Il mio pezzo di oggi sul Sole 24 Ore con Paolo De Ioanna
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L’esperienza di questi ultimi otto anni, a seguito della crisi finanziaria del 2008 che l’Europa ha finito per importare più intensamente degli Stati Uniti che l’avevano prodotta, ha creato una crescente convergenza tra studiosi e commentatori sulla necessità di superare l’attuale assetto istituzionale europeo. Le posizioni si dividono tra coloro favorevoli ad un abbandono più o meno completo dell’euro, moneta comune senza Stato, e quelli desiderosi di avviare meccanismi fiscali e di bilancio idonei a incidere sul ciclo e sulla domanda globale. Gli scenari plausibili per un superamento tecnico dell’euro, salvando l’idea e la prassi di un processo di integrazione, sono politicamente impervi e tecnicamente assai controversi quanto agli scenari successivi. D’altro canto, la flessibilità fiscale che c’è, per come è congegnata, è un velo che nasconde in realtà intatti i rapporti di forza politici ed economici: gli effetti pratici della applicazione del Patto di stabilità e crescita e poi del Six e del Two pact (regolamenti comunitari) e infine del Fiscal Compact (trattato internazionale agganciato al diritto comunitario) sono stati devastanti sul piano economico soprattutto per i paesi euromediterranei e l’Europa ha un senso solo se unisce tutti i paesi, le economie e le culture che essi esprimono.
Chi scrive ritiene che gli Stati Uniti d’Europa fondati solo sulla lenta convergenza delle strutture economiche, rivista al margine sulla base di stati di necessità ed urgenza, sono una prospettiva destinata ad implodere, con effetti gravi e duraturi nel tempo: la Brexit ha mostrato quanto concrete e non teoriche siano tali preoccupazioni. Se si riconosce questa dura realtà delle cose, forse è possibile ripartire da un confronto pacato e approfondito sulle linee di riforma del Fiscal Compact, idonee a rilanciare la crescita.
L’occasione è offerta dall’art.16 del Fiscal Compact dove è stabilito che entro 5 anni dalla sua entrata in vigore (1/1/2013) le sue norme devono essere oggetto di un processo di inserimento nell’ordinamento comunitario. E’ dunque del tutto realistico utilizzare questa occasione per realizzare un confronto critico e una profonda revisione delle sue regole che abroghi tutte le norme a valle del Trattato di Maastricht (uniche queste a valenza” costituzionale”), riesamini gli errori commessi e metta in campo un nuovo Fiscal comunitarizzato. Il criterio di base di questo lavoro dovrebbe essere l’eliminazione dai vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche definite, con cura e precisione, di investimento, secondo regole e monitoraggi costruiti in modo rigoroso a livello comunitario e applicati da organismi comunitari del tutto indipendenti dai governi e dagli apparati nazionali. Per questa quota di investimenti nazionali riconosciuti come spese di investimento (e tra queste dovrebbero rientrare oltre le infrastrutture materiali anche l’istruzione e la ricerca) dovrebbe inoltre risultare agevole costruire forme di copertura comunitaria a debito e/o forme di garanzia diretta e indiretta del bilancio comunitario, a cui occorrerebbe garantire uno zoccolo fiscale europeo più significativo.
