetarie dal centro lenirebbero parte di queste sofferenze nella periferia, ma ciò non appare desiderabile politicamente al centro, cioè alla Germania.”
E’ un signor pezzo, chiarissimo e lucido, sulla situazione economica mondiale. Due cose però non dice, che meritano di essere menzionate. Primo, se al Centro (la Germania) spetta di reflazionare l’economia con politiche espansive non è vero che la Periferia (l’Italia e gli altri) debba stare ferma con le mani in mano. Può stimolare la domanda pubblica , anche senza modificare il saldo di bilancio pubblico, spendendo di più visto che il settore privato non spende. Finanziando come tali spese? Con la riduzione dei trasferimenti impliciti negli eccessi di spesa pubblica dovuti a sprechi (abbondantemente e rigorosamente documentati attorno al 2% del PIL) oppure anche finanziandole con tassazione (visto che comunque quelle risorse non sono spese da famiglie e imprese, in questo momento timorose).
Secondo, se invece fosse vero che la Germania non aiuterà, cosa ne è dell’area dell’euro? La risposta è semplice. Il Centro si tiene l’euro, la periferia lascia e torna alle valute nazionali o crea un euro2 accompagnandolo con una ampia svalutazione. Bentornato Marco, bentornata lira. Forse la soluzione migliore per un’Europa che si è scoperta non Unita.
C’è nient’altro che si potrebbe fare, oltre al fare una politica fiscale espansiva che spinga la domanda pubblica, per generare crescita subito?
Certo. Ma non viene fatto. Prendere per esempio il recente Statuto delle imprese approvato come legge dello Stato, che dovrebbe aiutare le piccole imprese. Ne parleremo con più calma nei prossimi giorni, ma considerate un suo articolo, quello sui ritardati pagamenti alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione, pari a 218 giorni medi nel 2009 (fonte Banca d’Italia). 218 giorni.
La legge impegna il Governo a recepire la direttiva europea sui pagamenti delle P.A. entro 12 mesi. Il Presidente Boccia della Piccola Industria di Confindustria riassume bene sul Sole 24 Ore la mancata occasione:
“Un’altra grande contraddizione. Se per le imprese private il vincolo sui pagamenti vale da subito, in base a quale principio per la P.A. deve valere solo tra un anno? In più, il vincolo varrà per tutti i debiti nati dopo la norma, ma per i 60 miliardi di euro di crediti che le imprese già vantano dalla P.A. quali saranno i tempi? “.
Grande occasione persa per ridare liquidità a tante imprese razionate nel credito e permettere investimenti e acquisti per l’economia. Perché non lo facciamo? Semplice. Il Ministero dell’Economia teme che ci sfugga di mano il rapporto debito-PIL. Perché? Per pagare questo stock di debito commerciale a breve termine (che non è considerato nel rapporto debito PIL perché tale), dovremmo indebitarci coi mercati e quindi far emergere il debito nelle statistiche ufficiali. Il debito c’è sempre, ma adesso si vede.
Qualcuno ha mai provato a negoziare con Bruxelles come uscire da questa assurda situazione di cui tutti siamo al corrente che ha una soluzione che rilancia la crescita senza toccare il vero livello di debito pubblico italiano?
Sometimes I am asked whether my only solution for this crisis is raising public expenditure for goods and services. No: anything that raises growth now is ok with me.
Take for example the recent law approved in Italy following the European Small Business Act: one measure contained in it has a provision to reduce the delay in payments by the public sector. In Italy a firm has to wait on average 218 days (Bank of Italy) to be paid for its sales of goods, services and works to the public sector.
Imagine what it would mean to bring that number down to 60 days in the current environment: liquidity constrained firms that are often forced to close down or not to participate to tenders of the public sector procurement would find new life, buying, selling, generating more employment, profits, participation and competition in the economy.
But the new law postpones the adoption of this growth enhancing measure for 1 year and reserves it only to new future sales of firms to the public sector not considering the 60 billion euro of commercial debt already outstanding. Why, you may ask?
