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Il calabrone vola, i suoi delatori no

All’ambasciata americana pochi giorni fa ho raccontato dell’evoluzione della lotta anticorruzione italiana di questi ultimi anni, in particolare sui testimoni di corruzione (whistleblowers). Tor Vergata è chiamata spesso a questi dibattiti per lo sforzo che sta facendo con i suoi progetti, siano essi www.anticorruzione.eu oppure il suo Master http://www.masteranticorruzione.it/ . Ho parlato, con particolare fierezza per quanto fatto dal nostro Paese, senza sostenere, come invece hanno fatto altri miei concittadini davanti a una platea di statunitensi, che il nostro Paese è sempre più corrotto.

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Da studente avevo un bravissimo docente di economia che mi raccontava come l’Italia è come un calabrone, tradotto da alcuni come bumblebee, con delle ali così piccole da non avere proprietà aerodinamiche per volare. Eppure vola. Qualcuno non capisce come l’Italia possa andare avanti malgrado i pesi che si trascina. Eppur si muove. Anche sulla lotta alla corruzione.

Ma in realtà ho appreso che non è esattamente così. Intanto il calabrone non è il bumblebee, si chiama hornet. Il bumblebee, di cui parlava il mio docente, in italiano si chiama bombo, un apide, mentre il calabrone è un vespide.

Ed è ormai dimostrato, attraverso una serie di riprese ad alta velocità sulla meccanica alare del calabrone, che il calabrone ha un battito d’ali pari a 230 battiti al secondo, molto più veloce di altri insetti di dimensioni minori, addirittura 5 volte superiore a quello di un colibrì. Ed è proprio questa velocità incredibile che gli consente di ottenere una spinta sufficiente a mantenerlo sospeso in aria, oltre che ad un movimento alare inconsueto che contribuisce a generare portanza.

http://www.invasionealiena.com/misteri/leggende-metropolitane/588-il-calabrone-puo-o-non-puo-volare-ecco-la-verita.html

Quindi siamo come un calabrone, come diceva il mio docente, ma non dovrebbe sorprendere che voliamo, perché ne abbiamo tutte le capacità. Niente di clamoroso.

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Lo dico perché non mi stupisce che siamo qui oggi a prendere atto di un costante progresso della legislazione del whistleblowing in Italia. Un progresso veloce, come le ali del calabrone: da quando alla Scuola della Pubblica Amministrazione dal 2010 al 2011 con Bernardo Mattarella formavamo i giovani e i funzionari pubblici con il progetto per una cultura dell’integrità nella pubblica amministrazione (unico progetto formativo, assieme a quelli del Formez, menzionato nell’allora rapporto Greco del Consiglio d’Europa nel resoconto piuttosto duro sullo stato dell’anticorruzione in Italia), solo 7 anni fa, e parlavamo di “whistleblowing che non c’era” e i dipendenti pubblici facevano un salto sulla sedia per le nostre proposte folli di avviarlo e per la difesa che facevamo di questi “eroi” e non “delatori” come molti li chiamavano, siamo oggi in un altro Paese, con il numero di segnalazioni inviate all’ANAC (Autorità Anti Corruzione) in costante aumento. In realtà siamo sempre nello stesso Paese, che va avanti, spesso velocemente, contro tutti gli stereotipi.

E così dal testo della norma anticorruzione del 2012 (dove la proposta della Commissione Garofoli di riservare il 20% della mazzetta recuperata ai whistleblower fu subito scartata) abbiamo avuto il testo del 2014 con maggiori dettagli sui segnalatori ed a loro tutela e oggi siamo qui a dibattere del testo di disegno di legge del 2016 in discussione al Parlamento, con sempre maggiori migliorie e capacità d’impatto e protezione per i testimoni di corruzione: l’estensione “ai collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o di incarico, nonché ai lavoratori e ai collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica” è un grande successo per la quale la stessa Tor Vergata, con il suo Proxenter, si è battuta nella sua segnalazione all’ANAC ampiamente presa in considerazione nei commenti alle Linee Guida. Come il fatto che le denunce possono non passare più solo per il responsabile anticorruzione ma anche per il responsabile gerarchico o andare (meglio!) direttamente all’ANAC, come il fatto che si dovrà prevedere l’utilizzo di modalità anche informatiche e promuovere il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e per il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione. Tutti progressi decisivi.

Certo non c’è la premialità pecuniaria che tanto bene ha funzionato negli Stati Uniti. Ma posso dire? E allora? Lasciamo funzionare, la nuova legge, per 5 anni, diamole il temo di sedimentarsi nella cultura nostrana e tra 5 anni rivediamoci e valutiamo come è andata, ossia se si è diffusa o meno, senza premialità, la prassi del whistleblowing. Può darsi che nella nostra cultura si abbia meno bisogno di tale strumento. Altrimenti, come sempre, faremo nuovi passi da gigante. Anzi da calabrone.

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E perché non mi stupisce quanto fatto dal nostro paese in questi anni?

Un Paese può raggiungere uno di due equilibri nella protezione dei testimoni di corruzione, ambedue caratterizzati da 0 (zero) whistleblowing. Sono equilibri multipli, li chiamiamo noi economisti, e l’affermarsi di uno dei due dipende dal contesto culturale di riferimento che trova poi modo di generare spazio (o vuoto) nella norma.

Il primo equilibrio con 0 whistleblowing è quello buono, dove nessuno denuncia perché non vi è nulla da denunciare e le false denunce non sono convenienti per il calunniatore. E’ probabile che ci si trovi in un Paese con un forte DNA anticorruzione e una conseguente buona norma per la protezione dei testimoni o whistleblower. Perché la norma segue la cultura e non viceversa.

Il secondo equilibrio con 0 whistleblowing  è quello cattivo, dove nessuno denuncia malgrado vi sia tanto da denunciare e dove le sole denunce sono calunnie e non “vero” whistleblowing. E’ probabile che ci si trovi in un Paese con uno scarso DNA anti corruzione e una conseguente cattiva norma per la protezione dei segnalanti o whistleblower.

Dove si trova l’Italia ora? Tutto mi fa pensare che stiamo convergendo verso l’equilibrio buono. E non mi stupisce perché vedo nel Paese un DNA anti corruzione ormai non più modificabile. Da qui indietro non si torna. E sarebbe tempo che sia la stampa che gli iettatori se la piantassero di essere i veri delatori del nostro Paese e raccontassero le storie di un Paese che sa dire no, malgrado tutte le difficoltà di volo che incontra ogni calabrone a questo mondo.

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