E’ evidente che i diversi punti di vista degli Stati si riproporrebbero anche in questa fase, ma un confronto politico e tecnico, riportato ad una sede solenne e formale che ricrea le basi della convergenza delle politiche fiscali e di bilancio potrebbe rendere chiare le motivazioni e i punti di convergenza e potrebbe servire a trovare , nel fuoco del confronto pubblico, nuove linee di alleanze e visioni che superano l’attuale blocco di controllo, fondato sulla inderogabile convergenza finale dei governi di Germania e Francia. Se appare realistico che gli sviluppi della integrazione non possono farsi contro la Germania e la Francia è infatti altrettanto chiaro che se questi paesi vogliono salvare questa prospettiva, che appare l’unica politicamente e culturalmente all’altezza delle sfide globali del presente, devono uscire da una situazione di mera difesa dell’esistente. Il tempo logora le cose e solo se si anticipano i nodi del futuro c’è speranza di ridare impulso al processo di integrazione. Immigrazione e sicurezza si possono gestire bene anche senza una vera unione politica; la crescita e il lavoro per le generazioni presenti e future hanno invece bisogno di un nuovo contesto regolatorio per le politiche fiscali e di bilancio. Anche perché ripresa dell’occupazione e centralità del lavoro sono la base del futuro possibile di una Europa che si tenga lontana da fiammate nazionaliste e autoritarie.
25/10/2016 @ 09:20
E’ giusto eliminare le superfetazioni ai trattati. Ma sarebbe anche opportuno prendere atto che talvolta o spesso il problema è nella loro interpretazione ed applicazione.
Basti considerare soltanto tre esempi eclatanti: 1. il fondamentale art. 3 del TUE (Trattato di Lisbona), che definisce ed esplicita l’intera “missione” dell’UE, che spesso viene denegato nei fatti http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/08/st06/st06655-re07.it08.pdf; l’art. 2-Obiettivi dello Statuto BCE (art. 127/1 e 282/2 del TFUE), che stabilisce che essa ha un mandato duale e non limitato alla stabilità dei prezzi, anche se gerarchico, tranne che non si sia in deflazione o con tasso d’inflazione sensibilmente inferiore al target nel medio periodo (poco sotto il 2%) https://www.ecb.europa.eu/ecb/legal/pdf/c_32620121026it._protocol_4pdf.pd; e 3. la Corte dei Conti europea ha stabilito in una sua sentenza che nei salvataggi sono stati applicati dalla Commissione europea, ad alcuni Paesi, due pesi e due misure.
25/10/2016 @ 21:58
Si concordo. Il problema è politico e negoziale.
26/10/2016 @ 11:07
Certamente, ma anche informativo (dacché me ne interesso, cioè da 3 anni, ho riscontrato che quasi nessuno conosce l’art. 3 del TUE e soprattutto l’art. 2 dello Statuto della BCE, anche per colpa della carente comunicazione istituzionale) e, viste le violazioni da parte degli Organi deputati, giurisdizionale, come insegna perfino la Corte Cost. tedesca (vedi OMT).
PS: Mi permetto di allegare la modifica/integrazione, aggiungendo il cap. 8, da me elaborata della voce “Banca centrale europea” di Wikipedia, poi eliminata da chi vaglia le modifiche, solo in parte perché non sono consentite analisi originali, in cui ho riportato le prove documentali (almeno quelle disponibili, poiché i siti citati, a differenza di Wikipedia, non conservano le versioni precedenti), della carente comunicazione istituzionale:
8. Attività della BCE dopo il trattato di Lisbona: analisi critica
https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Banca_centrale_europea&diff=83520825&oldid=83506191
25/10/2016 @ 12:45
Spero tanto nelle fiammate nazionalistiche. Ci conto davvero.
Non solo io, immagino.
Nel frattempo leggo in suo tweet che uscire dall’euro sarebbe (parole sue) essere dei perdenti che scappano.
http://ilpedante.org/files/post_images/trmb_1475960251.png
Visto che invece lei è coraggioso mi dice se voterà sì o no al referendum?
Se non se la sente di rivelare le sue intenzioni non le darò del perdente che scappa.
PS: Lottare per lo 0,1% è da vincenti che restano, giusto?
25/10/2016 @ 22:00
Trovo questo referendum assolutamente irrilevante per il paese. Trovo irrilevante e noiosa l’eccitazione dei si e dei no. Lottare per lo 0,1 è da perdenti che scappano.
30/10/2016 @ 09:37
Il referendum forse è irrilevante nel merito ma politicamente credo che una vittoria dei no avrebbe delle conseguenze importanti anche a livello europeo.