I am at loss to tell you why the delay for 1 year since governemnt could end up having now more participation in its tenders and less costly bids and so gain from it.
But I have instead a simple and dramatic explanation as to why the Italian Government does not consider reimbursing now the 60 billion euro owed to firms. Because that would mean turning a commercial debt (not considered by Eurostat in its public debt to GDP figures) into a marketable debt (since Governemnt would have to borrow to find these 60 billion euro) which would enter the debt GDP ratio.
So if we were to reimburse firms for what they are owed the official debt GDP ratio would go up, while the true debt GDP ratio (which already accounts for commercial debt) would remain the same. So what do we do? Instead of telling Brussels and the European Commission “listen let me help SMEs and growth, my true debt will not change” we fear their reprisal, avoid helping SMEs and keeping the true and fake debt at their current levels. The fear of fake accounting prevents true growth. If this is not masochism European style, you tell me what is.
“We understand … that further consolidation measures will be adopted … as we estimate that in the current economic context the planned fiscal strategy does not ensure the achievement of a balanced budget in 2013, additional measures will be needed to achieve the targets for 2012 and 2013 …. “.
So here is it. The newspaper Repubblica publishes the request from the EC, the European Commission, and the European Council to PM Berlusconi on what to do next. Among which (see above) a swift operation of further fiscal retrenchment with public expenditure cuts.
Whoever will govern the country in the next months, whether conservative or liberal, will have to take this letter into account. If it will enact what requested, then it will certify the death of
Italy’s economic future and the sure exit from the euro area, possibly following Greece. Indeed, who can tell me what economics textbook is read in Brussels? Who in his right mind would recommend a restrictive fiscal policy in these times of (such a) devastating crisis? With Italian youth unemployment reaching its highest peak since 2004 at 29,3%? Who, for the sake of a so-called stability principle, is willing to put growth at risk thereby risking instead instability and chaos to prevail in the Old Continent?
Macroeconomic policy in Europe by Brussels is with no doubt in a state of disarray and is fostering the demise of the euro area and its project. We need a macroeconomic policy in Europe by Europeans.
Pubblicata da Repubblica (brano da me tradotto) la richiesta di chiarimenti della Commissione Europea e del Consiglio Europeo sulla lettera del Presidente del Consiglio Berlusconi. Tra i tanti, uno spicca. Quello che richiede una ulteriore manovra restrittiva per mantenere l’obiettivo di pareggio di bilancio nel 2013 a fronte del peggioramento economico e della spesa per interessi (si presume):
“La lettera (di Berlusconi NdR) conferma la ferma intenzione del governo verso il pianificato consolidamento fiscale e riconosce la necessità per un’azione correttiva rapida “se un deterioramento del ciclo economico portasse ad un peggioramento del deficit”. Capiamo con ciò che nuove misure fiscali di consolidamento saranno adottate appena una deviazione dal sentiero fiscale previsto diventi apparente. Dato che stimiamo che nell’attuale contesto economico la strategia fiscale prevista non assicura il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013, misure addizionali saranno necessarie per raggiungere gli obiettivi 2012 e 2013. Si stanno già preparando misure di risposta e, se così, che tipo di misure sono? Prenderanno la forma di ulteriori restrizioni di spesa, basati sulle risultanze di una completa “spending review?”
Chiunque governi nei prossimi mesi, destra o sinistra o centro, dovrà prendere atto di questa lettera. Se vi si adeguerà, darà il de profundis dell’Italia nell’Europa dell’euro. Una politica così suicida, che non tiene conto di decenni e decenni di risultati di ricerca scientifica che in una recessione da bassa domanda si risponde con maggiore spesa pubblica e non meno spesa e più tasse, segna il punto più basso della politica economica europea. Se vogliamo salvare l’Europa dobbiamo far sì che i lavoratori e le imprese che in Europa vivono non trovino desiderabile
sopprimere l’euro perché simbolo delle loro difficoltà. Solo una politica per la crescita porterà stabilità. Una politica ora per la stabilità come quella suggerita da Bruxelles si ritorcerà contro di essa, e porterà all’implosione dell’Europa Unita che vogliamo invece costruire.