Dopo nove anni dalla crisi non esiste ancora una proposta politica alternativa all’Europa dell’austerità che riesca a raccogliere un minimo di consenso e si è costretti a sperare nel tant pis tant mieux cioè nei grillini (che comunque non sono peggio del PD), nei nazionalismi o in Donald Trump (certo non il meglio che si possa trovare ma l’alternativa è peggiore).
Evidentemente perché possa nascere una risposta democratica dei cittadini contro il potere delle élite internazionali è necessario prima che qualche scossone politico e sociale ne metta in dubbio l’invincibilità e l’infallibilità.
Ho l’impressione che nel 2017 qualche scossone qua e là ce lo avremo.
26/10/2016 @ 13:32
Purtroppo condivido i timori del prof. Piga.
Sarebbe bello uscire dall’euro, ma poi ci scontreremo con un’altra realtà non meno facile.
Vedi:
http://www.gustavopiga.it/2013/giappone-europa/
miei commenti e risposte.
Il tweet tra Borghi e l’ex cancelliere tedesco Schreoder è illuminante in proposito.
25/10/2016 @ 16:04
Va bene, ma mi sembra più semplice uscire dall’Euro, ovvero abbandonare l’idea di Europa, che ha dimostrato di non avere senso. La burocrazia e la complessità delle regole pur buone da lei proposte rischia di produrre più lacci che libertà. Con la presa d’atto che l’Europa non esiste più ogni stato si prenderebbe la responsabilità di fare bene o male, di essere burocratico o snello. Accordi commerciali come quello tra Svizzera ed UE e quello che sarà tra UK e UE potrebbero poi ben governare un mercato Europeo efficiente.
Per quanto riguarda la difficoltà di uscire dall’Euro ricordiamo che i costi di esserci tra il 2011 ed oggi sono stati per l’Italia di circa 500 mld di debito in più e di 5 punti di disoccupazione ancora in essere. Non credo che una buona uscita dall’Euro sarebbe costata di più.
25/10/2016 @ 21:30
Come convincere paesi come la Germania che da questa situazione hanno tutto guadagnato e che non hanno altra cultura che quella della germanizzazione dell’Europa se non del mondo? Che pietà, che senso di unione hanno avuto nei confronti della Grecia? Sono stati più preoccupati di salvare le loro banche e di prendersi gli aeroporti greci. Certo l’idea degli stati uniti d’Europa è bella, ma non praticabile per volontà altrui, a meno che non si accetti la schiavitù….
27/10/2016 @ 13:00
Bisognava manifestare questa visione riformista 2 o 3 anni fa invece di unirsi alla schiera degli allegri picconatori che vedevano nell’UE la fonte di tutti i mali.
Fossi in Lei, rifletterei maggiormente sui fondamenti della maieutica e tenterei di inculcare alle generazioni di studenti che attraversano le sue aule, lo spirito di quell’europeismo lucido, pragmatico ed irrinunciabile che da Spaak a Schmidt non ha mai smesso di portare mattoni all’edificio comune.
Spulciare con piglio nominalistico le imperfezioni dei trattati non dovrebbe impedire però di elaborare strategie politiche e proposte operative per l’immediato :
1)realizzare megafusioni bancarie fra i paesi dell’Ue per creare dei colossi del credito della taglia di Goldman e compagnia.
2)creare e posizionare forze militari d’interposizione e controllo lungo le frontiere geografiche dell’Unione
Essere forti nel credito e nella difesa può contribuire a risollevare il peso simbolico del progetto europeo creando al contempo le condizioni politicche ottimali e preliminari ad un aggiornamento dei trattati.
30/10/2016 @ 09:50
@Dombas
Scusa ma che c’entra l’inculcare con la maieutica?
La maieutica è estrarre non inculcare.
Ma tanto siamo nel post moderno, va bene tutto.