PS: Nel frattempo, la disoccupazione giovanile è al suo massimo dal 2004 al 29,3%. E noi vogliamo fare politica fiscale restrittiva? Perché? Perché?
Finito ora di leggere una interessante rassegna sul prestigioso JEL (Journal of Economic Literature) sul tema “Can Government Purchase Stimulate the Economy” (possono gli acquisti pubblici di beni e servizi stimolare l’economia). Ovviamente sono sempre alla ricerca di studi che confermino la bontà della mia (pare non ortodossa) idea: che da questa crisi se ne esce solo stimolando la domanda pubblica e non con le riforme, che avranno impatto a 10 anni se tutto va bene, né con la depressa domanda privata.
Per vedere se si ha ragione, tutto sta a capire qual è il valore del moltiplicatore della spesa pubblica, cioè di quanto varia il Prodotto Interno Lordo (PIL) quando varia la spesa pubblica per acquisto di beni e servizi (e lavori). Se il moltiplicatore è pari 2, il PIL cresce di 2 volte la crescita della spesa. Se è pari a -1, il PIL addirittura scende di tanto quanto è aumentata la spesa. Ovviamente i risultati variano da studio a studio, e gli studi effettuati con rigore ormai sono tanti. Ma qualcosa di significativo lo dicono. A poco servono nel breve periodo i lavori pubblici che hanno un impatto più distanziato nel tempo. Se la maggiore spesa pubblica è finanziata con tasse, se è fatta in tempi di espansione dell’economia e/o con tassi d’interesse che hanno spazio per scendere, il moltiplicatore è basso, vicino in media allo 0,5. Se la spesa pubblica è finanziata in deficit, in tempi di crisi, con tassi d’interesse vicini allo zero il moltiplicatore è più alto, vicino ad 1,5. Quindi è proprio ora che andrebbe fatto l’aumento di spesa pubblica!
Interessante, per una unione monetaria, il risultato che leggo che la redistribuzione di risorse da uno stato con bassa disoccupazione ad uno con alta disoccupazione potrebbe avere moltiplicatori molto alti per l’Unione nel suo complesso (Germania che presta alla Grecia o all’Italia per acquistare beni, tanto per capirci). Attenzione però che questi trasferimenti non vengano tesoreggiati come è stato fatto nel disastroso piano Obama dove i singoli stati degli USA non hanno mutato il livello della loro domanda pubblica di beni e servizi, riducendo semplicemente l’indebitamento con altri prestatori.
Più importante di tutto ai miei fini è l’ovvio risultato che il moltiplicatore è forte quando diretto a imprese e cittadini razionati nel credito. Insomma ecco l’unico piano per fare uscire l’Italia dalla crisi: Aumentare del 25% gli acquisti di beni e servizi nel 2012, finanziandoli al 50% con tagli agli
sprechi/trasferimenti (non le auto blu, né i costi della politica, no parlo degli sprechi negli appalti, documentati da Bandiera, Prat, Valletti nel 2% di PIL) e al 50% con aumento del deficit (sissignori, avete sentito bene) oppure con prestiti europei a tassi uguali a quelli tedeschi. Concentrare gli appalti sulle piccole imprese, le più razionate nel credito in questo momento, con una nuova legislazione che riservi tutto il sotto soglia degli appalti solo alle piccole e con l’obbligo di pagamento a 60 giorni. L’aumento di PIL che ne conseguirà permetterà l’aumento di occupazione ed il crollo dei rapporti Debito e deficit su PIL, con conseguente crollo degli spreads e ulteriore miglioramento dei conti pubblici.
Cosa poi comprare con tutti questi soldi, possiamo parlarne un’altra volta.